Leo Savani DIECI POESIE INEDITE con un Commento di Giorgio Linguaglossa

Valerio Zurlini le_desert_des_tartares

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Leo Savani (pseudonimo di Franco Bottacini) è nato a Verona una calda domenica di maggio del 1951. Libri pubblicati: Vele bianche  (grafiche Arcangelo Verona, 1981) e Ventilabri (Rebellato, 1984).

Commento di Giorgio Linguaglossa

 Nel 1952 il geniale compositore John Cage presentò la sua partitura 4′.33, che compendia molti aspetti dell’estetica cageana, e che egli stesso definì il suo pezzo migliore. – “Cerco di pensare a tutta la mia musica posteriore 4.33 come a qualcosa che fondamentalmente non interrompa quel pezzo”. Chiunque voglia immergersi nella musica di Cage anche coloro che non hanno mai preso uno strumento musicale in mano, possono farlo, possono fare musica. Basta indossare un abito da concerto e accomodarsi al pianoforte per quattro minuti e trentatré secondi, senza suonare nulla. L’esecutore non deve fare assolutamente niente e il pubblico non deve fare altro che ascoltare, ascoltare la “musica”? che viene creata dai rumori interni alla sala da concerto, bisbigli, colpi di tosse, scricchiolii vari, ed anche da quelli che provengono dall’esterno. Cage ha dimostrato così che il silenzio assoluto non esiste (nemmeno in una stanza anecoica, e cioè totalmente insonorizzata, perché anche lì la persona sente almeno il proprio battito cardiaco).

Il silenzio sarebbe da intendersi dunque semplicemente come un rumore di sottofondo. Durante il primo movimento della leggendaria prima esecuzione assoluta di 4’33  si sentiva il vento che spirava, nel secondo la pioggia, e nel terzo il pubblico che parlottava o si alzava indignato per andarsene.-“Sentivo e speravo – diceva Cage – di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero e ascoltare a un concerto”. Nessuno, o quasi, colse il significato allora. Eppure, con 4.33 Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha rovesciato le cose, ha cambiato, è il caso di dirlo, radicalmente l’atteggiamento nei confronti del sonoro, invitando ad ascoltare il mondo: io decido che ciò che ascolto è musica. O, altrimenti detto: è l’intenzione di ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera. Ciò implica di conseguenza un’altra definizione di musica. Cage voleva semplicemente dimostrare “che fare qualcosa che non sia musica è musica”?. Un virtuoso “rumoroso” come Yehudi Menuhin, quando era presidente dell’International Music Council dell’Unesco, propose addirittura che la giornata Mondiale della Musica fosse celebrata in futuro con un minuto di silenzio. Una rivoluzione estetica, quella cageana, che è andata oltre, e che ha messo in discussione gli stessi fondamenti della percezione nel porre la musica anche in intimo contatto con tutte le arti, senza che ciò venisse motivato da alcun genere di idealismo.

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In queste poesie di Leo Savani si ha l’impressione di un ineliminabile rumore di fondo, che il tempo forte sintattico resti, per così dire, dipendente da un tempo forte ritmico nel quale le percussioni e le inversioni sono all’ordine del giorno e rappresentano una interessante morfologia della composizione poetica. Leo Savani scarta istintivamente la costruzione musicale basata sulla struttura armonica in favore di una struttura ritmica, intesa semplicemente come successione di durate, che possono ospitare qualsiasi parola purché svuotata di senso e di sensorialità. E non c’è neanche una direzionalità temporale in queste poesie, saltata anch’essa insieme alla dialettica di subordinazione che presiede la ragione ideologica dell’Occidente, secondo cui la priorità temporale, ciò che viene prima, assume automaticamente una superiorità rispetto a ciò che viene dopo. Ebbene, questo assioma viene ad essere svuotato di significato. In tal senso, la balbuzie e le inversioni sono serventi all’interno di questo processo di svuotamento di senso della costruzione poetica.

Credo che Leo Savani sia un autore consapevole  del fatto che per aggirare il nostro desiderio di trovare sempre l’emozione nella poesia sia necessario andare oltre il correlativo oggettivo, che si debba abdicare al modello di controllo composizionale tipica della poesia del Novecento, sia della tradizione che dell’Antitradizione, rimuovere tutte le tracce di identificazione personale con il testo.

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Per vedere l’affetto che fa
(20 aprile 2006)

Julie era un intarsio
di occhi profondi come il mare
sulla seggiola dell’osteria davanti alla spiaggia
Julie aveva capelli quasi rossi. Del resto
non era forse francese di Lione?

Maria l’amica greca suonava iridi languide
di birra vino e ouzo al tramonto
aveva la lingua impastata
e mandava riflessi nei capelli del polacco
che ogni tanto raggiungeva a Bialystok

Dietro gli occhi della madre il figlio di Julie
aveva facce larghe e piatte da vietnamita
(Julie dice che anche a lui tra un po’
sarà stretta quest’isola
e andrà con la sorella. Perso anche lui)

Maria non ha figli ma cova il seme
nei sensi e nell’anima come nei pensieri

Eh sì la se
(11 maggio 2006)

Essi la sera
la loro pelle scura strappava le barche
alle braccia forti del mare
Fin troppo calmi e lontani erano
i capi dei loro rituali
Se così fosse – ti dicevi
che oltre l’orizzonte delle onde
oltre la schiuma di ponente
l’arcano di un altro mondo deponesse?
Poi il mare ti confondeva di nero
e un brivido ma leggero
ti disegnava l’inquietudine alla schiena.

E me? Io vorrei essere sempre là
ad allineare ancora sul muro
le piccole tue cose
sas-sile-gnicon-chiglie
opercoli di giada in tessuti nei suoi capelli
ad asciugarsi e ritrovarli bagnati
quando la rugiada si fa mattino

.
Ascalepio
(24 febbraio 2007)

E chi di noi, non io, ti dici
potrà mai più partire dicendo:
Ricordati: dobbiamo
un gallo ad Ascalepio?

Eppure dice il filosofo
quelle voci sono davvero accadute?

Io ho capito solo che il silenzio
è un suono che si ripete e propaga
nel vuoto dell’eco, nell’universo.

.
Julie nel viavai
(14 aprile 2007)

Stavolta
il riflesso dei rossi capelli
di Julie ti colse
profondo riflesso nell’azzurro
dei suoi occhi da Lione
tra le piante di quel viavai.

Questa volta
Julie non ha figli
quest’anno
ha pupille trafitte
di arresa dolcezza
– c’è un grillotalpa
tra il caprifoglio e il mirto:
Lo schiaccio?
Ma no, risponde calma
non fa che il suo lavoro.
Julie.

.
Parole girevoli
(luglio 2007)

Qui anche il mare
è perfino troppo quieto
Io batto la pioggia
e penso come compenso
a poche parole,
in fondo.

A parole girevoli
come queste.
O alle parole come pietre
che mi hai insegnato a incidere.
Tornite tonde levigate
dalla corrente delle nostre isole
o puntute frantumate spinte
dai fronti stanchi dei ghiacciai.

Leo Savani

Leo Savani

Giuli 40 (Ancora viavai)
(6 aprile 2008)

Non mi fermerò più in quel viavai
O mi fermerò ancora. Tanto
i capelli della ragazza di Lione
hanno lampi celesti nel vento
che muta il cielo come sipari
nell’asilo nido delle piante

Julìe?
La ragazza dagli occhi francesi
del figlio vietnamita.

Sotto questa pioggia e le nuvole
che passano, un po’ si ripara
dagli scrosci della corriera
Avrà storie da raccontare
e calze da rammendare, ancora
i grillitalpa da schiacciare

*

(6 aprile 2008)

Nelle luride primavere di Voutakos
vivo a mio modo
cercando cocci e selci
sotto la pioggia
e legni levigati dal mare
e pezzi di conchiglie orfane

.
Da maskino
(25 aprile 2009)

la giulì dagli occhi
di figlio vietnamita
c’è ancora in questo aprile, lì
nel viaviai religioso operoso di bruchi e insetti
ad allevare zolle da attecchire
al vento delle avene da nord
– prima che le bruci l’estate

Solo un lampo d’azzurro, per la verità,
dietro i capelli gialli d’onda
tra gli stretti filari di piccole tamerici
(«per viti è tardi quasi, passi a tuoi rischi
per il damaskino, sì», lei che ha studiato a Firenze»)

Aveva la faccia già arrostita dal sole e dal vento, Giudilì?

Chi sa per dove para i suoi pensieri, ora
e per dove si porta dietro le sue sere
se hanno un po’ di tempo per le taberne
lungo i locali ancora chiusi
con la spuma frizzante del mare
dove si incontrano bocche precarie
di giovani coppie polacche
che si scambiano occhiate intrise d’ouzo

Ferdinando Scianna volto velato

Ferdinando Scianna volto velato

Sopra
(19 luglio 2009)

Il prete colto affonda la malinconia
nella sua vecchia barba
Scansando in fretta aghio gheorghes
va ad aspettare le nove
per la nave
nel porto del mare rosso della sera

Torna ogni anno, un acciacco nuovo
per le sue Turmac che non gli porto

Chissà se mai ha visto
il lampo degli occhi di Julie doltremare
o quelli del figlio vietnamita e chissà
se aspettando in porto
l’onda giusta per la nave delle nove
nel cielo rosso del mare dove affonda le nostalgie
– intanto
benedirà le cartoline
in partenza dal molo di mezzo
quello da dove salpano i sospiri degli albanesi
pronunciando omelie in ghe e ics e troppe consonanti.

Avvento
(11 settembre 2010)

quel vento ancora e ancora
ci porta umori dal continente
e umori da altri mari. Scopre
e flagella i fianchi di cisto delle montagne. Scortica
i ginepri e ribalta le vele ai marinai. Picchia
le canne che difendono le vite a passo corto dei viavai
La sera poi si acquieta e accende qualche luce di musica lontana

.
Cui Paros?
(10 luglio 2011)

Qui, sarà stato anche qui
che il viaggio di Martin
si fece soggiorno

Qui dove i sospiri degli albanesi
guardano lontano oltre il mare
qui dove dall’ossidiana
ai vasi ai marmi alle crete
tutto si fa mistico
di un sole e di una luce
che trascolorano e trafiggono i colori

E tu sei sopra quel trillio
d’un volo di allodola
alto sulle pensose pinete d’Epidaouro

30 commenti

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30 risposte a “Leo Savani DIECI POESIE INEDITE con un Commento di Giorgio Linguaglossa

  1. Mi piace molto, questo poeta che ci rivela la sua commozione con parole nitide,misurate,che tuttavia sottendono un grido,un’emozione forte.Mi piace la sua attenzione al silenzio,che contiene musiche e parole, canti e
    urla di dissenso, ma ha il pudore di fermarle sull’orlo del loro stesso rivelarsi.E, come nota opportunamente Linguaglossa,”rimuove tutte le tracce di identificazione personale con il testo”,una sirena al cui canto troppi si ammaliano.

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  2. di Savani ricordo le dispute su un paio di siti di scrittura, o forse era uno solo?

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  3. Salvatore Martino

    Ho sempre più approfondita l’impressione di leggere testi diversi da quelli degli altri commentatori. Anche questi di Savani non mi appaiono versi ma giravolte di prosa.

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  4. Abile, forse anche abilissimo.

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  5. Ho riletto ancora una volta l’articolo, l’introduzione-nota di G.Linguaglossa e le poesie proposte e non ho mutato il pensiero, le trovo anche stamattina interessanti e con una musicalità che avverto molto simile – nelle ripetizioni effetto mantra – ai tempi che racchiude, a questi tempi in cui siamo più avvezzi alle note acute, che ai sottofondi. Non solo “Julie era un intarsio”, ma tutta la sequenza di versi qui riportata assomiglia ad un arabesco da cui filtrano inattesa luce e modernità. Certo, allontanarsi dalla tradizione qui in Italia è una sorta di oltraggio, ma personalmente preferisco l’audacia, il fuoripista, lo sterrato. Se è vero che il poeta deve rispecchiare i suoi tempi, allora in questi scritti si ritrova tutto, questo tempo frenetico e convulso, mutante all’istante e da percepire al volo, prima che sia passato.

    “Qui anche il mare
    è perfino troppo quieto
    Io batto la pioggia
    e penso come compenso
    a poche parole,
    in fondo.”

    Apprezzo il compenso di poche parole atteso “in fondo”, magari alla fine di quella stessa esecuzione di cui nella nota iniziale, da cui molti spettatori sono fuggiti per non ascoltare quell’unico suono che smentisce il silenzio perfetto.

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  6. Giuseppina Di Leo

    Poesie molto belle, profonde, ricche di suoni e silenzio come acutamente rivela Linguaglossa nella sua bella scheda. Il motivo ricorrente, Julie, può essere anche un ossimoro se paragonato alla malinconia del prete e i suoi occhi assumere il colore di quel lampo “doltremare” in un ritmo per nulla monocorde.
    GDL

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  7. <gentile Leo Savani,

    mi creda, anche il suo umorismo, a lungo andare, appare monocorde e autoposto.

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