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LETIZIA LEONE: DIALOGO TRA ERODIADE E UNA SCHIAVA. PALAZZO DI ERODE. Testi tratti da “Rose e detriti” (fusibilialibri, 2015) con una Nota redazionale sulla situazione politica e sociale della Galilea e della Perea al tempo di Erode Antipa (4 a.C. – 39 d.C.)

salomè re dei re, film 1961

salomè re dei re, film 1961

Nota redazionale sulla situazione politica e sociale della Galilea e della Perea al tempo di Erode Antipa (4 a.C. – 39 d.C.)

Erode Antipa (4 a.C.- 39 d.C.), verso il 27 d.C., aveva conosciuto Erodiade a Roma, dove viveva, e l’aveva convinta a lasciare il marito Erode Filippo (“senza terra”), violando le severe leggi d’Israele (Lv 18,16; 20,21), poiché i due Erode erano figli dello stesso padre Erode il Grande.

Non solo, ma l’Antipa (che aveva ripudiato la prima moglie) era anche zio e cognato di Erodiade, in quanto questa era figlia di Aristobulo, altro fratello dell’Antipa (Erode il Grande aveva avuto sette figli da diverse mogli. Nella sua famiglia tali unioni consanguinee erano frequenti e spesso caratterizzate da eventi delittuosi).

Erode Antipa -dice Marco- aveva fatto “arrestare e incarcerare” Giovanni Battista a causa di Erodiade, nella fortezza del Macheronte, situata non lontano dalla riva orientale del Mar Morto, ai confini della Perea.

Giovanni non stava organizzando una rivolta armata contro Erode. E tuttavia la sua popolarità era troppo grande perché questi non temesse che la contestazione, pur condotta in ambito etico-giuridico, non rischiasse di trasformarsi, nelle mani del popolo, in occasione per ribellarsi al suo potere dispotico.

salomè film king-of-kings-1961

film king-of-kings-1961

Lo storico Flavio Giuseppe lo dice chiaramente: “Attorno a Giovanni si era radunata una moltitudine che si entusiasmava a sentirlo parlare. Erode temeva che una tale forza oratoria potesse suscitare una rivolta, dal momento che la folla pareva disposta a seguire tutti i consigli di quest’uomo. Preferì perciò assicurare la propria persona prima che si dovessero verificare delle sommosse contro di lui, piuttosto che pentirsi troppo tardi per essersi esposto al pericolo, una volta che fosse avvenuta una sedizione. A motivo di questi sospetti di Erode, Giovanni fu spedito a Macheronte”(Antichità giudaiche, XVIII, 118-119).

E’ dunque solo per motivi indirettamente politici che l’Antipa decise di incarcerare il Battista. Marco, con l’espressione “a causa di Erodiade”, preferisce accentuare i motivi “legali” del conflitto, poiché lo scopo del suo vangelo è quello di spoliticizzare la figura di Gesù e le persone che gli ruotano attorno. Non a caso nei Sinottici la vicenda del Battista è stata costruita sulla falsariga di altre due narrazioni: quella accaduta al profeta Elia, anch’egli perseguitato da una regina pagana (cfr 1 Re 19,2; 21,4s; 21,18s.), e quella accaduta allo stesso Gesù Cristo, accusato non dal governatore Pilato, bensì dai sommi sacerdoti.

  1. 18) Giovanni diceva a Erode: “Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello”.

Giovanni non rimproverava a Erode il divorzio né, tanto meno, il suo modo di governare la nazione: semplicemente gli constatava una violazione della legge ebraica.

Ma perché Giovanni s’interessava così tanto alla situazione giuridica del tetrarca? Per quale motivo aveva indirizzato le sue accuse al sovrano, quando fino a quel momento aveva preso di mira solo gli scribi e i farisei? E perché aveva cominciato ad attaccare il potere politico filoromano quando si era sempre limitato ad attaccare quello dei capi religiosi? E perché proprio quello di Erode e non quello, molto più importante, di Pilato? Come poteva sperare che l’Antipa si sentisse indotto ad osservare, lui che era legato agli interessi di Roma, le prescrizioni veterotestamentarie in materia di diritto matrimoniale?

Qui si può pensare che il Battista, probabilmente, si era ormai accorto di aver raggiunto una popolarità tale per cui non poteva più fare a meno d’interessarsi anche della situazione (in questo caso etico-giuridica) del vertice governativo della Perea (il territorio ove il Battista aveva prevalentemente agito).

Oltre a ciò bisogna considerare che dopo la cacciata dei mercanti dal tempio, ad opera di Gesù, molti seguaci del Battista avevano deciso di diventare “nazareni”, per cui il Battista necessitava di recuperare un certo ascendente sulle masse, dal momento che non aveva accettato di collaborare attivamente col Cristo.

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iberio Tiberiade, La città prende il nome dall’imperatore Tiberio, quando nell’anno 20 circa, Erode Antipa, decise di costruirla in suo onore

E comunque il Battista non cercò -come si suol dire- il “martirio”: se così fosse stato, avrebbe certo usato un linguaggio più diretto ed esplicito. Da ciò che appare nel testo egli sembra essersi limitato a costatare i fatti, mediante una critica “indiretta”, cioè pre-politica, suggerendo un modo “legale” per tornare alla “normalità”. La sua insistenza sembra essere dipesa semplicemente dalla indiscussa autorità che il popolo gli riconosceva.

Tuttavia non bisogna dar troppo peso alla versione dei vangeli. Se Giovanni avesse ottenuto l’obiettivo sperato, la sua popolarità sarebbe diventata assolutamente eccezionale, ed è difficile pensare che Giovanni non potesse prevedere un caso del genere e come avrebbe pensato di gestirlo. Lo stesso Antipa non poteva non pensare che la vittoria avrebbe dato a Giovanni l’occasione per avanzare nuove rivendicazioni, questa volta anche esplicitamente politiche.

Esiste inoltre un’evidente contraddizione nei vangeli circa l’operato di Giovanni. Da un lato egli affermava di non essere degno di “sciogliere il legaccio del sandalo” di Gesù (Gv 1,27); dall’altro invece egli si sentiva degno di “fare le scarpe” all’uomo che gli erodiani volevano far passare come “messia d’Israele”. Da ciò sembra apparire che la deferenza dimostrata da Giovanni nei confronti di Gesù, sia stata volutamente esagerata dalla primitiva comunità cristiana, e che in realtà Giovanni, proprio a partire dalla contestazione a Erode, stesse cominciando a porsi come “messia politico”.

  1. 19) Per questo Erodiade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva,

Erodiade era una donna senza scrupoli: come aveva accettato d’abbandonare il marito “senza terra” per un uomo padrone di una “quarta parte”, così avrebbe fatto di tutto per conservare e, se possibile, aumentare il proprio prestigio di regina. Di qui l’odio nei confronti del Battista anche per motivi “personali”, tanto che – tanto che, dice giustamente Marco – voleva “ucciderlo”, stimando insufficienti i provvedimenti presi da Erode.

In fondo se per Erode il matrimonio costituiva una delle sue numerose nefandezze, e lo scandalo, se non fosse stato per il Battista, non gli sarebbe pesato più di tanto; per Erodiade invece il matrimonio era stato il mezzo migliore per realizzare delle ambizioni e acquisire un potere.

salomè King of kings 1961

King of kings 1961

Erode non aveva bisogno di giustiziare il Battista per restare sul trono e per essere temuto come tetrarca, a meno che la protesta di Giovanni non avesse assunto delle connotazioni politiche vere e proprie. Erodiade invece, se voleva guadagnarsi il formale pubblico rispetto, restando al potere, doveva a tutti i costi far tacere la bocca di quel grande accusatore. Avrebbe forse potuto vivere a rimorchio del marito, fingendo, coperta dall’autorità di lui, una normalità che di fatto non esisteva? Certo, se Giovanni avesse rinunciato a ricordare la violazione compiuta, il peso dell’autorità di Erode col tempo avrebbe costretto il popolo a dare il dovuto onore alla moglie regina, ma chi avrebbe creduto a un ripensamento da parte del legalista Giovanni?

  1. 20) perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.

Secondo la versione romanzata di Marco, Erode aveva un atteggiamento ambiguo nei riguardi di Giovanni: lo ascoltava volentieri, ma non si convinceva; lo temeva, eppure lo aveva incarcerato; sapeva che era “giusto e santo” e tuttavia preferiva vigilare su di lui.

Lo aveva rinchiuso in una prigione lontana molte miglia dalla Galilea, perché, conoscendo la sua grande popolarità, non si sentiva di giustiziarlo subito, e, nel contempo, sospettava che la moglie, con l’inganno, lo volesse fare al suo posto.

Come ogni re di questo mondo, che ostenta di tanto in tanto la propria magnanimità, mostrava rispetto per i profeti, quasi si vantava di averne uno personalmente interessato alla sua condotta morale e di aver rinunciato a sbarazzarsene quando quello cominciò a contestarlo duramente.

L’atteggiamento di Erode descritto da Marco oscilla fra il timore superstizioso, la curiosità intellettuale e la simpatia umana: nel suo comportamento c’è poca strategia politica.

salomè Brigid Bazlen in Salomè in King of kings 1961

Brigid Bazlen in Salomè in King of kings 1961

E’ qui che si ha la netta impressione che questa descrizione voglia ricalcare quella riferita alla passione di Cristo, dove Pilato, che afferma l’innocenza del “re d’Israele” (Gv 19,6b), non è molto diverso da Erode, e dove i sommi sacerdoti, con la loro invidia e gelosia (Mc 15,10), non sono molto diversi da Erodiade.

In realtà la versione di Flavio Giuseppe è molto più attendibile. Erode aveva fatto arrestare Giovanni non tanto per esaudire i desideri di Erodiade, o per proteggerlo dai suoi intrighi, quanto per impedire che la protesta di lui venisse usata da movimenti sociali e politici che mal sopportavano il suo collaborazionismo con Roma e che indubbiamente erano molto più ostili del movimento battista.

  1. 21) Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.

Era costume orientale che si offrisse un banchetto per il compleanno del re, cui invitare le persone più in vista del regno, benché nell’A.T. sia riportato un solo esempio di questo, quello del Faraone d’Egitto (Gen 40,20).

La festa venne tenuta proprio nella fortezza del Macheronte. Il motivo per cui Erode non avesse scelto Tiberiade va ricercato forse nel fatto che uno sfarzo del genere, in quei momenti di grave crisi sociale, avrebbe potuto provocare risentimenti popolari, ma si può anche pensare che la scelta del luogo fosse finalizzata a un piano particolare.

Ciò che appare strano è l’invito dei maggiori funzionari politici, militari e amministrativi della tetrarchia per celebrare una festa che, tutto sommato, non era così importante. Vien quasi da pensare che Erode volesse in realtà “ufficializzare” il suo matrimonio, risolvendo una volta per tutte la difficile situazione in cui il Battista l’aveva posto. Forse voleva dimostrare che il suo interesse per Erodiade era superiore a qualsiasi divieto giuridico e che, in tal senso, sarebbe stato anche disposto a liberare Giovanni, se tutta la corte l’avesse chiaramente appoggiato contro le rivendicazioni popolari. Era forse un’ipotesi peregrina quella di credere che qualcuno, in seno alla corte, poteva anche approfittare delle critiche al suo matrimonio illegittimo per soddisfare proprie ambizioni di potere?

  1. 22) Entrata la figlia della stessa Erodiade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: “Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò”.

Nell’antichità, durante i banchetti, le danze erano molto in uso, ma vi si prestavano soprattutto le prostitute. Qui, essendo Salomé una principessa, la cosa appare, a dir poco, alquanto insolita.

Se l’episodio è davvero accaduto, la ragazza evidentemente ballò col consenso della madre, anche se di questo Erode non diede mostra di stupirsi; anzi, il fatto che lui abbia saputo subito approfittare delle prestazioni artistiche della giovane, promettendole una cosa che a nessun commensale avrebbe promesso, fa pensare che, in qualche modo, egli non dovesse essere del tutto estraneo alle sorprese che il banchetto avrebbe riservato.

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Salomè, film 1961

Se effettivamente Erode voleva che la sua relazione amorosa fosse sanzionata senza indugi, allora il ballo di Salomé nella sala del convito stava appunto a confermare queste sue intenzioni e la promessa fatta alla ragazza non faceva che rincarare la dose. Egli in sostanza voleva far capire che il suo legame con Erodiade era così solido che avrebbe potuto concedere qualsiasi cosa alla figlia di lei.

Peraltro di Salomé Marco dice che era una “ragazza” (di 13-14 anni?): Erode non poteva temere di farle una promessa spropositata.

  1. 23) E le fece questo giuramento: “Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno”.

Il giuramento di Erode, considerato ch’egli dipendeva da Roma, appare come una vera e propria “spacconata” e, come tale, sembra ricalcare il modello letterario di Est 5,3 e 7,2, in cui un re di Persia (anche in questo caso in un banchetto) rivolse alla regina Ester l’espressione: “Fosse pure la metà del mio regno”.

Qui non si deve pensare, se il giuramento è stato fatto, che Erode volesse far mostra di uno sfrenato autoritarismo, stimando il proprio regno come un qualsiasi oggetto da usare ad libitum. Sarebbe stato assurdo che Erode promettesse a Salomé la metà del suo regno per il solo piacere della danza e proprio davanti a tutti i rappresentanti del suo potere.

Erode può aver fatto quella promessa in stato di semiubriachezza, alla fine della serata, convinto che Salomé non gli avrebbe effettivamente chiesto la metà del suo regno, ma un regalo molto meno impegnativo. Nel caso invece l’avesse preso in parola, Erode avrebbe sempre potuto giustificarsi in vari modi per non rispettare, alla lettera, il giuramento (il primo dei quali era che il regno non apparteneva a lui più di quanto non appartenesse a Roma).

Resta comunque curioso il fatto che Erode abbia voluto confermare la promessa con un esplicito giuramento: evidentemente voleva mostrare assoluta sicurezza in quello che diceva.

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    24) La ragazza uscì e disse alla madre: “Che cosa devo chiedere?”. Quella rispose: “La testa di Giovanni Battista”:

Ci si chiede: Erode era già d’accordo con Erodiade sull’idea di far ballare Salomé e sul finale tragico del banchetto, oppure non aveva considerato l’eventualità che Erodiade potesse approfittare del suo giuramento “pubblico” al di là delle sue aspettative? Detto altrimenti: dietro questo episodio vi è stata una regia o tutto è avvenuto casualmente? Allo stato attuale delle fonti, nessuno è in grado di rispondere a questa domanda.

Facendo il giuramento Erode aveva messo alla prova la fiducia dei commensali nei suoi confronti, poiché se il suo matrimonio fosse fallito, la metà del suo regno sarebbe finita in mani estranee. Erodiade però fa di più: mette alla prova Erode di fronte a tutti. Egli infatti deve dimostrare che, se è veramente disposto a cedere la metà del regno, dev’essere altresì disposto a cedere ogni altra cosa che appartenga al suo regno, inclusa la testa del Battista.

Salomé si rivolge alla madre perché così le era stato detto di fare o perché non voleva rischiare di sprecare questa grande opportunità? Non rifiuta la proposta del patrigno, né si limita a chiedere qualcosa di simbolico e neppure sembra essere convinta dell’effettiva possibilità di chiedere quello che le è stato promesso con giuramento. Di fatto Salomé è nelle mani della madre, che può fare di lei quello che vuole.

  1. 25) Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: “Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista”.

Condividendo la decisione della madre, perché coinvolta indirettamente nello scandalo, Salomé rientrò in fretta nella sala e, con altrettanta solerzia, chiese che la testa del Battista le fosse portata “subito” su un vassoio.

Tutta questa premura sta forse a dimostrare che Erodiade temeva qualche ripensamento, ma può anche far pensare che effettivamente Erode non si aspettasse una richiesta del genere, non foss’altro perché non poteva pensare che l’odio della moglie per il Battista si sarebbe spinto fino al punto da mettere lui in evidente imbarazzo davanti a tutti gli invitati.

  1. 26) Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.
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Qui i casi sono tre: o Erode era d’accordo con la moglie sin dall’inizio e questa sua tristezza è una finzione; oppure egli pensava di liberare il Battista servendosi del banchetto e dell’approvazione ufficiale dei commensali alle sue nozze con Erodiade; oppure quello che dice Marco è vero: Erode non era d’accordo con la moglie, non aveva intenzione di liberare il Battista e decise di eliminarlo solo perché aveva fatto un giuramento davanti a testimoni di prestigio.

L’unica cosa certa in queste tre ipotesi è la seguente: uccidere il Battista significava aspettarsi dei tumulti popolari, non farlo significava dimostrare di temerli (e questo sarebbe stato sconveniente di fronte ai suoi funzionari di corte).

Se Erode effettivamente temeva dei tumulti e, per tale ragione, non s’era ancora deciso a eliminare il Battista, è semplicemente incredibile che abbia deciso di farlo in un’occasione così frivola e mondana. Di fronte alla richiesta di Salomé il giuramento poteva ancora costituire un obbligo morale? Possibile che il giuramento avesse più importanza come “forma” che non come “sostanza”?

Supponiamo che Erode si fosse servito del banchetto per dimostrare la perfetta intesa matrimoniale con la moglie, il fatto ora di dover uccidere il Battista non doveva forse servire a dimostrare sino in fondo il valore di tale intesa?

Se le cose stanno così, il Battista è stato ucciso per motivi politici, a prescindere dalle circostanze in cui ciò è avvenuto, proprio perché per Erode il suo matrimonio con Erodiade, pur essendo stato dettato da motivi personali e non da interessi di potere, aveva assunto un risvolto chiaramente politico.

Nel testo di Marco invece si ha l’impressione che Erode abbia fatto uccidere il Battista controvoglia, perché, come Pilato, raggirato da persone più astute di lui.

  1. 27) Subito il re mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa.

Per timore che i commensali fossero testimoni di uno spergiuro o di un dissidio in casa reale, circa la sorte del Battista, o di un’ammissione di debolezza, di fronte alla paura di conseguenze politico-sociali, Erode trasforma immediatamente i commensali in testimoni di un delitto.

salomè 1La versione di Marco è poco attendibile. Benché “triste”, Erode non chiese spiegazioni di sorta, non tergiversò, non s’indignò, non rifletté neppure molto sul da farsi: “subito” -dice Marco- inviò la guardia. E tra i commensali nessuna voce di protesta, neppure la più piccola considerazione di opportunità su una decisione così grave.

  1. 28) La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, lo diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.

Secondo Marco, Erodiade fu la vera artefice della morte del Battista (avvenuta nel 27 d.C.), lei il vero “motore” di tutta la macchinazione: si servì di Salomé prima e degli invitati dopo, per convincere Erode, e di Erode stesso per uccidere Giovanni. Come se i motivi “personali”, di fronte a un caso nazionale come il Battista, potessero prevalere su quelli più strettamente “politici”, per i quali responsabile ultimo della morte del Battista altri non poteva essere che Erode.

  1. 29) I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Non ci furono tumulti, non si approfittò della morte del grande profeta per provocare delle ribellioni: Erode aveva forse dato al movimento battista un’importanza che non aveva? S’era forse macchiato di un inutile delitto?

Stando alla versione di Marco sembra proprio di sì. In realtà Giovanni costituiva un pericolo per Erode e la forte insofferenza dei galilei per i governi filoromani non poteva permettergli di rischiare più del necessario.

Resta tuttavia il fatto che il Battista è morto per la sua fedeltà rigorosa alla legge: nel testo di Marco non si nota ch’egli avesse un ideale più alto.

Il vangelo del Battista

Altri testi

Umano e Politico. Biografia demistificata del Cristo
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Salomè Veruschka in Salomè

Veruschka in Salomè

ROSE E DETRITI
Primo Episodio
In una sala del palazzo di Erode. Schiava ed Erodiade.

SCHIAVA

(A parte)

Non riesco a guardarmi intorno.
La luce sembra umida
sulle pareti di questo palazzo.
Luce feroce di un incendio freddo.
O saranno le rose?
Luce che rende chiari e giovani
anche i morti in questa catacomba
in questa festa buia della lussuria.

Baci come piume combuste
da bocca a bocca e lingue calde:
questo è godere. Nulla più.
Qui non c’è niente da vendere
tra schiave: siamo donne mitologiche
figlie dello stupro.
La dignità? È cosa liquida
che si scioglie al primo calore
e il nostro boia tiene il ferro arroventato sempre pronto
basta un niente, basta un cenno,
basta una mezza frase
o la sua voce di cuoio ed io
mi preparo
ad ogni gioco
ad ogni giogo muoio.

Ma questa notte
abbigliata del bello
sono la puttana di fila che accompagna
Erodiade: per lui,
uomo di così debole bellezza
eppure uomo così debole
alla nostra bellezza.

E poi ad un imperatore
ci si deve immolare senza spine
augurandogli buon divertimento
fiere del nostro strazio.

ERODIADE

Schiava, dove sei?

SCHIAVA

Sono qui, mia Regina, in attesa di esser comandata.

ERODIADE

Vieni, accompagnami:
una donna di veli e una di stracci.
Le torce ardono
in queste camere di roccia
per l’apparizione dei fiori agonici…
Ma questi sono fiori fantasmi.

SCHIAVA

(A parte)
Quando lei chiede,
in queste strane tenebre di meraviglia
devo iniziare a vegliare
intrecciare danze
ballare
ballare leggera
tirare diagonali nell’aria immortale
tra cumuli di occhi narici mani.

ERODIADE

Vedi,
la fortezza del piacere
è abitata da rose robuste
è abitata dal profumo dolciastro
di fiori rubati ai cimiteri
e se adesso dobbiamo festeggiare
che almeno la morte ci assista con la sua ultima portata
su un vassoio di sangue
questa testa annegata
del profeta dilaniato
decapitato.

SCHIAVA

Ho paura, mia Signora: troppi spettri,
ma le starò al fianco, la seguirò in punta di piedi.

ERODIADE

Come? Che dici? Spettri?
Si, forse hai ragione: l’aria pensa
qua dentro.
Questi petali cominciano dagli orli
a piagarsi, il rosso sgargiante si smorza
nel cinabro
e un nastro nero li raccoglie: sarebbe così facile
agguantare i mazzi e gettarli fuori
dalle finestre blindate di questo palazzo, pulire l’aria
ma l’odore mi stringe la gola.

SCHIAVA

Si, tetre queste rose, regina Erodiade
come tributi di sangue,
poco sangue vibrante regalato alla sete
di una febbre acida e segreta.

ERODIADE

Andiamo.
Passare da una stanza all’altra
è aver già attraversato metà del nostro
regno, seguimi tra le sale e le scale
immerse in questo odore crudo:
sai, i petali sudano altra rugiada la notte
e mandano voci

la voce di uno che grida nel deserto,
la senti? Di uno che scrive nel deserto.
Poeta e profeta insieme, quasi a un crocevia.

Ma è quest’aria irritata di umori
che risucchia i morti da chissà dove
e li fa ancora parlare
Elia…Orfeo, con la testa mozzata sotto il braccio
galleggiano nel mio occhio.

Seguimi, corri, entriamo nelle sue stanze
il Tetrarca è il gigante con l’occhio grande
vede poco e divora
aiutami con la sua voglia ora, bella signora.

(Entrano nella sala della festa.
Erode, Erodiade,Schiava, musica, soldati e ancelle…)

SCHIAVA
(A parte)

Già mi tiene,
non sono ancora entrata nella sala del banchetto
che si è avventato addosso
col fiato vinoso e amaro, mi ha stretto
mi ha promesso qualcosa all’orecchio
avrei preferito lo spettro dal capo mozzo
tutto l’orrore della sua apparizione.
Ma forse è colpa di questi fiori radianti
che mi serrano le narici
e poi lentamente cominciano a far patire a tutta la carne
la loro nausea
mentre mani callose mi sollevano da terra.
Il mio piacere di prostituta è solo nelle dita
che lisciano velluti o magari
qualche leccata di animale sul collo
per il resto, fastidio
se non dolore.

ERODIADE
(A parte guardando Erode ubriaco)

Mi ha fatto chiamare,
perché?
É forse annoiato dalla musica, dal vino, dalle danze?
Non ne avrà per molto
manca poco all’alba.
Non è soddisfatto,
non è sazio del sangue
versato sulle nostre vittorie?
E poi questo spettacolo della testa
si annuncia già nella puzza.
Guardatelo come canta:
L’abbiamo messa al centro e poi giochiamo al girotondo,
♪ giro, giro, tondo, tondo…♪
♪..ora cantate anche voi donne belle di tutto il mondo..

Basta, rivoglio la mia schiava!
Rivoglio queste mie donne
dalle mammelle straziate,
bottino di guerra che mi fu destinato
e che mi è stato strappato.
Spente tutte le voglie
ormai non è più tempo di canti
ma di veglie.

No, risponde ed urla, mi chiama
E r o d i a d e,
mi insulta
vecchia troia,
dov’è, dice, la gracile Salomè?
Da mille foglie affogate nel vino
ha distillato fino all’ultima goccia il piacere e ora parla così!

Riprenditi questa schiava,
Dov’è Salomè…che balli lei per me.
Dov’è tua figlia?
Mia figlia per te?

(Andando verso le donne e gli uomini ubriachi)

Mia ancella, liberati da questi abbracci
torna al mio fianco.

SCHIAVA

Obbedisco mia regina,
via da qui,
da questi volti impenetrabili
da questi corpi di muschio e cicatrici.
I maschi
con le coperte di pelo si avvicinano
dapprima con sguardi festanti, ma subito
un impeto li divora…

ERODIADE

È il ruggito di una fame eterna tra i denti
il deserto ne ha fatto sciacalli
nello strazio di notti di luna magra
dove avrebbero voluto covare a lungo
una donna.
Questa è la festa dell’espiazione
del loro digiuno,
e voi, mie ancelle, prede mute nell’ombra
con sacchetti di cannella
al collo, qualche perla
sembrate malate di luce.
Lo so, le tenebre sono una piaga
intasano l’aria:
come lana di polvere si possono palpare
nell’ora più avara.

SCHIAVA

Guerrieri notturni e un imperatore
bisogna piegarsi
cedere il fianco al vincitore.
Ma questo padrone ha occhi di brace
ha una lingua oscena.
Dicono sia bello, io non oso
immaginarlo.
Lo vivo attraverso l’odore
attraverso le correnti umide
del suo fiato di uovo:
solo così lo godo.
Tra fetori, candele
gocce bollenti di cera luminosa

letizia leone museo archeologico  di Anzio

letizia leone museo archeologico di Anzio

Letizia Leone è nata a Roma. Si è laureata in Lettere all’università  “La Sapienza” con una tesi sulla memorialistica trecentesca e ha successivamente conseguito il perfezionamento in Linguistica con il prof. Raffaele Simone. Agli studi umanistici  ha affiancato lo studio musicale. Ha insegnato materie letterarie e lavorato presso l’UNICEF organizzando corsi multidisciplinari di Educazione allo Sviluppo presso l’Università “La Sapienza”. Ha pubblicato: Pochi centimetri di luce, (2000); L’ora minerale, (2004); Carte Sanitarie, (2008);  La disgrazia elementare (2011); Confetti sporchi (2013); AA.VV. La fisica delle cose. Dieci riscritture da Lucrezio (a cura di G. Alfano), Perrone, 2011. Nel 2015 esce Rose e detriti testo teatrale (Fusibilialibri). Un suo racconto presente nell’antologia Sorridimi ancora a cura di Lidia Ravera, (Perrone 2007) è stato messo in scena nel 2009 nello spettacolo Le invisibili (regia di E. Giordano) al Teatro Valle di Roma. Ha curato numerose antologie tra le quali Rosso da camera (Versi erotici delle maggiori poetesse italiane), Perrone Editore, 2012. Nel 2016 dieci sue poesie sono state pubblicate nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura). Collabora con numerose riviste letterarie e organizza  laboratori di lettura e scrittura poetica.

 

 

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Letizia Leone, Rose e detriti, FusibiliaLibri, 2015 – Teatro di poesia: Ultimo monologo impossibile del Battista di Letizia Leone da Rose e detriti – Con un estratto dalla nota al libro di Giuseppe Napolitano

Salomè con la testa del Battista, Tiziano (circa 1515), Galleria Doria Pamphilij, Roma.

Salomè con la testa del Battista, Tiziano (circa 1515), Galleria Doria Pamphilij, Roma.

Letizia Leone è nata a Roma. Ha insegnato materie letterarie e lavorato presso l’UNICEF. Ha avuto riconoscimenti in vari premi (Segnalazione Premio Eugenio Montale, 1997; “Grande Dizionario della Lingua Italiana S. Battaglia”, UTET, 1998; “Nuove Scrittrici” Tracce, 1998 e 2002; Menzione d’onore “Lorenzo Montano” ed. Anterem; Selezione Miosotìs , Edizioni d’if, 2010 e 2012; Premiazione “Civetta di Minerva”).

Ha pubblicato i seguenti libri: Pochi centimetri di luce, (2000); L’ora minerale, (2004); Carte Sanitarie, (2008);  La disgrazia elementare (2011); Confetti sporchi ,(2013); AA.VV. La fisica delle cose. Dieci riscritture da Lucrezio (a cura di G. Alfano), Perrone, 2011; la pièce teatrale Rose e detriti, FusibiliaLibri, 2015.

Un suo racconto presente nell’antologia Sorridimi ancora a cura di Lidia Ravera, (2007) è stato messo in scena nel 2009 nello spettacolo Le invisibili (regia di E. Giordano) al Teatro Valle di Roma. Ha curato numerose antologie tra le quali Rosso da cameraVersi erotici delle poetesse italiane- (2012). Attualmente organizza laboratori di lettura e scrittura poetica.

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Giuseppe Napolitano: Del sogno che è la vita. Una impossibile guarigione.

 …Quanto ha goduto e quanto vorrebbe farci godere della sua scrittura, Letizia Leone, e quanta vita – sognata, immaginata o riflessa, raccontata – ci ha messo, in questo sogno straziante delle ultime ore di Giovanni il battista, anzi: delle prime ore dopo la sua morte? nel raccontare cioè in una sua forma teatrale (ma in versi) una vicenda stranota e stra-raccontata svariate volte, in forme le più svariate?

E quanto vale, per chi vale, a cosa, la poesia? Continuiamo – in tanti (qualcuno dice troppi, addirittura) – a scrivere e a pubblicare (“scrivere a questo mondo bisogna – disse Svevo –, pubblicare non occorre”) del più e del meno che ci capita o vorremmo ci capitasse o non abbiamo saputo evitare che capitasse proprio a noi… e lo diciamo perché altri, ma chi poi sono questi altri non è dato sapere, ci legga, ci ascolti, ci consoli, condividendo magari o solo venendo a conoscenza delle nostre più intime cose.
Cercare (e magari anche trovare) echi e suggestioni – riconoscibili, per quanto (magari anche) involontarie e inconsapevoli posano essere –, non rende comunque più facile definire questo libro lacerante e libidinoso di Letizia Leone. Ma così una prima definizione è già concepita: è un libro che si lacera nella libidine della parola (quella di chi scrive, e dei personaggi che vivono la vicenda presentata attraverso torrenti di parole, quasi monologando anche quando parlano tra di loro), invitando a delibarne ad libitum.

Libidine linguistica a cominciare dall’iniziale gioco dell’ossimoro, fin dal doppio ossimoro nella prima battuta (“luce umida” e “incendio freddo”, per non parlare della “festa buia”, nelle immediate vicinanze, e finire alla “fanciulla sfatta”): esaltazione di contrasti che si fondono per fondare una inquieta ridda rissa riffa di passioni e sentimenti, turbamenti e pulsioni. Attrazione e repulsione (e la “e” potrebbe tranquillamente essere accentata, a legare ancora di più i termini): in fondo è questo, è in questo sottile perverso eppure fascinoso gioco/giogo che si costruisce la pièce, animata dal contrasto continuo e risolta in una dichiarazione di impotenza (come se la fame e l’ingordigia, la voglia di piacere pur nello squallore di volgari attrazioni, finisca per divorarsi da sé e putrefarsi nello stesso alimentarsi da un banchetto succulento di vivande esiziali).

Letizia Leone rose-e-detriti cover5Le ascendenze – sempre a volerle ritenere tali, anche fossero citazioni inconsce – si vedono e non danno fastidio (un solo esempio: Salomè di Carmelo Bene). La stessa autrice non si nasconde: ha voluto provare a sfidare la conoscenza proponendone liberamente una sua visione, una “visione” (quasi di medievale discendenza…) ma librata nella sua mente.

Provoca un certo effetto straniante, per quanto accortamente definito “impossibile” nella didascalia introduttiva, l’ultimo monologo del Battista, che riempie metà del secondo episodio (bipartito, appunto, e decisamente equilibrato), perché nella seconda parte di quest’episodio c’è un altro monologo, quello di Erode, finora peraltro ben presente, ma nelle parole degli altri personaggi, il quale chiude la rappresentazione in un delirio di impotenza. Come delirante è l’orrida testa parlante, in terza persona peraltro, ad acuire ancora il distacco da una vita, rifiutata per eccesso di virtù.

Rose e detriti vuol essere, ed è, fin dal titolo di questo libro – scandaloso perché dedicato ad uno scandalo –, un proclama di libertà, rischio e azzardo in una spericolata scansione che insieme è del ritmo e del linguaggio. In bilico sempre tra sacro e profano, il linguaggio è di chi non ha paura dell’ovvio e sa come adattarlo al bisogno di un ritmo che al tempo stesso scatta e si rattiene, ancora secondo il bisogno dell’azione. In definitiva, pur leggendo un testo poetico, assistiamo ad una vera messa in scena, e siamo coinvolti in un torbido e turbinante eloquio, che non poco ci turba.

Salomé recibe la cabeza del Bautista, de Bernardino Luini

Salomé recibe la cabeza del Bautista, de Bernardino Luini

Quanto sia o possa davvero considerarsi attuale – in tempi di “bulimia consumistica” – discettare di lussuria e sacrificio, di esibizione della sessualità (anche priva di vero desiderio, poiché fine a se stessa, alla per nulla celata volontà di essere come si crede che si debba apparire – nemmeno sapendo più come essere chi si è), disquisire, anche in forma poetica, di massimi sistemi della morale potrebbe sembrare o dare l’impressione di velleitaria operazione narcisistica (nel fluire vorticoso del gusto, oggi, se ancora ha senso parlare di un gusto comune, oggi – se una volta aveva senso parlare di comune senso del pudore…).

Ma l’arte è tale, ancora e sempre, nel dire quel che normalmente si tace, nell’esprimere apertis verbis quanto – per abitudine, conformismo, timore o convenienza – si evita di manifestare. Allora è libertà anche lo sberleffo, o l’ironica fotografia di un reale che non ha il coraggio di guardarsi allo specchio. E qui sono speculari Erodiade e la sua schiava, la quale spesso le fa il controcanto, come un “doppio”, come a tirarle fuori il peggio che lei non riesce ad esprimere; e sono speculari Erode e il Battista: vittime entrambi – l’uno dell’altro!, e chi sa chi veramente ha perso la testa –, vittime soprattutto della femminile insaziabile violenza erotica. E, per carità… cambia poco davvero che l’abbia scritto una donna! cambia poco anche se dice molto: non ha sesso chi racconta la verità, chi costringe a leggere oltre la vita.
…Rose e detriti si chiude in un quadro da caduta dell’impero, con le milizie straniere alle porte, ma è la testa del Battista (“là sul vassoio ormai nero di mosche”) la bocca della verità, è la voce della coscienza (inascoltata, inascoltabile), è l’invito a razionalizzare la stessa foga (o la fuga) dei sensi, l’eruzione verbale, la smania (e la nausea) di un vivere oltre misura.

“Piccole cariche esplosive / grumi azzurri di pensiero”…

Non resta che raccogliere i cocci, i “detriti” di quelle “rose” che furono il passato splendore di un mondo appena posseduto.

Teatro di poesia: Ultimo monologo impossibile del Battista di Letizia Leone da Rose e detriti – Con un estratto dalla nota al libro  di Giuseppe Napolitano.

(Letizia Leone, Rose e detriti, FusibiliaLibriCollana: Palco -Collezione di teatro- 2015)

 

Lucas Cranach il Vecchio (1472, Kronach - 1553, Weimar), “Salomè

Lucas Cranach il Vecchio (1472, Kronach – 1553, Weimar), “Salomè

Voce fuori campo.
Descrizione

TESTA DI MORTO

È stato accertato con sicurezza:
nodose radici del collo
che pulite dal sangue brillano come cavi elettrici staccati
ma lacerati malamente
come se il capo fosse stato segato dal busto con un coltello corto
in una lotta feroce.

Le labbra? Un orlo di sangue.
Le chiome lunghe come si conviene agli invasati
o ai profeti perché si sa,
la forza del cielo si deposita sulle ciocche.

Tutti i capelli scomposti dal turbine delle parole
attraversati dal vento delle maledizioni
dai colpi caldi
dei godimenti inferiori
di una femmina di bastoni, tutti i nodi della tentazione

nel crine ferrigno e appiccicoso.
Quanto ha gridato quel Santo
con l’aria da sparo!
L’urlo gli usciva dalla coppa bucata a cui è ridotta
la bocca
questo blocco di terra rossa.

Che voluttà.
Quella donna tronfia della sua vergogna
di meretrice
gli si rivela – per tutti i giorni come pane quotidiano –
e senza stanchezza
cosi piena di grazia, lo assalta.
Lui, crocifisso alla sua croce invisibile;
lei si avvicina con pietà,
sempre più aderente alla pelle.
Una crociata contro anima e corpo:
certi spicchi di carne bianca gli ululavano
nella mente, nel cervello anzi, nel solo cervello
che l’anima, o la mente, o quello che di noi non ci
appartiene,
e in gravi preoccupazioni
ne si può dissipare
in gioia inutile… Gioia?!
Perché aveva usato quella parola?
Quando avrebbe dovuto dire diavolo? Maledetto
diavolo di donna e di odio.
La bastarda sconsacrata ammicca tutti i giorni
viscida cagna
senza sentimento. Lo aveva accarezzato
a sangue quella volta, quasi sfiorato,

ma per uno che e già morto da vivo
questi sono richiami, bruciature di tomba, tatuaggi
e la vertigine di un profumo è un oltraggio.

Si ripromise di combatterla
con bestemmie onnipossenti e
affogarla nelle ingiurie come si fa con le streghe
ingorde.

Ogni giorno la condannò
sebbene vacillante
larva del nulla ormai.
Era bastato lo sbandamento di una volta
per essere travolto dalla corrente
dei venti che ustionano il cuore.

Da allora inorridi nel vederla
mentre lei affinava le sue armi.

Il peso fossile di questo tormento
ha scavato segni sulla fronte
come solchi planetari
aperti da un ininterrotto brivido.

Ora pochi resti: una povera testa
tumefatta;
una palla da gioco
per una fanciulla sfatta che s’invola
sulle gambe, leggera Salomè
che ha voluto così
prima uccidere il poeta e poi il censore

ha voluto strappare gli occhi obliqui del santo
sempre pronti ad uncinare ogni desiderio
a spargere carbone,
a indurirla come un sasso
come sogno secco da non meritare… mai.

Poveri resti che parlate in modo chiaro
e confessate, inerti, i più cupi segreti
davanti a quest’orda
che festeggia il delitto.

Che dire dei lampi
rimasti accesi
dentro le pupille malgrado la morte?
Piccole cariche esplosive
grumi azzurri di pensiero
con dentro l’impronta
leggera di un ballo di seduzione

e nei timpani,
nel lago asciutto dell’orecchio
in un unico bozzolo di corno
i carmi degli incantamenti
o le canzoni allegre
note lanciate come mattoni
sui nervi. Tumefazioni.
Mentre nella camera più interna
nell’estremo padiglione soffia una ninnna nanna
suadente di Erodiade mamma:
“gioca bambino bello”… La falsa!

Si presentava con un amore casto
per cullare le ossa
all’uomo straziato dal buio e dalla fame
ma non era vero.
Una volta entrata nella cella del prigioniero
si strappava la maschera dell’amore celeste
e sussurrava
ne senti l’eco (se parli piano)
dell’implorazione:
“Si, toccami e anch’io ti tocco
a che serve vivere
dentro una voce, – (o dentro un foglio scritto) –
direbbe il poeta.
Sporcati, si anche con la mia mano
vellutata.
I miei seni…
ti faro togliere queste catene;
desisti dal continuo bestemmiare;
perché batti la testa e cerchi chiodi?”.

Sirena che indovinava i sogni.

Continua pure l’esplorazione,
leggi il racconto su queste pagine di carne
ulcerata:
guarda:
tanta saliva o bava a formare nel cavo della gola
più interna un lago
o forse uno specchio
se non una lacrima dove
(al microscopio) si direbbe e riflesso
un abbraccio,
anzi
il feroce amplesso di due bestie felici.

letizia leone

letizia leone

Giuseppe Napolitano, nato a Minturno (LT) nel 1949, risiede a Formia. Si è laureato in Lettere a Roma con una tesi sul teatro surrealista francese ed ha insegnato per trentatré anni, quasi sempre nei Licei. Ora si occupa a tempo pieno di promozione culturale: nel 2006 ha fondato una sua etichetta editoriale: “la stanza del poeta”, nella quale sono apparsi centoundici piccoli libri (suoi e di numerosi autori del bacino mediterraneo). La sua poesia è tradotta in quindici lingue, tra cui arabo, serbo, esperanto, estone, turco, armeno. Pubblicazioni più recenti: Antologia (poesie 1967-2007, a cura di Stelvio Di Spigno), 2008; Genius Loci (18 poesie per Normanno Soscia), 2009; Ditet e Naimit (premio “Venafro”), 2009; Tren po tren (Momento per momento, con traduzione in serbo di Dragan Mraovic), 2011; Pintar la luz /Dipingere la luce (traduzioni da Gustavo Vega), 2012; È questo un figlio?, 2012; A repentaglio, 2015; Cartoline da Gaeta, 2015; Seminari di lettura, 2015.

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