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Antonio Sagredo, Poesie da Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022, traduzione in spagnolo di Manuel Martínez-Forega, Antonio Lopez Garcia, figure in una casa, 1967

ANTONIO SAGREDO (2)

Antonio Sagredo, foto di Enzo Ferrari

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Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022,2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj  le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale). Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudenkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.

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…Entiende Sagredo la poesía como lugar de mediación intelectual, materializa una terminología intelectual e intelectualiza la percepción pesimista de un entorno social e histórico agresivo al que desafía. Es, en consecuencia, natural la adopción de un lenguaje interpelativo, incluso autointerpelativo (un «autodiálogo» habría dicho Clara Janés), cuyo propósito no es otro que preguntarnos sistemáticamente por qué y para qué hemos llegado hasta aquí si la historia, la literatura, la religión, el desarrollo técnico, las herramientas tecnológicas… han prestado muy poca atención al centro mismo de su razón de ser: el hombre (el Hombre): «Cantare la vita ― io? / Per la memoria degli uomini?//» concluye preguntándose en 1969 en un hermosísimo poema autorreferencial que comienza «Morirò un giorno, lontano / dalla mia casa…» Víctima lírica de cuantos acontecimientos han marginado a ese hombre trascendental, la antropología histórica a la que me refería toma cuerpo en sí mismo; es decir, que la diacronía histórica es paralela a la suya propia y, si en el precoz poema sin título que comienza «Morirò…» hace referencia a este paralelismo, la coherencia ontológica que su obra posterior pone de manifiesto representa una prueba más de ser un corpus estéticamente inquebrantable cuando Antonio Sagredo se dirige a su alter ego para celebrar de nuevo al Hombre y, en cierto modo, la asunción de que también en la derrota se gana, como atestigua su poesía más reciente.

 Cantos del Moncayo constituye un auténtico regalo inédito en español hasta hoy. Escrito en 2005 en Italia, es producto, sin embargo, de una visita que el poeta había hecho ese mismo año a España y, más concretamente, a la Comarca de Tarazona invitado por el Festival Internacional de Poesía «Moncayo» que ese año conmemoraba el IV centenario de la aparición del Quijote. En estos Cantos recorre Sagredo caminos poco explorados a través de un lenguaje en el que el símbolo desempeña una labor estética nuclear: la imaginería cristiana; la iconografía lumínica; la toponimia literaria; el nominalismo mitológico; el sarcasmo, la irreverencia de un lenguaje sin concesiones ornamentales, duro a veces, cruento, desnudo, críptico en ocasiones… que persigue, en cierta manera, deconstruir el idealismo de los fundamentos religiosos y literarios, en este caso tomando como ejemplo a nuestro ‘Ingenioso Hidalgo’ sin que por ello deje de testimoniar su profundo amor por nuestra literatura (Sagredo es, dicho sea de paso, lector entusiasta de Lorca, de Juan Ramón, de Machado, del Quijote, claro…)

(Manuel Martínez-Forega)

CANTOS DEL MONCAYO (2022)

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Antonio Sagredo da Canti del Moncayo

C’è una ferita nell’acqua: è l’ala di una colomba
nella cisterna vuota e bianca la sua ferita,
come bianca è la colomba del Moncayo.
Nel deserto non batte più l’ala cava sull’acqua,
la serpe albina deforma roventi trasparenze.

Questa colomba sbiadita e biancastra del Moncayo
s’è distesa come il Cristo del Mantegna!

E la colomba è nera – clausura!
Ossario di bandiere!
Sudario di colombe oscene!
Pietra: acqua crespata del deserto!

Cisterne di occhi equini, placidi
come i defunti nella Notte delle Ceneri!
Ecate, i ventri-volti sono vessilli di fuochi lacustri!
Per il vino dei Borgia non si scordano i veleni!

Strillano galli ferrosi i tradimenti,
come banderuole!
Sulle torri anche le lacrime hanno ossa eretiche!

Dietro le quinte e sui palchi sono violati i sipari.
Sono di viola soltanto le tue ali – labbra!
Per gli arazzi sugli altari e sulle croci:
la settimana santa è impazzita!

Ah, notte d’Aragona!

Pietra del sorriso! Corpo impunito e folle!
Mai una Madonna fu vergine due volte!
Conobbe il meretricio dell’estasi gratuita… cuore del tuo sesso
è sesso di colomba!
Sono quattro ali le tue labbra!
Muore o non muore questa colomba!?
Non muore.
Oh, è morta!
Ah, notte d’Aragona!

É risorta!
No, non è risorta!

Hay una herida en el agua: es el ala de una paloma
en el aljibe vacío, y blanca su herida,
como blanca es la paloma del Moncayo.
Ya no bate en el desierto el ala hueca sobre el agua,
el reptil albino altera las ardientes transparencias.

Esta paloma pálida y blanquecina del Moncayo
¡está tendida como el Cristo de Mantegna!

Y la paloma es negra —¡clausura!—
¡Osario de banderas!
¡Sudario de palomas obscenas!
¡Piedra: agua encrespada del desierto!

¡Aljibes de ojos equinos, plácidos
como los muertos en la Noche de las Cenizas!
¡Hécate, los rostros-vientres son el estandarte de los fuegos lacustres!
¡El vino de los Borja no olvida los venenos!

¡Cacarean gallos metálicos sus traiciones!
¡Como grímpolas!
¡Sobre las torres también las lágrimas contienen heréticas osamentas!

Detrás de las cortinas y su escenario son violados los disparos.
Solamente tus alas son púrpura —¡labios!—
En los tapices de los altares y de las cruces
¡la semana santa ha enloquecido!

¡Oh! ¡Noche de Aragón!

¡Piedra de la alegría! ¡Cuerpo impune y loco!
¡Jamás una Virgen fue virgen dos veces!
Conoció la prostitución del éxtasis gratuito… corazón de tu sexo
¡es sexo de paloma!
¡Son cuatro alas tus labios!
¿Muere o no muere esta paloma?
No muere.
¡Oh! ¡Está muerta!

¡Oh! ¡Noche de Aragón!

¡Ha renacido!
¡No, no ha renacido!

Antonio Lopez Garcia Figuras en una casa 1967

Antonio Lopez Garcia, figure in una casa, 1967
[Guardate il quadro di Antonio Lopez Garcia, si tratta di un interno, metà del quadro è immersa in una debole luce e l’altra metà in una oscurità, dalla oscurità e dalla luce emergono dei visi, due figure, sembra una vecchia fotografia un po’ sbiadita, e invece è un quadro alla maniera tradizionale, quei volti vorrebbero dirci qualcosa ma non parlano, sono diventati muti, l’abitazione dove avviene questa messa in presenza è nient’altro che un luogo inospitale, in quel luogo le persone non possono più parlare, non possono dire più ciò che volevano dire. È questa l’allegoria dell’arte moderna, che essa non può più parlare, parlarci perché hanno perduto le parole, le parole che volevano dire sono state dimenticate o rimosse…]

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Giorgio Ortona, Dichiarazione di poetica, a proposito di una Esposizione avvenuta al Polo Museale dell’Atac di Roma, Emanuele salvato dall’Atac

Sono poche le persone che ho conosciuto e che mi hanno profondamente colpito e forse cambiato. Una è sicuramente il più grande pittore vivente, il cui nome è Antonio Lopez Garcia. Ma stiamo parlando di arte.

Se parliamo invece di vita, dico Emanuele Di Porto.

È uno degli scampati al rastrellamento  del 16 ottobre del 1943, da parte dei nazisti, dove 1023 ebrei furono deportati.

Tramite mio nipote Roberto, lo ho incontrato per la prima volta, in piazza delle tartarughe al ghetto, stessa piazza e stesso punto dove Emanuele e la madre si videro per l’ultima volta. Lui si salvò e la madre fu deportata ad Auschwitz.

Pitturo sempre e solo forme, anche se uso palazzine, sacchi, stadi, o ventilatori, ed è proprio per questo che non mi considero un pittore figurativo.

Ho visto sempre l’astrazione, come più vicina all’assoluto.

E ho sempre pitturato forme, anche quando ho provato a dipingere “gli altri”, perché, per me, la pittura è solamente una questione di linguaggio.

Ora, invece, mi ritrovo a dipingere una persona e una storia, quella di Emanuele. Accadde anche con mio padre, subito dopo la sua scomparsa, quando decisi di dipingere un intero ciclo su di lui. La cosa strana è che fisicamente mio padre ed Emanuele si assomigliano, e molto.

La storia di Emanuele, mi ha colpito, oltre che, ovvio, per la sua drammaticità, perché sembrava non essere vera, un’invenzione all’interno di un dramma, ma invece vera lo era: Un ragazzino che si nasconde in un tram per 48 ore, sembra quasi la sceneggiatura di un film neorealista.

Cosi come ho provato, attraverso la pittura, ad entrare all’interno della commozione di Emanuele, ho pensato parallelamente che non fosse  sufficiente la sola riproposizione di un tram in servizio, in giro per la città. Decido allora  di voler entrare nei meandri dei mezzi pubblici di Roma, dove vivono e dormono la notte i convogli.

Ce la faccio e ottengo un permesso per potervi accedere. Il posto per me è una miniera di forme a me sconosciute. Torri dove si riparano gli “Archetti” dei tram, geometrie  che assomigliano alle corna dei cervi. E chi le aveva mai viste così da vicino?

La Bacheca chiamata il “medagliere”, negli uffici del deposito, che riporta i veicoli che sono in servizio e quelli che sostano in deposito, Il museo vero potrebbe essere quello e non questo.

Marco Di Capua definisce la mia Roma, “la città di mezzo”. Cito da lui: “Una città anonima, normale, periferica, palazzinara perfino, simile a tante città mediterranee. È la parte di Roma che è cresciuta tra gli anni Cinquanta e Sessanta attorno alla Tangenziale, a questo totem oggi venerato da molta giovane pittura romana, come un corpo attorno alla propria spina dorsale: Qui non c’è niente di eccezionale. In teoria non ci sarebbe niente da vedere.”

Ed io aggiungo che della città di mezzo uno degli attori principali è proprio il tram.

Le forme che prediligo, sono quelle apparentemente più anonime, e che possono trasformarsi nelle più interessanti. Ecco perché le palazzine. Prediligo, ad esempio, quelle che hanno un prospetto maggiormente articolato. Palazzine nette e a più strati, simili alle paste “diplomatico”, che quando vengono sezionate con un coltello, sembrano  ancora più buone.

Ma per una resa efficace in pittura necessitano, però, di una base consapevole del disegno, e di una conoscenza rigorosa della geometria descrittiva.

Questa materia, opzionale quando mi iscrissi alla facoltà di architettura, diventò solo qualche anno dopo obbligatoria, e si rivelò formativa per la mia pittura. Questa sorta di preparazione scientifica, non avrei potuto acquisirla, se non li.

Spesso, le cose, le studio in tutte quelle ore del giorno nel quale il sole crea zone di forte contrasto, marcando i pieni e i vuoti, e questa sorta di “grammatica dello spazio”, è reminiscenza subliminale di quando, attraverso le proiezioni mongiane, meglio conosciute come proiezioni ortogonali, noi studenti inserivamo le ombre, ed allora usciva la tridimensione, simile ad una magia.

Sono interessato dalla struttura delle cose, dalla loro costruzione, gli scheletri e le ossature, e spesso gli anziani. E ora, ecco perché anche i cantieri edili.

La trasfigurazione pittorica della città avviene anche nelle vedute aeree, là dove anche un modulo di palazzina per me non formalmente accettabile, alla distanza si ordina e viene ad armonizzarsi con il tutto.

Il mio è un lavoro sempre aperto, in divenire, sia per quanto riguarda l’esecuzione del quadro vero e proprio, ma anche per i titoli. Possono anch’essi cambiare nel tempo, a volte addirittura si cambiano da soli.

Alcune vedute diventano, per questa mostra “Nuove mappe della metropolitana”, ed il ritratto intitolato “Lucia”, così nato quando lo eseguii, alcuni anni fa, è ora diventato “L’Atac dalla finestra di Lucia”, dato che effettivamente da quella cucina appaiono gli uffici dell’Atac.

Concludo con alcune notazioni tecniche sul procedimento esecutivo del mio lavoro: Uso prevalentemente compensato da 6 mm; sul retro incollo delle cantinelle due centimetri per due, che impediscono alla tavola di flettere, ed incollo il tutto con vinavil e chiodi senza testa. Successivamente passo 6/7 mani di gesso acrilico, fino a che il supporto non diventi levigato come un foglio da disegno. Ho sempre la necessità di lavorare su un supporto rigido, dato che, ad esempio  per le architetture, è indispensabile l’utilizzo di squadre e righe. A volte, sopra alla tavola, incollo della tela di cotone, la quale permette al colore di scivolare diversamente e meglio sulla superficie.

Utilizzo sempre prodotti industriali, gesso acrilico, e colori ad olio in tubetto, olio di lino e trementina, per scelta, mi piace la Coca Cola.

Si rivela importantissimo il lavoro meticoloso del disegno (cosi come facevano gli antichi). Col colore molto diluito, potenzio le zone in ombra, per poi passare la prima mano di pigmento. Rinforzo il disegno sempre con la matita, per non perderlo, e poi di nuovo colore. Ripeto il procedimento fino a quando del risultato, non ne rimango soddisfatto.

La superficie del colore la mantengo sempre piatta, senza avvallature, in maniera che la matita possa liberamente muoversi qualora decidessi di riadoperarla.

Comunque, grazie Emanuele.

(Giorgio Ortona)

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olio su tela sede dell’Atac, Roma, Piramide

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olio su tela 480×697

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olio su tela, La Circolare di Roma

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olio su tavola, Macro, Testaccio, Roma

Giorgio Ortona Emanuele Di Porto

Giorgio Ortona con Emanuele di Porto

Giorgio Ortona sacchi di pozzolana

olio su tavola, sacchi di materiali per l’edilizia

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olio su tavola, palazzine di Roma

Giorgio Ortona vagoni 1

olio su tavola

Giorgio Ortona Nuova mappa della metropolitana I, 2010, olio su tavola, 68 x 114 cm

olio su tavola 68×114

Giorgio Ortona Emanuele salvato dall'Atac, 2018, olio su tavola, 22 x 52 cm

olio su tavola 22×52

Giorgio Ortona Atac, 2019, olio su tela, 30 x 64 cm

olio su tela 30×64

Giorgio Ortona 7027, 2019, olio su tela, 30 x 54 cm

olio su tela 30×54

Giorgio Ortona La circolare, 2019, olio su tela, 40 x 70 cm

olio su tela 40×70

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