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Vincenzo Mascolo estratto da Canti della cosa in sé (inedito) “Il lato oscuro della luna”, “La stoffa dei sogni”, “Presagi del fuoco”, con un Appunto dell’Autore e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

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Eclissi

Vincenzo Mascolo, nato a Salerno nel 1959, vive e lavora a Roma. Nel 2004 ha pubblicato la raccolta Il pensiero originale che ho commesso (Edizioni Angolo Manzoni). Con la casa editrice LietoColle ha pubblicato nel 2009 Scovando l’uovo (appunti di bioetica). Nel 2010 un estratto del libro inedito Bile è stato pubblicato nell’antologia Lietocolle Orchestra – poeti all’opera (numero tre), a cura di Guido Oldani. Per LietoColle ha anche curato le antologie Stagioni, insieme a Stefania Crema e Anna Toscano, La poesia è un bambino e, con Giampiero Neri, Quadernario – Venticinque poeti d’oggi. Dal 2006 è il direttore artistico di Ritratti di poesia, manifestazione annuale di poesia italiana e internazionale promossa dalla Fondazione Roma. Alcune sue poesie sono state tradotte in francese per la pubblicazione sulla rivista letteraria Les Carnets d’Eucharis, diretta dalla poetessa francese Nathalie Riera.   

Appunto di Vincenzo Mascolo

 Ho iniziato a scrivere questo lavoro nel 2010 e ho completato i primi tre canti nel 2012. Attualmente sto scrivendo il quarto, ma vado un po’ a rilento perché nel frattempo mi sono dedicato ad altri due lavori, uno ormai terminato e in fase di revisione, che conto di pubblicare a breve, e un altro (di cui hai già pubblicato alcuni testi nella mia “autoantologia”) ancora in lavorazione.

La genesi dei tre lavori è unica e nasce da una ricerca sulla condizione umana che conduco da molto tempo. L’idea di partenza è che “tutto è uno” e che occorre, quindi, superare ogni dualismo per comprendere il significato dell’esistenza. Inevitabile per me coinvolgere in questa ricerca la poesia, che considero strumento privilegiato per la sua capacità di entrare in contatto con la “materia oscura” e di renderla visibile. Unificare corpo e anima, materia e spirito, luce e oscurità, ma anche umanesimo e scienza, questo il senso della ricerca. Dal lavoro che ti ho inviato spero che tutto questo traspaia. 

La mia, però, è anche una ricerca sulla poesia. L’intenzione è usare un linguaggio quotidiano per scrivere poesia “non quotidiana” in cui trovi spazio anche la scienza. Il tentativo lo avevo già fatto, non so se ricordi, con le mie quartine sulla bioetica. Era, però, un tema troppo specifico e, dunque, sto cercando di ampliare la visione e l’espressione poetica. Forse il lavoro che pubblicherò tra poco sarà ancora più chiaro al riguardo. 

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Eclissi

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Il paradosso della scrittura di Vincenzo Mascolo è questo: che sembra scaturita da una personalità assente, un autore impersonale, un artigiano artifex, in definitiva, un Nessuno, che adotta una delle funzioni del linguaggio, o che il linguaggio sceglie come una delle sue funzioni. Il paradosso non è poi un paradosso ma un luogo retorico, come ci hanno insegnato Maurice Blanchot e Jacques Lacan, secondo i quali una delle funzioni del linguaggio, e di quello letterario in particolare, è di azzerare il parlante, di designarlo come assente. Quello che i romantici indicavano con la parola «genio», altro non sarebbe che una assenza di soggetto, un esercizio linguistico decentrato, privo di centro, quell’esercizio del linguaggio decentrato di cui parla Blanchot a proposito dell’esperienza di Kafka il quale «fece il suo ingresso nella letteratura non appena poté sostituire l’egli all’io… Lo scrittore appartiene a un linguaggio che nessuno parla, che non si rivolge a nessuno, che manda di centro, che non rivela nulla».1

La sostituzione dell’egli all’io è la modalità scelta da Proust quando rinuncia all’egli troppo ben centrato di Jean Santeuil per l’io decentrato, equivoco, della Recherche, «l’io di un narratore che non è in effetti nessuno, né l’autore né qualsivoglia d’altri e che mostra benissimo come Proust abbia incontrato il suo genio nel momento in cui trovava nella sua opera il luogo linguistico ove la sua individualità poteva frantumarsi e dissolversi in Idea… Sarà parlare di quello che lo stesso Proust chiama “l’io profondo”, quell’io che… si rivela soltanto nei suoi libri e che… è un io senza fondo, un io senza io, ossia quasi l’opposto di quello che si suole chiamare un soggetto. E, sia detto di sfuggita, questa riflessione potrebbe togliere gran parte dell’interesse a tutte le controversie sul carattere oggettivo o soggettivo della critica: propriamente parlando per il critico… il genio di uno scrittore non è né un oggetto né un soggetto».2

Fatta questa premessa, possiamo entrare nella struttura del linguaggio poetico di Vincenzo Mascolo. Innanzitutto, una evidenza: Mascolo solleva una opzione, si affida alla funzione argomentativa del linguaggio, una opzione in favore delle qualità ragionanti del linguaggio e in terza persona. L’io qui è nient’altro che un mero luogo retorico che consente il rivelarsi di un discorso argomentato, privo di retorismi, che fa a meno di metafore e di metonimie, di simboli; un discorso che fa uso di un meta discorso, ma in modo quasi impalpabile, non visibile; un discorso che dà l’illusione di fare a meno del linguaggio poetico ereditato, come se esso non ci fosse mai stato; un discorso prosastico sobrio e piano, che procede in parallelo con la idea da esplicitare, direi un punto di vista-non-vista che assume il piano apparentemente minoritario e minimale del discorso-non-discorso per poter invece parlare in piena libertà. È, insomma, un discorso che si è liberato di ogni discorso e, soprattutto, del discorso poetico come lo abbiamo ereditato dai padri nobili del Novecento. Basta questo, credo, per far capire la portata dell’operazione perseguita da Vincenzo Mascolo, la cui gittata non è affatto da «viaggiatore» minimale come vorrebbe farci credere l’autore. Elusivo per non voler essere persuasivo, Mascolo adotta un discorso poetico che si sviluppa come in assenza di contraddittorio. Il discorso assume così la sembianza di un discorso letterale-referenziale, che vuole nominare le cose come e dove esse sono, o sembrano essere. Una scelta di campo, dunque. Una scelta estetica ed etica. Direi soprattutto una scelta politica di dire con il minimo dispendio linguistico il massimo di energia semasiologica.

Ora lo abbiamo capito, il problema per Mascolo non è più quello di proporre rinnovamenti linguistici o tematici, opzioni che, a suo avviso, hanno esaurito le proprie funzioni già nel tardo Novecento, quanto quello di riproporre una Idea di poesia fondata sul nesso letterale e referenziale.

 1 M. Blanchot Lo spazio letterario, trad. di Gabriella Zanobelli Einaudi, 1967
2 G. Genette Figure II La parola letteraria Einaudi trad. Franca Madonia Einaudi, 1969
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Vincenzo Mascolo

1.

IL LATO OSCURO DELLA LUNA

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Da viaggiatore minimo quale sono e fui
– parlo del dato sensibile soltanto
perché insensibilmente io vado
avanti e indietro per il mondo –
percorro sempre in treno brevi tratte
mutandomi dal luogo che più eterno
non sembra che ci sia nel sublunare,
del quale come è noto né l’inferno
né il purgatorio e il paradiso fanno parte
e se qualcuno poi pensa il contrario
è solo perché in ogni verso e canto
così grande e sublime è la Commedia
che può dirsi la sua arte reale
(ho messo a riposare la mia mente
e proprio come i peccator carnali
che la ragion sommettono al talento
mi sono abbandonato alla lussuria
dei versi che non hanno ordinamento
facendone ampie ali al folle volo
verso il segreto della mia coscienza.
Ma non c’è da temere, vi assicuro:
è ben legata la mia vita al filo
che tiene stretto nelle mani Arianna,
lei che conosce il rischio che si corre
se ci si addentra nel suo labirinto
a occhi chiusi senza mai sognare
affidandosi soltanto a oscure profezie:
ibis redibis non morieris in bello)
And if your head explodes
with dark forbodings too
I’ll see you on the dark side of the moon.

(Pink Floyd, da The dark side of the moon)
2.

LA STOFFA DEI SOGNI

Negli anni è stato emblema del progresso
poi del futuro della velocità
allegoria del viaggio della vita
simbolo dell’io, della libido
del dinamismo e dell’evoluzione
dell’energia motrice a tutto tondo,
anche di quella che sviluppa il sesso
                                        il treno
è stato questo e altro ancora il treno
persino un urlo della mia generazione
          (ma intanto corre, corre, corre la locomotiva…
          chi non ricorda il canto di Guccini
e il sogno che con lui noi facevamo
di vincere per sempre l’ingiustizia,
chi non ricorda quando credevamo
che una poesia un verso o una canzone
avessero la forza di cambiare
non solo noi ma proprio tutto il mondo
potessero levarsi come un’onda
che poi si schianta al suolo con un rombo
e ogni cosa inghiotte e la trasforma.
Ma questo, per fortuna o per destino,
qualcuno tra di noi lo crede ancora
e io fra loro, non me ne vergogno,
confido che anche il verso, la poesia
a poco a poco possa edificare
quella città del sole vagheggiata
che ho nella mente in questo vaneggiare.
Non sono né un profeta né un messia,
non ho per voi nessuna altra novella
buona cattiva o quale che essa sia;
ma se mi dite “stai sognando”
rispondo che noi tutti siamo fatti
delle trame invisibili dei sogni
e aggiungo che in fondo ogni poesia
è soprattutto una magnifica utopia.
E a chi domanda sempre perché scrivo
posso svelare adesso finalmente
che voglio, sì, arrivare alla mia essenza,
assimilarla nella carne e nelle ossa
nel sangue e dentro le mie parti molli
e con i versi poi farla reale
così che unendo il corpo l’anima e la mente
io ricongiungo in me la terra e il cielo
          e posso trasmutare in oro il piombo
          che mi compone e insieme mi circonda.
          Vi sembra tutto questo niente?
          Non fa accadere nulla la poesia?
          Però scrivendo esisto per davvero
          il che, applicando il metodo induttivo,
          mi porta a dire cartesianamente
          che io scrivo e quindi sono
          vivo)

We are such stuff
as dreams are made on
and our little life is rounded with a sleep.

(William Shakespeare, La tempesta)

 

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Eclissi di luna

3.

PRESAGI DEL FUOCO

Dell’identità molteplice del treno
– forse, perché no, persino della mia
prima che il mistero rimanga chiuso in me
e il nome mio si sperda fra terra e discendenza –
parlerei con voi per ore e ore
approfondendo con scrupolo ogni aspetto,
analizzandola in ogni disciplina
che l’ha elevata a simbolo e ad emblema,
in un viaggio ideale che percorrendo l’arte
attraversi la psicoanalisi e la scienza
(e lo intraprenderei usando proprio i versi
perché credo in potenza sia tutto la poesia
e tutto possa quindi assumerne la forma,
sempre che una forma è vero che ci sia:
il non detto l’invisibile i fasti del sentire
ma anche i filamenti del pensiero razionale,
il brulicare oscuro di elementi primordiali
che si combinano e si legano tra loro
generando la composita materia
che non si crea e nemmeno si distrugge
ma da sempre di continuo si trasforma.
È tempo di vegliare anche noi notti serene,
di ritornare insieme ad osservare il cielo
per raccontare adesso con parole nuove
la profonda densità di quel mistero
che declina la vita dell’uomo e delle cose,
è tempo ormai che la poesia e la scienza
riprendano a parlare con una lingua sola
dei sentieri notturni del loro ricercare
l’immutabile principio originario
dell’eterna infinità dell’universo
          e di tutto ciò che è legge naturale.
          È tempo, sì, è questo finalmente il tempo
          di andare con lo sguardo oltre il confine
          che ora divide l’umanesimo e la scienza,
e di scrutare la natura delle cose,
tutte le cose visibili non viste,
          unificando ragione e irrazionale
          ipotesi concrete e fantasia
          la logica stringente all’utopia
          perché riunendo le due dimensioni,
          le due metà che formano il reale
          si toccano le viscere del mondo
          che come aruspici possiamo interpretare
in cerca dei presagi di quel fuoco
che fu per noi rubato ai primi dei.
          Andare verso l’Uno, questo è il senso
          condurre all’unità tutto il duale
          che ci compone e nel contempo ci separa
corpo e anima, vita e morte, bene e male
          notte e giorno, sole e luna, terra e cielo
          e chi ne ha di più ne aggiunga se lo vuole
          a questo risgranare opposti universali
          che si ripete uguale da quando è nato il mondo
          dai tempi del big bang e da prima forse ancora
          dal tempo in cui non esisteva il tempo
          quando era il caos a governare la materia
          prima,
          prima dell’ordine del Verbo
          che tutto, generando, ha separato.
          Di questo ci troviamo a conversare
con il mio amico Gigi nelle giornate estive
mentre cerchiamo di ingannare il tempo
– ma è lui a ingannarci con il divenire –
rimanendo immobili per ore
          a misurare con lo sguardo dalla riva
la distanza che divide l’orizzonte
dalla superficie curva della vita.
E se Gigi non mi sta in cagnesco
quando mi attardo nelle mie teorie
vostre eccellenze, non ci manca molto
perché lui abile chirurgo del cervello
è sempre la metà fisica del tutto
che privilegia nel nostro dialogare,
la forma di realtà che già conosce
la più rassicurante, abituale
che non richiede di scavarsi dentro
in cerca della fiamma originale
e come Giovanni Drogo nel deserto
nel corso del mio dire sul duale
asserragliato nella sua fortezza
al confine nebuloso del reale
scruta e riscruta in lontananza i segni
          dell’incedere nemico che minaccia
la difesa del suo credo razionale.
“Il mondo che disegni è molto bello”,
mi ha detto Gigi un giorno sorridendo
scuotendo però il capo lungamente
come a volersi scrollare dal cervello,
da quale degli emisferi poco importa,
ogni residuo delle mie parole
anche le particelle elementari
e la radiazione cosmica di fondo
emessa dalle mie onde vocali,
“la lotta tra gli opposti è suggestiva
e mi rimanda al mare dell’eterno
nel quale forse è dolce naufragare.
Ma io vedo intorno a me dolori atroci
io vedo grande sofferenza e pianto
e torno in quei momenti alle tue voci
sull’unità infinita che governa
la natura dell’uomo e delle cose
e a tutti gli altri tuoi racconti
sull’andare e venire dell’essenza
per unirsi alla coscienza universale
e allora penso che nell’esistenza
noi con la finitezza dobbiamo fare i conti,
          è quella la realtà, è lei la nostra sorte,
          nessuna tua parola, per quanto luminosa,
          potrà mai diradare il buio della morte”.
          Ci siamo salutati poi al tramonto
          stringendoci la mano un po’ più forte
          come volendo apporre nuovamente
          il suo sigillo al libro del mistero
          che sfogliavamo poco prima insieme
          ma ricordo che ancora dopo ore
          ripensando da solo al nostro incontro,
          alla voce di Gigi senza incrinatura,
          ho sentito più volte risuonarmi dentro
          l’eco lontana di quel suo dolore
          e nel guardare il cielo della notte
          per un istante o forse per mezz’ora
          del suo silenzio ho avuto come lui paura)

Cercai la scaturigine segreta
del fuoco che si cela nel midollo
della canna, maestro d’ogni arte,
via che si apre.

(Eschilo, Prometeo incatenato, tr. di Enzo Mandruzzato, ed. Rizzoli BUR)

 

 

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