Una poesia kitchen di Gino Rago, da ‘Storie di una pallottola e della gallina Nanin’, Progetto Cultura, 2022. Lettura di Giorgio Linguaglossa

Cover Gino Rago Gallina Nanin


Una poesia kitchen di Gino Rago,

n. 16

All’Ufficio Affari Riservati di via Pietro Giordani n.18
il titolare,
il poeta Giorgio Linguaglossa, riceve il commissario Belfagor
che ha sostituito gli incompetenti Ingravallo
e Montalbano.

Belfagor dice:
«Dopo mesi di indagini, intercettazioni, pedinamenti
e appostamenti
quei due incapaci non hanno ancora detto una parola chiara
sul revolver calibro 7,65 e sulla pallottola
di Marie Laure Colasson.
All’Ambasciata di Francia di Piazza Farnese
c’è aria di maretta».

Piazza Cavour.
Davanti al Palazzaccio scoppia una rissa.
I poeti del “Verri” e di “Officina” si avventano contro i nuovi scrittori
di “Nuovi Argomenti”:
Luciano Anceschi è furioso con Moravia, Roberto Roversi aggredisce
Enzo Siciliano.

Alfredo Giuliani vuole strangolare un tizio della “parola innamorata”,
un celerino prova a separarli.
Arriva il commissario Belfagor.
Scappano tutti verso il circo alla Circonvallazione Clodia
per confondersi con la folla degli avvocati
e degli assistenti alle udienze.

Luna Park dell’Eur.
Dal tiro a segno un colpo va a sbattere sulle montagne russe
entra nell’atelier di Madame Colasson.
La pallottola squarcia la Birkin posata su un divanetto rococò
e buca la gonna della pittrice
che sta terminando il collage Notturno n. 14
in acrilico.
Fa volare pennelli, tele, vinavil, tubetti di colore, limature di ferro,
cartoncini, risme di carte, cartoline illustrate,
album di foto, macchine fotografiche, cavalletti
ed entra
nel sogno del poeta ceco Karel Šebek.

La pallottola viaggia così lenta che il commissario Belfagor
riesce a seguirne la traiettoria sempre nello stesso sogno.
Infine, si spiaccica sul busto di bronzo di Eugenio Montale.
E qui finisce la storia.

Il commissario Belfagor telefona al poeta Giorgio Linguaglossa
all’Ufficio Affari Riservati di via Pietro Giordani.
Dice:
«Dottor Linguaglossa, ho risolto il caso,
la pallottola dell’egregio poeta Gino Rago ha finito la sua corsa,
si è spiaccicata sulla statua di bronzo
di Eugenio Montale…
Dia la notizia all’Ambasciata di Francia».

Gare de Lyon.
Louis Malle gira l’ultima scena del film Zazie dans le métro
e festeggia con Queneau e Philippe Noiret.

Madame Colasson beve un Pernod con ghiaccio.
Telefona a Madame Philoméne Rago:
«Finalmente tutto è finito. Era diventato un incubo.
Madame Rago, accetto il Suo invito.
Questa estate verrò in vacanza
all’Antica-Dimora-Palazzo-Rovitti».

da Storie di una pallottola e della gallina Nanin, Progetto Cultura, 2021.

Il Mangiaparole Gino Rago

Lettura di Giorgio Linguaglossa

La voce narra le ipotiposi di una pallottola che viaggia lenta, così lenta che lo sguardo della voce narrante la può seguire nelle sue vicissitudini e nelle sue performances. Lo sguardo penetra tra le superfici delle situazioni, tra i ribaltamenti di piani narrativi e dei personaggi che vengono man mano sostituiti da una mano fuori scena, un vero e proprio deus ex machina che interviene qui e là, a suo piacimento, a modificare l’assetto della narrazione e gli eventi. Di chi è la narrazione? Di chi è questo sguardo? È uno sguardo neutrale, fuori scena, che si limita a prendere atto della sequenza di eventi del tutto irragionevoli che si incrociano e si sovrappongono. Il lettore rimane sbalordito, sorpreso, spaesato, non conosce l’identità di questo osservatore privilegiato che sembra presiedere alla inverosimile sarabanda degli eventi. Ci si muove in un luogo-non-luogo, una scena della ribalta, una superficie continua che non è abitata ma neppure disabitata; la pallottola si muove lentamente, personaggi reali e personaggi inventati entrano ed escono di scena, sono marionettizzati, sembrano dei pupi tirati da fili invisibili maneggiati da un regista invisibile. Tutto è apparentemente in disordine, ma tutto ritorna in ordine, il disordine estremo appare ordinato per via dell’intervento demiurgico dei commissari Ingravallo e Montalbano e per gli uffici dell’Ufficio Affari Riservati che agiscono ope legis e propria sponte.
La sequenza cronologica deraglia subito: interni ed esterni, fantasia e realtà si sovrappongono e si elidono, situazioni reali e oniriche sono sullo stesso piano, che è quello della superficie continua sospesa tra passato, presente e futuro senza soluzioni di continuità, che rimangono sullo stesso piano, indistinguibili tra di esse; il filo della narrazione anche è spezzato: senza interruzioni si passa da una scena all’altra dove la scena è illuminata dai riflettori della ribalta, la struttura temporale è saltata, e così la struttura spaziale, ciò che è già accaduto si insinua in ciò che potrà ancora accadere, il tutto appare ucronico, sul punto di non accadere o di accadere, senza ragione sufficiente. È il principio di ragione che sembra venir meno. Alla fine, è evidente che è crollato un mondo o stia lì lì per crollare, e la scena finale con la pallottola che si spiaccica sulla statua in bronzo di Montale è inequivoca, ci vuole dire che quella poesia è giunta al capolinea, è stata inesorabilmente affondata dal moderno iper-moderno:

la pallottola dell’egregio poeta Gino Rago ha finito la sua corsa,
si è spiaccicata sulla statua di bronzo
di Eugenio Montale

In Gino Rago, e in genere nella poesia kitchen, è del tutto assente la funzione provocatoria, proprietà delle avanguardie novecentesche. La nuova poesia ha cessato di essere provocazione, il reale è diventato già di per sé provocatorio oltre che compromissorio, siamo già tutti compromessi in una zona neutra dei linguaggi neutralizzati.
«Tramite il coraggio delle avanguardie artistiche, dal futurismo a dada, dal surrealismo al ready made, sino al loro prolungamento nel dedalo dell’arte concettuale post-bellica, la provocazione è divenuta oggi una pratica non più provocatoria e una forma codificata. […] in grado forse di darci
qualche segno, qualche storta sillaba intorno alla nostra contemporaneità».1

(Giorgio Linguaglossa)

1 I. Pelgreffi, Slavoj Žižek, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2014, p. 32.

Gino Rago è nato a Montegiordano (Cs) nel 1950 e vive tra Trebisacce (Cs) e Roma. Laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza di Roma è stato docente di Chimica. Ha pubblicato in poesia: L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005),  I platani sul Tevere diventano betulle (2020). Sue poesie sono presenti nelle antologie Poeti del Sud (2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016). È presente nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018). È presente nell’Antologia bilingue curata da Giorgio Linguaglossa How the Trojan War Ended I Dont’t Remember (Chelsea Editions, New York, 2019). È nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole”, è redattore delle Riviste on line lombradelleparole.wordpress.com – È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen 2022 e Poetry kitchen 2023, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel libro di saggi di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2022 pubblica la raccolta Storie di una pallottola e della gallina Nanin sempre con Progetto Cultura di Roma. È nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole”. È redattore delle Riviste on line “L’Ombra delle Parole”.

30 commenti

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30 risposte a “Una poesia kitchen di Gino Rago, da ‘Storie di una pallottola e della gallina Nanin’, Progetto Cultura, 2022. Lettura di Giorgio Linguaglossa

  1. PIETRO EREMITA

    Non si può certo negare che a Gino Rago manchi del tutto la immaginazione: ne ha da vendere anche al Mercato delle Pulci, al cui confronto il Mercato di Porta Portese in Roma è ben poca cosa.

    Chi sa se sottopendo i versacci (nel senso buono ovviamente) del Rago alla AI cosa ne potrebbe uscir fuori.

    Come p.e. raffigurerebbe la AI sia la “pallottola” che la “gallina Nanin”? – Non è certo la pallottola con cui si uccidono alcuni poeti e poetastri, perchè dobbiamo tener conto di una gerarchia: pallottole di serie A e di serie B .

    E poi con la gallina come si comporterebbe la AI?

    Forse la confonderebbe con un tacchino!. E la pallottola con un piccolo razzo.

    Sempre che la AI sarebbe capace di scherzare. Cosa di cui dubito fortementepoi chenon laritengo capace di immaginazione allo stato elementare.

    E se sottoponessimo lo stesso poeta Rago alla AI?

    Forse la miserevole AI se ne uscirebbe con la immagine di un

    DRAGO?

    P.E.

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  2. Poco tempo fa Gino Rago mi diceva al telefono che a suo avviso lui aveva raggiunto con il libro Storie di una pallottola e della gallina Nanin (2022) il vertice della poesia kitchen. Penso che da allora Gino si sia preso un po’ di tempo per raccapezzarsi sugli ultimi esiti della poetry kitchen che è andata evolvendosi in phantasy poetry e altro… il pericolo sta appunto nel fermarsi, i due anni intercorsi equivalgono a venti anni del novecento, il tempo corre veloce, fa apparire vecchio ciò che appena due anni fa era nuovissimo, in queste condizioni si può perdere il bus, saltare qualche fermata e non arrivare a tempo a destinazione.

    A pensarci bene, a rileggere oggi il libro di Gino Rago ci troviamo di fronte ad un piccolo classico. È paradossale, lo so, ma le condizioni storiche corrono così velocemente che un libro apparso appena due anni fa, oggi ci appare come un classico.

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  3. antonio sagredo

    MIAFIS

    Hanno mescolato le fedi come dadi gettati a caso.
    I numeri eletti hanno protestato contro formule
    E teorie strambe, ma la retta via nessuno la conosce
    Se l’accordo non raggiunge altezze sovrumane.

    Come essere assunto e designato senza pari?
    E come ancora versare sangue e restare incontaminati?
    Tutto ciò che vive sulla Terra e palpita di pensieri
    Inconfessabili non dice nulla all’Universo inosservabile.

    Ritornare all’innocenza è altra colpa primigenia che non ama
    Le rivolte, e il controllo resta un ricordo lontano e artefatto.
    E di nuovo accettiamo la finzione, le parti assegnate dal regista.
    Calcare le scene significa confondere tavola per favola.

    Antonio Sagredo

    Roma, 29 maggio 2024

    (notte fonda)

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  4. gino rago

    Esprimo riconoscenza e ammirazione a Giorgio Linguaglossa:

    Riconoscenza, per l’ospitalità che ha dato al mio libro poetico, Storie di una pallottola e della gallina Nanin, da cui ha tratto la storia N. 16.

    Ammirazione, sia per il magistrale allestimento estetico della odierna pagina de L’Ombra delle Parole, sia, soprattutto, per l’acuta ed erudita interpretazione del mio testo poetico.

    Interpretazione che tocca vertici di chiarezza di scrittura e di raffinatezza di lingua e di stile, ad alta efficacia ermeneutica, in questo passaggio del suo commento:

    “[…]La sequenza cronologica deraglia subito: interni ed esterni, fantasia e realtà si sovrappongono e si elidono, situazioni reali e oniriche sono sullo stesso piano, che è quello della superficie continua sospesa tra passato, presente e futuro senza soluzioni di continuità, che rimangono sullo stesso piano, indistinguibili tra di esse; il filo della narrazione anche è spezzato: senza interruzioni si passa da una scena all’altra dove la scena è illuminata dai riflettori della ribalta, la struttura temporale è saltata, e così la struttura spaziale, ciò che è già accaduto si insinua in ciò che potrà ancora accadere, il tutto appare ucronico, sul punto di non accadere o di accadere, senza ragione sufficiente.

    È il principio di ragione che sembra venir meno.

    Alla fine, è evidente che è crollato un mondo o stia lì lì per crollare, e la scena finale con la pallottola che si spiaccica sulla statua in bronzo di Montale è inequivoca, ci vuole dire che quella poesia è giunta al capolinea, è stata inesorabilmente affondata dal moderno iper-moderno:

    la pallottola dell’egregio poeta Gino Rago ha finito la sua corsa,
    si è spiaccicata sulla statua di bronzo
    di Eugenio Montale
    […]”

    Gino Rago

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  5. gino rago

    Trovo erudito, e carico di saggezza e ironia, il “gioco” poetico di Pietro Eremita che affida le pallottole e la gallina Nanin alla capacità rielaborativa del mio testo poetico alla intelligenza artificiale.

    Pietro Eremita fa bene a tentare un simile percorso, ma segnala con viva intelligenza le sue riserve sulle possibilità reali di cultura poetica della AI:

    “Sempre che la AI sarebbe capace di scherzare. Cosa di cui dubito fortemente poi che non la ritengo capace di immaginazione allo stato elementare”.

    Pietro Eremita evidentemente ha piena coscienza del fatto, innegabile, (e anche per questo ha il mio plauso), che la vita e la poesia sono troppo importanti per essere prese sul serio.

    Sento, anche senza conoscerlo personalmente, che l’Eremita conosca pienamente la differenza fra “vivere” e “abitare” nella vita di tutti noi.

    E sento Pietro Eremita a me affine, nel senso delle “Affinità Elettive” di Goethe.

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  6. Tiziana Antonilli

    Leggendo la lettura che Giorgio Linguaglossa fa della poesia kitchen di Gino Rago mi ha colpita la definizione di luogo – non luogo, infatti il testo di Gino Rago mi ha proiettata nel terminal di un aeroporto.

     Anche lì, uno dei non luoghi della modernità,   i piani temporali si intersecano e si annullano,  le persone sono sospese tra un tempo appartenente a un luogo e il tempo che li attende in un altro luogo. Gli individui vanno, vengono , transitano , interagiscono in modo caotico, come i personaggi della poesia di Gino Rago, e l’inaspettato è dietro l’attimo,  come nei versi appena letti. Un testo riuscito e chiave interpretativa  di Giorgio  illuminante .

    Per quanto riguarda, invece, la citazione che definisce ormai impossibile la provocazione, dissento.Riferisco a tale proposito una mia esperienza personale. 

    Durante un incontro di   cosiddetta  ‘ poesia” mi sono alzata nel bel mezzo della lettura di  ‘pensierini’ appartenenti al genere che l’ombra ha sempre definito elegiaco, per di più  frullato nel dolorificio e nell’io -centrismo  dei buoni sentimenti.

    Mi sono alzata e ho urlato: questa non è  poesia! Non potete offendere così la nostra intelligenza! Sono solo pensierini anni cinquanta ! La poesia ha fatto la rivoluzione kitchen e voi scrivete e leggete ancora questa roba da soffitta! 

    Scompiglio, offese per me, pallore  per l’autore e il commentatore , alcuni riscontri favorevoli tra il pubblico alle mie parole.

    Mi sono divertita moltissimo. 

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  7. caro Gino,

    alla ipotiposi di una pallottola che viaggia lenta ma così lenta che il lettore può traguardare come dal buco della serratura gli scompigli che procura il suo tragitto abbiamo sostituito gli accadimenti accaduti dopo la Grande Deflagrazione. Tuttavia, le cose del mondo si sono in questi due anni così affastellate e mischiate che quella pallottola è stata sostituita dalla Grande Deflagrazione, che però non è detta in poesia, non viene pronunciata in quanto essa può solo comparire perché, al suo apparire, noi siamo già scomparsi. Così, gli esternonauti della phantasy poetry che vagano e stormiscono da un esopianeta all’altro sono coloro che sono sopravvissuti alla Mega Bomba perché l’hanno vista arrivare velocissima sulle loro teste. E così la poesia kitchen è improvvisamente cambiata, ha sostituito i tempi lentissimi della pallottola del tuo libro con i tempi velocissimi della velocità della luce che corre da un esopianeta all’altro. La poesia di Storie di una pallottola e della gallina Nanin, si apparenta ad un universo dove è ancora possibile viaggiare alla velocità di una pallottola, ma, con i tempi super velocissimi degli esopianeti che ruotano attorno a stelle di altri sistemi solari quei tempi si sarebbero dimostrati tempi di formiche e di tartarughe, e così ecco degli Avatar-Esternonauti che parlano telepaticamente da un esopianeta all’altro in una fuga continua ed entropica, e sarebbe orribile e del tutto irrispettoso chiedere a quegli Avatar-Esternonauti di fare ritorno alla madre-Terra (la Heimat di Heidegger), perché non troverebbero altro che morte e distruzione. Ecco spiegato il motivo che fa del tuo libro un piccolo grande classico, perché non è più possibile tornare indietro a quel tuo linguaggio che sa di lignaggio e di parentopoli tra personaggi legati insieme con quella colla misteriosa che un tempo si chiamava amicizia…

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  8. A me sembra chiaro che la pallottola di cui si sta parlando non nasce dalla fantasia di Gino Rago: quella pallottola è Gino Rago. E questa è una poesia triste.

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  9. Se penso alle poesie di Ecuba, che ho ben chiare nella memoria, ritrovo in questa le qualità del Rago drammaturgo.

    La poesia ha lo svolgimento di un resoconto notarile, cronachistico, freddo alla maniera kitchen. Assurdo, divertente, ma tragico.

    «Finalmente tutto è finito. Era diventato un incubo.
    Madame Rago, accetto il Suo invito.
    Questa estate verrò in vacanza
    all’Antica-Dimora-Palazzo-Rovitti».

    Secondo me Giorgio Linguaglossa avrebbe le qualità necessarie per vincere alle prossime elezioni europee.

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  10. milaure colasson

    caro Gino Rago,

    la poesia kitchen è in continua evoluzione-movimento, è semplicemente una modalità, una eventualità perché non è basata su nessuna ontologia stilistica e/o linguistica, è rimasta priva di una qualsivoglia ontologia (o forse ci sono tante ontologie quanti sono gli abitanti del pianeta Terra). Tutta l’arte modernissima è rimasta orfana del discorso sullì’ente, che ormai è un irriformabile, che vegeta sempre in una irriformabile falsa coscienza, non resta altro da fare che galleggiare e raccogliere stracci e perle indifferentemente, perché 1 vale 1 e gli stracci valgono quanto le perle, né più né meno. Concordo dunque con il parere di Giorgio, il tuo libro è un piccolo grande classico ormai. E capisco che tu intenda superarlo.

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  11. PIETRO EREMITA

    Antonio Sagredo mi manda a dire attraverso il dottor Cessantibus, che non è Pietro Eremita, quale alias non so, che la risposta del Drago, alias Rago, le è piaciuta e che concorda col dottor Cessantibus per rinnovare la novella poesia Kitchen anche attraverso l’uso e consumo della poesia HAIKU, poi che affermano sia Sagredo che il dottor Cessantibus che il futurodella poesia kitchen si misura in miliardi di Km, e che la velocità della luce è ben misera cosa davanti a un verso sia haiku che kltchen.

    Perciò prese le dovute distanze dalla poesia classica di un Drago, alias forse di Gino Rago, come più sopra è scritto, e sia Sagredo che il dottor Cessantibus non concordano, poi che può essere classica la poesia che canta la caduta di Antares, soltanto dopo che la presenza di Sirio sia stata confermata dalla partenza verso Citera del grande pittore Watteau, a meno che non sia ancora una volta una finzione, come scritto in alcuniversi di Sagredo.

    Comunque la poesia HAIKU si conferma parente stretta della poesia KITCHEN, diciamo cuginetta di 1° grado, essendo le loro madri : la poesia classica e la poesia lirica sorelle da tempo immemore, e che entrambi ebbero una avventura erotica con la grandissima Saffo a casa della altra grandissima Dickinson, spiace l’assenza di Eunice Odio poi che combatte ancora oggi la sua poesia contro Fidel Castro.

    Ritornando insomma a Sagredo di cui decantiamo le lodi per la traduzione di 18 poesie del dottor Zivago, resasi necessaria, la traduzione dopo quella di Mario Socrate oramai consunta e poco credibile… è detto questo perchè il dottor Cessantibus si è incontrato col dottor Zivago per discorrere dello stato attuale della poesia mondiale che è fuori liuogo pensare che sia una poesia classica a differenza di quella del Drago, alias forse del Rago Gino, che è classica nonostante il parere contrario di Sagredo, che non ha mai teso verso il classico poi che è già un classico di per se e senza l’aiuto di sedicenti critici e poeti.

    E qui mi fermo,poi che mi chiamano dall’Alpha Centauri per comunicarmi tramite una velocità superiore a quella della luce (passata da tempo in giudicato con l’avallo di Albert e forse di Ettore) che Sagredo non può mai vincere il Premio Nobel in contumacia.

    adieu e servo vostro

    P.E.

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  12. Si potrebbe leggere la palolottola di Gino Rago come una metafora della bomba atomica e della deterrenza dove ciascuno dei contendenti si rimpalla la bomba (cioè la pallottola) dall’uno all’altro per motivi politici, cioè imperscrutabili, come in un gioco di poker o di scacchi (tanto amati il Signor Putoler).

    La sonda Voyager 1 tra il 2012 ed il 2013 a circa 18 miliardi di chilometri dalla Terra ha ripreso il suono inquietante dello spazio interstellare.

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  13. Oggi, nel 2023, non si può porre mano ad alcuna ermeneutica dell’arte a seguito della Fine della poiesis, di quella che un tempo si chiamava «arte» nel tempo della storia lineare e progressiva; oggi, nel tempo della storialità (cioè della storia non-progressiva), la fine dell’«arte» trascina con sé anche la fine della critica d’arte. E qui il discorso si chiude. La poiesis kitchen è l’espressione artistica più consapevole alla domanda della posizione dell’«arte» in un mondo «storiale»; ovvero, in un mondo «storiale» ci può essere soltanto una poiesis «storiale», cioè non-storica, che non abita più un orizzonte storico. La nuova fenomenologia del poetico è la fenomenologia di una poiesis storializzata che si presenta incubata e intubata in una duplice cornice, se così possiamo dire, una cornice esterna al quadro e una cornice interna ad esso. La poiesis possibile sarà soltanto quella che si situi all’interno tra le due cornici, nell’intercapedine tra le due cornici là dove si apre uno spazio vuoto, vuoto di significazione. Si tratta di una poiesis ovviamente priva di «essenza» e di qualsivoglia «interiorità».
    Quelle interiorità ridotte a palline luminescenti, sfere che rimbalzano e galleggiano all’interno di una macchina celibe dove majorette in reggicalze ballano con scheletri redivivi il tutto accompagnato da spezzoni di triviali musichette marziali e acuti di un melodramma soporoso…

    Rispondo in breve a una domanda di Giorgio Linguaglossa

    perché è quella che ritengo fondamentale, le altre sono domande di contorno di cui mi sarà lecito rimandare ad altra occasione l’onere di una risposta.
    Con la parola «♫metafisica ☼» di cui si parla nella domanda penso si intenda la legislazione del linguaggio a cui noi tutti storicamente sottostiamo: la grammatizzazione della voce orale che ha fondato la nostra civiltà occidentale con tutti i suoi innumerevoli tropi e figure retoriche. Ma la «metafisica» è l’opera di una gigantesca grammatizzazione, non è un corpo unitario e infrangibile, la si può infrangere togliendo alle parole la loro destinazione di legalità e di utilità, sospendendo, con un atto di deposizione, le parole dal loro significato ordinario.

    Nel pensiero di Walter Benjamin la verità si dà solo nei «cocci del pensiero», nelle parole depositate sul fondale marino del dimenticato, sottratte al rimosso e all’oblio dalla rete del «pescatore di perle» e del «pescatore di stracci». Benjamin aveva escogitato una precisa strategia in grado di infrangere l’incantesimo di una tradizione che considerava alla stregua del «bottino di guerra» dei «vincitori della storia». Si tratta di una straordinaria collezione di citazioni, minuziosamente appuntate sui suoi taccuini e della quale il filosofo faceva il contenuto fondamentale della sua speculazione.
    La citazione, come forma del nominare, se sradicata dal suo contesto semantico e sintattico originario, consente di ricongiungersi alla potenza del dire prima che intervenga la legislazione del senso e del significato. Le citazioni organizzate dalla tecnica del montaggio recidono i vincoli che le tenevano avvinte alla ♫metafisica☼ del «significato»; qui il principio di autorevolezza dell’enunciato viene soppiantato da quello di libera individualità delle parole liberate dalla sottomissione al significato ordinario socialmente condiviso.

    Marie Laure Colasson

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  14. L’identità veggy

    Ceci n’est pas une saucisse. Viene da scomodare Magritte alla notizia della conversione in legge del decreto francese sul meat sounding, che vieta l’uso di parole come bistecca o salsiccia per prodotti non derivati da animali. Il decreto, emanato a febbraio, ha ricevuto ad aprile il parere contrario del Consiglio di Stato di Parigi, per dubbi di legittimità costituzionale. Il decreto si richiamava alla sentenza, luglio 2023, della Corte di giustizia dell’Unione Europea, che negava la possibilità per uno Stato membro di adottare provvedimenti nazionali per regolamentare questo tipo di materia. Tuttavia, il governo Attal ha deciso di andare avanti. Così anche la Francia, dopo l’Italia, va a inguaiarsi nella querelle proteine animali vs vegetali: L’identità veggy.

    Sbaglieremmo se la considerassimo una mera querelle lessicale. Chi si oppone a un innocente hamburger vegetale? gli agricoltori, gli allevatori?, possiamo lecitamente apporre la denominazione “carne” a un cibo che della carne ha nulla sostanza?, ma che la sua composizione di legumi e ortaggi va incontro alla domanda di chi la carne non la vuole mangiare. La febbre della identità veggy etichettata ad un prodotto non veggy fa un pessimo servizio ai sostenitori del planted-food perché si travisa non solo il consumatore tradizionale di carne ma anche quello vegetariano. Chiediamoci: perché un würstel di soia lo dovremmo etichettare con il nome di carne?

    L’identità ibrida

    Questo per dire che noi già viviamo in un mondo dove vige l’identità promiscua o ibrida, al pari della guerra ibrida, la pace ibrida, le post-democrazie ibride, la psicologie ibride i romanzi ibridi, le poesie ibride… di qui arriviamo ad un passo dalle identità cyborg, gli avatar delle poesie kitchen o phantasy poetry. Non c’è da stupirsene affatto, il futuro che ci aspetta è intessuto di ibridismo dove le identità sottostanti si smarriscono in un labirinto di elementi di spuria provenienza…

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  15. Ecco un esempio di hybrid poetry che sarà pubblicato nella prossima antologia Exodus:

    Giorgio Linguaglossa

    Caro Gneo Gaius Fabius,

    Se chiedete a dieci esperti quale sia l’ingrediente segreto del successo di Nvidia, nove vi risponderanno con una strana parola: CUDA, è un acronimo, sta per “Computer Unified Device Architecture, un software”. Di questo ecosistema fanno oggi parte anche i principali provider di servizi di cloud computing: AWS, Google e Microsoft nei cui data center ronzano gli Nvidia A100, i neuroni di silicio che hanno messo a soqquadro il mondo

    L’olocausto nucleare ebbe luogo quando il pesce Lavrov iniziò ad usare il dentifricio Pepsodent anti placca. Disse che gli F-16 lui li avrebbe usati come stuzzicadenti

    Uno scarafaggio uscì dalla bocca di un topo moribondo
    Un corvo appollaiato sul cofano di una peugeot prese a tossire

    Le cabine telefoniche vennero tutte espiantate
    Per l’occasione un neutrino impazzito uscito dall’LHC del Gran Sasso ha preso a bighellonare per viale Mozambico all’EUR dove transitavano frotte di turiste cinesi che si facevano selfie con lo smarthphone

    Odisseo ebbe un gran daffare per mettere ordine nella catena di approvvigionamento di munizioni al fosforo destinate a Zaporhizhia. Sì. Tutto ebbe inizio dal cavallo di Troia

    Clitennestra afferma che la metastabilità di un eccesso pulsionale dà luogo ad una perdita che chiamiamo Eros, il che altro non è che un rapporto trasduttivo o transgenico
    Eticamente i neutrini si costituiscono in sindacato, contestano la pretesa dei protoni di tenerli a bada

    Per una interlinea in più i marziani svendettero i punti interrogativi e gli esclamativi affermando che in condizioni di zero Kelvin la gravità aumenta in modo proporzionale al quadrato della distanza costruita sull’ipotenusa

    Così portammo i bambini alla spiaggia
    Il solleone fiutò del tecnezio e del germanio prima di indossare il costume da bagno

    E tutti insieme ci recammo al largo a bordo di pedalò e di catamarani per l’allegria dei poeti elegiaci che stavano ammirati dinanzi all’orizzonte color cadmio
    Eravamo nel bel mezzo del cammin di nostra esistenza

    Quando si alzò maestoso il fungo gigantesco sopra le magnifiche sorti e progressive
    Quelle furono le nostre ultime parole, ma non ricordo più quali

    Poi venne il buio

    (Germanico)

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  16. attanasio cavalli

    …è interessante notare come i poeti della Poesia KITCHEN fanno uso frequentissimo di locuzioni e termimi latini e della mitologia greca-latina, ecc., l’uso è legittimo e a nessuno viene in mente di contrastare tale uso, ed è bene che sia così.

    Nonchè uso di termini relativi alla astronomia talvolta mescolati alla astrologia, e anche questo è legittimo. Ma cosa è che non è legittimo?

    Non disdegnano queti poeti di fare uso di termini appartenenti alla fisica e matematica moderne, anche se talvolta il dubbio mi viene sull’uso appropriato, essendo, si dice scienze esatte o quasi. Si deve parlare di ciò che si sa, mentre il contrario, che è lo stendardo della ignoranza spicciola, è diffusissimo.

    p.e. il dottor Cessantibus si è laureato a Praga, dove poco più di 50 anni fa, si incontrava coi poeti e artisti praghesi , che poi sarebbero divenuti famosissimi (e tra questi ci scappò pure un Premio Nobel, non Bobel). Incontrò anche un passante che ogni notte alle dodici esatte si buttava nel fiume Moldava: suicida per vocazione e non per antonomasia…

    e poi incontrava anche poeti che in versi cantavano le delizie della cucina ceca, forse antesignani della poesia kitchen romana:

    tutto è possibile sottoil cielo di Praga, anche incontrare ogni sera il signor Kafak insieme alla signorina M. A. nota fella(t)trice di un teatrino di provincia.

    Ma qui mi fermo poi che la lingua ha denti mortali.

    Dimenticavo…. di aver visto il corpo diun poeta steso sul selciato investito da una autoblindo tedesca, si dice, esi dice anche che lesue Elegie siano superiori a quelle di un certo Maria Rainer, che in un certo ambiente era detestato come “donna pittata”, ma era una malignità tra colleghi in versi.

    due anagrammi utili a ricordare:

    allergia e allegria \\ versi e servi

    A. C.

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    • “Non disdegnano questi poeti di fare uso di termini appartenenti alla fisica e matematica moderne, anche se talvolta il dubbio mi viene sull’uso appropriato, essendo, si dice scienze esatte o quasi. Si deve parlare di ciò che si sa, mentre il contrario, che è lo stendardo della ignoranza spicciola, è diffusissimo.”

      ciò non toglie che la poesia Kitchen , almeno per quanto mi riguarda, rappresenta un tentativo di far fronte ad una realtà completamente mercificata e tecnologicamente in continua espansione, con un nuovo linguaggio che per alcuni, tra cui il sottoscritto, è quello scientifico. In questo senso l’utilizzo di termini chimici o fisici in contesti di narrazione poetica non è altro che l’espressione del proprio DNA culturale. Un caro saluto

      Franco

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  17. PIETRO EREMITA

    gli ultimi versi di Antonio Sagredo scritti poco prima della sua scomparsa da Pietro Eremita:

    a  G. C. V.

    a G. C. V.

    Non mi viene nessuno incontro dopo la fine sul rogo,
    nemmeno le parole e i loro suoni mi fanno compagnia.
    Mi venivano in mente i versi del ritorno dal martirio,
    l’ottuso capestro, il legno arso e la lingua recisa.

    +

    Dagli ultimi occhi fuggono via danzando anche le visioni,

    Mi sono ritrovato orfano sul palco per una colpa inesistente.
    Di me non resta che un mucchio di ceneri da gettare dal molo
    Ionico per onorare i marosi dei cavalli secondo Gianni Godi.

    +

    Ho appreso sgomento il mio malessere per un pugno di sogni
    Gettati sulla Terra, e mi sono rivolto al mio carnefice baciando
    I suoi occhi perché non guardasse la mia allegria in fiamme.
    I cavalli dei miei pensieri con gli zoccoli hanno acceso il fuoco!

    +

    Sono venuti a visitarmi gli spiriti liberi e alati, le schiere delle leggende
    Giovani. E i poeti, in primis Scardanelli, piangendo mi hanno incoronato
    di lauri, e con le loro lacrime hanno provato a spegnere gli incendi.
    Gli occhi delle parole in fiamme hanno visto come eterno è il mio canto.

    +

    Hanno insanguinato la gioia ardente
    del mio morire
    allegramente!

    Antonio Sagredo

    Roma, 1 giugno 2024

    (notte fonda)

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  18. federico prati

    “Il Signore delle passeggiate europee” ha pianto.

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  19. CARI TUTTI,
    ha ragione il poeta Linguaglossa a dire che il mondo è diventato provocatorio:
    bisognerebbe resettare gli ormoni o inventarne nuovi.
    L’ipofisi però non risponde, se ne va per proprio conto. Veti di qua di là e la corteccia ha gambe corte.
    E dunque fegato in disordine. Cuore ipertrofico per muscoli immaginari.
    A che serve gonfiare il ventricolo sinistro fino a fargli sputare i denti del giudizio?

    Lo stesso fanno le tastiere dei PC, diventando sempre più rabbiose.
    È di ieri la notizia che un ESC s’è messo a sparare contro CANC, all’altro capo del mondo.

    Italia e Nuova Zelanda due a zero.

    Si cercano i responsabili tra le cellule elettriche, ma quelle non si fanno trovare.
    Tutta colpa della tecnologia porno che diventa acqua nel breve volgere di una prestazione.
    Piombo travestito da Germanio, che fonde chip in soldatini.

    Imperversa l’endecasillabo nelle tazze di brodo.
    Neri tasti danzano intorno al fuoco mimando ombre e scheletri del trapasso.
    Ma è solo un dado vegetale nella foresta amazzonica.

    Chi pigerà per primo l’uva di fuoco?

    Chi recita dal fronte la sua poesia alla mamma, ovvio, prima del RA-TA-TA su numeri innocenti.

    Ma la battaglia tra iene e cani selvatici si decide a morsi sul sedere non certo in musica di sonetto.

    G.G.Fabius

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    • Cari Tallia e Gneo Gaius Fabius,

      il testamento di Trimalchione ha fatto scalpore, 100 milioni di sesterzi per la sua concubina, 30 milioni per il suo compare di copula e il suo impero diviso per i figli di primo e secondo letto e le sue mogli
      Il bianco è diventato il nero e viceversa
      Qui all’anfiteatro Flavio i salviniani salutano Mattarella nuovo tribuno della plebe
      Pascoli è un demagogo elegiaco e Garibaldi l’autore della “Divina Commedia”

      Le porte della mia abitazione a San Paolo fuori le mura sono ben chiuse, anzi sprangate ai peti dei plebei e dei facinorosi
      Gli sgarbi di turno hanno eletto il critico Linguaglossa alle elezioni europee
      Mi chiedete di Scintilla a Mediaset, il “Grande Progetto?”, la nuova fenomenologia del poetico, la Poetry kitchen?
      Le cabine telefoniche sono state sostituite con i tasti cancelletto e asterisco
      La crisi è esplosa al ritorno di Odisseo ad Itaca
      I proci hanno ripreso il flauto, suonano album pianistici nel migliore dei casi e polinomi frastici nel peggiore
      Germanio e Polonio hanno issato bandiera bianca
      Imperversano i sonetti nelle tazze di brodo Knorr
      Tecnezio e americio rincorrono i polimeri
      I poeti recitano poesie sulla mamma
      A ciascuno il proprio parapendio

      Lo stile della NOe (nuova ontologia estetica) è quello delle didascalie dei prodotti commerciali e farmaceutici, la sua aspirazione si nutre dei vocaboli delle cartelle cliniche, di frasari di rotocalchi, di twitter, di facebook, di instagram. Che dire?, la NOe dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto

      È un risultato entusiasmante che mette in discussione il quadro normativo della forma-poesia
      Quello che oggi occorre fare con urgenza è riparametrare e ri-concettualizzare le forme del pensiero poetico, anche perché dopo Franco Fortini e Mario Lunetta la resa dei conti stilistica del «poetico» è rimasta in sospeso. Le procedure della de-figurazione e della de-localizzazione sono in opera da lungo tempo, ciò che resta sono i residui, gli scarti dei linguaggi polimerizzati…

      (Germanico)

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  20. gino rago

    Brevi precisazioni su “modernismo” e “postmodernismo” in riferimento alla “pallottola” e alla gallina Nanin le quali, in fondo, tentano di fare un retelling della letteratura italiana e occidentale del XX° secolo e di parte del XXI°

    1- Questi versi:

    […]la pallottola dell’egregio poeta Gino Rago ha finito la sua corsa,
    si è spiaccicata sulla statua di bronzo
    di Eugenio Montale
    […]”

    intendono segnalare il definitivo tramonto del modernismo poetico metafisico e l’avvento di ciò che va sotto il nome di Postmodernismo.

    2- Benché il termine Postmoderno si sia collocato al centro del dibattito letterario, artistico e filosofico degli anni Ottanta del vecchio secolo, per vedere il dispiegamento del postmoderno in quanto logica culturale del tardocapitalismo, secondo la illuminante formula di Jameson, bisogna attendere gli anni Novanta in un processo che, in realtà, arriva fino ai giorni nostri.

    Non è un caso che si usi la parola dispiegamento in considerazione del fatto che il postmoderno non è una corrente culturale, ma una condizione storica della cultura, in una determinata fase del capitalismo.

    Questo dispiegamento produce la crisi del sistema letterario del ‘900, una crisi accelerata, ma non causata, dalla nascita delle rete. Una crisi che in fondo prosegue tuttora.

    Ma occorre anche dire che la dimensione ideologica del postmoderno subisce a un certo punto scacchi e critiche già a partire dagli anni ’90, anni nei quali si registrano reazioni alle poetiche del postmoderno, come, ad esempio, l’intervento su Calvino di Antonio Moresco ne Il paese della merda e del galateo.

    3- Nella seconda parte di Storie di una pallottola e della gallina Nanin, la gallina Nanin si muove in gran parte proprio nel paese del galateo e della merda.

    Gino Rago

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    • caro Gino Rago,

      Sulla sopravvivenza dell’opera di poiesis nell’epoca della sua riproducibilità digitale

      Scrive Giorgio Agamben:

      «È curioso come in Guy Debord una lucida coscienza dell’insufficienza della vita privata si accompagnasse alla più o meno consapevole convinzione che vi fosse, nella propria esistenza o in quella dei suoi amici, qualcosa di unico e di esemplare, che esigeva di essere ricordato e comunicato. Già in Critique de la sèparation, egli evoca così a un certo punto come intrasmissibile “cette clandestinité della vie privée sur la quelle on ne possède jamais que des documents dèrisoires” (p. 49); e, tuttavia, nei suoi primi film e ancora in Panégyrique, non cessano di sfilare uno dopo l’altro i volti degli amici, di Asger Jorn, di Maurice Wyckaert, di Ivan Chtcheglov e il suo stesso volto, accanto a quello delle donne che ha amato. E non solo, ma in Panégyrique compaiono anche le case in cui ha abitato, il 28 della via delle Caldaie a Firenze, la casa di campagna a Champot, lo square des Missions étrangères a Parigi… Vi è qui come una contraddizione centrale, di cui i situazionisti non sono riusciti a venire a capo e, insieme, qualcosa di prezioso che esige di essere ripreso e sviluppato – forse l’oscura, inconfessata coscienza che l’elemento genuinamente politico consista proprio in questa incomunicabile, quasi ridicola clandestinità della vita privata. Poiché certo essa – la clandestina, la nostra forma-di-vita – è così intima e vicina, che, se proviamo ad afferrarla, ci lascia fra le mani soltanto l’impenetrabile, tediosa quotidianità. E, tuttavia, forse proprio quest’omonimia, promiscua, ombrosa presenza custodisce il segreto della politica, l’altra faccia dell’arcanum imperii, su cui naufragano ogni biografia e ogni rivoluzione. E Guy, che era così abile e accorto quando doveva analizzare e descrivere le forme alienate dell’esistenza nella società spettacolare, è così candido e inerme quando prova a comunicare la forma della sua vita, a fissare in viso e a sfiatare il clandestino con cui ha condiviso fino all’ultimo il viaggio».1

      Ciò premesso, penso che l’esistenza dell’opera di poiesis nell’epoca del post-tardo-capitalismo, ovvero, nell’epoca del mondo digitalizzato, ovvero dello spettacolo digitale, subisca una trasformazione notevolissima che pone un Grande Interrogativo sulla legittimità e possibilità della sua sopravvivenza. In altre parole, l’esistenza dell’opera d’arte nelle condizioni della sua riproducibilità e comunicabilità nell’epoca del capitalismo digitale non può più essere data per scontata ma dobbiamo accettare l’ipotesi plausibile che essa non abbia altro campo di possibilità che indossare un abito da leopardo, un abito multi tasking, hybrid e kitchen se vuole sopravvivere in qualche modo, sia pur larvale e irriconoscibile.

      1 G. Agamben, L’uso dei corpi, Neri Pozza, 2017, pp. 11,12.

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  21. francescodegirolamo

    A proposito di pallottole, ho pensato di mandarvi questa mia poesia sulla parata militare del 2 giugno. Spero non risulti pretestuosa. Penso possa essere in tema, in qualche modo. Certamente la sua rabbia antimilitarista può risultare un po’ antica, per nulla kitchen, temo. Non so fare di meglio, al momento. Ma spero si possa essere indulgenti con un figliol prodigo non ancora abbastanza pentito della sua inguaribile eterodossia. Buona festa della Repubblica, senza ulteriori incrementi di spese militari per eserciti, armi e pallottole, mi auguro.

    Parata

    E se alzi gli occhi lo rintracci a stento
    il sangue entrato nelle falde aperte
    che ormai la terra non può più nascondere.
    Le orme del nostro tempo: belve affabili,
    costruttrici di fiori velenosi,
    girandole di fuoco “amico”, infide,
    per arrestare il corso imprevedibile
    del multiforme, difficile domani,
    contro il cammino di imberbi nemici,
    donne in attesa di infimi vagiti,
    troppo poco armoniosi, al loro udito
    avvezzo al tintinnare del profitto,
    incognite sinistre, inaccordabili,
    le griffe dei gregari della pace,
    dalla sahariana addosso al mercenario,
    al blazer blu del sottosegretario.
    Ma una smorfia nel cielo, cupo e livido,
    saetta sulle maschere del rito,
    come un uccello gravido di morte.
    E insaziabile addenta il frutto morbido,
    soave, rigoglioso, riclonato,
    della menzogna alata, vittoriosa.

    Francesco De Girolamo

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  22. rita casale

    I proci vivono a cipro =anagramma

    kitchen – technik= anagramma

    ——————————————————————-

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  23. PIETRO EREMITA

    suggerisco di usare ampliandoli gli:

    ossimori metaforizzati, metonimizzati, iperbolizzati e notomizzati

    Poi urge un nuovo post: e suggerisco| :

    la poesia KITCHEN nell’epoca della riproducibilità tecnica

    La poesia Kitchen è anche una poesia tecnica come suggerisce il suo anagramma (vedi
    sopra).

    Per un nuovo ciclo di poesie un nuovo titolo,
    p.e.accattivante è il titolo: .

    “Astri e Disastri”

    Il celeberrimo Dottor Cessantibus ci mette la mano sul fuoco se non il braccio intero, imitando l’altrettanto celeberrimo
    Muzio Scevola.
    Perché tecnica la poesia KITCHEN?
    Perchè assembla razionalmente tutti i pezzi restanti dal fallimneto di tutte le correnti e movimenti letterari,in tale modo che non li distingui più, divenendo così una poesia universale e per di più eclettica.
    I pezzi sono montati e smontati, montabili e smontabili di modo che che la poesia lirica e la poesia surrealista, p.e., si mescolano così perfettamente da essere indistinguibili. Da qui il poeta “creator” diviene “discreator”.

    adieu!!!

    ——————————————–

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  24. PIETRO EREMITA

    Antonio Sagredo mi invia gli ultimi versi del suo ciclo “Canti senili e altro”, ed io disobbedendo li pubblico nonostante il suo parere contrario.
    Sagredo non ha bisogno di presentazioni, oramai la sua fama di poeta e di traduttore-slavista è così consolidata che può permettersi di rifiutare cattedre e premi a non finire. Anche perchè è stanco di viaggiare per la Terra, che ritiene troppo piccola, e che preferisce mirare la Terra stessa da cenrtinaia di migliardi di km., e cioè di non mirarla per nulla e di dove il tempo e lo spazio stesso non hanno più valore di esistere, perchè inisservabili.
    Pietro Eremita

    —————————————————————
    Sono venuti a visitarmi gli spiriti liberi e alati, le schiere delle leggende
    Giovani. E i poeti, in primis Scardanelli, piangendo mi hanno incoronato
    di lauri, e con le loro lacrime hanno provato a spegnere gli incendi.
    Gli occhi delle parole in fiamme hanno visto come eterno è il mio canto.

    Hanno insanguinato la gioia ardente
    del mio morire
    allegramente!

    Antonio Sagredo
    Roma, 1 giugno 2024
    (notte fonda)

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  25. milaure colasson

    Scrive Gino Rago:

    il postmoderno non è una corrente culturale, ma una condizione storica della cultura, in una determinata fase del capitalismo

    Condivido. Guy Debord aveva letto nella società dello spettacolo i prodromi della rivoluzione digitale in atto, e la poetry kitchen è la forma poetica più avanzata che mostra la più acuta sensibilità per gli sviluppi della poiesis in questa attualità-congiuntura della de-politicizzazione in atto che investe la vita dei cittadini europei, la sua politica e la sua poiesis.

    La fine del bipolarismo europeo Macron-Scholz

    La Francia del declino di Marcon e dell’ascesa di Bardella è il laboratorio di nuove sfide: da un lato i populisti di destra e dall’altro i liberali. Della sinistra non v’è traccia, in Germania Scholz è in declino di consensi, l’asse Parigi-Berlino verrà distrutto con la conseguenza che verrà a mancare l’asse storicamente trainante della Unione Europea. Il sovranismo in ascesa in Europa sposterà l’ago della bilancia a destra con la conseguenza che i partiti che vedono nell’Europa il proprio nemico proveranno a distruggere quanto si è fatto finora in Europa con il ritorno agli stati nazionali. L’Europa si contraddistingue per essere un continente che si è depoliticizzato, in cui i suoi cittadini investono più nella vita privata che nella vita pubblica, il che segnerà certamente una conversione ad U della vita politica dei cittadini europei con il ritorno degli interessi dei ceti egemoni e più ricchi a discapito dei cittadini più svantaggiati mentre i populismi (di destra e di sinistra) in ascesa vedranno coronati i loro progetti anti-europei. Mentre la guerra ai confini della UE volge verso la vittoria della Russia. Questo è quanto.

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  26. NSE

    La mia interpretazione pragmatistico/analitica:

    Il testo, in sé, non è sgradevole.

    Non si mostra totalmente scevro di deissi, illocuzioni, azione linguistica, presupposizioni, implicazioni, implicature, contesto. La gabbia metrica è inesitistente e non c’è la rima a organizzare il ritmo di questa poetry kitchen. Questo testo è a brani sensato e a brani insensato.

    Ci sono <destinatari> e un <messaggio>. Ciò dovrebbe mettere il testo al di fuori della NOE.

    Qualche osservazione e curiosità

    A. Milaure scrive: <il postmoderno non è una corrente culturale, ma una condizione storica della cultura, in una determinata fase del capitalismo>. No, categoricamente: il Postmoderno (o Postmodernismo) è una corrente culturale, un movimento culturale, cui collaborarono Jacques Derrida, Michel Foucault, Jean-François Lyotard, Richard Rorty (stranissimo, io lo metterei nel post-pragmatismo), Jean Baudrillard, Fredric Jameson, Douglas Kellner, Jürgen Habermas (che io metterei nell’ermeneutica), Andreas Huyssen, Gianni Vattimo, Jesús Ballesteros e Rosa María Rodríguez Magda. L’elenco non ha caratteri di esaustività, è stato copia/incollato da un elenco elaborato dall’amica Franca D’Agostini (massima esperta di storiografia filosofica contemporanea). L’evo, è il Tardomoderno. Noi viviamo il Tardomoderno, evo con dettagliate nuovissime regole socio/antropologiche (liminalità – connessione/ disconnessione nei rapporti – neo-capitalismo nomade […]). I Latini non vissero nel Postantico. Vissero nel Tardoantico. Da storico mi impunto su questa differenza fondamentale tra un movimento che dichiarò la fine della <storia>, con la fine dei metarecits (Lyotard), e un evo, il Tardomoderno, dove viavaiamo.

    B. Giorgio scrive:

    <Ciò premesso, penso che l’esistenza dell’opera di poiesis nell’epoca del post-tardo-capitalismo, ovvero, nell’epoca del mondo digitalizzato, ovvero dello spettacolo digitale, subisca una trasformazione notevolissima che pone un Grande Interrogativo sulla legittimità e possibilità della sua sopravvivenza. In altre parole, l’esistenza dell’opera d’arte nelle condizioni della sua riproducibilità e comunicabilità nell’epoca del capitalismo digitale non può più essere data per scontata ma dobbiamo accettare l’ipotesi plausibile che essa non abbia altro campo di possibilità che indossare un abito da leopardo, un abito multi tasking, hybrid e kitchen se vuole sopravvivere in qualche modo, sia pur larvale e irriconoscibile>. Non esiste un <post-tardo-capitalismo>. La definizione socio/antropologica esatta è neo-capitalismo nomade, al netto delle fresconate del <turbo-capitalismo> à la Fusaro. Perchè <nomade>? Perchè è irrintracciabile, ignoto, inarrivabile e impedisce ogni forma di rivoluzione (Luigi Lombardi Vallauri): strutturalmente i Cda di multinazionali confluiscono in Cda di altre multinazionali all’infinito, senza che si identifichi il titolare delle multi-aziende multinazionali. L'<artista>, dunque, deve farsi <nomade>: è il fulcro della NeoN-Avanguardia, fondata da vent’anni. Perchè NeoN? Perchè il neon è inerte, incolore, anonimo, e combatte la fluidità baumaniana del Tardomoderno. L’artista, o la filiera solidale, deve essere <gassosa> e neutralizzare la <liquidità> del Tardomoderno. Sono contento che la NOE acquisisca concetti introdotti da un ventennio dalle neo-avanguardie millenials.

    C. Gino scrive: <Non è un caso che si usi la parola dispiegamento in considerazione del fatto che il postmoderno non è una corrente culturale, ma una condizione storica della cultura, in una determinata fase del capitalismo>. Errore: vedere Milaure.  Fredric Jameson, tra l’altro, nelle sue opere finali, rifiuta decisamente il Postmodernismo e si riavvicina al marxismo dialettico adorniano. L’ultimo volume uscito è un volume di ontologia (…)  Archaeologies of the Future: the Desire Called Utopia and other Science-Fictions , dove inneggia al fantasy come risoluzione di tutti i mali (sfruttate il volume con la vostra poetry kitchen).

    D. Franco scrive: <ciò non toglie che la poesia Kitchen , almeno per quanto mi riguarda, rappresenta un tentativo di far fronte ad una realtà completamente mercificata e tecnologicamente in continua espansione, con un nuovo linguaggio che per alcuni, tra cui il sottoscritto, è quello scientifico. In questo senso l’utilizzo di termini chimici o fisici in contesti di narrazione poetica non è altro che l’espressione del proprio DNA culturale>

    Riporto una porzione di una recensione di Teti Ranieri:

    <Dopo una ridda di esattissimi termini medici, che suonano bene in questa poesia (che d’altronde, da una malattia trae spunto), sul finire della poesia l’autore ci intima di salire tutti a bordo del testo, persuasivo, convincente e intransigente. Partendo dalle nostre periferie, anche “in comitiva”>.

    Le neo-avanguardie millenials utilizzavano termini tecnici nelle loro <anti-poesie>. Sono contento che la NOE acquisisca concetti introdotti da un ventennio dalle neo-avanguardie millenials.

    E. Giorgio scrive:

    <Lo stile della NOe (nuova ontologia estetica) è quello delle didascalie dei prodotti commerciali e farmaceutici, la sua aspirazione si nutre dei vocaboli delle cartelle cliniche, di frasari di rotocalchi, di twitter, di facebook, di instagram. Che dire?, la NOe dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto>.

    Riporto una porzione di una recensione del mitico Francesco Piselli (+):

    <Ho trovato un  respiro largo, con rime sonore e congrue di tanto in tanto: mi ha fatto contento e mi ha dato piacere. Poi c’è un particolare, la copertina (ben fatta) di Patroclo col Maalox plus ed un flaconcino che mi ha tutto l’aspetto  di EN o Lexotan. Ma trovo simboli. Maalox bruciore che si ha dentro, Lexotan serenità dell’arte. Potrebbe esserci qui una via critica>

    Le neo-avanguardie millenials e l’Anti-gruppo siciliano utilizzavano termini farmaceutici, medici, da rotocalco, sullo star system, sul web nelle loro <anti-poesie>. Sono contento che la NOE acquisisca concetti introdotti da un ventennio dalle neo-avanguardie millenials.

    F. Antonio scrive: <è interessante notare come i poeti della Poesia KITCHEN fanno uso frequentissimo di locuzioni e termimi latini e della mitologia greca-latina, ecc.,>.

    Pubblico l’inizio del testo Il destino di Siface, definito via email, dal critico Giorgio Linguaglossa, come un <capolavoro>:

    Tito Livio, contro Polibio, si compiace

    di spiegarci il destino di Siface.

    La cronaca: raccontiamo i meri fatti

    come farebbe Govoni coi suoi fiori soddisfatti.

    Gli antefatti: Scipione attiva Massinissa e Lelio

    contro un Siface costretto a dare er mejo.

    Per Siface, in Magnos campos, è amarissimo il boccone

    d’essere sconfitto al Bagrada insieme ad Asdrubale Giscone:

    Postero die Scipio cum omni Romano et Numidico equitatu Masinissamque Laelium

    expeditisque ad persequendos Syphacem atque Hasdrubalem mittit militum.

    Le neo-avanguardie millenials utilizzavano latino, greco, richiami a eroi e divinà (Eros ed Anteros) nelle loro <anti-poesie>. Sono contento che la NOE acquisisca concetti introdotti da un ventennio dalle neo-avanguardie millenials.

    G. Giorgio scrive: <La poiesis kitchen è l’espressione artistica più consapevole alla domanda della posizione dell’«arte» in un mondo «storiale»; ovvero, in un mondo «storiale» ci può essere soltanto una poiesis «storiale», cioè non-storica, che non abita più un orizzonte storico. La nuova fenomenologia del poetico è la fenomenologia di una poiesis storializzata che si presenta incubata e intubata in una duplice cornice, se così possiamo dire, una cornice esterna al quadro e una cornice interna ad esso. La poiesis possibile sarà soltanto quella che si situi all’interno tra le due cornici, nell’intercapedine tra le due cornici là dove si apre uno spazio vuoto, vuoto di significazione. Si tratta di una poiesis ovviamente priva di «essenza» e di qualsivoglia «interiorità»>

    La poetry kitchen vive nella storia e fuori dalla storia, non è soggetta a critica letteraria, è una fenomenologia del poetico (come l’ermetismo), non rientra nelle categorie della socio/antropologia. Vive in una sorta di <intercapedine>, concetto che mi ricorda molto il concetto di <liminalità> “sottratto” da Binswanger a Jaspers e utilizzato, col senso di <chorasticità> (antologie collettive Chorastikà, startuppate dal mitico Alberto Bertoni). Poi qualcuno mi spieghi cosa significhi l’asserzione <mondo storiale>. L’ho cercata ovunque, e non esiste.

    Le neo-avanguardie millenials utilizzavano il rifiuto della critica moderna e il concetto di frammento <chorastico> nelle loro <anti-poesie>. Sono contento che la NOE acquisisca concetti introdotti da un ventennio dalle neo-avanguardie millenials.

    H. Milaure scrive:

    <La poesia kitchen è in continua evoluzione-movimento, è semplicemente una modalità, una eventualità perché non è basata su nessuna ontologia stilistica e/o linguistica, è rimasta priva di una qualsivoglia ontologia (o forse ci sono tante ontologie quanti sono gli abitanti del pianeta Terra)>

    Giorgio Linguaglossa scrive: <Il discorso che l’Ombra sta portando avanti in tutti questi anni è proprio questo: detto in poche semplici parole sostituire l’antica ontologia della poesia elegiaca e/o sperimentale del novecento con la nuova ontologia del linguaggio poetico>

    Il discorso ontologico è o meno fulcro della NOE? Questa è la crux desperationis che lo stesso Lucio Tosi mi faceva notare. La nuova <poesia> si fonderà su una nuova ontologia sematica (NOE) o – come ho spiegato altrove- dovrà fondarsi su una socio/antropologia tardomoderna pragmatica (NSE)? Perchè aldilà del dibattito ontologico/socio/antropologico non trovo moltissime novità nella poetry kitchen– La NOE, inconsapevolmente acquisisce e formula concetti introdotti da un ventennio dalle neo-avanguardie millenials.

    Grazie a tutti

    [Per correttezza ho schreenshottato, con minuto ora e data, il mio commento, e, in caso di nuova sparizione, fotograferò il vuoto]

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