Mimmo Pugliese, Domani il giorno comincia un’ora prima (Progetto Cultura, 2023, pp. 100 € 12.00), La poesia di Mimmo Pugliese è un binocolo che osserva da molto lontano il mondo ridotto a fumo e cenere che il minimo alito di vento farebbe volare via se non ci fosse il ferro di cavallo della colonna sonora della griglia pascoliana ma così scolorita da renderla, per fortuna, irriconoscibile e impalpabile; e infatti irriconoscibile lo è la poesia di Pugliese, proprio come tutta la poesia della natura de-naturata e della natura contro-formattata della migliore e consapevole poesia di oggidì che fa capo alla nuova fenomenologia del poetico, ovvero, la poetry kitchen

Mimmo Pugliese cover

“Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi.”
“la pagliuzza nel tuo occhio è la migliore lente di ingrandimento.”
“L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità.”
“Il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine.”

Caro Mimmo Pugliese,

Questi aforismi di Adorno, tratti da Minima moralia del 1951, sono il miglior introibo che io possa fare alla tua poesia. Ai quali ci aggiungerei quest’altro di mia produzione: «Le parole hanno dimenticato le parole».

Mi chiedo come è possibile sostenere che il soggetto fondatore è indicibile (e quindi la parola è impronunciabile) e fare di questo indicibile il senso stesso del discorso poetico? Non si continua in tal modo a pensare a partire dagli stessi termini, ma capovolti?

La «traccia dell’origine», in Derrida, funzionerà esattamente come un che di originario: essa si produce occultandosi e diventa effetto; lo spostamento qui è produzione e riproduzione. La «traccia dell’origine» del linguaggio pascoliano che ha dato luogo al minimalismo maggioritario dei giorni nostri funzionerà esattamente come un «che» di originario, che si produce occultandosi, con il risultato di diventare effetto, lo spostamento qui è produzione e riproduzione di significazioni.

La non-adeguazione dell’originario a sé stesso attraverso un logos dell’originario è d’altronde una vecchia idea del proposizionalismo che si trova già in Descartes agli albori del Moderno, poiché la ratio cognoscendi non può porre in primo luogo ciò che è realmente primo; di qui il ritorno all’origine di certa poesia elegiaca che è sempre confortevolmente adeguata a se stessa. È qui che Mimmo Pugliese introduce uno scarto, una inadeguazione, una distanza.

È questo lo scotto che paga la poesia kitchen, di una permanente «inadeguazione» del discorso poetico ad approssimarsi ad un originario posto e/o supposto.

Il discorso poetico di Mimmo Pugliese non è più un voler/poter dire, un atto di potenza e di rappresentazione. È il discorso sotteso alla «Muta» di Raffaello: lei ci parla meglio e con più chiarezza di quanto possano parlarci le più belle parole dei poeti del suo tempo; mi chiedo: è possibile raffigurare in parole, o tramite i colori un soggetto che non può più parlare? È dicibile l’indicibile? È rappresentabile l’irrappresentabile? È questo il paradosso nel quale nuota la poiesis del moderno, il paradosso dell’Urlo di Munch, ma è un paradosso necessario alla poiesis.

Con concetti come quelli di «traccia» o di «differenza», si traduce lo scollamento del soggetto dall’enunciato, dal discorso stesso, di cui diventa impensabile che possa esserne il «Governatore». La «differenza» è questo scarto, questo recupero impossibile del soggetto da parte del soggetto incessantemente differito nel movimento del discorso rispetto a quello dell’originario. Il soggetto sarà parlato e significato in una catena di significanti, in una rete che lo dispiega e, nello stesso tempo, lo allontana. Lacan dirà il celebre motto secondo cui «il significante è ciò che rappresenta il soggetto per un altro significante»,1 che consacra la scissione del soggetto da sé stesso, come in Barthes, dove il soggetto non aderisce più al testo, di cui è solo «porta-voce» e non «autore» in senso teologico. Lacan fa del soggetto questa «presenza assente», questa rottura che fa sì che l’uomo non sia più segno, con un significante che si libera dal rapporto fisso col significato, e si indirizza dal suo luogo verso un altro luogo. Il soggetto è in questa traccia, nascosto in questo solco, che si sposta, che pronuncia quelle parole «mute».

Il soggetto è abilitato dal significante, dal segno che rimanda ad un altro segno. Nella misura in cui la poesia fa un uso logologico dell’io, la semantica diventa una mantica  e la poesia si riduce a magia bianca. Quando invece è magia nera. Così, l’io prende il piffero e diventa un pifferaio magico, diventa altro da sé, avanza con la maschera dell’io che stabilisce la propria mono identità mediante la rimozione dell’altro da sé che egli è. La mono identità dell’io si realizza al prezzo del rimosso, o meglio, di quella parte del «sottosuolo» che è «il sottosuolo del sottosuolo». In tal modo risulta rimosso lo scarto retorico rispetto al sé, retorico perché l’identità è letterale più che figurata, quella letteralità che una posizione di poetica maggioritaria fa rientrare nel circolo dell’io positivizzato e privatizzato.

Gli adulti italiani del primo novecento educati alla poesia del Pascoli di Myricae (1891- 1903) avevano della poesia una rappresentazione illibata e intonsa, posizione che il Croce ha poi eternizzato nella  famosa forbice dicotomica: o è poesia o non lo è, risolvendo a suo modo, in modo semplicistico e al modo del liberalismo italiano post-ottocentesco una questione che avrebbe dovuto comportare una ben altra problematizzazione. Quegli adulti poi sarebbero andati come ufficiali cadetti e soldati a invadere la Libia nel 1911 e poi nel 1936 in Spagna e a compiere massacri senza falsa coscienza e senza colpo feìrire… ammesso e concesso che le poesie del Pascoli avessero la funzione sanatoria di silenziare rimorsi (semmai ve ne fossero stati) e i dubbi sui massacri che gli italiani stavano compiendo. In modo analogo, gli adulti italiani del secondo novecento, senza compiere massacri e senza colpo ferire hanno raggiunto la dimensione del «dolore» privatizzato e pubblicizzato da mettere in vetrina su Facebook, su Twitter, su Istagram, su il Grande Fratello con un linguaggio bonificato, anestetizzato e lubrificato.

La poesia di Mimmo Pugliese è un binocolo che osserva da molto lontano il mondo ridotto a fumo e cenere che il minimo alito di vento farebbe volare via se non ci fosse il ferro di cavallo della colonna sonora della griglia pascoliana ma così scolorita da renderla, per fortuna, irriconoscibile e impalpabile; e infatti irriconoscibile lo è la poesia di Pugliese, proprio come tutta la poesia della natura de-naturata e della natura contro-formattata della migliore e consapevole poesia di oggidì che fa capo alla nuova fenomenologia del poetico, ovvero, la poetry kitchen.

Quanto appare nel discorso poetico di Mimmo Pugliese come evidenza è questo aver superato le resistenze che il soggetto (je) pone all’oggetto e al soggetto; lavorando ad assottigliare le difese del soggetto Pugliese ha incentivato la possibilità di recepire il discorso poetico come discorso dell’Altro, discorso di un Estraneo che è entrato nella tradizione e la rilegge a suo modo e con i suoi occhiali. È questo che caratterizza la libertà del discorso poetico di Pugliese, il suo non prestare più il fianco alla vulnerabilità del soggetto, l’aver reso il soggetto (je) un Altro che rilegge la poesia della tradizione.

L’io (moi),  l’ego dell’immagine speculare, cioè quello del discorso poetico si oppone al soggetto (je) della parola degli altri, quello della tradizione; per dirla con Jacques-Alain Miller, «l’ombelico dell’insegnamento di Lacan».2 «L’io è», afferma Lacan, «letteralmente un oggetto – un oggetto che adempie una certa funzione che chiamiamo funzione immaginaria».3

Sappiamo che l’io costituisce un ostacolo al discorso del soggetto, che è il luogo in cui si esprime il desiderio. Lacan non cessa di sottolinearlo: il soggetto è un’interruzione, un oggetto inerte che si oppone alla tenace insistenza del flusso di parola inconscio che rischia di disturbare, mistificare, inquinare il discorso locutorio. Nella misura in cui il soggetto trae godimento, l’asse immaginario è pensato da Lacan come un ostacolo che perturba l’elaborazione simbolica, di cui l’io non ne vuole sapere. Il linguaggio poetico avviene sempre e soltanto allorquando si verifica una smagliatura nell’ordine del Simbolico, smagliatura attraverso la quale può fluire il linguaggio poetico.

Il discorso locutorio della poesia kitchen di Mimmo Pugliese è la voce dell’Estraneo che fa ingresso nel discorso poetico con le sue maschere, i suoi sosia, i suoi avatar e i suoi travestimenti. La tradizione è ciò che si oppone al soggetto (je), che fa resistenza… fino al punto di cedimento in cui accade una rottura delle resistenze del soggetto (je). Solo in questo momentum il discorso poetico può fluire.

La poesia di Mimmo Pugliese sembra partorita come dopo una esplosione di una bomba nucleare sporca, i significati antichi sono stati sporcificati e dissolti in una miriadi di equipollenze insignificanti… direi che la vera differenza tra la poesia Dada e la Poetry kitchen è la consapevolezza che i poeti kitchen hanno di essere insignificanti e di annunciare con i loro testi la venuta di un’età di coimplicazioni e di insignificanze gravemente negative per le conseguenze che queste caratteristiche possono avere sull’intera umanità.

Dal punto di vista della «bomba sporca» il linguaggio poetico appare come saltato in aria, dissolto in entità corpuscolari estreme; dal punto di vista della «bomba» il linguaggio umano e quello poetico hanno poco o nessun senso, dal nostro punto di vista invece: le cose del mondo di oggi si inscrivono all’interno di un collasso del simbolico, ma di tutto ciò sarebbe risibile e privo di senso accusare la poesia di esser diventata quello che è, la poesia è quello che è, punto e basta, non c’è una ragione oltre la ragione di essa. Nell’epoca contrassegnata dalla fine della metafisica la poesia viene respinta verso l’Esterno, la periferia dei linguaggi, i linguaggi in stato di relittualità e di luttuosità perdono le caratteristiche, diciamo, comunitarie, sociali per assolvere le funzioni proprie degli idioletti, a seguito di ciò i poeti vengono spinti e respinti verso le propaggini periferiche dei linguaggi e tendono a non essere più comunicativi… non comunicano più, e, in specie questo accade per i linguaggi poetici.

Heidegger in Essere e tempo (1927), instaura una vicinanza fra Stimmung (stato d’animo) e Stimme (la voce). Per Heidegger il Dasein viene richiamato dalla Stimme (la voce della coscienza) e dall’Angst alla Erschlossenheit (apertura), al suo “Da”.

La poetry  kitchen  è quell’evento che rende visibile come e quando si è infiltrata una estraneazione nel “Da”, uno spaesamento; una Spaltung che prende opera tra la Stimmung e la Stimme: la Stimmung non riconosce più la sua Stimme e va errando alla ricerca di una voce nella quale atterrare come un elicottero in avaria.

Giorgio Agamben annota che il pronome tedesco “Da” viene considerato nella linguistica di Emile Benveniste e di Roman Jakobson come uno shifter («indicatore dell’enunciazione», quelle speciali unità grammaticali contenute in ogni codice che non possono essere definite al di fuori del riferimento alla proposizione che li contiene). Per esso shifter  non è possibile trovare un referente oggettivo poiché il suo significato si definisce solo in riferimento all’istanza di discorso che lo contiene. Questo indicatore, nel suo passaggio dalla indeterminatezza semantica alla significazione determinata, opera una articolazione dal piano della langue a quello della parole. Indica, innanzitutto, «che il linguaggio ha luogo». Dasein (letteralmente è il “Da”) vorrà allora dire l’«aver-luogo del linguaggio».

Nel punto in cui la possibilità che il “Da”, abbia la  sua casa nel proprio luogo, questa possibilità viene assunta attraverso l’esperienza della morte nel modo più autentico, il “Da” si rivela allora essere il luogo da cui minaccia una «negatività radicale». L’interpretazione che ne dà Agamben è che per Heidegger la negatività entra nell’uomo attraverso l’«in-fanzia» in quanto l’uomo ha da essere questo «aver-luogo», questo fondamentale «evento del linguaggio», ciò a seguito del rapporto che lega la Stimme e la Stimmung nella forma dell’Angst; sono esse che intrattengono con il “Da” un rapporto di vicinanza. Per Agamben la Stimme rappresenta la modalità mediante la quale la tradizione ha pensato il linguaggio, ad essa si contrappone la Stimmung la sola che può invece dispiegare una dimensione linguistica nuova, autentica mediante l’esercizio storico della poiesis, infatti, nella poiesis non è scindibile la Stimme dalla Stimmung, l’una senza l’altra sono monche, ed entrambe, insieme e contemporaneamente, si ritrovano soltanto nell’evento del linguaggio poetico.

(Giorgio Linguaglossa)

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1 Jacques Derrida, Della grammatologia, trad. di Rodolfo Balzarotti, Francesca Bonicalzi, Giacomo Contri, Gianfranco Dalmasso, Angela Claudia Loaldi, Milano, Jaca Book,  1969, p. 69.
2 J. A. Miller, Lettura critica dei complessi familiari di Jacques Lacan (2005), in J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo, Einaudi, Torino, 2005.  p. 86.
3 J. Lacan, Seminario II, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2006 p. 56.

da Domani il giorno comincia un’ora prima (Progetto Cultura, 2023, pp. 100 € 12.00)

SANGUE DI PRUGNA

Dal sangue della prugna esce
sperduto uovo di aquila

Sepolta sul tombolo dalle gambe secche
conquistate dai ragni adesso che il giorno è ieri.

Ha scalato piramidi sentito ruggire il vulcano
visto navi salpare.

Sui tuoi gomiti c’è la lampada della sera,
ai bimbi presta i suoi dittonghi

Su ciniche scale musicali. Dondola sull’amaca,
Incanta le foglie dei gelsi rivolti al mare

Quando arriva primavera suona la banda,
perfora la luna una eco di aghi.

PIAZZA BOLOGNA

Al chiosco di Piazza Bologna si vendono ricordi
quando all’ora dell’aperitivo c’è la neve.

Il rumore di ossa dei tuoi labirinti
agita cieli equatoriali

Astri e atomi di polvere circondano
il vento che si è perso

Seduti alla tua tavola
alti cavalloni riverberano alle vele

Marte è diventato fratello
e tutti sono ai suoi crocicchi

Ha la testa quadrata l’alambicco
le sue pozioni spogliano le lacrime

Nascondono l’inverno gli aghi di pino
la parabola capta il segnale

I sogni delle scarpe sono in fila indiana
esposti in vetrina con il rosolio

Una sirena inquina i raggi che cedono
pantaloni neri si asciugano sul balcone

IL RUSCELLO

Il ruscello è altezzoso
sfiora nòccioli e torsoli di mela
si rincorre in un arcipelago di canne
e spacca occhi di plastica.

La porta girevole dell’albergo è triste
ha alito di pietra
in memoria ha troppe cravatte troppe valigie
vorrebbe avere le ali

Partorisce nuvole il promontorio
solo stoppie ostinate nascondono
i cunicoli scavati dalle talpe
finché non passerà qualche ladro.

Vogliono sparare alla luna
hanno fucili di precisione
sulla collina la notte non arriva mai
un riccio attraversa la strada.

Non si sa dove finiscano le foglie
quali siano i sogni migliori
maghi e prestigiatori brindano infelici
hanno dita senza destino

La campanula è fiorita
vicino alla panchina macchiata di ruggine
non smette di piovere
nella pozzanghera affoga una pulce

DOMANI COMINCIA

Domani il giorno comincia un’ora prima
a colazione inoculano cristalli liquidi.

I lati scaleni del rettangolo scorrono sulle dune,
adesso che le albicocche sono asteroidi
il collo dell’ukulele è il figlio di Andromeda.

Secoli di neve vivono in armadi di papavero,
sulla punta degli ombrelli
lo stagno diventa nave alberata.

Il pentagramma ha alamari di onice
Agata ha perso l’allure, beve succo di ceci.

La locomotiva assiste al torneo di Wimbledon,
il coppiere della Tavola Rotonda è un agente del Kgb.

Betaprotene gioca a baccarat con il gallo cedrone,
coppie di paguri baciano sulla bocca delle torce elettriche
nella tenda dell’erborista indiano
al campeggio sul versante oscuro del Circo Massimo.

UN DELFINO

Un delfino smercia casse di birra,
i segni zodiacali hanno l’emicrania
fuggono in taxi.

Il giardino d’inverno non ha palpebre,
un’ alba di betulle svincola sull’autostrada.

Giacche di ozono marciano sulle grondaie
sono in saldo fasci di endecasillabi.

Le picozze sudate dell’alpinista
brandiscono campi di grano serlvatico.

La criniera dello spritz
cerca stelle cadenti nella clessidra,
un geco disinvolto ha fatto un brutto sogno
lo racconterà alla mostra delle falci.

La tendopoli imbroglia il segnale orario
rampe di scale raggiungono Capo Horn in un balzo.

La rotta degli alluci
coincide con il prossimo anticiclone
che trafùga oggetti alla primavera.

LA VENTUNESIMA STELLA

La ventunesima stella ha fianchi di latte
l’aspettano tutti
sui ponti sui tetti.

I piedi del letto
sporgono su trapezi intatti,
tracce di nuvole distrutte.

Baratta libri e ritratti
con gilet a quadretti
la posidonia che insegue la notte.

Per arrivare in vetta
Cappuccetto Rosso stipula un contratto
con uno sciame di cavallette.

In città bambini moltiplicano per sette
la lunga fila di linee rette
che sposano le palafitte.

Il vinaio di Barletta
ha tulipani sul petto
e tasche colme di confetti.

Nel cortile piove a dirotto
negli occhi dei gatti
danzano scatenati folletti

A UN METRO

A un metro dall’inverno
la ruota panoramica butta via la lanugine
e risale la corrente tra l’Africa e l’America
prima
c he una rana in creolina coroni il suo sogno:
predire il futuro a giovani leoni
dall’oblò del transatlantico dismesso
mentre
preti e alfieri spalmano specchi
e vecchi alberi bulimici
fuggono su aerei supersonici tamponati
quando
di nascosto sull’alveo del fiume verticale
la ballerina di prima fila
arrota tacchi di brina
dopo
che in campo di isòbare
la balena in abito scuro
ha sotterrato il pianoforte a coda di rondine
durante
lo sforbiciato matrimonio
su una gondola
del tardo torero con la donna di Botero.

IL TANGO HA CAPELLI RICCI

Hai nascosto le parole dietro i denti della pioggia
le matite accanto ai gatti sugli scaffali del metaverso.

La memoria degli aghi di pino
bussa alla catatonia del polonio.

Sulle sbarre di sabbia diventa latte il ritorno
girato l’angolo è magro il fruscio del segnalibro.

Tra le virgole d’asfalto si riposano gli elefanti
sorvolano il sudore i citofoni delle banche.

La giacca di flash-back centrifuga bustine di thè
sui ponti che non ci sono resistono passeri rampanti.

Ha capelli ricci il tango uscito dallo specchio
ZZzz…ZZzz… Video in riconnessione ….

CUCCHIAI

Un fascio di cucchiai misura
la distanza tra un tampone ed il cratere di una bomba

Sotto un cielo di ontani
strambano soldati e streghe

Cigni neri ingoiano la strada
in un congelatore sagome conservano bruchi

Ideogrammi entrano ed escono dal muro
origami di carne prosciugano il faro

Una piuma sospende gli ordini del giorno
basta un secchio di vernice per impiccare i tulipani

Hai composto il numero sbagliato
le ante degli stivali seducono sedativi

Arrivi in tempo per assistere al sole
che inciampa su una pertica e si suicida.

.

Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma; esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume Agenda poesie kitchen 2023 (2022) e nel volume di saggi di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Progetto Cultura, Roma, 2022.

12 commenti

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12 risposte a “Mimmo Pugliese, Domani il giorno comincia un’ora prima (Progetto Cultura, 2023, pp. 100 € 12.00), La poesia di Mimmo Pugliese è un binocolo che osserva da molto lontano il mondo ridotto a fumo e cenere che il minimo alito di vento farebbe volare via se non ci fosse il ferro di cavallo della colonna sonora della griglia pascoliana ma così scolorita da renderla, per fortuna, irriconoscibile e impalpabile; e infatti irriconoscibile lo è la poesia di Pugliese, proprio come tutta la poesia della natura de-naturata e della natura contro-formattata della migliore e consapevole poesia di oggidì che fa capo alla nuova fenomenologia del poetico, ovvero, la poetry kitchen

  1. milaure colasson

    Comprendo molto bene l’andamento discorsivo di Linguaglossa con un tono tra il dileggiatorio e il supercilioso quando parla dell’io che avanza vestito a festa in mezzo ai cadaveri e alla distruzione del mondo contemporaneo, capisco la sua steccata irriguardosa verso il linguaggio pascoliano visto come una “traccia” rimossa di una ideologia che non c’è più perché scomparsa, affondata, come il Titanic (che attira miliardari maleodoranti che si avventurano sulle sue tracce), come è affondato quel linguaggio maggioritario (un tempo) che ha dato luogo al linguaggio maggioritario (di oggi), disdicevole, sgradevole e che male gliene incolga.
    Di Mimmo Pugliese c’è di valido che puoi intravedere in filigrana il linguaggio pascoliano ma come ribaltato da capo a piedi con la traccia rimossa e ricancellata. E’ questo di Mimmo Pugliese un modo di fare poesia modernissima con un linguaggio, questo sì, vestito a festa, ma apparecchiato per l’anti-festa.
    Un linguaggio anti-demotico e anti-populista.
    E chi vuol esser lieto, lo sia.

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  2. Per commentare Mimmo Pugliese bisogna lasciarsi alle spalle parametri tradizionali e immergersi nella corrente della nuova poesia. Si scoprirà allora che la poesia kitchen deve molto al “fuori senso” di Tomas Tranströmer, il quale però sapeva uscire dal senso del discorso affidandosi alle parole, le quali andavano a segno in modo astratto, o grazie a un volo nel vuoto per poi tornare a terra: al dicibile passando dall’indicibile.
    Due esempi tratti da poesie del poeta svedese:

    “… Ostinato brilla
    il mio orologio con l’insetto del tempo imprigionato”

    “Il geroglifico del verso di un cane
    è dipinto nell’aria sopra il giardino”

    Il fatto sorprendente è che il “fuori senso” di T. giunge a segno. Nella poesia kitchen, invece, il fuori senso è spesso lasciato libero, affidato unicamente a parole spoglie di soggetto e oggetto. Diventa predominante, nel dispositivo kitchen, l’intento di impedire ai versi di rifarsi al vecchio paradigma, considerato obsoleto, inadatto ai tempi, o alla mente costipata di linguaggi mediatici definitivamente svincolati dal reale. Ma Pugliese osserva: “sulla collina la notte non arriva mai/un riccio attraversa la strada.” Basta questo perché reale e irreale si incontrino: uscire da senso e significato e rientrare, uscire e rientrare… Penso che, chi volesse restare definitivamente nell’astrattezza delle parole, dovrà avvalersi di uno stile godibile, altrimenti in lettura sarà come andare sulle montagne russe, e per niente.
    Il vuoto non può farsi ideologia. Può solo essere vissuto, sperimentato con parole.

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  3. Tiziana Antonilli

    Ho letto ad alta voce le poesie di Mimmo Pugliese qui presentate , ho colto un rincorrersi di suoni e di musicalità kitchen. Nella poesia La ventunesima stella i richiami si infittiscoo e costituiscono un ordito da spartito musicale. Sono tutte pienamente riuscite queste poesie kitchen di Mimmo Pugliese. Come ha acutamente osservato Lucio Mayoor Tosi , immagini reali deflagrano accanto a quelle astratte, a volte il reale scaturisce dal non- essere : ‘sui ponti che non ci sono resistono passeri rampanti ‘, verso kitchen perfetto.

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  4. milaure colasson

    “Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi.”, questo pensiero di Adorno si attaglia perfettamente alla poesia di Mimmo Pugliese
    Vero è che Transtromer è il padre putativo della nuova poesia italiana, nata dai semi delle sue mirabolanti frasi. Strano è che nessuno in Italia si sia accorto del suo posto fondamentale. Quando un maestro entra in ombra vuol dire che siamo entrati nell’ombra tutti. Davvero strano questo fatto.

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  5. Tutta la nuova fenomenologia del poetico è, in certo modo, il prodotto del «nuovo mondo»,1 conglomerato di citazioni senza virgolette (non c’è bisogno che sia necessariamente virgolettato) di altri poeti dell’età del modernismo e dell’umanesimo, auto citazioni, ma anche montaggio, compostaggio incessante di tutto ciò che può essere montato, compostato; costellazione di appuntamenti segreti, ricordi, parole trovate, parole dimenticate, di fotogrammi, di lapsus e, perché no, delle nostre ossessioni, delle nostre fobie. Una «pallottola» che rimbalza qua e là e che produce una sequenza impensabile di disastri, un commissario inconcludente, un misterioso «Ufficio di Informazioni Riservate» di Gino Rago che interviene ad libitum e scombuglia il corso degli eventi, un Faust che colloquia con Mefistofele, la vita come «Registro di bordo» (Mario Gabriele). Ci guida una idea di poesia ma non possediamo alcuna poesia.
    Con questi frammenti abbiamo puntellato la nostra poesia.

    1 Cfr. G. Agamben, Nudità, Nottetempo, Roma 2009 «il nostro tempo non è nuovo, ma novissimo, cioè ultimo e larvale. Esso si è concepito come poststorico e postmoderno, senza sospettare di consegnarsi così necessariamente a una vita postuma e spettrale, senza immaginare che la vita dello spettro è la condizione più liturgica e impervia, che impone l’osservanza di galatei intransigenti e di litanie feroci, coi suoi vespri e i suoi diluculi, la sua compieta e i suoi uffici. […] Poiché quel che lo spettro con la sua voce bianca argomenta è che, se tutte le città e tutte le lingue d’Europa sopravvivono ormai come fantasmi, solo a chi avrà saputo di questi farsi intimo e familiare, ricompitarne e mandarne a mente le scarne parole e le pietre, potrà forse un giorno riaprirsi quel varco, in cui bruscamente la storia – la vita – adempie le sue promesse».

    Sulla adorniana «dialettica negativa»

    Per Adorno la dialettica è negativa perché si pone negativamente nei confronti della «razionalità strumentale» capitalistica. L’arte pensata da Adorno oppone una «negazione determinata» al «mondo totalmente illuminato» (aufgeklärte Welt) in cui si moltiplicano le immagini false e stregate dei prodotti dell’«industria culturale».
    Per Adorno è possibile affermare che quanto le opere devono criticare nella realtà sociale capitalistica è il dominio (Herrschaft) dell’uomo sulla natura e dell’uomo sull’uomo. Tale dominio risponde a una logica secondo la quale quanto più cresce la razionalità dei mezzi di produzione, tanto più essa appare in stridente contrasto con la totale irrazionalità dei fini che si perseguono attraverso gli stessi mezzi.
    Tuttavia, le modalità concrete attraverso cui le opere d’arte pongono in essere tale negazione determinata (bestimmte Negation) non hanno nulla a che vedere con una semplice affermazione di princìpi opposti a quelli prodotti dal sistema. È attraverso la loro forma, la disposizione degli elementi formali di cui sono composte, e dunque grazie a un linguaggio «non significante», «muto» e insieme carico di senso, che le opere negano la conformazione dell’esistente. In altre parole, per Adorno «la critica non si aggiunge all’opera dall’esterno ma le è immanente».1
    Tanto più il linguaggio dell’arte è «muto» quanto più l’illuminazione artificiale prodotta dal sistema di dominio è fitta e totale. Ne segue che «l’arte moderna […] rifiuta l’essenza affermativa dell’arte tradizionale come menzogna, come ideologia».
    «L’arte è la promessa di felicità che non viene mantenuta».2
    «Promesse du Bonheur significa di più del fatto che la prassi fin qui esercitata contraffa la felicità! La felicità sarebbe al di là della prassi. A dare la misura dell’abisso tra la prassi e la felicità è la forza della negatività interna all’opera d’arte».3

    Tutta la tradizione metafisica non ha fatto che ripetere a se stessa che c’è un inizio ed una fine, che c’è una origine e poi qualcosa che ne deriva, che la rappresenta, che le permette di evolversi, espandersi, uscire fuori di sé (quasi sempre col fine già predisposto di fare ritorno a casa). C’è un primario e un secondario, una realtà e una finzione, un significato e un significante, e qualsiasi cosa succeda, e comunque la si metta, non si potrà dire che il finto venga prima del vero, che la rappresentazione venga prima di ciò che viene rappresentato. Ma in realtà (più evidentemente in questa epoca che in altre) noi non ci muoviamo che attraverso e dentro la finzione, le rappresentazioni, codici, scritture, origini sempre differite. Chi ha mai visto l’Essere? Chi ha mai toccato il Senso? Chi ha mai potuto dire di aver stretto rapporti con l’Origine?

    Agamben concepisce la religione a partire dal verbo latino relegere. Parola che significa essere attenti, vigilare, vegliare sulle cose, che sono sacre, preoccuparsi che le cose sacre restino separate dalle altre. Questa separazione è essenziale per ogni religione.
    La profanazione, al contrario, significa, esercitare contro quella vigilanza un atteggiamento di consapevole in-curia, non-curanza, anzi, di consapevole avversione trasgressione per tutte le cose considerate sacre.
    La profanazione è, quindi, una prassi di libertà che ci libera dalla trascendenza, da ogni forma di soggettivazione, di assoggettamento all’Altro, di assoggettamento alla trascendenza.
    La poiesis è lo spazio aperto dove si svolge il gioco della profanazione e della trasgressione, della libertà dalla trascendenza e dal recinto delle cose ritenute sacre.
    La profanazione apre cosí uno spazio di libertà dell’immanenza.

    1 T.W. Adorno, 1967, Teoria estetica trad. it. 1979, p. 57
    2 Ibidem p. 152
    2 Ibidem p. 93

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  6. Il passaggio dalla NOE alla poetry kitchen non può essere interpretato meglio di come ha fatto Giorgio Linguaglossa quando scrive:

    “La parola kitchen è da pensarsi come evento linguistico: quindi evento dell’altro proprio perché si annuncia in quanto
    irruzione di ciò che è per venire, ciò che è assolutamente non riappropriabile; in quanto unico e singolare l’evento linguistico sfida l’anticipazione, la ri-appropriazione, il calcolo ed è sfida a ogni predeterminazione. L’avvenire, ciò che sta per av-venire, può essere pensato solo a partire da una radicale alterità, che va accolta e rispettata nella sua inappropriabilità e infungibilità.
    La contaminazione, l’impurità, l’intreccio, la complicazione, la co-inplicazione, l’interferenza, i rumori di fondo, la duplicazione, la peritropé, il salto, la perifrasi, la procedura serendipica nei dispositivi kitchen costituiscono il nocciolo stesso della fusione a freddo dei materiali linguistici, gli algoritmi che descrivono la non originarietà del linguaggio, il suo esser sempre stato, il suo essere sempre presente; una ontologia della coimplicazione occupa il posto della tradizionale ontologia che divideva «essere» e «linguaggio», la ontologia della co-implicazione ci dice che il linguaggio è l’essere, l’unico essere al quale possiamo accedere. Non si dà mai una purezza espressiva nel logos ma sempre una impurità dell’espressione, un voler dire, un ammiccare, un parlare per indizi e per rinvii”.
    I testi di Mimmo Pugliese si collocano in questo perimetro preciso ma non rigido, un perimetro sempre in movimento.

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  7. La poesia di Mimmo Pugliese è uno spazio aperto che però l’autore si limita a percorrere in lungo e in largo senza volerlo veramente s-fondare, come invece avviene per la poesia kitchen di Francesco Paolo Intini, il poeta pugliese vuole sempre s-fondare il campo aperto del linguaggio, la sua strategia è lo sfondamento su tutta la linea del “fronte” frastico. Pugliese sta meno lontano dalla tradizione rispetto a Intini, ma questo gli consente una maggiore omogeneità lessicale e metrica (se così vogliamo dire). Condivido il pensiero di Gino Rago secondo il quale il perimetro di Mimmo Pugliese è «un perimetro sempre in movimento», ma all’interno di una cornice invisibile che contiene il movimento però.

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  8. Riprendo il mio scritto citato da Gino Rago e lo rielaboro così:

    «Solo i pensieri che non comprendono se stessi sono veri», ha scritto Adorno in Minima moralia. Ed è vero, è stato il «reale» che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poesia novecentesca.
    La parola kitchen è da pensarsi come evento linguistico: quindi evento dell’altro proprio perché si annuncia in quanto irruzione di ciò che è-per-venire, ciò che è assolutamente non riappropriabile; in quanto unico e singolare l’evento linguistico sfida l’anticipazione, la ri-appropriazione, il calcolo ed è sfida a ogni predeterminazione o progettualizzazione determinata a priori. Nell’ambito della poetry kitchen la progettazione è sempre serendipica, cioè cerchi una parola e ne trovi un’altra in un eterno avvenire di deviazioni e di indirezioni. L’avvenire, ciò che sta per av-venire, può essere pensato solo a partire da una radicale alterità, che va accolta e rispettata nella sua inappropriabilità e infungibilità. La contaminazione, l’impurità, l’intreccio, la complicazione, la co-implicazione, l’interferenza, l’entanglement, i rumori di fondo, la duplicazione, la peritropé, il salto, la perifrasi, la procedura serendipica nei dispositivi kitchen costituiscono il nocciolo stesso della fusione a freddo dei materiali linguistici, gli algoritmi che descrivono la non originarietà del linguaggio poetico, il suo esser sempre stato, la sua secondarietà, il suo essere sempre presente, un esser presente che si dà nella assenza, però; una ontologia della coimplicazione che occupa il posto della tradizionale ontologia che divideva «essere» e «linguaggio», la ontologia della co-implicazione ci dice che il linguaggio è l’essere, l’unico essere al quale possiamo accedere. Non si dà mai una purezza espressiva nel logos ma sempre una impurità, una secondarietà dell’espressione, un voler dire di un voler dire, un ammiccare di un ammiccare, un parlare per indizi e per rinvii perché ci troviamo nel campo della secondarietà dove i significati sono sempre indiziari e rinviabili.
    È l’allegria lunaire della poesia kitchen. I versi kitchen sono equivoci di significanti, errori di manifattura, colpi di scherma in punta di fioretto, scambi della catena di montaggio delle parole biodegradate, inutilizzabili, riadattate e ricompostate. Sono queste parole che richiedono la distassia e la dismetria, sono le parole combuste che richiedono un nuovo abito fatto di salti della immaginazione senza fili. Il «reale» del distici e dei polittici della poetry kitchen è dato dalla compresenza e complementarietà di una molteplicità di punti di vista, di interruzioni e di dis-connessioni della organizzazione frastica. La forma-poesia della nuova poesia diventa così un distico dimetrico e distassico che contiene al suo interno una miriade di dis-allineamenti fraseologici, di dis-connessioni frastiche, di interruzioni, di deviazioni sintattiche, di interferenze, di rumori di fondo. Il distico diventa un aquilone, o meglio, una mongolfiera che contiene al suo interno le pulsioni, le fantasie, le follie che si sprigionano dal decadimento biochimico delle parole un tempo nobili e nobiliari.

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  9. Ho letto la seguente frase di Patrizia Cavalli:

    «ho sempre voluto piacere al pubblico».

    Ovvio che si tratta di una sontuosa banalità ma anche e soprattutto di un programma di esistenza e di poetica che, non c’è dubbio, ha avuto successo, – dal 1975, anno di pubblicazione di Le mie poesie non cambieranno il mondo – ad oggi.
    Gli ultimi cinquanta anni hanno segnato l’epoca di un liberalismo ontologico ed epistemologico inquietante di cui il minimalismo era la confezione regalo prendi tre paghi uno, anni in cui si è verificata una derubricazione dei valori e una de-politicizzazione della vita privata ridotta a privatismo e antipubblicismo, fenomeno che ha investito la vita nazionale delle democrazie dell’Occidente. Con la guerra in Ucraina tutto ciò è diventato evidente.
    Mi chiedo: fino a quando continueremo a privatizzare la vita pubblica e a privatizzare le poetiche che, di fatto, oggi sono diventate né più né meno che episodi personali, esternazione di idiosincrasie personali.

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  10. milaure colasson

    *Heidegger in Essere e tempo (1927), instaura una vicinanza fra Stimmung (stato d’animo) e Stimme (la voce). Per Heidegger il Dasein viene richiamato dalla Stimme (la voce della coscienza) e dall’Angst alla Erschlossenheit (apertura), al suo “Da”*.

    Queste parole di Linguaglossa ci aiutano a capire la poesia di Mimmo Pugliese quando scrive ad esempio:

    La campanula è fiorita
    vicino alla panchina macchiata di ruggine
    non smette di piovere
    nella pozzanghera affoga una pulce

    I primi tre versi della strofa di Pugliese sono perfettamente in sintonia con la poesia della tradizione lirica, però è la parola (pulce) posta alla fine del quarto verso che illumina retrospettivamente la poesia introducendo un elemento di estraneità che capovolge l’impostazione apparentemente lirica della strofa rendendola kitchen. Qui la Stimmung e la Stimme coincidono,

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  11. milaure colasson

    La guerra in Ucraina avrà, per l’Occidente europeo, la stessa importanza che ha avuto la guerra di Troia per la civiltà ellenica.

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  12. attanasio cavalli

    Con la differenza che la guerra tra Ucraina e Russia non è scoppiata a causa di una donna!

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