Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
Con la poesia di Annalisa Comes siamo già oltre i confini del Moderno, in pieno Dopo il Moderno, nell’epoca del modernariato e del vintage e dello stile ultroneo. Il suo stile di poeta è una elegante e sobria forma di manierismo critico, di mimetismo retorico, di positura autoironica e ipocondriaca che oscilla tra gli opposti poli del disimpegno, della parodia, dell’autoironizzazione, e l’esercizio scrittorio e il ludus, il tedio. Nella poesia della Comes siamo già oltre il «corpo», siamo nel «corpo eterno», nel mito tutto moderno dell’eterna giovinezza o dell’eterna insipienza, e il poeta non è né un dandy, né un eroe romantico né un vincitore e neanche un perdente, ma una persona affetta da labirintite, tormentata da anodine regressioni infantili e crisi di panico, esantemi dell’epidermide e idiosincrasie stilistiche. Ormai in letteratura (romanzo e poesia) la posta in gioco è l’intrattenimento, magari elegante, malizioso, ozioso, nichilistico, manieristico dove il poeta non può più essere neanche un clown o un prete o un predicatore, tantomeno un maestro di cerimonie o un ammaestratore di pappagalli o un istruttore di scimmie, quanto un commercialista delle proprie rendite di posizione e della propria dichiarazione dei redditi. «Forse c’è un aldilà», così inizia, con tono blasé, una poesia della Comes, tra scetticismo e rimpianto, come se si parlasse di moda o di facebook o di shopping. Noi abbiamo a che fare con questo «corpo» ingombrante, un oggetto misterioso che fa quello che lui vuole e non obbedisce più ai comandi dell’io perché «tutti hanno un corpo», a tutti accadono le stesse cose insignificanti, a tutti il «corpo» sfugge, ha le sue strategie di difesa e di offesa, le sue disparizioni, le sue idiosincrasie:
L’impronta sulla poltrona.
Il bicchiere posato sul comodino.
Il libro che stavi leggendo
con il segnalibro rosso
le annotazioni a margine
fermo a pagina 23
il libro di John Fante – Aspetta la Primavera –
immobile a pagina 23.
La vita quotidiana sembra fatta di impronte, di copie di copie, di repliche, di surrogati, di involucri e ne riesce normata, normalizzata, edulcorata, ripetibile, prevedibile; le cose stanno al loro posto o, almeno, sembrano, i corpi anche, o, almeno, sembrano. Tutto è così, ma potrebbe essere anche diversamente.
Il vento è già passato fra i capelli.
Il vento continua a passare.
e le foglie vi cadono leggere
e la neve quando c’è,
scivola sulle spalle.
Ma più che scivolare, canta,
frammentando pause e fruscii.
Vi sono iscritti graffi e fessure
Il panneggio si è scurito
Il volto
ha tatuaggi di gocce e licheni.
E quando ti aspetto,
ti aspetto
sotto questi marmi, ora chiarissimi,
la mia posa gli assomiglia.
Come tutta la gente in attesa.
Non si sa bene se il «corpo» stia qui o stia lì o in altro luogo, se vi sono «iscritti graffi e fessure», e quando «ti aspetto / ti aspetto»; non si sa bene cosa accade, o meglio, forse non accade niente, «come tutta la gente in attesa». È passato anche il tempo di Godot, e adesso non c’è niente, si sta in attesa del nulla. C’è una indirezione di luogo, una distopia, una discronia, si avverte la eco di una labirintite esistenziale e stilistica e sociale, un instabilità, una fluttuazione degli eventi linguistici ed extralinguistici, che accadono, forse, o che possono accadere, come anche non accadere, mentre «Dio guarda incerto / sul da farsi» e noi non sappiamo «se il calcolo è esatto», se ci sarà un prosieguo o si è giunti al termine di «questo dio che illumina, cuce, disfà / l’orlo delle cose». «Guardate com’è facile […] dirsi addio»; «tutto appare ordinato, pulito», c’è anche «il riparatore di orologi». È incredibile come la vibratile e sensibilissima antenna di Annalisa Comes intercetti i minuscoli tremori di lontanissimi bradisismi, la instabilità e la fragilità di un mondo che, a prima vista, appare inalterabile e compatto, ma in realtà è fragile e convulso. «Non, finire, non, durare, / solo rimanere ferma con te all’angolo delle cose»; quasi una preghiera laica affinché le cose non appaiano, cessino, dismettano la loro funzione e finzione di apparire, di essere altro da ciò che esse sono. Continua a leggere