Iosif Brodskij (1940-1996), Lettera al generale Z. (1968), Brodskij e la Guerra, inedito, prima traduzione italiana a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova

Onto brodskij

Iosif Aleksandrovic Brodskij è nato a Leningrado nel 1940. Nel 1964 fu arrestato con l’accusa di parassitismo e condannato, dopo un processo che scatenò violente reazioni nell’opinione pubblica mondiale, a cinque anni di lavori forzati. Rilasciato dopo 18 mesi tornò a vivere a Leningrado. Nel 1970 fu costretto dalle autorità sovietiche a emigrare. Si stabilì in USA, dove tenne corsi in varie università e svolse un’ampia attività pubblicistica oltre che poetica. Brodskij ha esordito pubblicando nel 1958 alcune poesie in una rivista clandestina. Venne subito riconosciuto come uno dei lirici più dotati della sua generazione. Ebbe il sostegno di Anna Achmatova che gli dedicò una delle sue raccolte (1963). Dopo il rilascio seguito alla prima condanna, si dedicò soprattutto alla traduzione di poeti inglesi (Donne, Hopkins). La sua raccolta di versi Fermata nel deserto, in cui l’introspezione con venature ironiche si unisce all’afflato metafisico, uscì a New York nel 1970 confermando lo straordinario estro poetico di Brodskij. Dopo l’emigrazione tenne corsi in varie università e svolse ampia attività pubblicistica (Fuga da Bisanzio (Less than one), 1986) e poetica (Elegie romane, 1982). Nel 1987 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, e nel suo discorso a Stoccolma individuò le radici della sua opera di classico contemporaneo in quattro poeti: Anna Achmatova, Marina Ivanovna Cvetaeva, Robert Frost e W.H. Auden. Le motivazioni del Nobel: “for an all-embracing authorship, imbued with clarity of thought and poetic intensity”. Nel 1991 fu nominato poeta laureato degli Stati Uniti. Morì nel suo appartamento di Brooklyn per un attacco di cuore il 28 gennaio 1996. Innamorato dell’Italia, espresse il desiderio di venire seppellito a Venezia, città di acqua e canali come la natale Leningrado, e lì ha trovato per sempre riposo.

.

IOSIF BRODSKIJ E LA GUERRA

 Nell’esemplare appartenuto all’autore del secondo tomo dei “Componimenti di Josiph Brodskij”, dopo la data 1968, veniva annotato: ”autunno; dopo l’invasione della Cecoslovacchia”. È plausibile che il modello della poesia fu suggerito a Brodskji dalla “Lettera al generale X“ di Antoine De Saint-Exupèry, uno degli scrittori preferiti della sua giovinezza. Pervaso dal pathos del pacifismo e dell’antitotalitarismo, il saggio fu scritto nel 1943 in una base militare del Nord Africa due mesi prima della morte dello scrittore e pubblicato postumo. In Russia circolò nei samizdat nella traduzione di Marina Kazimirovna Baranovich.

In Brodskij la Lettera al generale Z acquisisce una connotazione maggiormente ironica conservando, tuttavia, l’ambientazione tropicale che ricorda i film sulle imprese della Legione Straniera o di altri corpi di spedizione nei paesi caldi. In tal modo, a paragone delle posizioni di Brodskij su altre imperialistiche azioni del potere sovietico (vedi la poesia non pubblicata sulla rivoluzione ungherese del 1956), la Lettera al generale Z fu scritta in uno stile più iconoclastico, simbolico. Una particolare attenzione merita la ricorrente topica del gioco delle carte, l’iniziale calembour – carte geografiche/carte da gioco – della prima strofa che richiama l’avventurismo, il barare, lo spreco.

Un possibile impulso alla genesi del motivo delle carte fu il racconto, noto a Brodskji, della vedova di Bulgakov sull’incontro con Saint-Exupèry presso il consigliere dell’ambasciata americano a Mosca il primo maggio del 1935: ”Il francese – che risultò essere anche un pilota – raccontava dei suoi pericolosi voli. Faceva vedere inconsueti giochi di prestigio”.

Nei dettagli “LGZ” richiama sia la poesia del poeta americano Reed Whittemor Un giorno con la Legione Straniera, che Brodskji tradusse, che la lettera da lui scritta a Breznev sebbene qui il destinatario del poeta sia un’entità più surreale. Giova aggiungere che Brodskij rimandò la composizione di “LGZ” ai versi da lui composti sotto l’influenza poetica di Auden:

  “Ancora più acutamente il tema della responsabilità per gli atti storici della patria appare in Brodskij come un particolare sentimento di vergogna, disonore. Alla domanda se ci fossero stati momenti in cui aveva fortemente desiderato fuggire dalla Russia, rispose: «Sì, quando nel 1968 i carri armati sovietici invasero la Cecoslovacchia. Allora, ricordo, ebbi la voglia di fuggire ovunque possibile. Prima di tutto per la vergogna. Per il fatto che appartengo allo stato che compie queste azioni. Perché, bene o male, parte della responsabilità ricade sempre sul cittadino di questo stato». Reagì all’occupazione della Cecoslovacchia con la “LGZ”, il cui protagonista, un vecchio soldato dell’impero, si rifiuta di combattere. (dal libro di Lev Losev Josiph Brodskij, 2006)  

Stefania Pavan, saggio su Odissej Telemaku  (Odisseo a Telemaco) di Iosif Brodskij – La guerra di Troia / è terminata. Chi abbia vinto, non lo ricordo).

LETTERA AL GENERALE Z
La guerra, Vostra Grazia, è solo un gioco vuoto.
Oggi – fortuna e domani – un buco.
(Canzone sulll’assedio de La Rochelle) (1)

foto Kharkiv

Much-loved pub destroyed
In the city of Kharkiv, in north-east Ukraine, the beloved Old Hem bar – named after the owner’s literary hero Ernest Hemmingway – was destroyed by Russian shelling.
An extraordinary image shared widely on social media showed the building which once housed the pub reduced to rubble. The owner – now in western Ukraine – told the BBC that he hopes to return one day to his city and rebuild his bar.
“We will win and Hem will rise again,” Kostiantyn Kuts said [La scorsa settimana mi sono seduto in un parco del centro città, con l’erba tagliata con cura, le aiuole in fiore, e mi sono gustato un gelato al caffè. La città  (Kharkiv) è ancora in gran parte vuota, ma il numero di colpi di artiglieria russa è sceso da dozzine al giorno a solo una manciata. Le sirene dei raid aerei continuano a ululare regolarmente, ma Kharkiv non si sente più sull’orlo della catastrofe.]

.

Generale! Le nostre carte sono una merda. Passo.
Il Nord non è affatto qui ma nel Circolo Polare Artico.
E l’Equatore è più ampio della banda dei vostri calzoni.
Perché il fronte, generale, è al Sud.
A una tale distanza una radiotrasmittente
trasforma qualsiasi ordine in boogie-woogie.

Generale! La confusione è degenerata in bordello.
L’impraticabilità delle strade non consentirà di ammassare riserve
e cambiare la biancheria: il lenzuolo è carta smerigliata;
questo, sapete, mi dà sui nervi.
Mai finora, credo, sia stato così
imbrattato l’altare di Minerva.

Generale! Stiamo così a lungo nel fango
che il re di cuori esulta in anticipo
e il cuculo tace. Dio ce ne scampi,
tuttavia, dall’ascoltare il suo verso.
Ritengo che bisogna dire merci
che il nemico non attacca.

I nostri cannoni stanno con le canne sprofondate a terra,
le palle si sono afflosciate. Soltanto i trombettieri,
estraendo le trombe dai
foderi, come accaniti onanisti,
le lucidano giorno e notte così che all’improvviso
quelle emettano un suono.

Gli ufficiali vagano, disprezzando il regolamento,
in calzoni a sbuffo e giubbe di diversi semi.
I soldati nei cespugli sulle terre arse
si abbandonano l’un l’altro ad una vergognosa passione
e arrossisce, abbassando il vessillo scarlatto,
il nostro sergente-scapolo.
————————————-
Generale! Io ho combattuto sempre e ovunque
per quanto fossero scarse e incerte le possibilità.
Non avevo bisogno di un’altra stella
oltre quella che è sul vostro cappello.
Ma ora sono come nella favola su quel chiodo:
piantato nel muro, privato della capocchia.

Generale! Purtroppo la vita è una.
Per non cercare maggiori prove,
ci toccherà bere fino in fondo
il nostro calice in questi boschi insignificanti:
la vita, probabilmente, non è così lunga
da accantonare il peggio a tempo indeterminato.

Generale! Solo alle anime sono necessari i corpi.
Certo le anime, si sa, sono estranee alla gioia maligna
e qui, penso, ci ha portato
non la strategia ma la sete di fratellanza: (2)
è meglio mettere bocca negli affari altrui
se non ci raccapezziamo nei nostri.

Generale! Adesso ho la tremarella.
Non capisco il perché: per vergogna o per paura?
Per mancanza di donne? O semplicemente è un ghiribizzo?
Non aiutano né il dottore né il guaritore.
Perché probabilmente il vostro cuoco
non distingue dove sia il sale, dove lo zucchero.

Generale! Ho paura che siamo finiti in un vicolo cieco.
Questa è la vendetta di uno spazio ampio.
Le nostre piche si arrugginiscono. La presenza di piche –
non è ancora garanzia di un bersaglio.
E la nostra ombra non si sposterà davanti a noi
persino all’ora del tramonto.
—————————————–
Generale! Voi sapete che non sono un vigliacco.
Tirate fuori il dossier, fate delle indagini.
Sono indifferente al proiettile. In più
non temo né il nemico né la posta in gioco.
Che mi piantino pure un asso di quadri
tra le scapole – chiedo le dimissioni!

Io non voglio morire per
due o tre re che
non ho mai visto in faccia
(non si tratta di paraocchi ma di tende impolverate).
Tuttavia non ho nemmeno voglia di vivere
per loro. A maggior ragione.

Generale! Sono stufo di tutto. Mi
annoia la crociata. Mi annoia
la vista nella mia finestra di montagne
immobili, boschetti, anse di fiumi.
E’ brutto quando il mondo all’esterno
è stato concepito da chi è tormentato dentro.

Generale! Non penso che, abbandonando
le vostre fila, le indebolirò.
Non sarà una grossa sciagura:
io non sono un solista ma uno estraneo all’ensamble.
Tolto il bocchino dal mio zufolo,
brucio la mia uniforme e spezzo la sciabola.
———————————————
Anche se non vedi gli uccelli, si sentono.
Il cecchino, tormentandosi di sete spirituale, (3)
non si sa se l’ordine o la lettera della moglie,
appollaiato su un ramo, legge due volte
e per noia il nostro artista si mette
a disegnare un cannone con la matita.

Generale! Soltanto il Tempo apprezzerà voi,
le vostre Cannes, le fortificazioni, l’accampamento, le coorti.
Nelle accademie andranno in estasi,
le vostre battaglie e le vostre nature morte
serviranno a far dilatare occhi,
sguardi sul mondo e l’aorta in generale.

Generale! Devo dirvi che voi
siete come un leone alato all’ingresso
di un portone. Giacché voi, ahimè,
non esistete proprio in natura. (4)
No, non è che siete morto
o siete stato battuto – voi non ci siete nel mazzo di carte.

Generale! Che mi mandino sotto processo!
Voglio portarvi a conoscenza del caso:
il totale delle sofferenze dà l’assurdo;
che l’assurdo abbia un corpo!
E si profila la sua sagoma
con qualcosa di nero su qualcosa di bianco.

Generale! Vi dirò un’altra cosa:
Generale! Vi ho usato per la rima con la parola
“è morto” – cosa mi è successo ma (5)
Dio non ha completamente separato
il grano dalla pula e adesso
usare questa rima – è una balla.
————————————————-
Nella landa desolata dove di notte ardono
due lampioni e marciscono i vagoni,
toltomi a metà il vestito
da clown e strappate le spalline,
mi blocco, incrociando lo sguardo
della macchina fotografica Leitz o gli occhi della Gorgone.

Notte. I miei pensieri sono colmi di una
donna, meravigliosa dentro e di profilo.
Quello che mi succede adesso
sta più in basso dei cieli ma più in alto dei tetti.
Quello che mi succede adesso
non vi offende.
———————————————
Generale! Voi non esistete e il mio discorso
è rivolto, come al solito, ora
in quel vuoto, i cui contorni sono i contorni
di un vasto, sordo deserto
che sulle mappe, cosa che voi ed io
abbiamo potuto vedere, non è nemmeno menzionato.

Generale! Se tuttavia voi mi
ascoltate, significa che il deserto cela
in sé una certa oasi, allettando
con ciò il cavaliere; e il cavaliere, quindi,
sono io; sprono il cavallo;
il cavallo, generale, non galoppa da nessuna parte.

Generale! Avendo combattuto sempre come un leone
lascio una macchia sulla bandiera.
Generale! Anche un castello di carte – è un porcile.
Vi scrivo un rapporto, mi attacco alla borraccia.
Per chi è sopravvissuto al grande bluff,
la vita lascia un brandello di carta.

(Autunno 1968)

.

1) Nell’epigrafe, composta da B., il “buco” appare come metafora della morte a seguito di una pallottola.
2) Nella propaganda sovietica l’invasione della Cecoslovacchia veniva spacciata per “aiuto fraterno”.
3) Imprecisa citazione dalla poesia di Puskin “Il profeta”.
4) Nella sua corrispondenza da Mosca “Paris-Soir” Saint-Exupèry scriveva di Stalin: ”Si può quasi credere che non esista per quanto sia invisibile la sua presenza”.
5) In russo la parola “umiràl” fa rima con la parola “gheneràl” (generale).

 

26 commenti

Archiviato in poesia russa del Novecento

26 risposte a “Iosif Brodskij (1940-1996), Lettera al generale Z. (1968), Brodskij e la Guerra, inedito, prima traduzione italiana a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova

  1. Il tema della responsabilità del popolo per la guerra scatenata dai suoi governanti e quindi della corresponsabilità di ciascun membro di quel popolo, è un tema molto dibattuto. Personalmente mi associo alla posizione di Brodskij: ciascun cittadino è sempre corresponsabile delle guerre scatenate dal loro governante/governanti, e, nel caso di una guerra di aggressione del tutto gratuita, ogni cittadino ha l’obbligo politico e morale di opporsi, di opporre una resistenza attiva e/o passiva di fronte a chi ha scatenato la guerra. Non c’è propaganda che possa convincermi che sia giusto scatenare una guerra per la riconquista dell’Istria e della Dalmazia, un tempo italiane o della Savoia, un tempo piemontese. Non c’è propaganda valida che possa giustificare una guerra di aggressione, questo è il mio personale principio. Un secondo mio personale principio è che è giusto prendere le armi contro lo stato (anche lo stato a cui appartengo) che ha scatenato una guerra.
    Quanto poi al fare poesia, penso che scrivere una poesia sulla guerra sia ad altissimo rischio di banalizzare all’estremo una tragedia gigantesca, meglio quindi evitare, a meno che non sia Brodskij in persona che la scrive.

    "Mi piace"

    • vincenzo petronelli

      Carissimo Giorgio, sono d’accordo con te nel senso che il potere politico, a meno che non sorga con un netto colpo di stato (ed anche in quel caso c’è comunque da valutare le singole situazioni perché ci sono stati nella storia diversi colpi di stato nati in maniera “calcolata” per il maturare di un bacino d’utenza favorevole, per lo meno da parte della componente apicale della società) le società hanno sempre delle responsabilità del formarsi di una determinata classe politica, nel bene e nel male.
      Nel caso russo, la responsabilità consiste nel fatto che siamo di fronte ad una cultura che in molti casi (per quanto, come sempre, le cose non siano mai massificabili) continua a mostrare una predilezione per il “leader carismatico”, per connivenza pelosa (nel caso della pletora di oligarchi, funzionari, lacchè vari o comunque esponenti con interessi forti legati ad una tradizione di potere corrotto e clientelare) o per tradizione culturale (nel caso delle masse popolari, in un paese storicamente transitato dal potere secolare degli zar a quello del regime comunista). E’ una sorta di dannazione dalla quale il popolo russo deve trovare prima o poi la forza di sottrarsi rischiando altrimenti di dare continuamente la stura sempre a nuovi despoti.
      A parziale giustificazione della componente popolare, va ovviamente menzionata la mancanza di pluralità politica e di possibilità di esercitare il dissenso, nonché l’assenza di un’informazione pluralista e democratica che permetta a tutti i cittadini (penso soprattutto alle sterminate aree periferiche delle campagne russe e delle regioni più remote) di avere un quadro realistico ed attendibile della situazione politica interna ed estera; non dimenticherei anche le difficoltà di una transizione post-comunista drammatica, che negli anni novanta ha determinato degli squilibri paurosi, essendosi subito affermato un capitalismo selvaggio, di stampo puramente finanziario, che in quel periodo ha indotto molta parte di elettorato popolare ad orientarsi nuovamente verso la scelta del leader forte per risollevarne le sorti..
      Venendo alla poesia di Brodskij qui presentataci e premettendo come abbia una grande ammirazione per quest’immenso poeta, mi sembra che si presenti come un vero monumento alla libertà ed all’esercizio della diserzione e dell’obiezione di coscienza contro i tiranni, monito ed insegnamento per la società europea tutta (non possiamo ignorare come certe tendenze paurose serpeggino da alcuni anni in tutto il continente), grazie anche ad una costruzione straordinariamente corredo iconoclasta e corrosiva verso il potere, Certo, come giustamente dici tu, Giorgio, bisogna essere Brodskij, altrimenti il rischio è che la poesia che si faccia giornalismo, cronaca del momento, si riduca a patetismo.

      "Mi piace"

  2. gino rago

    Un pensiero per Guido Galini

    Caro Giorgio,
    ricevo due impulsi, direi due spunti da questa pagina de L’Ombra da te ben allestita:
    uno, riguarda lo stesso Brodskij, l’altro, la scomparsa di Guido Galdini.
    Li fondo in un pensiero unico che è questo: se per Brodskij “Colui che scrive una poesia scrive soprattutto perché scrivere versi è un acceleratore straordinario di coscienza, di pensiero, di comprendere l’universo”, Guido Galdini è stato uno dei pochi poeti che ha saputo averne piena coscienza.
    Come bene ha detto Milaure Colasson, continueremo a stare in sua compagnia, in compagnia di Guido Galdini, leggendone i versi sulla Antologia da te curata e di prossima pubblicazione.
    Per quanto riguarda invece la guerra in corso meglio non adottarla come tema di poesia e dici bene quando scrivi: “Quanto poi al fare poesia, penso che scrivere una poesia sulla guerra sia ad altissimo rischio di banalizzare all’estremo una tragedia gigantesca, meglio quindi evitare, a meno che non sia Brodskij in persona che la scrive.”, La guerra, ogni guerra, ha già un suo linguaggio, non ne accetta altri.

    "Mi piace"

  3. Che dire, speriamo che presto anche il popolo russo possa vivere nell’angoscia; tra discount e tempeste pubblicitarie, ignoranza razzismo disparità ingiustizie sociali; ricchi e miserabili insieme per la democrazia; tra filosofi cuochi generali; giornalisti politici furbi scafati corrotti puttanieri; vita da pendolare e meno male se un lavoro ce l’hai, fosse anche quello di pulire cessi sugli yacht. Speriamo che presto anche il popolo russo abbia i suoi Grosz, i suoi Giacometti, Francis Bacon, Lucian Freud, Warhol Haring, e tanti altri non di misero successo.

    Accade che la pubblicità, da sempre snobbata dell’intellighenzia, abbia finito col dettare le lineee guida del linguaggio poetico. Va capito, altrimenti non si capirà nulla della poesia NOE. Il vuoto, il non detto (volutamente tralasciato), sono cose che poeti come Brodskij non potevano considerare – era ancora in corso il travaglio della modernità – ma ora lo sappiamo; sappiamo che nel troppo-scritto c’è tutta la fregatura; che la fregatura sta nel discorso, in ogni discorso.

    "Mi piace"

  4. antonio sagredo

    Vergogna?
    Avrebbero dovuto provare vergogna sia il poeta A. A. Voznesendkij (1933-2010) che avrebbe dovuto già rifiutare il Premio Lenin nel 1978 giusto per essere coerente con se stesso,visto che fu perseguitato dal comunismo; e sia lo scrittore A. I. Solženicyn ( 1918-2008), ma quest’ultimo avrebbe provato molto di meno di vergogna rispetto a tanti poeti e scrittori che omaggiarono Putin, perché paradossalmente sposava il pensiero dello stesso Putin e anzi lo incitava a perseguire i suoi piani. Paradossalmente perché aveva in passato subito sulla propria pelle le sofferenze che i gulag causavano sui “prigionieri”… questo vuol dire che non gli bastarono quelle sofferenze se poi andò ad omaggiare il discendente di quei sbirri kgb che lo perseguitarono.
    Ma la mente umana è “strana”, giusto per usare un eufenismo pietoso.
    ——
    Ricordo tantissimi anni fa, vivente Ripellino, che avversava Solženicyn , e vuol dire che nelle pagine di questi aveva intravisto qualcosa di fortemente negativo, come una certa pietà artefatta verso il popolo russo sofferente, ecc., ma di certo più di me aveva informazioni più precise e circonstanziate sullo scrittore. Adesso ho compreso perfettamente , per i fatti belluini ucraini, cosa lo slavista intendesse per inganno e finzione nei riguardi di Solženicyn , e che questi fosse personaggio teatrale con quei suoi discorsi e gestualità sia in Occidente che in patria non si fa alcuna fatica a definirlo.
    ———
    E allora bisogna rendere onore alla coerenza di Josif Brodskij, che non volle ritornare nella sua Russia, dopo diversi inviti ricevuti : non aveva fiducia, aveva il sentore di un qualcosa che era presente e strisciava dietro la maschera e la mente di un “nuovo” Potere incapace di svelarsi totalmente, insomma che non era capace di non essere più menzognero e mascherato: perché sotto sotto i due tratti caratteristici del KGB persistevano comunque fosse il “nuovo” corso (di Gorbacëv) . Tanto è vero che quando Putin prese il potere quei due tratti tornarono prepotentemente e a maggior ragione essendo proprio lui un kgb!
    E l’Occidente avrebbe dovuto subito capire quale sarebbe stato il suo futuro.
    Ignoranza per la non conoscenza della storia russa!
    ——-
    Adesso, da tre mesi, la frittata è realizzata, anche se malamente, perché se il Kgb\FSB riesce perfettamente a realizzare i suoi propositi criminosi all’ombra però… ma allo scoperto, come in questi tempi, è maldestro, come dire fallimentare essendo privo di una tradizione storica di potere assoluto, essendo sempre stato al servizio altrui: dapprima lo Zar e poi Stalin.
    ——————–
    Ora i Servizi Segreti non sono al servizio di nessuno se non di se stessi, e quindi, perché liberi di fare e disfare senza controllo superiore, agiscono malamente. Non sono degli uomini politici, ma soltanto uomini “polizieschi” a cui è stato insegnato soltanto la menzogna e la violenza delittuosa: non dico cose nuove, è ovvio. E spacciano il loro amore per la Russia come vero e sincero patriottismo, ma si sa è a difesa della loro casta ricchissima e spietata: e tale condizione privilegiata va difesa a tutti i costi.
    Questo non è del tutto nuovo in terra di Russia.———————————————————————————————————–
    E allora ritornando a Brodskij, di cui ammiro di più ora il suo pensiero e la sua onestà intellettuale, e questo poemetto Lettera al generale Z. (1968) ne è testimonianza immemore della vergogna non sua personalmente, ma la provava per il suo paese che praticava (e pratica) violenza da secoli su popolazioni minori… ………e appunto bastano queste sue parole, e non aggiungere altro:
    «Sì, quando nel 1968 i carri armati sovietici invasero la Cecoslovacchia. Allora, ricordo, ebbi la voglia di fuggire ovunque possibile. Prima di tutto per la vergogna. Per il fatto che appartengo allo stato che compie queste azioni. Perché, bene o male, parte della responsabilità ricade sempre sul cittadino di questo stato». Reagì all’occupazione della Cecoslovacchia con la “LGZ”, il cui protagonista, un vecchio soldato dell’impero, si rifiuta di combattere. (dal libro di Lev Losev Josiph Brodskij, 2006)
    ————————————————————————————-
    I politici trmobetieri italiani di tutti i colori dirigono le loro sinfonie con grande maestria machavellica: vecchia storia!

    C’è tanto altro da dire, ma basta così. Grazie
    as

    "Mi piace"

  5. Mimmo Pugliese

    NON TI SEI FIDATO

    Non ti sei fidato
    hai continuato a guardare il prato deserto

    Il volo che hai sulle spalle
    asperge tulipani e ciba cicogne

    Una piccola voglia di caffè sul collo
    sversa sulle canne dei fucili

    Avevi la luna nel piatto
    quando ti sei alzato e guardato fuori

    Passavano bighe che trinciavano stricnina
    avevano martingale di rovi

    Domani le aquile dormiranno
    i bambini mangeranno gelati alla frutta

    Stringono i pugni le colonne
    samurai vestito da lince accende fuochi

    La portulaca fa il filo alle onde gravitazionali
    ha zampe di riccio il nuovo soffitto

    Sa di legno la fila di notti
    che dalle grondaie spara ai papaveri

    Tappeti persiani spezzano il sonno ai pattini a rotelle
    l’ultimo brindisi è per l’acrobata cieco

    Non ti sei fidato
    polpastrelli di saccarina rovesciano il muro del suono

    "Mi piace"

  6. Negli anni che vanno dal 1914 al 1945 l’Occidente ha messo in atto, senza averne coscienza, un vero e proprio tentativo di auto annientamento. La guerra fredda che è seguita è stato un interludio di pace, armata ma di pace. Oggi con la guerra di invasione dell’Ucraina qui in Europa siamo entrati in una nuova era che però ci è ignota, in un certo senso noi siamo gli abitanti dell’ignoto. Non sappiamo se un’altra epoca si aprirà davanti a noi o se ci sarà il diluvio. Auden titolò L’età dell’ansia un poemetto ambientato in un bar di New York verso la fine della seconda guerra, oggi non so quale sarà il titolo di un libro di poesia che passerà ai posteri, forse il libro di Francesco Paolo Intini, Faust chiama Mefistofele per una metastasi (2019). Il titolo del mio libro che sto per dare alle stampe è Distretto n. 18. Ora che ci penso la parola «distretto» è un termine militare, siamo già tutti militarizzati senza saperlo e senza volerlo, viviamo in una zona altamente militarizzata in quanto disponiamo di un inconscio storico de-politicizzato e di una vita privata de-privata in via di privatizzazione progressiva. La nuova militarizzazione delle coscienze si avvale di una vita privata che è stata de-privata, che è incapace di esperire esperienze, si oscilla tutti tra turismo e terrorismo. E questo lo troviamo accettabile.

    «Fondamento del terrore è l’idea che soltanto l’uccisione offra la garanzia del significato. Tutto il resto appare labile, incerto, inadeguato.
    […]
    Nello stadio ultimo della sua formazione, il terrorismo islamico coincide con la diffusione della pornografia in rete, negli anni Novanta. All’improvviso si trovarono davanti agli occhi, facilmente e perennemente disponibile, ciò che avevano sempre fantasticato e desiderato. e che al tempo stesso svelleva l’intero assetto delle loro regole riguardo al sesso. Se quella negazione era possibile, tutto doveva essere possibile. Il mondo secolare aveva invaso la loro mente con qualcosa di irresistibile, che li attirava e al tempo stesso li irrideva e li esautorava. Senza uso di armi – e oltretutto non ammettendo o esigendo la presenza del significato. Ma loro sarebbero andati oltre. E, al di là dal sesso, c’è solo la morte. Una morte sigillata dal significato.
    ha scritto Roberto Calasso ne L’innominabile attuale (Adelphi, 2017 p. 14)

    "Mi piace"

  7. Provo a dirlo in due parole: Armi per la difesa sì, ma tenuto conto che l’Ucraina non è un paese europeo, l’aiuto dovrebbe essere condizionato in modo che questa faccenda si risolva nel più breve tempo possibile ( quindi premere ANCHE su Zelensky). È essenziale per l’Europa che questa guerra non duri all’infinito, e soprattutto non ci trascini in uno scontro ideologico. Ma vecchi partiti queste cose non le capiscono. C’è nella politica un ritardo culturale, o di interessi, che proprio non mi so spiegare.

    "Mi piace"

  8. UN VECCHIO VERSO GETTATO NELL’ORGANICO RIPRENDE FIATO

    “A questo punto interviene il Re:-il mondo va corretto termodinamicamente”

    La coda di lucertola era parte del Logos-animale vissuto nel Pleistocene-
    Ma si muove ancora, sbattendo la punta come una banconota l’Europa

    Ed è di qua che si assiste alla caccia e di là che ricrescono i T-Rex
    Tra i pastelli c’è ressa a ricostruire giungle. Il pollo si lascia dipingere su Pasifae.

    Subentrano i missili ad personam-L’atomica tattica nel marsupio-
    Tanto per umiliare l’amor proprio delle melanzane ed esaltare il cavolfiore.

    Un grido:- Perché m’hai riportato al mercato?
    I vocaboli vanno dal parrucchiere ad aggiustare la dentiera.

    Se la zucca si spacca in due, nessuno è in grado di fermare i semi
    Cocomeri e meloni si rompono a catena.
    Pesche e albicocche distruggono l’Italia.

    E dunque cos’è massaciquadro nella polpa delle nazioni?

    (F.P.Intini)

    "Mi piace"

    • Puro divertimento. Fine degli idealismi. Brutalità insensate. Cecità. E su questo, ricamare politiche d’avanguardia, ma di solita mentalità. Pericolosissimi. Nessuna nuova via intrapresa, neppure immaginata. Meno male che Franco parla di meloni e melanzane, insomma, qualcuno che s’inventi qualcosa di meno prevedibile; non dico un Mahatma Gandhi, che poi non so cosa potrebbe dire a Cannes; perché si scherza si scherza se te lo permettono, i franchi idealisti.

      "Mi piace"

  9. antonio sagredo

    “l’Ucraina non è un paese europeo” (scrive Lucio Mayoor Tosi)
    Replico: bisogna saper di geo-politica per affermare con così tale certezza il significato di questra frase, oggi più che mai!
    Nelle carte geografiche tradizionali si dice di “Russia europea” e non è una panzana, ma una realtà.
    Realtà stravolta dai solti banditi e nemici storici della Russia… da secoli!
    Bisogna saper di letteratura russa fino nel profondo di realtà russe che i testi letterari dei grandi poeti e scrittori specie dell’8oo e del ‘900 hanno riportato a galla con magnificienza, e sono DECINE E DECINE gli autori di primissima qualità che non sfigurano affatto davanti a quelli che il Mayoor Tosi, più sopra, elenca… e posso dire, carte alla mano, come si dice, che senza quegli autori russi la stessa Europa letteraria di oggi non esisterebbe!…

    ….a vergogna di una università milanese riguardo, p.e., l’opera di Dostoevskij è più di una vergogna, è una infamia che testimonia la pochezza e la mediocrità di tanti accademici italiani:
    L’IGNORANZA CHE UNA VOLTA VENIVA CELATA, ORA NON PIU’, E’ USCITA ALLO SCOPERTO… DOVREBBERO QUELLI ACCADEMICI ESSERE CACCIATI, E SONO CENTINAIA E CENTINAIA CHE SI VANTANO DI UNA CULTURA. LA LORO, SPICCIOLA E DI COSI’ TALE MEDIOCRITA’ DI CUI ADDIRITTURA SI GLORIANO: BASTA VEDERLI IN AZIONE SUI VARI CANALI DEI MASS-MEDIA.
    CI PREPARIAMO A GLORIFICARE LA BARBARIE CULTURALE CHE DA 40 ANNI AGITA IL PROPRIO VESSILLO

    Dog’s turd

    Gli uomini puzzano più in vita che disfatti.
    I fiori sono un surrogato di profumi rancidi.
    Un cane caca e piscia sopra una tomba umana:
    un rito territoriale più che una prece naturale.

    Le tempeste trasformano in energia cinetica
    la crescita di piante e di erbacce sui sacri tumuli,
    ma l’essenza della merda è indelebile e sana
    sull’epitaffio che ha inciso le gesta di un eroe.

    Dog’s turd! Dogs’turd! Dogs’turd! chiacchiera
    la civetta – strofina e bacia il muso umido del cane,
    è un invito alla concordia tra animali, è una condanna
    al mostro che è sotterra, che per fortuna, non risorge!

    Vermicino, 2 luglio 2002
    ———————————————————

    Commercianti di un dio autoritario, acidi acetici, non vino!
    Attori di classe infima,
    vicari spacciatori di una incommensurabile particina,
    comparse al soldo di se stesse,
    supremi ingannatori che la vostra merda
    vi ritorni indietro
    fino alla vostra gola –
    ma infuocata!

    Roma, 17 dicembre 2011

    "Mi piace"

    • Data la posizione geo politica dell’Ucraina, politici più accorti si sarebbero dovuti muovere con maggiore prudenza, prima che iniziasse il conflitto. Non pensare solo a loro stessi. Non solo l’Ucraina, ma tutta la Russia è nel nostro cuore europea.

      "Mi piace"

  10. E’ una delle figure chiave del conflitto in Ucraina nonché fedelissimo di Vladimir Putin: stiamo parlando di Sergej Shoigu, ministro russo della Difesa, che di recente ha avuto un importante colloquio telefonico con Lloyd Austin, segretario alla Difesa americano. Quello che emerge in queste ore su di lui, però, mette i brividi: nel settembre del 2021 infatti il ministro avrebbe proposto la costruzione di nuove città in Siberia, descrivendo nel dettaglio quali fossero i piani del Cremlino per quella regione.

    Agghiacciante il suo riferimento alla deportazione di massa in Siberia di circa 70 anni fa. Sarebbe stato proprio lui infatti a spiegare che non era la prima volta che si parlava di “grandiosa costruzione”. In un articolo ripreso dal sito ucraino War in Ukraine. Daily updates, il ministro avrebbe scritto: “In epoca sovietica la Siberia accoglieva centinaia di migliaia di giovani che stavano qui per lavorare e che arrivavano con entusiasmo dalle regioni occidentali di Bielorussia, Ucraina, Caucaso e Asia centrale”.

    Il sito ucraino, allora, spiega: “Il tema della deportazione, così come altri crimini del periodo sovietico, spesso viene emarginato e messo a tacere nella memoria politica russa di oggi”. Di deportazione, tra l’altro, si è parlato anche qualche settimana fa in riferimento agli ucraini – circa un milione – che dal Donbass sarebbero stati trasferiti in zone rurali oltreconfine. Lì sarebbero poi stati schedati, interrogati e isolati.

    * da liberoquotidiano.it del 19 maggio 2022

    La più grande umiliazione per il paranoico Putin e il suo inner circle è stata la perdita di un intero battaglione di tank sul fiume Donetsk

    L’attacco al fiume Donets è stato di grande successo per gli ucraini: i soldati russi e i loro veicoli sono rimasti intrappolati mentre cercavano di attraversare il fiume, dopo che il ponte è stato fatto saltare in aria dagli ucraini. Le immagini satellitari hanno mostrato un cimitero: 52 veicoli contrassegnati dalla Z sono andati distrutti e circa mille soldati persi.
    (n.d.r.)

    "Mi piace"

  11. Francesco Paolo Intini

    “A questo punto interviene il Re:-il mondo va corretto termodinamicamente”

    La coda di lucertola era parte del Logos-animale vissuto nel Pleistocene-
    Ma si muove ancora, sbattendo la punta come una banconota l’Europa

    Ed è di qua che si assiste alla caccia e di là che ricrescono i T-Rex
    Tra i pastelli c’è ressa a ricostruire giungle. Il pollo si lascia dipingere su Pasifae.

    Subentrano i missili ad personam-L’atomica tattica nel marsupio-
    Tanto per umiliare l’amor proprio delle melanzane ed esaltare il cavolfiore.

    Un grido:- Perché m’hai riportato al mercato?
    I vocaboli vanno dal parrucchiere ad aggiustare la dentiera.

    Se la zucca si spacca in due, nessuno è in grado di fermare i semi
    Cocomeri e meloni si rompono a catena.
    Pesche e albicocche distruggono l’Italia.

    E dunque cos’è massaciquadro nella polpa delle nazioni?

    La poesia di Intini prende atto che ormai si può scrivere poesia soltanto facendo riferimento ad un ordine delle parole che è saltato, come del resto l’ordine dei fatti, su una sterminata quantità di guerre glocali (162 su tutto il pianeta) che sono il contraltare delle guerre globali (quelle non combattute con le armi ma con gli strumenti del web e delle Agenzie di Affari Riservati, per il tramite delle bande guerresche Wagner e similari).

    «Non esiste più uno spazio circoscritto e sommariamente regolamentato entro cui si svolge la politica», commenta Roberto Calasso nel libro sopra citato a pag. 35, il quale così continua:

    «Nel 1967 Kissinger afferma: Non sarà possibile concepire un ordine internazionale se la regione entro cui si svolgono la sopravvivenza e l’evoluzione degli Stati rimane senza regole internazionali di condotta ed è abbandonata a decisioni unilaterali». Definizione dove Kissinger è costretto a mescolare linguaggio vestfaliano e linguaggio del cyberspazio.
    […]
    Henry Kissinger avviò la sua carriera con un solo libro sul Congresso di Vienna. Passato dagli studi alla politica attiva, tentò in ogni modo di applicare quella che ha chiamato politica “vestfaliana”, quindi basata sull’equilibrio fra le potenze, introdotto nel trattato di Vestfalia del 1648 e riformulato per un’ultima volta nel 1815 con il Congresso di Vienna. e, finché durò una opposizione polare USA e URSS, quel principio trovò un ulteriore corollario, puntando questa volta sulla deterrenza nucleare e sulla spartizione delle aree di influenza. Ma dopo? Un ordine fondato sull’equilibrio delle potenze è diventato inattuabile, innanzitutto perché le potenze non si oppongono più frontalmente, ma su più lati. E non condividono neppure il principio della spartizione delle aree di influenza. (p.35)

    "Mi piace"

  12. Kitsch poetry

    Il coccodrillo rivolge la parola ad un armadio, gli dice:
    «Il pollo si cuoce nella carta stagnola».
    Così avvenne che il Congresso di Vienna adottò il significante.
    I tink tank hanno sfornato un mandolino che suona “O sole mio” sul lungomare di Posillipo.
    Il sindaco di Napoli però ha preso le distanze.
    Parole vestfaliane si mischiano a quelle basedowike di una poesia sagrediana in modo che si possano mangiare in un panino imbottito.
    L’Agenzia Affari Riservati del Signor Putler ha inviato un logogramma al Signor Dio, c’è scritto: «Chiuso per lutto».
    «Chi controlla il passato controlla il futuro e chi controlla il presente controlla il passato»
    mormorò il poeta Antonio Sagredo
    il quale non si mosse dal busto in marmo sito in villa Borghese accanto a quello di Ugo Foscolo dove lo aveva piazzato un’ordinanza di papa Pio IX.
    Uno stuolo di pappagalli passò di lì e ci fece la cacca.
    Così avvenne che la tgirl Korra delle Amazzoni scambiò il fotoreporter del TG1 per il Macho Zozzilla noto attore del film porno intitolato “Il gorilla dello Zoo di Atlanta e la Signorina Biancaneve”.
    Il che produsse sconcerto e imbarazzo presso gli utenti della pellicola.
    La mannequin Clizia Sosostris in monokini ha dichiarato ai followers di Tic Toc: «Non diventate quello che vi hanno fatto».
    In tutto questo trambusto un treno carico di uova fritte entrò direttamente nella suite dove Biancaneve stava girando una scena porno con i sette nani, causando scompiglio e sbigottimento.
    Che è che non è, per porre fine a queste ipotiposi alla fine è intervenuto il Signor Dio,
    il quale disse:
    «Il mondo va corretto in una camera iperbarica ad alta densità di neutrini e positroni»
    «e così sia»

    "Mi piace"

    • Per Wittgenstein le parole, le proposizioni valgono in quanto si riferiscono a contesti d’uso: « Che questa o quest’altra proposizione non abbia senso, è significativo in filosofia; ma significativo è anche che suoni comica », afferma il filosofo austriaco. La caratteristica più importante di questa nuova strategia riguarda l’apparenza di nonsenso che si produce nell’uso di giochi linguistici per esprimere esperienze nuove. È possibile individuare due conseguenze importanti per la riflessione del secondo Wittgenstein sul ruolo della filosofia e sull’etica: i giochi linguistici che utilizzano parole o espressioni insensate in relazione ai contesti d’uso della vita di relazione esibiscono questa apparente insensatezza solo perché impiegate in modo nuovo e inconsueto come reazione linguistica al presentarsi di una nuova esperienza. È quanto accade nella poetry kitchen, nella quale sono i contesti di uso delle parole che vengono cambiati. Non avrebbe senso parlare di insensatezza della poetry kitchen se noi considerassimo la questione dal punto di vista delle parole secondo i tradizionali contesti di uso.

      "Mi piace"

  13. antonio sagredo

    BASTEREBBE LEGGERE DI GOGOL’ “L’ISPETTORE GENERALE” PER COMPRENDERE COME VA A FINIRE QUESTA STORIA BELLUINA.
    ——————————-
    AUTORE NATO IN uCRAINA, MA CHE SCRIVEVA IN LINGUA RUSSA
    ——————————-
    QUESTO LAVORO DI GOGOL’ FU VIETATO DI ESSERE RAPPRESENTATO A UNA COMPAGNIA MERIDIONALE, ANNI FA,
    NEL BASSO SALENTO, E RIMASI ESTERREFATTO QUANDO IL CAPOCOMICO, MIO VECCHIO AMICO, ME LO RIFERI’.
    ADESSO UNA SIGNORA LO STA TRADUCENDO NEL VERNACOLO DI MARUGGIO, PAESE IN PROVINCIA DI TARANTO, E SI SPERA CHE VENGA PRESTO RAPPRESENTATO.

    "Mi piace"

  14. Ricevo da Antonio Sagredo e pubblico

    Olga Sedakova – .23 marzo 2022

    È considerata la più grande poetessa russa vivente, l’erede della grande Anna Achmatova, con la quale condivide anche il grande amore per la lingua e la cultura italiana. Ma Olga Sedakova è qualcosa di più: è l’intima voce della nazione russa, la cantrice della sua anima più profonda. C’è una tensione verso la spiritualità che traspare nei suoi versi. Arrestata durante il periodo sovietico per le sue convinzioni religiose, molte sue opere furono divulgate sotto forma di Samizdat, le pubblicazioni clandestine che permettevano ai dissidenti politici di fare conoscere il proprio lavoro. Ad Avvenire, dalla sua casa di Mosca, ha raccontato come il popolo russo stia vivendo questo conflitto e perché la Russia di Putin somigli all’Unione Sovietica di Stalin.

    Olga Sedakova, da fuori è molto difficile capire come la Russia stia vivendo questa guerra. Che idea si è fatta lei?

    La guerra è stato uno choc assoluto per tutti. Sembrava che semplicemente non potesse più accadere. Per i primi tempi c’è stata ancora l’illusione che ci si potesse svegliare come da un brutto sogno. Ma dobbiamo partire da che cosa è successo prima che questa guerra iniziasse.

    Ossia?

    Quando è cominciata la guerra non dichiarata, perché in Russia si chiama «operazione militare speciale», nel Paese era stata completamente distrutta qualsiasi opposizione, quasi tutti i media liberi sono stati banditi, era stata coniata l’etichetta di «agente straniero» per chiunque dissentisse. Con la liquidazione di Memorial, il nostro centro di storia vivente dedicato al ricordo delle vittime della repressione sovietica, e l’incarcerazione della figura più popolare dell’opposizione, Alexeij Navalny, la scena pubblica è stata completamente “ripulita” da qualsiasi attività che non coincida con quella ufficiale. La propaganda militarista ha preso piede dall’annessione della Crimea nel 2014. Le celebrazioni annuali della vittoria di guerra del 1941-1945 (chiamata in Russia Grande Guerra Patriottica) si tenevano con slogan come «Possiamo farlo di nuovo!». In televisione non c’era altro che propaganda. Propaganda viziosa e totalmente falsa. Era talmente idiota e brutta che sembrava impossibile che una persona “normale” potesse semplicemente ascoltarla e prenderla sul serio. Ma ha fatto il suo lavoro. Ha formato “l’uomo della tv”, che non può essere convinto di nient’altro. Questo “uomo della tv” costituisce ormai la maggioranza della popolazione. Così ora il divario tra questo tipo di persone e altre (che definirei sensibili) corre tra le generazioni, all’interno delle famiglie, all’interno delle comunità professionali. Una divisione di una forza incredibile. Nella “gente della tv” di oggi non c’è il pathos che l’annessione della Crimea causò nel 1914. Chiamerei la loro condizione difensiva: non vogliono conoscere il vero stato delle cose. La guerra per loro è giustificata da storie di propaganda sulle «atrocità» commesse dagli ucraini contro il popolo russo o russofono, sul «genocidio» in Ucraina. L’altra parte della popolazione ha espresso immediatamente il suo atteggiamento verso la guerra. Sono state raccolte centinaia di migliaia di firme: fra queste, probabilmente, ci sono i nomi di tutte le persone autorevoli e serie del Paese.

    Quale clima si respira in Russia in questi giorni?

    Il clima è depresso e teso. Un gran numero di persone cerca di vivere la propria vita come se non fosse successo nulla. Le persone con una chiara posizione contro la guerra si sentono come ostaggi: la forza militare dello Stato è diretta contro di loro. La repressività del regime è andata accumulandosi nel nostro Paese per molto tempo, ma ora sta diventando una vera e propria minaccia. Anche se qualcuno osa dichiarare apertamente la propria posizione, la gente non lo ascolta. Molte persone della mia cerchia stanno lasciando il Paese. Con varie motivazioni: la paura delle rappresaglie, la riluttanza a partecipare, il desiderio di salvare i bambini. Allo stesso tempo, uscire o fuggire diventa sempre più difficile. Spesso è una fuga verso una destinazione sconosciuta, senza averi, senza soldi, lungo percorsi difficili.
    È ancora possibile informarsi in modo indipendente ora che anche Dozhd ed Echo Moskvi sono state chiuse?

    La chiusura di tutti i media indipendenti è un grande colpo per la capacità di ottenere informazioni. Coloro che sanno usare i media elettronici trovano le proprie fonti. Ma sono in minoranza, credo. La ripubblicazione e la diffusione di tali informazioni è anche punibile penalmente. La maggioranza della popolazione riceve solo disinformazione ufficiale e, sorprendentemente, ci crede.

    Come ha ricordato, in Russia ci sono anche migliaia di persone che sono scese in piazza, nonostante rischiassero di venire arrestate. Lei crede che questa guerra possa avere in qualche modo danneggiato il consenso attorno a Putin?

    Se è così, non sarà presto. Forse quando l’impoverimento sarà evidente e non lo è ancora, oppure quando si conosceranno i numeri dei soldati russi uccisi in guerra (per ora su questo c’è il silenzio totale).

    Cosa succederà adesso in Russia? Putin diventerà ancora più autoritario? Qualcuno ha detto che questa sembra l’Urss senza il comunismo. Si trova d’accordo?

    Molto oggi assomiglia all’Urss dei suoi giorni stalinisti più repressivi. Come allora c’è la richiesta di un sostegno pieno e incondizionato a qualsiasi decisione delle autorità. Ma c’è anche qualcosa di nuovo. Gli slogan e lo stile sono spesso presi direttamente dal Terzo Reich. Il regime sovietico camuffava la sua brutalità. Oggi la brutalità della soppressione forzata di elementi esterni e locali è praticata apertamente e non nascosta. L’ideologia comunista non esiste più. Invece del marxismo-leninismo e «dell’ateismo militante» c’è ora una torbida miscela di cattivo misticismo storiosofico, l’idea di una “Grande battaglia” in cui i russi dovrebbero essere pronti a morire e a distruggere il mondo intero insieme a loro stessi, per porre fine al “Male del mondo”. Un misto di vendetta, aggressione imperiale, odio verso “loro”, ossia, nel linguaggio ufficiale l’Occidente collettivo. E non c’è niente davanti. Nessun “futuro luminoso”, come sotto il comunismo, e nessun futuro in generale.

    Lei è considerata la più grande poetessa russa vivente. La letteratura russa è una letteratura fatta di coraggio, di denuncia, spesso anche di dissidenza. Che ruolo stanno ricoprendo gli intellettuali in questo momento così drammatico per il loro Paese?

    Penso che gli artisti e gli intellettuali russi, come è sempre successo nei momenti difficili, troveranno la forza e l’ispirazione (questo è molto importante, l’ispirazione: la parola non ispirata è impotente) per esprimere ciò che l’anima umana viva vede in quello che sta succedendo. E un’anima non può rimanere viva senza verità, senza libertà, senza compassione.
    La Russia può avere un futuro aperto e democratico, magari vicino all’Europa?

    Lo spero. Non vedo come possa avvenire una transizione verso “un’altra Russia”. Una cosa è chiara: non può essere facile. Saranno tempi difficili e forse terribili. Ma se non credi in un tale risultato, non vuoi vivere. Ci sono troppe persone in Russia che meritano un’altra vita e sono pronte per essa.
    Chi è. Avversata e poi premiata

    Olga Sedakova è nata a Mosca nel 1949. Già dalla prima infanzia ha manifestato un interesse precoce per la poesia e le lingue straniere. Ad appena 20 anni il regime sovietico l’ha fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico. La sua colpa era lo scarso interesse e attivismo politico, ma soprattutto le sue prime poesie, che avevano preso a circolare e che furono considerate troppo intrise di senso religioso e spiritualità. I cinque mesi di permanenza nell’istituto e i tentativi di choc glicemico per fiaccarne la memoria non hanno avuto le conseguenze sperate né sulla sua testa né sulla sua fede. Una volta uscita dall’ospedale psichiatrico, Sedakova ha ripreso gli studi in Filologia, laureandosi a pieni voti all’Università Lomonosova di Mosca nel 1976. Le sue prime raccolte di poesie nel frattempo hanno iniziato a circolare con sempre maggiore frequenza, pubblicate clandestinamente in patria e tradotte in più lingue fuori dai confini nazionali, dall’inglese all’ebraico, dal serbo al cinese, passando per l’italiano. Dovrà aspettare fino al 1989 perché il suo Paese decida di diffondere la sua opera poetica e i suoi scritti di narrativa. Nel 1991 le viene anche assegnata una cattedra alla Facoltà di Filologia, Dipartimento di Storia e Teoria della cultura mondiale. Sedakova è anche un apprezzata traduttrice: è stato proprio l’amore per le letterature straniere a portarla ad approfondire gli altri idiomi. In 40 anni è stata insignita dei maggiori premi e riconoscimenti internazionali.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    "Mi piace"

    • vincenzo petronelli

      Grazie ad Antonio Sagredo ed a Giorgio per averci consentito di leggere questa straordinaria testimonianza. Straordinaria per l’acutezza dell’analisi storico-politico-sociale e perché ci dimostra quello che è un convincimento fondante del progetto Noe e cioè la capacità della poesia di farsi – rispettando ed evitando di snaturare le sue prerogative espressive – bussola interpretativa del mondo, sincronicamente e diacronicamente, contro l’idea della sua riduzione a puro rifugio dell’io, come purtroppo ormai succede nella maggior parte della produzione poetica circolante nel mondo dell’industria culturale.
      Voci come quella di Olga Sedakova ci fanno comprendere che fortunatamente la poesia sia ancora viva, ma per poterla cogliere ed assaporare bisogna possedere gli strumenti per riuscire a coglierla là dove alberga realmente: nelle soffitte, nelle cantine, nei rifugi sotterranei, molto più frequentemente che nello costruzioni principali.
      Grazie ancora.

      "Mi piace"

  15. milaure colasson

    Un lettore ci scrive: È possibile oggi scrivere una poesia sulla guerra?

    E’ inutile girarci intorno, oggi non è più possibile scrivere una poesia sulla guerra, per una semplice ragione: è la vita elementare, la vita quotidiana degli uomini delle democrazie neoliberali che è diventata una guerra permanente: andiamo in guerra tutti i giorni, tutti sono già preparati fin dalla culla ad andare in guerra, è una guerra generale e generalizzata, viviamo in una zona di conflittualità permanente e di permanente regime di esclusione (i più forti escludono i più deboli, i ricchi escludono i poveri, i mascalzoni gli onesti). Viviamo e prosperiamo in un regime ad esclusione portabile, controllata e irreggimentata, siamo entrati nell’epoca delle democrazie dell’esclusione controllata e auto controllata, con il premio di consolazione del sussidio di cittadinanza. La NOe, la poetry kitchen deriva dalla presa di conoscenza di questa situazione globale. Chi scrive alla maniera lirica e postlirica è un confidente e un connivente di questa situazione politica di stallo stilistico. E’ inutile girarci intorno: le democrazie neoliberali se vorranno sopravvivere in Occidente devono trovare il coraggio di fare delle riforme coraggiose: togliere ai ricchi e agli straricchi per devolvere parte di questa ricchezza smodata ai poveri, rimettere in moto l’ascensore sociale, aprire gli spazi di libertà…

    Brodskij è stato un poeta del modernismo europeo, uno dei massimi, oggi che il modernismo è morto e sepolto, scrivere una poesia della memoria o una poesia sulla guerra è kitsch, è fare propaganda, anzi, è un esercizio di fare arte impegnata alla maniera degli anni Sessanta. Brodskij ha aggirato il problema: ha fatto una poesia contro il “generale Z.” non contro la guerra in modo generalizzato. Chiediamoci: come è possibile che Putin e il suo regime di criminali abbia raccolto e raccolga tuttora tra i disgraziati e i poveri tanto consenso? La domanda è perentoria e richiede che si risponda con delle riforme, rimettendo in moto la democrazia. In Russia ciò è possibile soltanto rimettendo in modo una democrazia che colà non c’è mai stata, soltanto costruendo una democrazia si potrà porre un argine alle smanie di potenza dell’élite di criminali inconsapevoli che ha fatto il suo apprendistato tra le file del KGB. Ma quello che c’è di più allarmante è vedere quanti appoggi e approvazioni indirette goda Putin e il suo regime tra le masse degli italiani e tra i partiti italiani di destra. Come si può spiegare questo fatto? Come è stato possibile? – ma questo è un problema tutto italiano, squisitamente italiano.
    (Marie Laure Colasson)

    "Mi piace"

  16. antonio sagredo

    ———————

    Chiediamoci: come è possibile che Putin e il suo regime di criminali abbia raccolto e raccolga tuttora tra i disgraziati e i poveri tanto consenso?
    (Colasson)

    Chiedetevelo!
    – A me basta dire:
    lo ripeto ancora una volta: bisogna essere necessariamente uno slavista.
    Non é necessario che una persona conosca la lingua russa: tanti oramai la conoscono, ma non hanno mai letto una opera letteraria, teatrale e storica,
    russe….
    Basterebbe leggere una opera prima di Puskin: “Viaggio da Pietroburgo a Mosca” di Aleksandr Radiščev , 1790
    (è tradotto in italiano)
    —————————————————————————————–
    “slavista! mi gridano donne con frappe sul capo
    e con fettucce e colombe e fleurettes e crauti e baubau.
    slavista! mi assalgono omini violacei
    con scròfole e maschere e nasi di ostenda.
    slavista! mi strilla un rez-de-chaussée spelacchiato
    con pesciolini semimorti sul davanzale.
    slavista! mi insultano un groom d’ascensore
    e un albume molliccio dalle mani sudate.
    slavista! mi frusciano i fiumi di piazza navona.
    slavista! mi zufola un gazzelloni sul flauto.
    slavista! mi dice un tacchino di plastica, un gozzo di polistirolo.
    slavista! mi beffano da un carro funebre,
    gonfio come una torta con ciòndoli d’oro.
    chiedo perdono. è deciso. la prossima volta
    farò un altro mestiere”
    —-
    di AM Ripellino

    SERGEJ ADAMOVIC KOVALËV (1930 – 2021)
    Uno dei più importanti difensori dei diritti umani in Unione Sovietica e in Russia

    Sergej Adamovic Kovalëv è stato uno dei principali combattenti per la difesa dei diritti umani in Unione Sovietica e in Russia. Ricordando l’amico scomparso a Mosca, l’8 agosto 2021, lo storico Adam Michnik, direttore del principale quotidiano polacco “Gazeta Wyborcia”, ha scritto: “Sergej, assieme ad Andrej Sacharov, è stato il simbolo dei migliori valori dell’umanesimo e della libertà nei nostri tempi, e anche il più bel volto dello spirito russo. È stato un critico intransigente dei nazionalismi e delle dittature, che vedeva come varianti contemporanee del bolscevismo e del fascismo”.
    Kovalëv era nato nel 1931 a Seredyna-Buda (Ucraina), figlio di un impiegato delle ferrovie. Come ha racontato nella sua autobiografia pubblicata in tedesco Der Flug des weißen Raben: von Sibirien nach Tschetschenien (Il volo del corvo bianco: dalla Siberia alla Cecenia, Rowohlt 1997), il suo rifiuto dell’ideologia sovietica e delle forme di vita sociale in URSS si formò già durante l’infanzia. Per questo, abbandonò precocemente l’idea di diventare un umanista (un avvocato o uno storico) e scegliere la carriera di scienziato che sembrava politicamente meno pericolosa. Nel 1954 si laureò in Biologia all’ Università di Mosca, dove conseguì un dottorato di ricerca in biofisica nel 1964. Dal 1965 al 1969 è stato a capo del Dipartimento del laboratorio interfacoltà di metodi matematici in biologia. E stato autore di più di 60 pubblicazioni scientifiche, soprattutto nel campo nell’elettrofisiologia del tessuto miocardico. Il suo scontro con il potere sovietico fu inizialmente di carattere scientifico, perché, trovandosi a combattere contro le sballate teorie dominanti del bio-agronomo Trofim Lysenko dovette accorgersi che la scienza biologica sovietica era non meno dipendente dall’ideologia che le discipline umanistiche. Fu uno degli autori di una lettera al preside della Facoltà di Biologia sulla necessità di una revisione radicale dei corsi universitari di genetica in modo che riflettessero vari punti di vista scientifici. Su pressione dei funzionari del partito e del Komsomol, la maggior parte dei firmatari ritirò i propri nomi: Kovalëv fu tra i pochi che si rifiutarono di farlo.

    Nel 1969 Kovalëv fondò la prima organizzazione per la difesa dei diritti dell’uomo nell’ URSS: il “Gruppo di iniziativa per la Difesa dei Diritti dell’Uomo”. Da quel momento fu costantemente interrogato e perquisito. Assieme al collega, amico e “complice” Alexander Lavut fu costretto a lasciare l’Università e ottenne un lavoro come ricercatore presso la Stazione sperimentale di allevamento e bonifica del pesce. Dall’inizio del 1972 entrò nella cerchia di coloro che preparavano i numeri del samizdat di controinformazione “Cronaca degli avvenimenti correnti” (tra i quali la poetessa Natal’ja Gorbanevskaja e il generale dissidente Pëtr Grigorenko) e presto ne divenne caporedattore. Per questo, il 28 dicembre 1974, fu arrestato con l’accusa di “propaganda antisovietica”. Processato a Vilnius, fu condannato a 7 anni nel Gulag e 3 anni in esilio da Mosca, dove potette tornare, nel 1987, grazie alla perestrojka avviata da Gorbacëv. In quel periodo, Kovalëv accentuò il suo attivismo politico, partecipando alla fondazione di diverse importanti organizzazioni e iniziative umanitarie, come l’Associazione MEMORIAL (della quale è stato co-presidente dal 1990, assieme a Lev Razgon), dedicata alla memoria e alla riabilitazione delle vittime della repressione politica in Unione Sovietica. Dal 1993 al 2003 fece parte della Duma, il parlamento russo. Nel 1993 ha co-fondato il movimento e più tardi il partito politico “Scelta della Russia” successivamente ribattezzato “Scelta democratica della Russia”.
    È stato tra i più decisi oppositori della la prima guerra in Cecenia (1994-1996), che raccontò alla radio e in tv. Nel 1996 diede le dimissioni dalla presidenza della Commissione dei diritti umani voluta dall’allora presidente russo Boris El’cin, dopo aver pubblicato una lettera aperta in cui lo accusava di autoritarismo. Nel 2010 fu tra i firmatari della campagna online per la raccolta di firme “Putin dimettiti”: “Il dispotismo come modello di gestione è l’obiettivo, l’ideale, di questa struttura di potere cinica, mal costruita e senza speranza. Un simile ideale non è nuovo ai leader della Russia contemporanea, che vengono direttamente dal KGB. Si sono semplicemente riconvertiti alle professioni che esercitavano sotto il regime sovietico. Comunque il più grosso problema in Russia non è questo ma che non c’è ancora una società civile che possa svolgere il ruolo del padrone di casa. Per questo abbiamo i leader che ci meritiamo: aggressivi, boriosi ma anche incapaci e deboli”. Indomabile critico e oppositore della politica oligarchica di Putin, come la sua amica giornalista Anna Politkovskaja, assassinata per essersi occupata degli orrori della guerra in Cecenia, Kovalëv ha posto coraggiosamente il rispetto dei diritti umani alla base di qualunque organizzazione politica: “La Russia non è mai stata dove si sta indirizzando ora. In modo grossolano si potrebbe dire che sta tornando indietro, verso il periodo sovietico, ma i tempi sono cambiati, non si possono ricreare i Gulag o la censura di Stato. Così cambiano i metodi, ma l’idea di fondo resta la stessa. (…) Il concetto sovietico del potere, che Putin sta ricostruendo, è quello dello Stato come un valore in sé, quasi un concetto metafisico” (intervista di Silvia Pochettino su “Avvenire”, 10/10/2006). Nel suo libro che raccoglie i suoi principali interventi, La pragmatica dell’idealismo politico (1999), Kovalëv aveva sostenuto: “Vedo soltanto una via d’uscita, incredibilmente difficile ma senza spargimento di sangue, alla nostra tragica situazione: obbligare quelli che stanno al potere a un dialogo aperto con l’opposizione che si sta appena formando (e che purtroppo è ancora frammentata e inefficace). Le alternative a questa fantastica possibilità sono imprevedibili e persino più tremende: rivolte fasciste, caos, e feroce totalitarismo”.
    Il giornalista polacco (corrispondente da Mosca dal 1997 al 2015) Wacław Radziwinowicz ha ricordato che, alla fine della prima proiezione moscovita, al Dom-Kino, del film Katyn (2007), del regista polacco Andrzej Wajda, sul massacro degli ufficiali polacchi prigionieri, da parte delle Forze di Sicurezza sovietiche, durante la Seconda Guerra Mondiale, il pubblico russo rimase in silenzio, scioccato. Allora si sentì il grido di Sergej Kovalëv: “Poliaki, prostitie nas!” (Polacchi perdonateci!).

    "Mi piace"

  17. antonio sagredo

    da precisare che l’intervista alla poetessa Olga Sedakova è tratta da:
    “Poesia e Samizdat “.
    e che l’intervento sul dissidente russi Kovalev è tratto da:
    “Gariwo – la foresta dei giusti” (Enciclopedia dei giusti – Guilag)

    "Mi piace"

  18. dalla prossima rubrica la post@il mangiaparole
    (appunti sul modernismo)

    “Gentile Redazione,
    seguo con molto interesse il trimestrale Il Mangiaparole, conservo tutti i numeri della rivista e spesso vi ho trovato citazioni e riflessioni riguardanti il postmoderno. Ma come si fa a parlare di postmodernismo letterario se ancora non si hanno chiare le idee sul modernismo?”
    (Carlo C., Roma)

    Risposta di Gino Rago

    Come risposta Le propongo questi appunti sul modernismo letterario anglo-americano (“high modernism”, “alto modernismo”) e i suoi influssi su quello italiano ( “high modernism”).

    Non si può prescindere da una premessa: l’esigenza di revisione del modernismo è stata sollecitata nel corso del dibattito degli anni ‘90 sul postmodernismo in Italia. Perché? Perché si sono imposte riflessioni su che cosa implicasse il prefisso ‘post’ davanti al termine “modernismo” e quindi si è dovuta prendere in serissimo esame quella precedente corrente letteraria e culturale del modernismo da cui il postmodemismo trae origine.

    Il modernismo è la componente legata strettamente alle sole sfere della letteratura, dell’estetica e della creatività, ma che con altre componenti, (economia, politica, filosofia, scienza, tecnologia, flussi migratori, ecc.), contribuisce a identificare quei momenti di rapide trasformazioni che individuano ciò che viene detta “modernità”.

    Per la categoria di “modernismo” la critica letteraria anglo-americana sempre di più è orientata a indicare come fondamentali alcune tendenze precise, così sintetizzabili:

    – Il modernismo anglo-americano, come componente culturale della modernità, non è identificabile con le caratteristiche che il modernismo letterario ed estetico ha assunto nell’occidente, ma è da ridefinire in funzione del contesto di riferimento e soprattutto in termini di scambi culturali fra tradizioni diverse.

    – Il modernismo come corrente o poetica all’interno della letteratura anglo-americana riconoscibile in una serie di autori (Pound, Eliot, Joyce, Woolf) e di tematiche e tecniche compositive (la crisi del soggetto, la frammentazione e il collage, il flusso di coscienza, il “metodo mitico”, il correlativo oggettivo, ecc.) e spesso distinta con l’appellativo “high modernism”.

    – Il modernismo come modalità della “letteratura del nuovo”, in cui il rapporto con la tradizione e con l’istituzione arte si configura non in termini di rottura e rifiuto, com’è invece il caso dell’avanguardia, ma di dialogo e continuità nella novità.- Il modernismo come periodo della storia delle letterature europee, con confini cronologici che variano a seconda delle diverse tradizioni nazionali, ma comprendente senz’altro la prima metà del Novecento, è passibile di ulteriori scansioni come “tardo modernismo”.

    Luca Somigli in un suo saggio scrive:«[…]La mia impressione è che, nel recente dibattito italiano, il termine sia stato usato quasi esclusivamente secondo le prime due accezioni. Ciò che mi chiedo è se, a lungo termine, non possa risultare invece più utile vedere nella instabilità e plurisemanticità del termine una risorsa per gli studi letterari. La proposta di Friedman di “pluralizzare” la nozione di modernità (e dunque di modernismo) potrebbe rivelarsi non del tutto fuori luogo in un contesto come quello dell’Italia fin-de-siècle caratterizzato da forti squilibri interni di sviluppo economico e industriale, e da notevoli tensioni tra centri politici ed economici e periferie. Non a caso, uno dei primi esempi di romanzo postcoloniale italiano è opera proprio di uno dei maestri del modernismo: sto pensando, ovviamente, al pirandelliano I vecchi e i giovani (1913)[…]».

    Nella letteratura, nella poesia, nella estetica, il modemismo deve essere distinto dall’avanguardia, e quindi dal futurismo, giacché nei due movimenti si manifesta una diversa concezione temporale. Nell’avanguardia domina la sincronia, poiché in essa si privilegia l’immediatezza del presente; nel
    modernismo si recupera la diacronia, attraverso la rivisitazione del passato.

    Romano Luperini scrive:«Gli scrittori modernisti non fanno gruppo, ma seguono traiettorie individuali; non sbeffeggiano la tradizione ma perseguono un rapporto complesso di continuità e cambiamento nei suoi confronti. Modernisti e avanguardisti hanno inoltre due differenti coscienze del tempo:
    gli uni, (i modernisti), vivono il presente in quanto precarietà e apertura al possibile; gli altri, (gli avanguardisti), in quanto contributo al futuro e sua obbligata anticipazione; i primi presuppongono «una temporalità intermittente o seriale», i secondi una temporalità «genetica o dialettica».

    Rispetto all’avanguardia futurista i modernisti esprimono perciò netto dissenso e anche quando, per un certo periodo, ne fanno parte (è il caso di Palazzeschi) poi se ne dissociano apertamente.

    All’inizio del nuovo secolo, il ‘900, la separazione dal passato è assai più netta fra i modernisti che fra gli adepti del futurismo».

    *
    Gino Rago

    "Mi piace"

  19. È da un po’ che non scrivo. Ho chiesto al medico,
    dice che sua moglie lo ha lasciato. Ha iniziato a scrivere.

    – Ama quel che le pare. Si veste come una pazza. Si lascia rapire
    da un verso. Sa, dice, implora; cioè, lo pensa. Non la senti parlare.
    La casa (un) fai-da-te.

    – “La rondine al tetto”. Libro per prostitute; scritto a quarto mani
    con canterina che squilla – si vede che sta bene, neanche guarda
    i tasti… vola!

    L’arretrato del tutto, signor accapo.

    – Dice di essere turca. Ha le lentiggini. Si esprime con gesti.
    È muta.

    Ci siamo. Tra sei ore gli occhi saranno chiusi. Strano destino.

    – Sempre facendo gesti canta Fiume di parole tra noi.

    Più in basso, le Dolomiti.

    LMT

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.