Much-loved pub destroyed
In the city of Kharkiv, in north-east Ukraine, the beloved Old Hem bar – named after the owner’s literary hero Ernest Hemmingway – was destroyed by Russian shelling.
An extraordinary image shared widely on social media showed the building which once housed the pub reduced to rubble. The owner – now in western Ukraine – told the BBC that he hopes to return one day to his city and rebuild his bar.
“We will win and Hem will rise again,” Kostiantyn Kuts said [La scorsa settimana mi sono seduto in un parco del centro città, con l’erba tagliata con cura, le aiuole in fiore, e mi sono gustato un gelato al caffè. La città (Kharkiv) è ancora in gran parte vuota, ma il numero di colpi di artiglieria russa è sceso da dozzine al giorno a solo una manciata. Le sirene dei raid aerei continuano a ululare regolarmente, ma Kharkiv non si sente più sull’orlo della catastrofe.]
Pier Aldo Rovatti
«Per Carlo Sini, l’esercizio con cui dobbiamo cercare di entrare in sintonia con il ritmo del nostro esistere è una “iniziazione” del soggetto. Che cosa può significare? Chiamare la pratica della soggettività “iniziazione”, e farlo in un contesto filosofico, significa prendere congedo da un’idea semplice e tradizionale di “autocoscienza”: potenza del lumen ed efficacia degli specchi, il normale regime o registro delle immagini, o ancor meglio dell’immaginario, dovrebbero essere “sospesi”. Ma, di nuovo, che significa “sospendere” se non proprio, nell’atto stesso del sospendere (o dell’esitare), mettere in questione il dominio delle leggi ottiche del mondo-oggetto, il mondo “cosale” del pleroma che dà semantica e sintassi al nostro discorso comune?
Allora il mettere fra parentesi, e il mettere tra parentesi le parentesi in un gioco distanziante e “abissale”, non potrà essere né gratuito né disinteressato, non potrà nutrirsi alla filosofia: nessuna amicizia e amore intellettuale per la verità, nessun rilancio sublimante (uno sguardo che si alza) verrà in soccorso all’esercizio, alla possibilità pratica di esso. Infatti, se qualcosa se ne può dire (poiché ha un suo rigore), è che, rispetto alla verità comunque intesa come una forma di “possesso” (reale o possibile), cerca un evitamento, una difesa, una resistenza: e ingaggia conseguentemente una lotta, o almeno una contesa, un contenzioso. Se si tratta di iniziarsi al soggetto come a ciò che ha da prendere ai nostri occhi una “figura inaudita”, ancorché noi lo siamo ogni giorno e in ciascun istante (dato che si tratterebbe di “ascoltare” qualcuno che ci dice che non siamo noi stessi ma altro, alterità), occorre predisporre uno spazio, dei margini, un’intercapedine, una zona di vuoto.
Per “lasciar essere” le cose, dobbiamo con molta fatica alleggerirci di molta zavorra, anche se ci dispiace (ecco la fatica) perché questa “zavorra” è fatta di saperi, strumenti, piccoli e grandi apparati vantaggiosi per la nostra personale potenza. Non si tratta di rinunciare a essi per chi sa quale “povertà”: bensì di ritirare identificazioni e investimenti, lateralizzare, togliere valore e importanza. Rispetto, per esempio, al credere che “conoscere è sempre un bene”. Il problema della “sospensione”, insomma il senso da attribuire alla “iniziazione”, si condensa sulla possibilità di praticare la persuasione (penso a Carlo Michelstaedter) che vi sono zone di “non consapevolezza” che non solo è opportuno conservare, ma che vanno “attivate” proprio per permettere al soggetto di entrare in gioco con se stesso [corsivo redazionale]». 1
1] Pier Aldo Rovatti Abitare la distanza, Raffaello Cortina, 2010, pp. 6-7
Giorgio Linguaglossa da Distretto n. 18 di prossima pubblicazione
Distretto n. 18
È entrato nella stanza all‘ora della pausa pranzo
Si è seduto sulla sedia a dondolo
– il Signor K., in maniche di camicia –
«Un Campari?».
Guardò attraverso la finestra aperta dalla quale un vento sporco rimestava gli angoli della stanza come alla ricerca di una refurtiva nascosta.
«Non c’è fretta, caro Linguaglossa, c’è posto per tutti,
per le visioni, le revisioni e le permutazioni…»
Gli impiegati di banca entravano ed uscivano dai bar
preoccupati di qualcosa d’altro
entravano ed uscivano dalle porte girevoli,
li percepivo nella nebbia come se ci fosse un filtro,
i polsini delle camicie con i gemelli in finto oro, le spille, i fermacravatte
con le cravatte dozzinali,
il fumo delle sigarette tra gli scaffali e le bibite lasciate a metà, le mani
che si stringono alle maniglie, ai corrimani…
ricordo soltanto il profumo di un vestito femminile
muschio con legno di sandalo
non saprei dire…
Esteves è uscito dalla tabaccheria, s’è voltato, mi ha visto
e mi ha salutato con un cenno;
io mi sono alzato dalla sedia, sono andato alla finestra,
e gli ho risposto: «ciao Esteves!»,
poi lui si è allontanato, la nebbia gialla è entrata nella stanza
La nebbia gialla strofina il petto sui vetri della finestra,
la pioggia fitta sui vetri
le persone negli autobus vorrebbero dire qualcosa,
si tengono ai ganci;
una donna si ripassa il rossetto sulle labbra, fa una smorfia,
si osserva allo specchietto
Rivedo Giusy attraverso un acquario
appoggiata allo stipite della porta, tra le mani un porta sigarette d’argento
esita
mi getta un’occhiata, sorride, si volta all’indietro.
«Ricordi, Alberto?, io ero con il mio terrier, “Coccobill”,
al luna park, all’Eur, sulla Grande Ruota!
stavamo così stretti!, poi venne il buio, una pioggia fitta
sullo Stanbergersee…
lo ricordi Alberto?»;
io mi schernii: «no, non lo ricordo…»,
dissi
però non le ho detto che non ero io…
La pioggia cadeva fitta sui vetri
mi venne in mente che fosse una estranea;
dissi semplicemente:
«Un caffè, ti va?», così, per prendere tempo.
«Chiudi la porta, Giusy»
aggiunsi:
«Non dimenticare di chiudere sempre la porta alle tue spalle».
Mi sporsi dalla finestra per vedere se gli alberi erano ancora lì.
«C’è troppo caldo qui, non si respira…
facciamo due passi», dissi.
La incontrai molti anni più tardi sulla Berkeley street,
la spider rossa parcheggiata tra gli alberi
il tubino aderente
il décolleté rosso fuoco
Cadeva una pioggia fitta sullo Stanbergersee.
«Ripariamoci, andiamo via di qui,
fa freddo…»,
dissi.
(2013)
Lucio Mayoor Tosi
Lucio Mayoor Tosi
13 febbraio 2018 alle 23:53
L’inizio di una poesia può essere porta d’ingresso o di uscita. A volte esci e sei già dove apprendi, vedi e dove parlano altri. Fantasmi. Altre volte, dalla stessa porta si può solo entrare, retrocedere: e sei nell’io, come in gabbia. Cosa può mai accadere nell’io se visto, o perfino vissuto dall’io stesso? Nulla. Dichiarazioni di inquietudine e desiderio, sofferenze, consolazioni, cecità… Sciocchezze! Serve distanza, un sé capace di allontanarsi, mettersi in viaggio. Non è la distanza della contemplazione estetica, perché non è dimenticanza di sé. È poter essere tutti i protagonisti in gioco, in azione. Essere tutte le loro parole. E magari averne di preferiti, vale a dire alcuni che ritornano, che stanno qui al posto tuo, arrivati da chissà dove. Io è un altro, io sono tanti altri. L’inizio di una poesia è tutto, altrimenti si sta all’ingresso pensando e pensando. L’inizio è oltre la porta. Ma la porta è visibile solo quando è chiusa. Davanti alla porta chiusa ci possono stare anche dei meditatori silenziosi, privi di pensiero. Osservatori disinteressati, quindi non contemplativi. E’ raro che tra questi si trovino anche dei poeti. Se accade vi è conflitto tra logos e silenzio. E dove c’è conflitto c’è sofferenza. In questo caso si è poeti a fasi alterne: ogni tanto si va via ma per non perdersi servono notti stellate, punti luminosi. Presenze, anche lontane. Quindi ci si sente in missione, chi per la filosofia, chi per la scienza, chi per la storia. Ma queste sono sempre qualcuno.
Giuseppe Gallo
Omaggio alla “Pallottola” di Gino Rago
Il proiettile, dopo aver sorvolato la Muraglia cinese,
gli era entrato nell’occhio sinistro,
ma né Vic, né Mary se ne erano accorti.
-Mamy…
-Sì…
-Ho una pupilla ballerina!
-No! No! Ha l’occhio pigro! Sentenziò l’oftalmico.
-No, ribatté la madre, è un tentativo di suicidio.
-A quest’età? Si oppose il padre.
-Sì, perché mio figlio è molto precoce!
Jerry, comunque, gironzolava per casa come se niente fosse.
L’occhio pigro continuava a essere pigro
e non si curava di inseguire le farfalle
o le nuvole che si accoccolavano sulle sue spalle
invece che sulle antenne della città.
-Come farai a vivere
se non guardi sopra e sotto, sia a destra che a sinistra?
Si preoccupò la sorella.
-Non so… Perché non me la togli tu questa pallottola?
-Io?
-Tu, sì!
Allora Terry gli strinse il viso tra le mani,
afferrò il proiettile con gli incisivi e gli diede uno strattone.
E fu guerra tra Russia e Ucraina.
Mimmo Pugliese
APRILE VENTIVENTIDUE
Scappava da 12 giorni
tutti gli indirizzi che ricordava erano sbagliati
La giacca appena comprata
era parente di una scatola di fiammiferi
Scappava da 12 giorni
dopo avere seppellito tappi di sughero
Uomini con occhi di passero
discutono con rane e trattori
La mongolfiera vende passaporti alle formiche
timonieri incrociano balconi
Sulla schiena della collina
i vasi comunicanti avevano serrature finte
Stanotte la campagna è blu
nella mansarda è fiorito il baobab
Torpide gondole rovistano ortiche
donne con le trecce infilano fondi di caffè
L’ipotenusa della foresta va alla guerra
ha un fastidioso prurito al braccio destro
Scappava da 12 giorni
hai fame?
Hai sete?
hai sonno?
La geografia stingeva le labbra
sputava cicatrici lo specchio
*
Davanti a lune inclinate sulla coda dei cani
Arlecchino suona la tromba e spia un tempo che non c’è
Ferisce l’acqua un letto in salita
libri e pellicce cercano riparo dagli indovinelli
Sulla punta dei cerchi germoglia un triangolo
senza motivo un apriscatole sbuca dal sipario
Dagli zigomi del perimetro cade un Arlecchino in frantumi
scarpe catatoniche respirano tegole
Frotte di armigeri truffano la roulette
creole in bikini salutano dai risciò
Schemi agnostici sorpassano in curva scialuppe
scale musicali a manichini di creta
Ponti ubriachi rubano polimeri alla regina
sulle giunture dei muri rombano lumache
[Viviamo tutti dentro una zona di compromissione referendaria dalla quale non v’è alcuna possibilità di uscita (g.l.)]
Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York. Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.
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Giuseppe Gallo, nato a San Pietro a Maida (Cz) il 28 luglio 1950 e vive a Roma. È stato docente di Storia e Filosofia nei licei romani. Negli anni ottanta, collabora con il gruppo di ricerca poetica “Fòsfenesi”, di Roma. Delle varie Egofonie, elaborate dal gruppo, da segnalare Metropolis, dialogo tra la parola e le altre espressioni artistiche, rappresentata al Teatro “L’orologio” di Roma. Sue poesie sono presenti in varie pubblicazioni, tra cui Alla luce di una candela, in riva all’oceano, a cura di Letizia Leone (2018.); Di fossato in fossato, Roma (1983); Trasiti ca vi cuntu, P.S. Edizioni, Roma, 2016, con la giornalista Rai, Marinaro Manduca Giuseppina, storia e antropologia del paese d’origine. Ha pubblicato Arringheide, Na vota quandu tutti sti paisi…, poema di 32 canti in dialetto calabrese (2018). È redattore della rivista di poesia “Il Mangiaparole”. È pittore ed ha esposto in varie gallerie italiane.
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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie.
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“Questa colomba sbiadita e biancastra del Moncayo
s’è distesa come il Cristo del Mantegna!” (A. Sagredo)
SUGGERIMENTO AGLI OCCHI DI STARE IN GUARDIA.
Sobbalza il titolo. Fammi fare la primadonna –dice-
O cingimi di spine come il capo di Gesù.
Non uscirà una mano tesa né un francobollo sotto il naso
Ma intanto questa è una raccomandata senza ricevuta
Chi non avesse voglia di metterci la faccia
Rispedisca al mio indirizzo.
Una tribù intera torna ai suoi teepee
Cerca vittime tra i versi. E’ qui il fornello pronto?
Un venerdì santo ci rivedremo.
In fondo si tratta di insaccare carne fresca
Esporla al pubblico figo fa.
Ci sono squaw e piccoli guerrieri che suonano vocali
Fantasmi d’orinatoio e ruote alle consonanti.
Pallina da Ping Pong cosa vorresti per colazione?
-Un campo di golf dove giocare col Re d’America.
E se un budino oscilla sugli scalini dell’airplane
Ezechiele Lupo gioca a mordere con un cucchiaio.
Ci sarà la colomba di Sagredo nella bustina da thè?
Liofilizzata più di un titolo di giornale:
CRISTO IN PIEDI COME QUELLO DI MANTEGNA.
(F. P. Intini)
Il dove siamo ha poca importanza, tanto la realtà ci riporta sempre a galla.
L’immedesimazione comporta straniamenti emotivi…
“il fumo delle sigarette tra gli scaffali e le bibite lasciate a metà, le mani
che si stringono alle maniglie, ai corrimani…”(Linguaglossa)
“-E dunque, mio caro animale, ognuno ha la voce che si merita.” (Tosy)
“-Ho una pupilla ballerina!
-No! No! Ha l’occhio pigro! Sentenziò l’oftalmico.”(Gallo)
“Stanotte la campagna è blu
nella mansarda è fiorito il baobab” (Pugliese)
…che tracciano un atemporalità. Tanto la realtà ci riacciuffa sempre.
Forse il tentativo di questa nostra poesia è già una sorta di ricostruzione, dopo un enne tempo.
C’è un tempo, uno spazio, dove tutto questo pensiero poetico può avverarsi!
Una sorta di sottinteso emotivo risucchiato da un gigantesco buco nero.
La felicità della poesia kitchen è una sorta di forte aspirazione.
L’atto di essere aspirati!
Non ispirati.
Grazie a voi, grazie OMBRA.
caro Mauro Pierno,
davvero eclatante questo video, 20 minuti di «rumore per aspirapolvere rilassante per bambini», «rumore bianco» recita la dicitura pubblicitaria. Il fatto è che è rilassante anche per noi adulti. Chiediamoci: che cos’è che ci rilassa? È il rumore del rotore monotono della lavatrice, sempre eguale a se medesimo, che alla fine entra nella mente e addormenta. Quello che noi chiediamo ormai è soltanto questo: Dormire, addormentarci e non svegliarci più. Ma, chiediamoci: Che cos’è questo bisogno inconscio che ci coinvolge tutti? Che cos’è? Rispondo: È desiderio di sonno eterno, desiderio di morte, non svegliarci più, dormire in eterno. Incredibile. Ma perché tutto ciò? Ci risponde Mauro Pierno, perché «Il dove siamo ha poca importanza, tanto la realtà ci riporta sempre a galla.». È questa la verità che percepiamo, che non possiamo uscire dalla «verità» nella quale siamo immersi come in una atmosfera. E non è disponibile un’altra atmosfera nella quale possiamo vivere e respirare. Allora, torniamo alla domanda principe:
Che cos’è questo bisogno inconscio che ci coinvolge tutti? Che cos’è?
La risposta è semplice: non lo sappiamo, è un bisogno sentinella che tutti percepiamo ma per il quale non abbiamo una risposta pronta.
Ieri ho parlato con una mia amica alla quale è stata diagnosticata una maculosi. L’oculista le ha dato una cura a base di iniezioni di … sapete lei che ha fatto? Mi ha detto che ha paura, «chissà cosa c’è in quelle sostanze che mi vengono iniettate, e poi quelle sostanze hanno degli effetti collaterali negativi». Così, invece di fare le iniezioni ha consultato un altro oculista il quale, dice lei, le ha detto che non si trattava di maculosi ma di altro… così si è rivolta alle cure alternative (ovviamente senza alcun risultato dato che i fastidi degli occhi sono rimasti inalterati). Mi ha poi detto che voleva consultare un terzo oculista per avere la conferma o la sconfessione della precedente diagnosi. Io mi sono permesso di dirle di fare in fretta perché con la maculosi bisogna intervenire per tempo, altrimenti si rischia di peggiorare fino alla cecità. Ecco, questo è la soluzione, ho pensato: la cecità, non vedere più nulla del mondo, questa è la soluzione propugnata dal suo inconscio, infatti, non è un caso che la persona in questione è stata una decisa sostenitrice del NO-vax, No alla dittatura sanitaria del Conte-2, e adesso No-Draghi, No-alla politica dell’Europa pro-guerra, Sì alla resa degli ucraini a Putin…
Slavoj Žižek ha sostenuto che le masse occidentali delle persone benestanti sono entrate in un buco nero, nella Todestrieb (Pulsione di morte). Quella che in Freud era una categoria della meta psicologia (ecco la definizione di metapsicologia che nel 1915 ne da Freud: «Propongo che si parli di presentazione (Darstellung) metapsicologica quando si riesce a descrivere un processo psichico nelle sue relazioni dinamiche, topiche ed economiche»), adesso, a distanza di 100 anni è diventata una categoria del Politico (e anche dell’estetico), una categoria con la quale dobbiamo fare i conti per comprendere il malessere psichico e politico delle democrazie parlamentari dell’Occidente, che qui in Italia è particolarmente visibile.
La NOe e la poetry kitchen sono poetiche, o meglio, sono degli sviluppi di riflessione che hanno messo in luce che certi processi presenti nelle democrazie parlamentari d’Italia e d’Europa si riflettono anche nella praxis poietica, nella pratica poetica; la poetry kitchen, come è lampante dalle poesie dei 4 autori riportate in questo post e anche nelle poesie di Antonio Sagredo e Francesco Paolo Intini, riflette questi sommovimenti psichici inconsci presenti nelle democrazie parlamentari d’Italia e d’Europa in modo vistosissimo ed evidentissimo.
Ho letto e riletto attentamente quest’intervento di Giorgio e non solo non posso che apprezzarlo e condividerlo, ma credo altresì che sia il passaggio chiave di quest’articolo, Mi ha impressionato, con la sapienza dell’uso lessicale in cui evidentemente Giorgio è maestro, la ripetizione quasi ipnotica di verbi sinonimici dell’azione del sonno: “dormire, addormentarci e non svegliarci più” afferma Giorgio, evidenziando l’attitudine dell’uomo odierno alla letargizzazione della propria coscienza, pur di vivere di parole e concetti leggeri, che non insidino le certezze materiali acquisite: in fondo, sembra che per molti nostri simili del mondo occidentale, è sufficiente arrivare a fine giornata con un buona bottiglia vino da stappare o con un “grande fratello” in televisione, per sentirsi appagati, che si continui a morire o meno nei vari angoli del mondo o che aumenti o meno la precarizzazione della nostra società a tutti i livelli.
Sappiamo come storicamente questi siano i momenti più pericolosi nella storia dell’umanità, quelli in cui, pur di continuare a non fare a meno delle meschine certezze della quotidianità, le società anestetizzate dalla percezione dell’opulenza, una volta sulla soglia della crisi, dello sfacelo, siano disposte a prostituire la propria libertà intellettiva, barattondola con dei suoi succedanei: e la cornice in cui siamo immersi, oggi in questo clima da fine impero, è quella tipica di una “svendita totale” della società.
Un campanello d’allarme che evidenzia particolarmente le analogie perniciose fra la nostra epoca ed alcuni fra i momenti più bui della storia dello scorso secolo è la centralità che è tornata ad assumere una visione della politica (che come sempre sussume le logiche sociali e culturali generali che regolano la vita comunitaria) indirizzata subdolamente alle masse, irretendole con propaganda e slogan di facile attecchimento: parole che semplificano la complessità del reale, dando l’impressione che la soluzione alle proprie crisi sia dietro l’angolo, semplicemente seguendo le indicazioni del leader, venendo così a creare un esercito di sudditi pronti ad immolarsi ed a commettere azioni irrazionali, impensabili per il singolo.
Già Gustave Le Bon nel suo “Psicologia delle folle” del 1895, evidenziava perfettamente i rischi dell’omologazione del singolo nella massa, anticipando quello che sarebbe stato un problema socio-politico centrale dello sciagurato XX Sec.
Le Bon prende le mosse nel suo studio dall’analisi del comportamento delle folle durante la rivoluzione francese nel 1789 ed in quelle degli anni successivi. Le Bon è impressionato dalla malleibilità (nel senso materico) che connota le folle strutturalmente definite, con una forte accentuazione dell’aspetto emotivo, il che conduce – come inevitabile corollario – ad una spiccata tendenza a subire la coartazione dall’alto – con il companatico di un’evidente aggressività – come forma di obbedienza religiosa, ovviamente delegando al “deus ex machina” le facoltà critiche della ragione.
L'”uomo-folla”, in definitva non è più sé stesso: è un automa che ha smesso di essere guidato dalla sua volontà e si trasforma in un essere barbarico, guidato dalla stessa ferocia istintiva dell’uomo primitivo, con l’aggiunta di una sorta di psicosi eroica che lo connota.
Un altro concetto fondamentale sviluppato da Le Bon è quello di “mente di gruppo”, che conduce i componenti a sentire, pensare ed agire in un modo pedissequo rispetto alle logiche dominanti all’interno dello stesso gruppo.
L’aspetto fondamentale rinvenuto da Le Bon, consiste nel fatto che “la mente di gruppo” non è una semplice somma delle menti dei componenti dello stesso: è di fatto una mente a sé stante, distinta, una mente irresponsabile che lavora su suggestioni immediate e semplici come appelli, suggerimenti e slogan, su oggetti di focalizzazione immediata, ad un livello intellettivo molto basso, che determinano una sorta di stato ipnotico e razionalemente letargico.
Come successivamente sostenuto da Mc Dougall, continuatore degli studi dei Le Bon, la folla strutturata come tale è “eccessivamente emotiva, impulsiva, volubile, incoerente, in grado di mostrare solo le emozioni più grossolane e i sentimenti meno raffinati; suggestionabile,frettolosa nel giudizio, incapace di qualsiasi altra forma di ragionamento più complessa; facilmente influenzabile e manipolabile, priva di autocoscienza e di senso di responsabilità”.
La capacità di “censura” che agisce al nostro interno si attenua, lasciano spazio ad un Super-Io, che cede lo spazio agli impulsi di base, che tendono a disegnare un mondo autarchico, a proprio eslcusivo consumo; una concezione distruttiva rispetto alla comunità nel suo complesso, che dovrebbe essere retta invece dal senso del legame. “Il mio mondo sono io” è lo slogan cui si uniforma una mente improntata in tal senso e dunque qualsiasi costruzione, ipotesi, teorema, concepito dalla propria mente finisce per disegnare i confini dell’universo, dando vita a qualsiasi forma di egoismo, discriminazione, sopraffazione.
Gli studi successivi – soprattutto in epoche a noi più vicine – hanno in realtà moostrato come le folle attuali siano meno sprovvedute, nel senso della consapevolezza degli obiettivi da perseguire, ma pur tuttavia è evidente come la logica che mobiliti le folle (secondo questa concezione del termine) si basi comunque sempre sui meccanismi di semplificazione, riduttivismo della realtà e di esaltazione degli istinti più bassi dell’individuo, (in particolare della paura e della collera) già approfonditi da Le Bon, con tutti i rischi insiti in questo comportamento sociale che la storia ci ha già svelato.
Basti confrontare queste teorie con il passaggio seguente contenuto nel “Mein Kampf” di Hitler- a proposito della propaganda da insufflare nel popolo per poterlo plasmare secondo i dettami del leader – per esemplificare la pericolosità di tali atteggiamenti collettivi: “ i suoi effetti devono sempre essere rivolti al sentimento, e solo limitatamente alla cosiddetta ragione. …la prudenza di evitare qualsiasi presupposto spiritualmente troppo elevato non sarà mai abbastanza grande. (…) La ricettività della grande massa è molto limitata, la sua intelligenza mediocre, e grande la sua smemoratezza. Da ciò ne segue che una propaganda efficace deve limitarsi a pochissimi punti, ma questi deve poi ribatterli continuamente, finché anche i più infelici siano capaci di raffigurarsi, mediante quelle parole implacabilmente ripetute, i concetti che si voleva restassero loro impressi”.
Naturalmente, applicato il paradigma ad una società come la nostra, caratterizzata dalla mercificazione, c’è un livello che precede quello della destrutturazione fisica della società, che è quello della destrutturazione morale. dell’anestetizzazione nella religione del feticcio delle merci, che annebbia in modo ancor più pregnante la ragione, perché confina il limite della percezione della propria soddisfazione in base al parametro del possesso; semmai solo il timore per la riduzione del possesso può determinare la reazione rabbiosa. In fondo, il quadro prosettico preoccupante che viviamo dal punto di vista economico, è anche direttamente proporzionale alla concentrazione di accumulazione dei merce che la società occidentale ha stratificato negli ultimi decenni (basti pensare che già alcune ricerche antropologiche statunitensi condotte nei primi anni ’80 rilevavano come un bambino “Wasp” usasse circa mille oggetti di uso quotidiano, mentre un bambino delle riserve Navajo mediamente non più di 20) per cui la stessa percezione della crisi nasce dall’ingolfamento di bisogni in cui la nostra società è rimasta imbrigliata e che l’opera di plasmazione delle coscienze ha ormai trasformato in stato di necessità. “Sono in quanto possiedo” è la versione attuale dell’assimilazione delle menti ai parametri dominanti : una forma di anarchia che come giustamente fa osservare Marie Laure Colasson è una forma di anarchia fascista, perché legata al mero soddisfacimento della piccola sfera degli egoismi personali e non all’orizzonte di traguardi comunitari e che si traduce nel mondo della poesia nel motto “sono poeta in quanto scrivo poesie” che riflettino tale cornice del quotidiano, senza alcun vaglio critico e dove a trionfare sia l’io privo di qualsivolglia prospettiva universale.
Da qui si comprende bene il compito della poesia Noe e della Poetry Kitchen, così come di ogni tentativo di lettura critica della società, che si situa nella necessità di produrre un’ecologia della mente tramite una preventiva ecologizzazione delle parole e delle coscienze.
Un caro saluto a tutti.
L’inizio di una nuova poiesis può essere porta d’ingresso o di uscita dalla vecchia poiesis.
Dopo un lunghissimo periodo di stagnazione e di inflazione epigonica del minimalismo che sfocia nel post-minimalismo e nell’odierno postruismo (dal 1994 anno di pubblicazione di Composita solvantur di Fortini ai giorni nostri) della poesia italiana, il problema di una «nuova poesia» diventa molto ma molto problematico perché il «nuovo» è costretto ad operare in una situazione letteraria sclerotizzata al limite della necrosi.
al poeta Antonio Sagredo
(in riferimento al commento di Milaure Colasson)
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L’ultimo sambuco
nella città di nessuno.
La gioia, folle come l’agonia di una attesa
e nel suono bianco dei tamburi
miliardi
e miliardi di maligne note.
E alla gioia l’ultimo passero
l’ultima lucertola
l’ultimo poeta.
In nessun dove
sopravvissuto
e che non ha scritto mai più
nemmeno un verso
per nessuno.
gentile Katerina Zoufalova,
complimenti per questa sua composizione che parla della guerra senza mai nominarla, complimenti anche ad Antonio Sagredo per la sua poesia originalissima, non comparabile con la folta schiera dei poeti italiani di scuola. Sagredo fuoriesce da qualsiasi scuola o fabbrica di scritture poetiche, di lui apprezzo anche il barocchismo di certe immagini, e la sua capacità di volare sempre sopra le righe.
Dai Antonio sei tu!😉😃
Da miei appunti.
“cadde la prima bomba a idrogeno. Non la prima lanciata nella guerra; sul mondo ne erano piovute a dozzine. Questa era la prima a penetrare la fitta rete di scudi che proteggeva il cuore dell’America, la regione che andava dalle Montagne Rocciose al Mississippi. La bomba era esplosa a centocinquanta chilometri da Greely. La cenere e le particelle radioattive avevano continuato impietosamente a vagare per la campagna durante le settimane successive, facendo ammalare il bestiame e inaridire il raccolto. I camion andavano avanti e indietro dalla zona morta per trasportare i malati e i mutilati. Le squadre di riparazione si facevano strada per valutare l’enorme danno. Per sigillare la piaga titanica, finché non avesse esaurito il suo carico di tossine… Lungo la stretta strada polverosa che fiancheggiava la fattoria dei Jones, continuava a scorrere una coda all’apparenza infinita di veicoli d’emergenza diretti agli ospedali e ai centri di pronto soccorso eretti alle porte di Denver. Nel senso opposto fluiva un torrente di aiuti per i sopravvissuti rimasti ancora nell’area colpita. Jones era rimasto affascinato a guardare tutto questo. Il viavai senza posa di macchine, autocarri, ambulanze, gente a piedi, in bicicletta, cani, bestiame, greggi, galline;”
(da “E Jones creò il mondo” di Philip K. Dick)
[…]
Poesia è un tempio situato nelle zone più impervie della mente. Le parole in prosa ci vanno in pellegrinaggio, lo fanno con i mezzi sofisticati di oggi – chi scrive più a mano? dove stanno gli a capo, come lo fai un montaggio; il verso cambia se la calligrafia è minuta o grande, le citazioni potrebbero non essere scritte correttamente, per cancellare devi tirare linee, tracciare segni che solo tu puoi capire… almeno finché te ne ricordi; la prima stesura è quasi sempre un campo di battaglia.
Nella scrittura a mano (con penna, matita, carbone, fondi del caffè, ecc.) occorre che la sintassi faccia da collante. Si sa che i pensieri hanno natura ribelle, sono selvaggi, in qualche modo vanno organizzati. Questo lo stato sociale della scrittura. Non c’è democrazia. Il pensiero è suddito della semantica, tenuto a bada da verbi articoli e aggettivi, così che scriviamo copie di copie di copie, e questo ci fa sentire bene, nella norma. Sì, è come nella vita, come nelle istituzioni.
[…]
Alle origini del rap italiano, dicono gli storici, molta poesia invecchiata parole sfitte, mutanti. Ma adesso sono frasi fatte. “Frasi fatte” è frase fatta. Non servono parole. Una volta contavano le parole singole, ora viviamo nell’impero delle locuzioni, sempre più frasi fatte.
[…]
Gioca gioca, nuota nella mente, sogna. Pensieri corrono, c’erano qui dieci persone e ora nessuno. È tutto gratis. Piace. Piace, quindi compro. Sogno compro. Piace.
Un uccello morto davanti all’uscio, si rompe la sigaretta, smetti. Sono segnali.
Non fare niente. Aspetta. Se c’è guerra c’è storia. Tutto va a finire lì, è sempre in quel libro. Non ne siamo mai usciti.
[…]
Autotelico in relazione al Flow (flow experience – Csikszentmihalyi ) stare dentro una bolla (“to be in the bubble)
“Se, ad esempio, percepisco che ciò che devo compiere è estremamente semplice e poco stimolante rispetto alle mie abilità, determinando uno sbilanciamento a favore delle capacità, l’esperienza che vivrò sarà caratterizzata dalla noia. Quando, oltre alla bassa difficoltà della sfida, percepisco di non avere sufficienti capacità per svolgerla, mi troverò in una situazione di apatia. Una terza condizione in cui non si sperimenta il flow è possibile quando la difficoltà del compito supera di gran lunga la percezione che ho delle mie abilità per fronteggiarlo. In questo caso si cade in uno stato di ansia e di stress negativo. Attenzione: in ciascuna di queste situazioni si parla di percezione soggettiva di sé e dell’ambiente circostante e non di situazione oggettiva, sottolineando che ciò che più importa è come ci sentiamo dentro.”
[…]
“Ogni volta che guardi, sii solo lo sguardo. Vedi un fiore: allora guarda e basta, non dire nulla. Il fiume scorre: siediti sulla riva e vedi il fiume, ma non dire nulla. Le nuvole si muovono nel cielo: sdraiati a terra e guarda, e non dire nulla. Non verbalizzare”. Osho
L’ANTENNISTA METTE MANO ALLA TELEVISIONE
Va su in terrazza dove non trova nessuna malattia
però un fenicottero si è fermato all’autoclave e due uova saltano di gioia.
La diagnosi è implacabile: congestione.
Uno stuolo esce da una crepa. Base segreta o nido nell’asfalto.
Si sentono bombe che fanno tremare la veranda.
I fili sono esausti-dice.
Ci bivaccarono i Talebani per vent’anni. All’epoca si trovò l’oro nel Missouri.
E partimmo a colonizzare il West, carichi di vettovaglie, sciogliendo il nodo della frontiera.
Un transatlantico ci rimise la pelle ma ci tuffammo perché eravamo in porto
e si era biondi abbastanza per stare in prima linea e gridare Augh!
Ultimamente ci passarono i carri armati e il rame è inagibile.
I passaggi nel muro devastati. Qui e là ci sono immagini insepolte o fucilate.
Prima o poi scenderanno uomini dai baobab, però la produzione d’ hashish
è stata ottima e la nuova annata potrà contare su schede buone e piantine inossidabili.
E poi? Raccogliere il salnitro che fiorisce nella guaina. Per difesa- credo
e inventarsi il modo di strappare il pane ad una spiga, che se lo tiene stretto
come il Sancta Sanctorum nel Tempio del Signore.
Lavandini e pop corn guardano sbigottiti. Annuiscono le noccioline.
Bottiglie ebbre d’alcol pagano la visita “ per niente soddisfatte” -Ripetono.
(F.P. Intini)
Il ruolo dell’immaginario nella poesia di Intini si inserisce nel montaggio filmico nel senso in cui lo intende Žižek non solo come una costante soggiacente, un hypoikemenon silenziosamente rimosso, quanto anche come una inversione radicale del senso logico della semantica, una radicale anarchia in cui la poiesis si disidentifica da se stessa per farsi fantasy, film del pensiero, ma anche come fantasy che si disidentifica da se stessa, per divenire montaggio di immagini di un film poietico in divenire. Questo spiega perché la poesia è per Intini una pratica filmografica anarchica e decostruzionista, non è inscrivibile nelle consuete categorie ermeneutiche novecentesche della passione del Reale, del detournément situazionista, della «macchina desiderante» di Deleuze-Guattari o dell’economia del significante della poesia novecentesca in quanto l’importanza capitale risiede nel trattamento dell’Immaginario e nelle espressioni anarco-radicali diffuse nelle sue poesie, in quella della “coppia” Reale immaginario/ Immaginario Reale che costituisce la chiave di volta e la chiave ermeneutica per questo tipo di poiesis.
Così avviene la riduzione del Reale da trauma a spettro, e dell’Immaginario da riflesso narcisistico a processo metonimico del trauma nella poiesis. In questa deriva anarcoide, il fantasma che inerisce al soggetto (fantasy) ricompare in un secondo tempo come ideologia (social fantasy) insita nella società e nel suo modo di rappresentarsi, il fantasma scoperchia l’ideologia dominante del linguaggio costituito e costruito per diventare il protagonista assoluto dell’anarchia, questa sì soggiacente e imperante del discorso poetico maggioritario del novecento e dei giorni nostri.
Complimenti caro Francesco. La capacità della tua poesia di sbizzarrirsi tra le diverse epoche storiche, ritrovando la costante della condizione umana è emblematica, non solo della grande potenza creativa insita nella poetica kitchen, ma anche di una ricerca intellettuale che sappia farsi realmente veicolo olistico di approfondimento antropologico. Buona serata ed un grande abbraccio.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/05/14/maria-rosaria-madonna-covid19-levento-lontologia-della-guerra-la-zona-grigia-del-linguaggio-poetico-del-tardo-novecento-e-la-rottura-della-tradizione-poetica-la-poesia-di-maria/comment-page-1/#comment-64446
Problema n. 1
Terminavo la mia riflessione sulla poesia di Maria Rosaria Madonna con queste parole:
«Il nocciolo di verità che il capitalismo globale reclamizza è lo svuotamento del significato. Al posto del significato c’è una scatola vuota con dentro il nulla. Giunta a questa conclusione, Madonna chiude il quadrato della sua «visione tragica» perché non è possibile andare oltre questa consapevolezza. Del resto, anche la poiesis risulta un facere privo di significato, accecata com’è dalla luce abbagliante di questa raggiunta consapevolezza.»
Problema n. 2
Il tragitto che ci divide dalla «visione tragica» di Maria Rosaria Madonna dei tardi anni novanta alla «visione non-tragica» della pop-poesia di oggi (all’incirca trenta anni), si consente di misurare la quantità di strada percorsa in questo trentennio e la impossibilità di conservare una «visione tragica» nella attuale fase del capitalismo globale. Il nuovo capitalismo planetario ha tappato la bocca a qualsiasi ipotesi di pensiero «tragico» o di «poiesis tragica», e la poiesis, se vuole sopravvivere, deve mettere in scena un diverso scenario: una poiesis che rappresenti la impossibilità di attingere una «dimensione pubblica» ma che si limiti a presentare «questioni private» come quelle decisive e significative Il trionfo del «privato» e della «privacy» legittima tacitamente questo spostamento della problematica dalla «dimensione pubblica» alla «dimensione privata». Molti romanzi e opere poietiche di oggi sono infatti niente altro che vicissitudini del privato, pettegolezzi, piccole narrazioni dell’io, cioè Kitsch.
Problema n. 3
La poesia di Gino Rago, mia, di Vincenzo Petronelli, di Marie Laure Colasson, di Lucio Mayoor Tosi, di Ewa Tagher e degli altri compagni di strada è una poiesis che è diventata consapevole della impossibilità della «visione tragica» e della impresentabilità della «dimensione privata». Se chiamarla pop-poesia o top-poesia (come suggerisce la Colasson) è in fin dei conti una questione nominale.
Conclusione.
La poiesis della «dimensione privata» che si fa oggi in quantità industriale è semplicemente Kitsch, discarica di rifiuti quale è diventata la vita privata nella «dimensione privata».
scrive il filosofo Slavoj Žižek:
«Non è che falliamo perché non riusciamo a incontrare l’oggetto, piuttosto l’oggetto stesso è la traccia di un certo fallimento.
Per questo Freud ha avanzato l’ipotesi della pulsione di morte – il nome giusto per questo eccesso di negatività. E il mio intero lavoro è ossessionato da questo: da una lettura reciproca della nozione freudiana di Todestrieb e di quella negatività auto negativa tematizzata dagli idealisti tedeschi. Insomma, questa nozione di auto-negatività relativa, così come è stata regolata da Kant fino a Hegel, filosoficamente ha lo stesso significato della nozione freudiana di Todestrieb, pulsione di morte – questa è la mia prospettiva fondamentale. Ovvero, la nozione freudiana di pulsione di morte non è una categoria biologica ma ha una dignità filosofica.
Cercando di spiegare il funzionamento della psiche umana in termini di principio di piacere, di principio di realtà e così via, Freud si rese conto via via sempre più della presenza di un elemento disfunzionale radicale, di una distruttività radicale e di un eccesso di negatività, che non possono essere spiegate.»1
Scrive Wittgenstein:
«Pensa agli strumenti che si trovano in una cassetta di utensili: c’è un martello una tenaglia, una sega, un cacciavite, un metro, un pentolino per la colla, chiodi e viti. — Quanto differenti sono le funzioni di questi oggetti, tanto diverse sono le funzioni delle parole. (E ci sono somiglianze qui e là). Naturalmente quello che ci confonde è l’uniformità nel modo di presentarsi delle parole che ci vengono dette, o che troviamo scritte o stampate. Infatti, il loro impiego non ci sta davanti in modo altrettanto evidente. Specialmente non quando facciamo filosofia».2
1 Slavoj Žižek e Glyn Daly, Psicoanalisi e mondo contemporaneo. Intervista a Žižek, Dedalo, 2004 p. 92
2 L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche § 11
Caro Mayoor,
su questo stesso tema lo scrittore americano H. P. Lovercraft non ha rivali, come si dice., per cui lo scrittore Philip K. Dick resta un nipote modesto di Lovecraft; e Dick ne era consapevole.
Non saprei, P.Dick è per me come foraggio, nutrimento. Le sue idee erano fulminanti. Non credo si sia mai posto il problema di misurarsi con Lovercraft.
“Madonna chiude il quadrato della sua «visione tragica» perché non è possibile andare oltre questa consapevolezza. Del resto, anche la poiesis risulta un facere privo di significato, accecata com’è dalla luce abbagliante di questa raggiunta consapevolezza.” (Linguaglossa)…
e ha ragione il “fantasioso” critico, ma non è abbagliante la luce, se mai offuscata
Guido Galdini
07:23 (53 minuti fa)
a me
Questa mia per comunicarle che mio fratello Guido purtroppo è deceduto in data 25 Aprile, a seguito di un tumore vescicale (ed estese metastasi) diagnosticato in data 31 marzo. Per ogni comunicazione inerente la correzione bozze e le liberatorie sul diritto d’autore, le chiedo di aggiungere anche la mail giorgio.galdini.abc@alice.it.
Cordiali saluti
Giorgio Galdini
Giorgio Linguaglossa
08:17 (0 minuti fa)
a Guido
gentile Giorgio,
sono rimasto atterrito dalla notizia, non mi aspettavo un esito così sinistro, veramente per noi dell’Ombra delle Parole è una grande perdita, le faccio le mie più sentite condoglianze.
Cmq l’Antologia va avanti lo stesso con le poesie di Guido, le manderò le bozze della prima impaginazione.
Un caro saluto
giorgio linguaglossa
Guido,
intelligente e curioso, per nulla sentimentale; che non si lascia prendere dalle maniere ma le inventa. Così, come nel bene e nel male sono i poeti NOE. In questi anni, ottimo compagno di viaggio. Ci mancherà.
Apprendo purtroppo solo ora la terribile notizia a causa di un lutto che a mia volta mi ha colpito, tenendomi lontano per alcune settimane dall'”Ombra”. Mi unisco alle condoglianze e penso sinceramente che il nostro gruppo abbia perso un punto di riferimento straordinario per la sua creatività dissacrante, la curiosità, la sua pungente ironia. Una mente ed una penna di grandissimo valore. Un pensiero ed un abbraccio a tutta la famiglia.
Mi unisco alle condoglianze di Giorgio e al ricordo di Lucio per la perdita di Guido Galdini.
Giuseppe Gallo
Crisi è un mutamento di stato, un momentum ontologico, una spinta e una rottura della continuità, rottura della dis-continuità, è forza, rottura di un’epoca e di una idea di civiltà. La crisi è veramente progressiva, è il prodotto delle forze storiche invisibili che decidono il momentum della rottura. Guido Galdini aveva percepito e intravisto la crisi di un certo linguaggio del quotidiano, la crisi del quotidiano e aveva tentato una propria linea di pensiero poetico fin quando non ha incontrato la ricerca dell’Ombra delle Parole, e qui la sua ricerca ha trovato nuovo slancio e una più ampia prospettiva.
mi unisco anch’io alle condoglianze per la perdita di Guido Galdini.
Franco
Zona gaming 56 (Per Guido Galdini)
Guido s’era incastrato
agli spuntoni delle lontananze.
Per intridere di sabbia le labbra del tramonto.
Le nubi affumicavano i gatti.
Si scende per gradi…
nel sangue delle proprie radici.
A grappoli, a fosforo, a mariupol,
a idrogeno, a Kiev, a schiume di canti.
Zona gaming
… le interiora sul pelouche dell’orsetto…
Fu allora che Ettore chiese notizie di Ulisse.
Sulla bocca dei cannoni batuffoli di neve.
In viaggio da una pietra a un’altra.
“Ventisei notti di prova”. Materassi Imma.
Compriamo la tua auto…
Stuoli di rughe sulla luce esterna. Tutto per te.
Zona gaming
…dal 31 marzo al 25 aprile…
Giuseppe Gallo
Umberto Eco scrive ne Il fascismo eterno (Conferenza del 1995):
«L’ Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici sia stato l’appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo in cui i vecchi proletari stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il Fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio
[…]
In Italia c’è oggi qualcuno che dice che la guerra di liberazione fu un tragico periodo di divisione, e che abbiamo ora bisogno di una riconciliazione nazionale. Il ricordo di quegli anni terribili dovrebbe venire represso. Ma la repressione provoca nevrosi. Se riconciliazione significa compassione e rispetto per tutti coloro che hanno combattuto la loro guerra in buona fede, perdonare non significa dimenticare. Posso anche ammettere che Eichmann credesse sinceramente nella sua missione, ma non mi sento di dire: “Okay, torna e fallo ancora”. Noi siamo qui per ricordare ciò che accadde e per dichiarare solennemente che “loro” non debbono farlo più. Ma chi sono “loro”?»
Il nostro (qui in Italia) è un fascismo DOC, noi italiani abbiamo la primogenitura, le stimmate del fascismo alla bolognese e alla cacciatora, il fascismo ai 4 formaggi, il fascismo dei sinistri sinistrati dalla sinistra, qui da noi lo abbiamo sdoganato per primi in Europa lo sfascismo strapaese, possiamo andare fieri di questo primato:
complottisti al governo, parlamentari terrapiattisti, antivaccinisti alla sanità; sottosegretari dell’interno che non credono alle missioni lunari; presidente della commissione Esteri filo Putin, la sfiorata nomina a presidente Rai di un giornalista che ha diffuso notizie sul satanismo di Hillary Clinton, Salvini e il Cavaliere che non riescono a pronunciare la parola “Putin”… terrapiattisti diventati pacifisti, pacifisti che inneggiano all’eliminazione del nemico, Salvini con svarie foto mentre impugna un mitra e che adesso si professa pacifista…
Capisco che la pulsione di morte ti induca a vedere nero ovunque volgi lo sguardo, ma qualcosa di buono e saggio ci sarà pure nell’ambaradam della politica nostrana, visto che tutto sommato sei schierato con i pacifisti armati… La poesia kitchen è nel cambiamento, vi si trova ben poco del conservatorismo professato da istituzioni e politici, e la critica al sistema capitalistico occidentale a carattere liberista è forte e sempre presente…
ha già risposto DANTE ALIGHIERI, ma non l’hanno mai letto, e se pur letto nulla sarebbe cambiato, anche se
il numero di molte vie e piazze italiane al poeta aumentarono in maniera esponenziale in quel ventennio…
l’indivìduo fascista era già prima di Dante, nasce con la “gloriosa” romanità ,
per cui mettiamoci in pace non solo l’anima…
per strada p.e. a roma basta il tono per capirlo subito…
Il rischio è che si dia del fascista a chiunque esprima dissenso, senza fare troppe distinzioni, e questo è tipico di chi abbia aspirazioni politiche maggioritarie. Comunque, a breve avremo nuove elezioni. Il nostro è e resterà un paese democratico.
E’ morto Guido Galdini. Ammiravo il suo stile post-minimal, uno stile intelligentissimo, Galdini secerneva le parole al massimo e le metteva al minimo ottenendo un humour italo-anglosassone. Poeta atipico che impiegava un linguaggio tipicizzato. Un poeta che meriterebbe un volume che racchiudesse tutte le sue poesie. Leggeremo le sue poesie post-minimal nella prossima Antologia della Poetry kitchen in corso di pubblicazione.
Un abbraccio a Guido Galdini.
Ennio Flaiano sul fascismo:
Il fascismo è demagogico ma padronale.
Retorico, xenofobo, odiatore di cultura,
spregiatore della libertà e della giustizia
oppressore dei deboli, servo dei forti,
sempre pronto a indicare negli “altri”
le cause della sua impotenza o sconfitta.
Il fascismo è lirico, gerontofobo,
teppista se occorre, stupido sempre,
alacre, plagiatore, manierista.
Non ama la Natura, perché identifica
la natura nella vita di campagna,
cioè nella vita dei servi: ma è cafone,
cioè ha le spocchie del servo arricchito.
Odia gli animali, non ha senso dell’arte
non ama la solitudine, né rispetta il vicino,
il quale d’altronde non rispetta lui.
Non ama l’amore, ma il possesso.
Non ha senso religioso,
ma vede nella religione il baluardo
per impedire agli altri l’ascesa al potere.
Intimamente crede in Dio,
ma come ente col quale ha stabilito
un concordato, do ut des.
È superstizioso,
vuol essere libero di fare quel che gli pare,
specialmente se a danno
o a fastidio degli altri.
Il fascista è disposto a tutto purché
gli si conceda che lui è il padrone,
il padre.
Le madri sono generalmente fasciste.
Ennio Flaiano (Pescara, 1910 – 1972)
(Ennio Flaiano, poeta e romanziere, ha scritto per Federico Fellini, le sceneggiature di Luci del varietà, Lo Sceicco bianco, I Vitelloni, La strada, Il bidone, Le notti di Cabiria, La dolce vita, Le tentazioni del dott. Antonio, 8½, Giulietta degli spiriti)
Qui ci possiamo intendere, e a meraviglia. Il linguaggio poetico è universale, ne prendi atto e tanto basta. Dissento solo sulle madri, che per gesto e presenza sono le nostre prime insegnanti di amore. Amore sta all’opposto di egoismo; ma certo, madri invadenti e inquisitrici, possono fare danni.
caro Lucio,
chiediamoci quanto nuovo fascismo è presente in Europa, in Ungheria Orban proprio oggi al Parlamento ungherese ha stigmatizzato l’essere ltbg, Putin ha lanciato le parole d’ordine dell’Occidente degenerato e decadente e ha iniziato una guerra con queste parole d’ordine, Salvini fino a ieri perorava l’uscita dall’Euro e dall’Europa per il ritorno all’Italia autarchica e libera, anche parte dei 5Stelle fino a ieri chiamavano le ONG taxi del mare e stavano varando la riforma istituzionale delle regioni che prevedeva l’autarchia fiscale di ogni regione, cioè la divisione dello stato centrale della odiata Roma in tanti staterelli regionali indipendenti, il Signor Paragone, fuoriuscito dai 5Stelle ha fondato un partito qualunquista e pseudo fascista che professa l’Italexit e altre panzane per il bene del Bel Paese. La Meloni della Garbatella ha ripetuto innumerevoli volte il trinomio valoriale : Dio-Patria-Famiglia. Mi chiedo quanti danni può provocare tutta questa schiuma se viene ripetuta per anni dai megafoni e dagli altoparlanti della destra facinorosa e pacchiana italiana. Noi in Francia Abbiamo la Le Pen, sì, ma per fortuna abbiamo anche un forte partito di sinistra con Melanchon, che in Italia manca. Il nuovo fascismo italiano ed europeo è questa cosa qui, questa poltiglia di Dio-Patria-e-Famiglia e fuori dalla città dei normali tutti i diversi, si comincia con i transgende, poi si va a finire con gli omosex, poi si passa agli africani, e si finisce dritti a perorare la bellezza e la bontà delle razze ariane o mediterranee…
Questo è il nuovo fascismo sfascita di oggi.
Le parole precedono sempre i fatti che seguiranno.
quanto al linguaggio poetico dei poeti italiani che parlano dei fatti loro, questo sì che lo trovo intimamente fascista.
Se Biden, Zelensky e Putin fossero poeti, sarebbe la fine.
C’è poco da dire, nazismo è brutalità. Ma andrebbe distinta dal normale dibattito politico parlamentare. Abbiamo una Costituzione, dovrebbe bastare.
Ancora un inedito.
Set 120
…
Manet ama la Chanteuse du Cafè Concert a giorni alterni,
vuole entrare nel Manga ma perde l’aereo per il Giappone.
Al dito un anello d’oro e diamanti, un avatar accarezza
la criniera del leone e dice: che bel gattone!
Col Mi bemolle Beethoven e Mozart si spartiscono
il concerto al Teatro alla Scala.
L’eruzione del vulcano non spaventa Huggy Wuggy,
che tenta la salita sull’Etna.
Empedocle gli dice di mettere le scarpe, mentre
recupera le sue che aveva smarrito.
Mr Kitchen si defila dall’annuale kermesse di poesia,
sulla sedia vuota un cartello riporta: “Torno subito”.
Il fantasma della piazza si siede al bar, versa lacrime
in un bicchiere, il cameriere gli fa la camomilla.
La macchina da scrivere “Lettera 32” scrive lettere
in grigio, un fantasma le legge ad alta voce.
…
l’epoca del liberalismo democratico corrisponde ad una forma di poiesis nella quale lo scrittore, l’artista o creatore (parola da prendere con doppie pinze) esternava la sua, diciamo, visione del mondo o, più semplicemente, delle cose. Bene, quest’epoca è finita. Chiusa. La concessione che ha fatto il liberalismo democratico a ciascuno di dire e fare quello che voleva è sfociato nel postruismo, nel populismo e nel banalismo. Quel tipo di poiesis è diventata oggi una apologia delle cose come sono.
Leggiamo una poesia di un autore che ha pubblicato tutti i suoi libri nella collana bianca Einaudi:
Avrebbe minacciato un benzinaio
con la pistola carica
di un proiettile d’oro.
Cineasta e poeta, orafo e orco!
Ma cosa contestare a quest’accusa,
l’arma o la sua pallottola?
Cosa rivendicare,
santa Romana Chiesa o l’usignolo?
Quel colpo mai sparato
traversa la sua opera
piegandola ad un duplice ossimoro,
fantastico e fantasma
di violenza e pietà,
di sangue e alloro.
Si tratta di un commento, di una libera glossa, come si conviene all’epoca del liberalismo. Un commento dove il «poeta» fa mostra della sua intelligenza causidica e didattica che finisce non si capisce bene se in un messaggio bonifico e/o bonificato, tanto è gratuito e confuso.
Bene. Una poesia di questo tipo è semplicemente postruismo. Apologia del banale, quel banale che l’ideologia del liberalismo ha insufflato in ogni dove.
Io invece sono dell’opinione che questo tipo di poiesis possa essere rubricata nel truismario e nello sciocchezzaio dell’epoca del liberalismo pusillanime senza reticenza alcuna.
C’è nel soggetto un congegno autoimmunitario che lo mette in condizione di prendere le distanze dalla propria soggettività, a trattare sé come un altro. In tal modo il soggetto decostruisce la propria soggettività. Il soggetto è sempre in decostruzione, lo è costitutivamente, nella misura in cui in esso opera una pulsione di auto destrutturazione come condizione per la trasformazione della soggettività
È La sintassi nominale, l’andamento paratattico della versificazione che riducendo al minimo le indicazioni di causalità e successione dissemina sulle pagine kitchen un allineamento di parole che segue il cacosferico flusso della memoria, della cronaca, del caso, delle parole casuali, dei tic… ed è in questo flusso o magma che il lettore dovrà sviluppare un proprio metodo di indagine per ricomporre le varie tessere di un puzzle dai pezzi infiniti, per trovarne un senso o un fuori-senso o solo un barlume di decifrabilità che lo possa incoraggiare a proseguire. Proprio come in un cruciverba tutte le opere kitchen richiedono l’attiva espulsione del lettore dal testo.
Le poesie di Mimmo Pugliese. Scritte per non lasciarsi acchiappare dalle metafore, in fuga dal significato. Parole messe in lavatrice, bianchi e colorati insieme. Non fa la differenziata. Anche per questo, mi piace.
Guardarsi dalle metafore.
Il pittore di venezie.
Malgrado tutto. Smetti.
e
Qui è la festa.
Oggi.
LMT
ad una signora che scrive poesie ho scritto:
tu fai una poesia che risponde ad un dispositivo lirico che usa il misterico, il religioso, l’arcano, l’ipnagogico – io uso un dispositivo che invece esclude tutto ciò. Tra di noi non ci può essere dialogo. Mi spiace.
La politica del futuro dovrà esercitarsi nella «disattivazione della macchina del diritto», come scrive Agamben. Non è un caso che il termine che Agamben usa è «profanazione», cioè restituzione all’uso comune di ciò che è stato separato, «sacrato» (cfr Giorgio Agamben, Profanazioni, Edizioni nottetempo, Roma 2005).
Per Agamben è possibile un tempo messianico della liberazione in cui «l’umanità giocherà con il diritto, come i bambini giocano con gli oggetti fuori uso, non per restituirli al loro uso canonico ma per liberarli definitivamente da esso» (Giorgio Agamben, Stato di Eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 83
Ecco, io penso ad una poiesis in cui l’umanità futura giocherà con la poesia lirica come i bambini giocano con gli oggetti che non servono ad uso alcuno. Allora avremo raggiunto la vera «profanazione», ovvero, la restituzione degli oggetti liturgici della poesia lirica all’uso comune.
I. Brodskij scrive:
Nella poesia, come nella musica, l’esperienza è qualcosa di secondario. Nell’arte c’è sempre una irrevocabile dinamica lineare. Un proiettile, percorre la distanza che il materiale di cui è fatto gli impone, non dipende dall’esperienza.
Scriveva Giorgio Linguaglossa nel 2013 : ‘ però non le ho detto che ero io ‘. Scriveva Lucio Mayoor Tosi nel 2018 : ‘ Io è un altro, io sono tanti altri’. Mi arriva un senso di freschezza, una ventata di libertà, basta con il feroce attaccamento alla nostra identità, spesso fasulla. Penso che anche questo rientri nella rivoluzione dell’inconscio che la nuova poiesis vuole riflettere.
cara Tiziana,
«Se si tratta di iniziarsi al soggetto come a ciò che ha da prendere ai nostri occhi una “figura inaudita”, ancorché noi lo siamo ogni giorno e in ciascun istante (dato che si tratterebbe di “ascoltare” qualcuno che ci dice che non siamo noi stessi ma altro, alterità), occorre predisporre uno spazio, dei margini, un’intercapedine, una zona di vuoto.
Per “lasciar essere” le cose, dobbiamo con molta fatica alleggerirci di molta zavorra, anche se ci dispiace (ecco la fatica) perché questa “zavorra” è fatta di saperi, strumenti, piccoli e grandi apparati vantaggiosi per la nostra personale potenza. Non si tratta di rinunciare a essi per chi sa quale “povertà”: bensì di ritirare identificazioni e investimenti, lateralizzare, togliere valore e importanza. Rispetto, per esempio, al credere che “conoscere è sempre un bene”. Il problema della “sospensione”, insomma il senso da attribuire alla “iniziazione”, si condensa sulla possibilità di praticare la persuasione (penso a Carlo Michelstaedter) che vi sono zone di “non consapevolezza” che non solo è opportuno conservare, ma che vanno “attivate” proprio per permettere al soggetto di entrare in gioco con se stesso [corsivo redazionale]». 1
Pensate un po’ se il paranoico Putin e i suoi collaterali del Cremlino giungessero alla «lateralizzazione» disegnata da Pier Aldo Rovatti, avremmo un mondo senz’altro migliore; pensate un po’ a tutti coloro che non sanno proprio disgiungersi dal proprio io, “Sua maestà l’io” scriveva Freud; pensate a tutti i romanzetti e le poesiole che ci parlano dell’io e delle sue adiacenze… il mondo sarebbe senz’altro migliore. Prendere le distanze da “Sua maestà l’io” è senz’altro un buon esercizio.
1] Pier Aldo Rovatti Abitare la distanza, Raffaello Cortina, 2010, pp. 6-7
cara Tiziana Antonilli,
nella poesia riportata sopra da Linguaglossa di un autore (definirlo poeta è davvero improprio) che ha pubblicato tutti i suoi libri nella collana bianca Einaudi possiamo individuare con precisione chirurguca tutte le tossine, i barbiturici concettuali, i lenitivi mentali, i Tavlor, le camomille emotive, le balbuzie che hanno invaso i testi poetici e i discorsi degli autori mass-mediatici, oggi siamo arrivati ad una condizione di adulterazione manipolazione delle cose dalla quale non sembra esservi ritorno. Leggiamo la poesia dell’autore che ha pubblicato tutti i suoi libri nella collana bianca Einaudi:
Avrebbe minacciato un benzinaio
con la pistola carica
di un proiettile d’oro.
Cineasta e poeta, orafo e orco!
Ma cosa contestare a quest’accusa,
l’arma o la sua pallottola?
Cosa rivendicare,
santa Romana Chiesa o l’usignolo?
Quel colpo mai sparato
traversa la sua opera
piegandola ad un duplice ossimoro,
fantastico e fantasma
di violenza e pietà,
di sangue e alloro.
Non è tanto la banalità del testo (quella la possiamo anche perdonare), si tratta della superfluità e della vanità delle considerazioni sporte dall’autore, superflue e inconcludenti, facinorose, piene di boria e di acqua, quella boria che afferisce al “poeta” che invece vuole porsi come estremamente intelligente ed estremamente democratico… nelle osservazioni convenzionali messe in forma interrogativa avverti la pochezza culturale dell’autore, la sua boria infingarda e la sua protervia, la protervia di chi si pone in alto su uno zoccolo di superiore accondiscendenza e intelligenza che si prende gioco della pusillanimità di chi sta sotto (hypokeimenon), di chi è sottoposto alla sua superiore intelligenza e magnanimità, con quella schermaglia di sottili sofismi ed eufuismi che intendono sottolineare la postazione alto allocata del “poeta” che sciorina e sverna le sue laudi.
Quanto di più odioso ammissibile.
Mauro Pierno scrive “Dai Antonio sei tu!”
a proposito di una poesia pubblicata più sopra e a me attribuita-
é invece scritta dalla germanista Zoufalova Katerina, mia carissima amica e…
lMayoor Tosi scrive più sopra:
“Il rischio è che si dia del fascista a chiunque esprima dissenso, senza fare troppe distinzioni, e questo è tipico di chi abbia aspirazioni politiche maggioritarie. Comunque, a breve avremo nuove elezioni. Il nostro è e resterà un paese democratico.”
—
Bisogna essere realisti, e non sognare troppo con i politicanti nostrani – peggio delle troie di infimo bordello! E DI TUTTI I COLORI!…
La POLITICA , QUANDO è ALTA, DA TEMPO HA SMARRITO IL SENSO DELLA PROPRIA MISSIONE., QUELLO DEL BENE PUBBLICO.
LA POLITICA NOSTRANA è TUTTO IL CONTRARIO.
Sono d’accordo. Vivere tra gli umani è far parte di una tragedia. Di comico non c’è nulla.