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Vera Cholòdnaja (1893-1919) La diva maggiore del cinema muto russo a cura di Antonio Sagredo – Traduzione di Angelo Maria Ripellino di due poesie di Osip Mandel’štam  con Commento inedito di Angelo Maria Ripellino, a cura di Antonio Sagredo 

Vera_Kholodnaya and Ossip Runitsch

Vera_Kholodnaya and Ossip Runitsch

La diva maggiore del cinema muto russo Vera Cholòdnaja, morta di spagnola a 26 anni, a Odessa il 16 febbraio 1919, fu la protagonista principale di decine e decine di film (si dice, una settantina) con titoli similari a quelli su citati, che già dicevano tutto di una trama… lacrimevole, languida, sentimentale e passionale fino all’eccesso, fatale, svenevole… Subì il fascino di due grandi attrici: la Komissarževskaja e Asta Nielsen. Tanto fu lo straordinario successo che ebbe questa diva del muto da non saper, essa stessa, distinguere più la sua realtà cinematograficamente muta dalla realtà della vita che la circondava (sdoppiamento e identità erano in fatale conflitto e la dominavano). Così Ripellino in “Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia”, (cap. V , Storia di una cimice. ), op. cit. p. 175 : “È chiaro che, nel dipingere le figure della commedia, Majakovskij ebbe in mente certe vedette del cinema muto, come Vera Cholòdnaja”. Nei primi anni’70 del secolo scorso (XX°!): con la sceneggiatura di Andrei Končalovskij, il regista e pittore russo Rustam Chamdamov, non finì di girare il film Le gioie casuali (o: Verità fortuite), poiché pare non rispettò affatto la sceneggiatura e perciò fu estromesso e diffidato dal continuarlo; ma sulla traccia di questo film un altro regista russo Nikita Michailkov (fratello minore dello sceneggiatore), girò nel 1975 il film Schiava d’amore; questo film tratta della dis/avventura di una troupe cinematografica che si trova in Crimea, dove era in corsa una spietata lotta fra bianchi e rossi, per realizzare un film dal titolo Schiava d’amore; ed è in questo evento bellicoso che si innesta la vita sentimentale, privata ed artistica, della prima attrice-eroina di questo film, che allude alla vita di Vera Cholodnaja. Per quanto riguarda il problema dei due registi russi, questo mi fu riferito in primavera (2011) a Roma da un regista cinematografico italiano “irregolare” molto noto (che a Mosca incontrò il secondo dei due, ma ebbe l’informazione da una terza persona). Egli non ha voluto che io, qui, facessi il suo nome! ////// [Riporto una annotazione (p. 9 del testo in cirillico delle poesie) della slavista Claudia Scandura dal Corso su Mandel’štam: “Romanticismo dozzinale… (ЛЮБОЧНЫЙ РОМАНТИЦИ)…. ЛЮБОKera la corteccia di betulla su cui i contadini nel ‘600 e ‘700 dipingevano le immagini delle feste e che vendevano in ceste di tiglio. E che l’inizio del cinema è legato al baraccone e alla fiera”]. La corteccia di betulla già gli antichi slavi usavano per dipingere o per iscrizioni; mentre le ceste possono essere sia di tiglio che di betulla.

[197] Leonid Andreev, Lettere sul teatro,…

Ripellino-Bosco

Angelo Maria Ripellino a Praga

(il commento di Angelo Maria Ripellino è fra parentesi quadre)

..ma l’altro giorno, qui in campagna dove vi sono tanti materiali, vado a rivisitare le mie cartoline dalla fine dell’800 fino  agli anni trenta del ‘900 e vi trovo una fotografia originale (trasformata in cartolina, come si usava allora) della Vera Cholodnaja… e così annoto su un foglietto:

« questa mattina, rovistando per mettere in ordine alcune mie vecchie cose ho avuto un sobbalzo, una sorpresa che consiste in questo: una volta, tantissimo tempo fa andavo a Porta Portese ogni domenica (adesso talvolta) per comprare vecchie cartoline illustrate: ne ho a centinaia con tantissimi francobolli (di cui non conosco il valore in denaro, ma credo che ve ne siano parecchi di valore); dunque in una busta su cui scrissi “donne d’altri tempi” e intendo quelle della fine ‘800 e inizio ‘900, ho trovato la fotografia in cartolina illustrata (si dice così?) della più grande attrice del cinema muto russo, Vera Cholodnaja: sono saltato in aria! (comprendi da russista la mia sorpresa), a questa attrice avevo dedicato una mia nota nel Corso da me curato di A.M. Ripellino su Mandel’štam del 1974-75. Ho naturalmente messo la cartolina in una bustina trasparente con dietro la mia nota (n.° 197, pag. 80) che ti riporto qui sotto:

La diva maggiore del cinema muto russo Vera Cholòdnaja, morta di spagnola a 26 anni, a Odessa il 16 febbraio 1919, fu la protagonista principale di decine e decine di film (si dice, una settantina) con titoli similari a quelli su citati, che già dicevano tutto di una trama… lacrimevole, languida, sentimentale e passionale fino all’eccesso, fatale, svenevole… Subì il fascino di due grandi attrici: la Komissarževskaja e Asta Nielsen. Tanto fu lo straordinario successo che ebbe questa diva del muto da non saper, essa stessa, distinguere più la sua realtà cinematograficamente muta dalla realtà della vita che la circondava (sdoppiamento e  identità erano in fatale conflitto e la dominavano). Così Ripellino in “Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia”, (cap. V , Storia di una cimice. ) , op. cit. p. 175 : “È chiaro che, nel dipingere le figure della commedia, Majakovskij ebbe in mente certe vedette del cinema muto, come Vera Cholòdnaja”. Nei primi anni’70 del secolo scorso (XX°!): con la sceneggiatura di Andrei Končalovskij, il regista e pittore russo Rustam Chamdamov, non finì di girare  il film Le gioie casuali (o:  Verità fortuite),  poiché pare non rispettò affatto la sceneggiatura e perciò fu estromesso e diffidato dal continuarlo; ma sulla  traccia di questo film un altro regista russo Nikita Michaijkov (fratello minore dello sceneggiatore), girò nel 1975 il film Schiava d’amore; questo film tratta della dis/avventura di una troupe cinematografica che si trovava in Crimea,  dove era in corsa una spietata lotta fra bianchi e rossi, per realizzare un film che avrebbe avuto quel titolo; ed è  in questo evento bellicoso  che si innesta la vita sentimentale, privata ed artistica, della prima attrice-eroina di questo film, che allude alla vita di  Vera Cholodnaja. Per quanto riguarda il problema dei due registi russi, questo mi fu riferito in primavera (2011) a Roma da un regista cinematografico italiano “irregolare” molto noto (che a Mosca incontrò il secondo dei due, ma ebbe l’informazione da una terza persona). Egli non ha voluto che io, qui, facessi il suo nome! ////// (Riporto una annotazione – ai margini di p. 9 del testo  in cirillico delle poesie del poeta – della slavista Claudia Scandura dal Corso su Mandel’štam (1974-75) che riprende un verso della poesia Cinematografo: “ Così comincia il dozzinale/romanzo della leggiadra contessa” : “Romanticismo dozzinale… (ЛУБОЧНЫЙ РОМАНТИЗМ)…. ЛУБОK era la corteccia di betulla  su cui i contadini nel ‘600 e ‘700 dipingevano le immagini delle feste e che vendevano in ceste di tiglio. E che l’inizio del cinema è legato al baraccone e alla fiera”).

La corteccia di betulla già gli antichi slavi usavano per dipingere o per iscrizioni; mentre le ceste possono essere sia di tiglio che di betulla; l’uso di questa corteccia è diffuso anche nell’800.

“Sull’attrice  vi sono informazioni esaurienti in: “eSamizdat 2005 (III) 2-3 pp. 133-149, “Divismo e morte nel cinema russo degli anni Dieci-I funerali di Vera Cholodnaja“- di Andrea Lena Corritore”.

*

osip mandel'stam 2

osip mandel’stam

La poesia, ignota ai più, di Mandel’štam che dà a Ripellino il pretesto di scrivere sul cinema muto russo ha il titolo di «Cinematografo» (pag. 79 del Corso):

Osip Mandel’štam

Cinematografo. Tre panche.
Febbre sentimentale.
Un’aristocratica e ricca
nelle reti di una ribalda rivale.

Non si può trattenere il volo dell’amore:
ella di nulla è colpevole!
Con abnegazione, come un fratello,
amava il luogotenente della flotta.

Ed egli oggi vaga nel deserto –
figlio adulterino del brizzolato conte.
Così comincia il dozzinale
romanzo della leggiadra contessa.

E con frenesia, come gitana,
ella contorce le mani.
Commiato. Furiosi suoni
di un tartassato pianoforte.

Nel petto fiducioso e debole
c’è ancora abbastanza coraggio
per sottrarre importanti carte
per lo stato maggiore del nemico.

E per il viale di castagni
un mostruoso motore si precipita,
stride il nastro, il cuore palpita
più febbrile e più allegro.

In abito e sacco di viaggio,
nell’automobile e nel vagone,
ella teme soltanto l’inseguimento,
estenuata da un secco miraggio.

Ma quale amara sciocchezza:
il fine non giustifica i mezzi!
A lui – il retaggio paterno
e a lei – la fortezza a vita.

(1913)

*

traduzione di Angelo Maria Ripellino e suo commento alla poesia «Cinematografo» (pag. 80 dei miei appunti) :

[ È una parodia dei soggetti dei film svenevoli dell’epoca 1912-13, dell’inizio del secolo che erano ugualmente smancerosi e banali in tutte le cinematografie del mondo e notevolmente in quella russa, che in parte si specchiava su quella italiana. Ci riferiamo in un’epoca in cui la stessa parola cinematografo era contestata, si diceva bioscop, biograf, illusione. Questa poesia secondo una critica di Gumilëv rispecchia:” il romanticismo dozzinale dei soggetti cinematografici dell’epoca”. Basta elencare qualche titolo a caso per farsi un’immagine del cinema di allora e di come Mandel’štam lo rifletta precisamente. Per esempio: Una storia fra tante, 1912: una povera sartina diventa cocotte; Il calice della vita e della morte, 1912 : una ragazza di famiglia intellettuale perisce sedotta da un conte. Sui lastroni di pietra, 1913 : una povera modista vittima della città.  Seguono: E tutto è stato pianto, deriso ed infranto; Il marchio delle passate passioni, 1913; La vita com’è, 1913; La passione dilettosa; Da tempo sono fioriti i crisantemi in giardino, 1916; Eppure la felicità era così possibile; Concedimi questa notte   Il cinema di allora ha suscitato diverse poesie; i diari del poeta Aleksandr Blok sono continuamente segnati da questa parola cinematografo, egli dice:

               Il cinematografo è oblio, l’arte è ammonimento.

     Andreev scrive nelle Lettere sul teatro:

Meraviglioso cinema! Sa l’alta  e suprema e santa finalità dell’arte che è di creare una comunione tra gli uomini e le loro anime solitarie, quale enorme infinito social-psicologico compito è dato da realizzare a questo artistico apache del nostro tempo. Che cosa sono accanto al cinema: la navigazione aerea, il telegrafo, il telefono, la stessa stampa, questo piccolo strumento portatile, che si può mettere in una scatolina, si può mandare per tutto il mondo  con la posta, ed è meglio della comune gazzetta   

 Qui Mandel’štam gioca sul dramma salottiero del cinema di allora, dove ricorrevano continuamente baroni, baronesse, conti che avevano poi straordinarie, terribili notti, sempre nelle alte sfere, palazzine aristocratiche, ricchi saloni borghesi, studi di scultori cattivi, mobili sfarzosi, fiori esotici; e costoro si innamoravano, coltivavano amanti, uccidevano rivali; gli attori recitavano con gli sguardi fissi nel vuoto, con lunghe pause, proprio mostrando se stessi. Tutto accadeva nelle alte sfere perché questo attraeva un’umanità desiderosa di migliorare il proprio stato.]

*

mandel'stam foto segnaletica nel lager 1938

mandel’stam foto segnaletica nel lager 1938

Ecco, questo è l’imput originario di Brodskij della famosa poesia su Troia ed Elena.  Qui, da questa poesia di

Osip Mandel’štam

Insonnia. Omero. Le vele tese.
Io ho letto sino a metà l’elenco delle navi:
questa lunga nidiata, questo treno gruesco
che sopra l’Ellade un tempo si è levato.

Come un cuneo di gru in confini (contrade) stranieri –
sulle teste dei re c’è la schiuma divina –
ma dove navigate? Se non ci fosse Elena,
a che servirebbe Troia da sola, uomini achei?

E il mare, e Omero – tutto questo è mosso dall’amore.
Chi devo ascoltare? Ed ecco, Omero tace,
e il mare nero, perorando, risuona
e con un pesante tonfo si avvicina al capezzale.

(agosto 1915)

Commento di Ripellino a questa poesia di Osip Mandel’štam:

[ È straordinaria l’estrema densità con cui viene concentrato in 3 quartine tutto l’intreccio dell’intera Iliade. E dentro di questo, tutta una sintesi di epoche, di cicli, di culture come fa sempre Mandel’štam. Ed è una lettura del II° libro dell’Iliade, del catalogo delle navi, di Omero fatta prima di dormire, per vincere l’insonnia. E alla fine l’insonnia è vinta, perché il mare nero si alza, come un personaggio, perorando, rumoreggia e giunge sino al capezzale.

   Un poeta acmeista dell’emigrazione, G. Adamovič, forse esagerando, ha scritto che:

“Una simile musica non c’è mai stata in nessun poeta dai tempi di Tjutčev, e tutto quello che ricordi a paragone ti sembra acquerugiola”.

Notare la languida atmosfera di sonnolenza, questo semi-veglia, questo senso soporifero, il sonno che diventa come il mare, e poi questa domanda: ”Dove navigate?”. È un’inserzione colloquiale tipica degli acmeisti che subito rompe l’aspetto austero della poesia, che è continuamente spezzata da questa domanda, e poi dall’ultimo verso:

Troia, a che vi servirebbe, se non ci fosse Elena? 

Qui è la modernità della Poesia.]

Antonio sagredo teatro politecnico-1974

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

Antonio Sagredo (pseudonimo Alberto Di Paola), è nato a Brindisi nel novembre del 1945; vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove  risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza.

La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile.

Come articoli o saggi in La Zagaglia:  Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta):  Leone Tolstoj – le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A.   Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).

Ho curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema :Tumuli di  Josef Kostohryz , pubblicato in «L’ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi:  Edison (in L’ozio,…., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L’ozio», 1988) di Vitězlav Nezval;  (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).

Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudčenkova, di Zbyněk Hejda, Ladislav Novák, di Jiří Kolař, e altri in varie riviste italiane e ceche.

Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar Březina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo),  trad. A. Di Paola e K. Zoufalová. È uscito nel 2015, per Chelsea Editions di New York, Poems Selected poems. Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016)

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