Archivi tag: Xenia

PAOLO RUFFILLI, MONTALE UNO E DUE? – La crisi della civiltà borghese occidentale

eugenio montale 2

Eugenio Montale e La crisi della civiltà borghese occidentale

Fu all’uscita di Satura, nel 1971, nonostante ci fossero state già alcune sparse anticipazioni, che da più parti della critica si levò l’interrogativo nei confronti delle “novità” dell’ultima poesia di Eugenio Montale. E non mancarono, a caldo, le dichiarazioni di involuzione, di tramonto di una vocazione, di inconsapevole slittamento verso l’impasse delle forme prosastiche della poesia contemporanea. Non pochi tra i critici militanti si trovarono nell’impaccio di dover dare sistemazione a una produzione di cui non si aspettavano questi “altri” esiti e molti elusero il compito ripiegando sull’elogio retrodatato del poeta ormai codificato e definitivamente catalogato sotto l’etichetta delle sue precedenti tre raccolte di versi.

Da Ossi di seppia (1925 e 1928) a Le occasioni (1939) a La bufera e altro (1956, comprendente i testi della raccolta Finisterre del 1943) si disegna il campo poetico montaliano del “male di vivere”, dell’incomprensione del mondo e di ogni suo senso possibile, dei “fantasmi” che nonostante tutto ci salvano dal vuoto riconciliandoci sentimentalmente con la vita, e si decide definitivamente la catalogazione critica dell’esperienza di Montale nei termini di un “realismo dell’oggetto” da cui con perplessità gli addetti ai lavori hanno guardato alle prove successive del poeta. Lo stesso Contini, che meglio di tutti aveva individuato la chiave della poesia montaliana fino alla Bufera nella potenzialità infinita innescata dalla somma degli oggetti inventariati dal reale, non si era sentito di chiudere il cerchio dell’interpretazione, firmando il risvolto di copertina di Diario del ’71 e del ’72, preso nel viluppo non ancora dipanato del Montale vecchio/nuovo, primo/secondo, uno/due.

Altri critici, nel rispetto di quella etichetta ermetica-postermetica, avevano imboccato la strada della “diversità”, della “seconda stagione”. Ma la convinzione di un presunto rinnovamento radicale della poesia di Montale, a partire da Satura, ha inquinato la valutazione che della produzione successiva la critica ha dato, chiudendola in equivoci di salti e ribaltamenti.

Tra gli addetti ai lavori delle nuove generazioni, presso i quali Montale non aveva mai riscosso grandi simpatie (divisi com’erano, anche se di formazione ermetica e specificamente montaliana, tra l’impegno di un risorto canto civile e l’esperimento linguistico delle prove di avanguardia e, comunque, contro la scelta del poeta, legati più o meno direttamente alla concezione dell’intellettuale “professionale”) Satura suscitò allora più che perplessità, diffidenza e sospetto, per i territori apparentemente più avanzati nei quali l’autore sembrava avventurarsi persistendo sulla pista di un’assoluta e limpidissima tradizione.

Ricordo, per avervi partecipato polemicamente, alcuni seminari presso la facoltà di lettere dell’università di Bologna e della Statale di Milano nel 1972, dedicati alla poesia. Il Montale di Satura era uno dei bersagli ricorrenti. Da parte di molti, nella deviante prospettiva di quei momenti della “globalità” del politico, gli veniva l’accusa, in sé ingenua e addirittura assurda, di “riformismo letterario”, di “tattica dell’aggiornamento”. E del resto, a fare lo spoglio della bibliografia critica di allora, si possono rintracciare le stesse prese di posizione da parte dei recensori, giovani e meno giovani, della pubblicistica di sinistra.
Quanto poi ai fedeli lettori di Montale (tra i lettori di poesia, nel 1971, gli appassionati montaliani avevano superato tutti i quarant’anni d’età), Satura fu per loro, pur nell’adesione immediata, incertezza di valutazione complessiva e sospensione del giudizio.

Eppure c’era da aspettarsi che, insieme con le successive prove di Montale dal Diario del ’71 e del ’72 del 1973 a Quaderno di quattro anni del 1977, arrivasse l’aggiustamento di tiro da parte della critica: l’attenuazione delle pretese “novità” e il riconoscimento dei molti legami, anzi dell’assoluta corrispondenza con la precedente produzione. Si sarebbe dovuto chiarire, all’esame dei testi, che non si trattava di un “secondo” Montale, nella frettolosa definizione del momento, ma che Montale era sempre quello e che la sua stagione poetica non era ancora tramontata, solo aveva avuto naturale evoluzione e si era compiuta in modi e tempi più distesi. Invece la critica militante perseverò, nella maggioranza dei casi, nella contrapposizione di un “prima” e di un “dopo”, giungendo a consolidare una divaricazione di cui si mise a cercare le motivazioni profonde con le tecniche più raffinate e sofisticate.

La verità era un’altra. Valeva ancora una volta la constatazione che lo scrittore di qualità, varianti comprese, riscrive sempre lo stesso libro. E il “libro” di Montale si ispirava alla stessa idea di poesia, continuava ad essere il vagheggiamento di una “poesia pura”, e basterebbe leggere a questo proposito il discorso “È ancora possibile la poesia” tenuto da Montale all’Accademia di Svezia il 12 dicembre 1975, in occasione del conferimento del Premio Nobel. Una “poesia pura”, perseguita per vie più traverse e indirette (a causa del complicarsi stesso, sempre più confuso, della vita) e recuperata dall’incontro, dalla lettera, dalla notizia di giornale, da ogni occasione minima e più oscura in cui riconoscere (o tentare di riconoscere) se stessi e il proprio passato. Continua a leggere

24 commenti

Archiviato in critica della poesia, poesia italiana del novecento, Senza categoria

Ventotto epigrammi di MARCO VALERIO MARZIALE (38 o 41- 104 d.C.)  scelti e tradotti da Mario Fresa

Marziale

Marziale

Marco Valerio Marziale nasce a Augusta Bilbilis, 1 marzo 38 o 41 e muore a Augusta Bilbilis nel 104, una città della Hispania Taraconensis situata su un’altura, caduta sotto il dominio di Roma in seguito alle guerre cantabriche, come tutta la Hispania, e divenuta municipio sotto il regno di Augusto; si ritiene che la città natale di Marziale si trovasse dove ora sorge Cerro de Bambola, presso Calatavud. Marziale raccontò più volte la sua patria in vari epigrammi, descrivendola come una cittadina che sorgeva su un aspro monte, nota per gli allevamenti di cavalli e per le fabbriche d’armi, grazie alle fredde acque del fiume Salone che scorreva ai piedi della montagna ideali per la tempra degli armamenti. Ricevette un’accurata educazione inizialmente a Bilbilis e in seguito in un’altra città della Spagna Tarraconense sotto la guida di grammatici e retori, a cui si dedicò con impegno; i genitori, che probabilmente si chiamavano Frontone e Flaccilla, sembra che provenissero dalla media borghesia provinciale, e in ogni caso dovevano godere di una buona condizione economica per permettersi di sostenere gli studi del giovane Marziale.

La congiura di Pisone e la vita da cliens (64-80)

« Heu! Nero crudelis nullaque invisior umbra,
debuit hoc saltem non licuisse tibi. »« Ahimè! O Nerone crudele e per nessun’altra uccisione più odioso, almeno questo delitto non doveva esserti permesso! »
(Epigrammi, VII, 21)
Nerone

Nerone

Nel 64, anno del grande incendio di Roma, spinto dalla voglia di conoscere il mondo e dalla speranza di fare fortuna come era accaduto a molti altri letterati spagnoli della sua epoca, Marziale decise di recarsi a Roma. Giunto nella capitale dell’Impero allacciò subito i rapporti con le più importanti e influenti personalità della città provenienti come lui dalla Spagna: la famiglia degli Annei, composta da uomini del calibro di Seneca, Giunio Gallone, Mela eLucano; il grande avvocato Lucio Valerio Liciniano e il giureconsulto Materno, entrambi originari di Bilbili; Deciano di Emerita e il poeta Canio Rufo di Cadice.

Proprio grazie alla famiglia di Seneca Marziale si legò a personaggi potenti della capitale, come Gaio Calpurnio Pisone, Gaio Memmio Regolo eQuinto Vibio Crispo, che con tutta probabilità aiutarono largamente il giovane spagnolo mentre muoveva i suoi primi passi a Roma, tanto che li elogerà anche a distanza di più di trent’anni in un suo epigramma. Ciononostante questo periodo iniziale in cui Marziale si trovò al centro di una fitta rete di amicizie e conoscenze terminò presto e bruscamente nel65, quando l’imperatore Nerone scoprì la congiura ordita proprio da Pisone; la reazione di Nerone fu feroce e immediata: così molti degli amici di Marziale vennero uccisi o costretti al suicidio, lasciandolo solo e senza nessun appoggio su cui contare; l’unica amicizia che gli rimase fu quella di Polla Argentaria, vedova di Lucano, che negli anni successivi citerà più volte nei suoi componimenti.

Vespasiano, il primo imperatore della dinastia flavia con cui Marziale con tutta probabilità instaurò un rapporto di clientela.

Dal 65 quindi Marziale dovette iniziare a frequentare nuovi ambienti: si indirizzò verso una vita dacliens, un’attività pesante e scomoda che lo spingeva ogni mattina a svegliarsi presto per portare i propri saluti ad un ricco signore ed eventualmente accompagnarlo nei suoi giri per Roma, ricevendo in cambio la sportula, un donativo in cibo o denaro. Tuttavia, anche se non è ben chiaro in che modo, riuscì ad ottenere un appartamento sul Quirinale, descrittoci da Marziale come un umile bugigattolo situato al terzo piano, per poi forse spostarsi in un’abitazione sul medesimo colle; il Quirinale era anche il colle dove risiedevano famiglie prestigiose come quella dei Claudii dei Pomponii, dei Valerii e dei Flavii. Con quest’ultima famiglia, che risiedeva non lontano da lui, Marziale dovette instaurare un duraturo rapporto di clientela, forse dovuto alla vicinanza delle due abitazioni, a partire già dal principato diVespasiano, salito al potere in seguito al suicidio di Nerone e alla guerra civile del 68-69.

Venere statua copia romana

Venere statua copia romana

La vita da cliens fu dispendiosa e priva di soddisfazioni per il giovane spagnolo, che avrebbe potuto sicuramente condurre una vita più agiata esercitando la professione dell’avvocato, alla sua portata visto gli studi giovanili, strada che però non fu mai disposto ad intraprendere e per la quale non si sentiva adatto; preferì la via della poesia e la vita da cliens, per quanto dura, si dimostrò estremamente utile per osservare la quotidianità dell’ambiente romano, le più svariate personalità e situazioni che poi trasporterà con crudo realismo nella sua poesia; è possibile che proprio in questi anni Marziale si addentrò nelle sue prime sperimentazioni poetiche, forse anche su commissione di Vespasiano: infatti l’imperatore era solito offrire durante i Saturnalia, agli uomini, e durante le Martiae kalendae, alle donne, degli apophoreta, biglietti d’accompagnamento ai doni distribuiti durante le feste; a scriverli su commissione potrebbe essere stato Marziale, dato che è l’unico poeta di cui ci è giunta una raccolta di questi biglietti, denominata proprio Apophoreta.

Tito, i giochi inaugurali e gli esordi letterari (80-85)

Isola Tiberina ricostruzione Roma antica

Isola Tiberina ricostruzione Roma antica

Marziale, ormai intrapresa la strada letteraria, scrisse alcune poesie, pubblicate da Quinto Pollio Valeriano di cui non ci è giunta traccia. Nell’80 per volere del nuovo imperatore Tito vennero organizzati dei giochi inaugurali dell’anfiteatro Flavio, completato nel 79 poco dopo la morte di Vespasiano, che ne aveva avviato la costruzione molti anni prima; in occasione di questi giochi Marziale pubblicò il suo primo libro di epigrammi, il Liber de spectaculis, che gli procurò onori e gloria. Grazie a questo primo successo ebbe dall’imperatore Tito lo ius trium liberorum, che comportava una serie di privilegi per i cittadini che avessero almeno tre figli, nonostante – a quanto pare – il poeta non fosse nemmeno sposato. Il successore di Tito, Domiziano, confermò i privilegi concessi dal fratello e lo nominò tribuno militare, e con esso ottenne anche il rango equestre.

Verso l’anno 84o 85 comparvero altri due libri di epigrammi: “Xenia” (doni per gli ospiti) e “Apophoreta” (doni da portar via alla fine del banchetto), composti esclusivamente di monodistici. L’accoglienza di tali libri, però, deluse le aspettative del poeta che si ritirò per alcuni mesi aForum Cornelii (Imola), ospite di un potente amico. Lì pubblicò il suo terzo libro ma, la nostalgia dell’ambiente variopinto e multiforme romano, fonte di ispirazione della sua poesia, lo fece tornare nella capitale.

La maturazione poetica e la morte di Domiziano (85-98)

Dopo l’assassinio di Domiziano nel 96, sotto i principati di Nervae poi di Traiano, si instaurò a Roma un clima morale austero. Marziale tentò di ingraziarsi i nuovi governanti, ma i suoi epigrammi mal si conciliavano con il nuovo orientamento del potere. Inoltre probabilmente egli era ormai troppo noto per i suoi passati rapporti con l’odiato predecessore di Nerva. Nel 98, infine, compì il viaggio di ritorno alla città natia. Tra il 90 e il102 pubblicò complessivamente altri otto libri di epigrammi.

pittura parietale romana epoca pompeiana

pittura parietale romana epoca pompeiana

Il ritorno in patria e la morte (98-104)

A Bilbilis una ricca vedova di nome Marcella, presa d’ammirazione per la fama e la poesia del poeta, gli addolcì gli ultimi anni della vita, mettendolo nella situazione di poter vivere agiatamente col dono di una casa e di un podere. Marziale morì a circa 64 anni a Bilbilis come attesta una lettera dell’anno 104, inviata da Plinio il giovane a Cornelio Prisco, nella quale il mittente dà un giudizio sul poeta spagnolo, che gli aveva indirizzato alcuni epigrammi di elogio per la sua attività di avvocato.

Epigrammata, edizione del 1490.

Di Marziale ci sono pervenuti quindici libri di epigrammi, per un totale di 1561 componimenti, pubblicati tutti dallo stesso poeta. Quelli monotematici non hanno un numero progressivo ma sono noti con un nome: nel caso di Xenia e Apophoreta anche il nome è autoriale. Sembra anche che i dodici libri di epigrammi vari siano stati così numerati dal poeta medesimo. I libri sono inoltre preceduti da una prefazione in prosa che ha la funzione di fornire al lettore elementi sulla composizione dell’opera.

Chiamato anche Liber spectaculorum, nell’edizione del filologo Gruterus del 1602, fu pubblicato nell’80 e rappresenta la prima raccolta di epigrammi di cui abbiamo notizie (nessun epigramma giunto fino a noi sembra essere precedente a questa data). La raccolta contiene 33 o 36 epigrammi in distici elegiaci che descrivono i vari spettacoli offerti al pubblico in occasione dell’inaugurazione del Colosseo ad opera dell’imperatore Tito, figlio di Vespasiano.

Nell’edizione che suddivide i lavori di Marziale in quindici libri, queste due raccolte costituiscono rispettivamente il XIII e XIV libro, secondo l’ordine in cui sono riportati nei manoscritti, benché criteri interni rendano quasi certa la loro seriorità rispetto al I libro. Sono composti esclusivamente di epigrammi in distici elegiaci. I titoli (o lemmata) che menzionano l’oggetto descritto di volta in volta furono dati dall’autore stesso.

I “doni per gli ospiti” (xenia) sono una raccolta di 127 (124 e 3 introduttivi) epigrammi che accompagnavano, appunto, i doni che ci si scambiava durante i Saturnali.

I “doni da portar via” (apophoreta), invece, sono quelli (221 più due introduttivi) che accompagnavano i doni destinati ai commensali alla fine di un convivio. Bisogna sapere che tali doni venivano sorteggiati tra gli invitati: da questo fatto potevano derivare talvolta situazioni curiose o comiche (ad esempio: un pettine assegnato a un calvo) su cui il poeta poteva sbizzarrirsi divertendo i lettori.

Cogito soldati romani

I, 30

Faceva il chirurgo, ora il becchino. Poco male:

si vede che gli piace, il cliente orizzontale.

I, 80

Dunque, tu già speravi, adesso, di avere una gran mancia, a torto.

Meno soldi del previsto? Allora eccoti là, sùbito morto.

I, 91

Non pubblichi mai versi, però le mie poesie

le critichi e ti danno dispiacere.

Deciditi una volta: o pubblichi i tuoi

versi, oppure cerca di tacere.

I, 71

Sette bicchieri per Iustina

e quindi sei per Laevia

e cinque per Lycas

e quattro per Lyda

e infine tre per Ida

Le mie amiche le chiamo con tanti

bicchieri quante sono le lettere dei nomi:

e se non viene nessuna, allora il sonno

con un profondo sorso

mi berrà

attori sul set

attori sul set

II, 13

Soldi al giudice, e al cancelliere, e all’avvocato:

ma pagare i creditori, scusa, non è forse più sensato?

II, 88

Non ci leggi mai nulla,

caro Antonello,

ma ti passi per poeta.

Bene, te lo concedo:

a patto che continui

a non leggerci mai nulla.

Sarà più bello.

III, 18

«Stasera, mi scuserete, ci ho la voce raffreddata»: così sospiri.

E allora, Massimo caro, perché vuoi leggere, perché non ti ritiri?

III, 84

[a Sebastiano]

Che racconta, di bello, la tua cara troiaccia?

Non parlo di tua moglie: ma della tua linguaccia.

IV, 12

Non si vergogna mica di non negarsi a nessuno:

almeno si vergogni di non negarlo a nessuno.

Fayyum, ritratto di fratelli

Fayyum, ritratto di fratelli

VII, 3

[a Rossella]

Perché, mi chiedi, non ti regalo le mie raccolte di poesia?

Perché, in cambio, io già temerei le tue. Risparmiami la cortesia.

VIII, 27

Ricco e decrepito, sei carico sempre di moltissimi regali.

Ma ognuno di questi generosi ti sussurra: «a quando i funerali?».

XI, 66

[A Massimo]

Spia, traffichino, imbroglione; sagace addestratore

di critici d’accatto; maligno calunniatore;

presenzialista, succhiacazzi, sordido coboldo:

però, malgrado il gran daffare, sei sempre senza un soldo.

VII,16

«Non ho un centesimo, Mario!

Allora, quasi quasi, quei regali

che mi hai comprato

me li rivenderei.

T’interessa, per caso, ricomprarli?»

Roma6VIII, 51

Ad Aspro, il cieco, Amore finalmente oggi concede

una magnifica ragazza; e già per lei stravede.

II, 38

Tu vuoi sapere qual è la rendita di quel lontano mio terreno?

Questo mi frutta: della tua vista posso, finalmente, fare a meno.

III, 34

Fai guerra col tuo nome: sei bruna, ma non certo calorosa;

ti chiami Bianca, ma appari sempre, ahimé, costantemente ombrosa.

VII, 4

Friedrich, lo vedi, è rachitico, è palliduccio:

perciò si crede poeta. Povero ciuccio!

XI, 89

Le ghirlande di fiori me le spedisci adesso intatte: ma perché?

Lo sai che mi piacciono soltanto le rose stropicciate da te.

XII, 26

Flavia denuncia d’essere stata violentata, a turno, dai ladroni.

Quelli protestano: saremo pure delinquenti, ma non coglioni.

II, 25

Galla, mi dici continuamente : mai ti concedi, però!

Se allora sei così contraddittoria, tu dimmi, ti prego… no.

VIII, 20

[A Francesco]

Scrivi molti versacci; però, alla fine, non pubblichi mai niente.

Che caso strano: tu sei, allo stesso tempo, cretino e intelligente.

X, 8

Vorrebbe sposarmi, Paola, dice: ma di sicuro io no, non lo vorrei.

È vecchia, Paola: ma se fosse decrepita, allora sì, la sposerei.

VIII, 35

Siete fatti l’uno per l’altra:

un’oca, ignorante e scaltra,

e un imbecille monocordo.

E non andate d’accordo?

imperatore romano

imperatore romano

IV, 33

Ora non pubblichi nemmeno un verso.

«Dopo morto, lo faranno gli eredi».

Al pubblico in attesa, allora, questi tuoi

capolavori quando concedi?

VI, 31

La moglie scopa col dottore. Lui non discute.

Morirà, ne sono certo, in perfetta salute.

XI, 19.

Beh, tu ce l’hai con me perché alla fine, poi, non ti ho sposata.

Ma tu sei chic e perfettina; e io ho la minchia scostumata.

VIII, 69.

Solo i poeti superclassici e i defunti sai lodare e recensire.

Quanto a me, non ho interesse alcuno – soltanto per piacerti – di morire.

  Nota.

Le versioni saranno intese come una interpretatio ludica dei testi: la scelta della rima nasce dall’idea di una costruzione burlesco-sintetica della parola tradotta, nell’ipotesi di un travestimento di trasversale giocosità straniante. Non c’è «modernizzazione», ma, al contrario, una specie di regressione gioiosamente infantile, in cui lo strumento edonistico del suono tende alla demolizione della presenza, e soprattutto dell’autorialità, dello stesso traduttore-giocatore. I nomi dei personaggi citati sono (quasi) puramente casuali.

                                                                                                                                     m.f.

Salerno, luglio 2011 e agosto 2015

Mario Fresa

Mario Fresa

Mario Fresa è nato nel 1973. Ha compiuto gli studi classici e musicali e si è laureato in Letteratura italiana. Oltre a indagini sulla cultura della traduzione letteraria, si è dedicato alla poesia italiana e francese dell’Otto-Novecento. Come poeta esordisce nel 1999, presentato su «Specchio della Stampa» da Maurizio Cucchi. Altri suoi testi appaiono nell’antologia Nuovissima poesia italiana(Mondadori 2004) e su varie riviste, tra le quali «Caffè Michelangiolo» (n. 3, 2003), «Paragone» (n. 60-61-62, 2005), «Nuovi Argomenti» (vol. 45, Mondadori 2009). È del 2002 la raccolta prefata da Maurizio Cucchi Liaison, cui fanno seguitoCostellazione urbana («Almanacco dello Specchio» di Mondadori, n. 4, 2008), il poemetto Alluminio, con la prefazione di Mario Santagostini (2008) e Uno stupore quieto, introduzione di Maurizio Cucchi (La collana, Stampa, 2012). Un’anticipazione della sua nuova raccolta poetica è apparsa sul n. 16 di «Smerilliana» (2014), con un saggio di Valeria Di Felice. Collabora a riviste e a quotidiani e cura la rubrica Sguardi sul periodico «Gradiva. International Journal of Italian Poetry», di cui è redattore.

15 commenti

Archiviato in Poesia latina