Lucio Mayoor Tosi, frammento, 2021 – «Acrilico su legno e altri materiali (polistirene e tarlatana) 35×35 cm, Pop e modernità consunta. Su una navicella spaziale, in assenza di gravità. Ai frammenti ho aggiunto un “rumore di fondo”, diverso per ognuno. Il rumore (colore) porta tracce di quel che è stato. Un po’ come nei sacchi di Alberto Burri, ma le colorazioni sono odierne… ho tratto ispirazione dai muri esterni delle case, o comunque da superfici vissute, logore, che serbano un qualche valore affettivo» (l.m.tosi)
.
Giorgio Linguaglossa
Con la Krisis del Covid è finito il Postmoderno
Non c’è altro da fare che voltare pagina, la antiquitas della forma-poesia del secondo novecento va abbandonata, dis-messa, lasciata cadere; però va riparametrata e riconfigurata la mappa della poesia del tardo novecento. E ripartire dall’opera poetica fortemente innovativa di Alfredo de Palchi è assolutamente indispensabile.
Negli anni sessanta, nel giro di pochi anni escono otto raccolte poetiche pubblicate a distanza di pochi mesi l’una dall’altra: Le case della Vetra (1966), Poesia in forma di rosa di Pier Paolo Pasolini e di Giovanni Raboni, Gli strumenti umani di Sereni, La vita in versi di Giudici (1965), Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee di Caproni (1965), Nel magma di Luzi (1966), una prima edizione, con un numero minore di testi, era uscita già nel 1963; Variazioni belliche di Amelia Rosselli è del 1964 e Sessioni con l’analista di Alfredo de Palchi del 1967 che però raccoglie poesie scritte dal 1946 in poi. Nel 1956 Sanguineti aveva pubblicato la sua prima raccolta, Laborintus, che rappresenta la rottura più energica della tradizione lirica della poesia italiana: il soggetto lirico viene colpito in maniera, in apparenza, mortale. E invece la poesia con soggetto lirico riprenderà quota a metà degli anni settanta e durerà fino ai giorni nostri. Quella che sembrava una Canne del soggetto lirico, si è dimostrata invece una vittoria di Pirro.
In questi libri si possono rilevare diverse posture dell’io: Luzi, Sereni, Giudici, Caproni, Rosselli, Raboni, de Palchi, Sanguineti sono autori di generazioni e poetiche diverse che danno ciascuno un contributo alla deflazione del soggetto lirico.
Ma si possono annoverare, ovviamente, altre opere significative: Ecloghe (1962) di Zanzotto, Una volta per sempre di Fortini (1963), Il seme del piangere (1959) di Caproni, negli anni cinquanta le poesie di Ennio Flaiano contenute ne Una e una notte (1959) e in La donna nell’armadio (1957) oltre che ne “L’Almanacco del pesce d’oro” (1960); ma ci sono anche altri titoli del 1957 come Vocativo di Zanzotto, Le ceneri di Gramsci (1957) di Pasolini e La ragazza Carla di Pagliarani (1957), opere tutte che rappresentano delle interpretazioni personali alla «deflazione del soggetto» di cui ha parlato la storiografia letteraria. Resta il fatto indiscutibile che dalla metà degli anni settanta si verifica un passo indietro: la messa in ombra della crisi della forma-poesia con la crisi dell’io lirico tradizionale che si era inequivocabilmente manifestata già all’inizio del Novecento con i poeti neocrepuscolari.
Oggi, a distanza di settanta anni dagli anni sessanta, quali libri di poesia dovremmo prendere in considerazione per individuare la crisi della soggettività lirica, ovvero, il cambiamento del paradigma lirico e la sua sostituzione con un «nuovo paradigma»?, ma, mi chiedo, c’è mai stato un «Cambio di paradigma» del soggetto lirico nella poesia italiana del tardo novecento? E, se non c’è stato, chiedo: quali sono le ragioni storico-stilistiche che hanno ostacolato e/o impedito il «Cambio di paradigma»?
Faccio un passo indietro e riepilogo qui quanto ho già scritto a proposito della poesia di Ennio Flaiano:
«Il poeta che compendia e riflette le contraddizioni, le inquietudini degli anni Cinquanta è Ennio Flaiano: un non-poeta, uno sceneggiatore, uno scrittore di epigrammi, di pseudo poesie, uno scrittore di non-romanzi, o meglio, di romanzi mancati, «ridanciano, drammatico, gaglioffo, plebeo e aristocratico» come egli ebbe a definire Il Morgante di Luigi Pulci. «Perché io scrivo? Confesso di non saperlo, di non averne la minima idea e anche la domanda è insieme buffa e sconvolgente», scrive Flaiano, poeta lunatico, irriverente, un arcimbolodo antidemagogico, antiprogressista, anti marxista e anti borghese, personalità assolutamente originale che non può essere archiviata in nessuna area e in nessuna appartenenza letteraria. Personaggio tipico della nuova civiltà borghese dei caffè, che folleggia tra l’erotismo, l’alienazione, la noia dell’improvviso benessere. Con le sue parole: «In questi ultimi tempi Roma si è dilatata, distorta, arricchita. Gli scandali vi scoppiano con la violenza dei temporali d’estate, la gente vive all’aperto, si annusa, si studia, invade le trattorie, i cinema, le strade…». Finita la ricostruzione, ecco che il benessere del boom economico è già alle porte. Flaiano decide che è tempo di mandare in sordina la poesia degli anni Cinquanta, rifà il verso alla lirica che oscilla tra Sandro Penna e Montale. Prova allergia e revulsione verso ogni avanguardismo e verso la poesia adulta, impegnata, seriosa, elitaria. Ne La donna nell’armadio (1957) si trovano composizioni di straordinaria sensibilità e gusto epigrammatico con un quantum costante di intento derisorio verso la poesia da paesaggio e i quadretti posticci alla Sandro Penna, le punture di spillo alla poesia di Libero De Libero:
Quando la luna varca la città
Da levante a ponente
Io la guardo e mi piace
La sua pallida puntualità.
*
Su carta gialla un inchiostro viola
su giallo, odio una sola speranza
sulla speranza un sole giallo splende
sulla speranza che rimane sola.
*
L’orto dei frati era l’orto del lupo mannaro
Dietro la siepe trovarono disteso il morto.
La luna si specchiava nel pozzo dell’orto.
Il freddo era quello dei bambini.
E la campagna, quella che io ricordo.
Lucio Mayoor Tosi, frammento con giallo, 2021 – «Pop e modernità consunta. Su una navicella spaziale, in assenza di gravità»
È paradossale che sia proprio Flaiano l’autore della poesia più moderna e sofisticata dell’Italia degli anni Cinquanta che inizia la sua corsa al Moderno; colui che aveva in orrore la trivialità dell’Italia degli scandali, delle speculazioni e della società di massa vista come volgarità di massa, è costretto a invertire la rotta della sua intelligenza e a occuparsi dei ritagli, degli accidenti della visibilità, dei dettagli, delle fraseologie da ricettario, ad assumere un tono assertorio-derisorio, interrogativo-irrisorio e blasé da intellettuale sorpassato, antiquato, non à la page; nel suo stile fa ingresso, per la prima volta nella poesia italiana, lo stile delle pubblicità, delle didascalie da autobus, delle fraseologie da sussidiario, da bugiardino e da educazione civica.
Leggiamo da L’almanacco del pesce d’oro (1960):
Chi apre il periodo, lo chiuda.
È pericoloso sporgersi dal capitolo.
Cedete il condizionale alle persone anziane, alle donne e agli invalidi.
Lasciate l’avverbio dove vorreste trovarlo.
Chi tocca l’apostrofo muore.
Abolito l’articolo, non si accettano reclami.
La persona educata non sputa sul componimento.
Non usare l’esclamativo dopo le 22.
Non si risponde degli aggettivi incustoditi.
Per gli anacoluti, servirsi del cestino.
Tenere i soggetti a guinzaglio.
Non calpestare le metafore.
I punti di sospensione si pagano a parte.
Non usare le sdrucciole se la strada è bagnata.
Per le rime rivolgersi al portiere.
L’uso del dialetto è vietato ai minori dei 16 anni.
È vietato aprire le parentesi durante la corsa.
Nulla è dovuto al poeta per il recapito.
Per un caso davvero singolare, la migliore e più evoluta poesia degli anni Cinquanta la si ritrova nell’autore che con più circospezione e tenacia ha esperito ogni tentativo per allontanare da sé il pericolo di presentarsi con l’etichetta di «poeta». In sostanza, Flaiano mette in scena la sua personale avanguardia: una sorta di retroguardia sistematizzata, in giacca e cravatta, dandystica, contro tutto ciò che il Moderno propina con le sue mode, la rivoluzione televisiva, i suoi abiti firmati, con i suoi miti letterari (Arbasino, Bertolucci, Penna, Moravia etc.), ed i suoi riti apotropaici».*
* da Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010) Roma, Edilet, 2011 p. 40 € 16.
da La donna nell’armadio (1957)
Quante cose guardiamo in realtà
Che non valgono il tempo d’esser viste.
questo si chiama: l’infelicità.
*
Una parola, un’altra parola,
Un’altra parola.
Come il pensiero vola avanti
E uccide la parola al passaggio!
*
Il poeta dice no alla verità.
Egli ne ha un’altra più rara – ma solo metà.
L’altra metà,
Che il poeta non ha,
La sanno soltanto i morti –
Nell’Aldilà.
Ma non la possono dire.
Qui tutto il loro morire.
da Una e una notte (1959)
La funzione è finita
L’organo suona Bach,
E il Cardinale, ossequiato,
Riparte in Cadillac.
*
Chi disprezza sarà sempre ammirato,
Compra e rivende, spesso viene comprato,
Batte le mani il pubblico a chi sputa
Per aria. Ma aiuta il Cielo chi da sé s’aiuta.
da L’Almanacco del pesce d’oro 1960
Sublime attesa
Canzone-fox di Anonimo Flaiano
Ho letto con ritardo
Lolita e il Gattopardo.
Così passai l’estate
tra speranze infondate.
Perché non scrivi più?
Mi abbandoni anche tu?
L’inverno si fa avaro
e il ricordo più amaro.
Tempo ne ho d’avanzo:
sto scrivendo un romanzo.
Io t’aspetto quassù.
Vieni quando vuoi tu.
Penso alla primavera
e a una vita più vera.
faccio pittura astrale.
verrai alla «personale»?
Se mi lasci anche tu,
Io non resisto più.
Leggo e scrivo poesie,
appunti, cose mie.
il suicidio ho tentato.
Niente. M’hanno salvato.
Io non t’aspetto più.
Fa’ quello che vuoi tu.
*
Il gatto di Moravia sta facendo le fusa,
arriva e se lo mangia il Gattopardo di Lampedusa.
Autunno romano
Ritornano i giorni puntuali
col loro accento sul’ì.
Ritornano i mesi, i secoli uguali.
telefoniamoci, vuoi! Lunedì.
Scambio di persona
Il poeta Arbasino, gentile e documentato
Dormiva nella biblioteca del Senato.
Passò il presidente e disse: Questo è Arpino.
– No, replicò il poeta, sono proprio Arbasino.
I male informati
Quest’anno è andata male al poeta Bertolucci,
Gli hanno tolto il premio Nobel per darlo a Carducci.
Cronaca di Roma
Il dramma dello scrittore realista:
i suoi personaggi perde di vista.
Uno è in galera. Un altro frega il socio
e scompare. Il terzo si mette con un frocio.
Ragguagli manzoniani
Sai chi ho incontrato a Ponza?
La monaca di Monza.
Stava con il suo amico,
il Cardinale Federico.
Tutto da rifare
Sale sul palco Sua Eccellenza,
Esalta i valori della Resistenza,
S’inchina a Sua Eminenza.
da Inediti di noto anonimo abruzzese (1959)
“Souvenir”
Mino, ricordi la Marcia su Roma?
Io avevo dodici anni, tu ventuno.
Io in collegio tornavo e tu a Roma
guidavi la squadraccia dei Trentuno.
Mino, ricordi? Alle porte di Roma
ci salutammo. Avevi il gagliardetto,
il teschio bianco, il pugnale tra i denti.
Io m’ero tolto entusiasta il berretto
e salutavo tra un gruppo di studenti.
Mino, ricordi? Tu eri perfetto
nella divisa di bel capitano.
Io salutavo agitando il berretto.
Tu andavi a Roma, io andavo a Milano.
Lettera del commesso viaggiatore
Un tempo commettevo l’errore
di partire con la macchina per scrivere.
Oggi non credo al mio rancore,
porto il necessario per vivere.
*
Lunga la noia che mi sostiene
nei paesaggi visti dal treno!
Bieca la noia della notte che viene
nelle strade, a stomaco pieno.
*
Colme di ipotesi restano le città,
i desideri hanno un prezzo infamante.
È intollerabile, la verità –
se ti scopre da casa distante.
A proposito del «Marziale» di Cesare Vivaldi
Lettera a Bilbili
Non ritornare, Marziale, resta nella tua Bilbili.
Roma è rimasta sempre quella palude d’un tempo,
ma una realtà senza luce offusca il riso alla satira
e l’impotente epigramma affonda nella brodaglia.
Un mondo ha finito di vivere quando il poeta va via.
Risposta di Bilbili
Tutta la sana provincia è già una fogna ulteriore:
il puzzo della metropoli vi arriva fresco di stampa.
Lamento della luna e dintorni
Rimane sempre alta sull’orizzonte, poveraccia,
bella a vedersi così, senza impegno.
Ma non andarci, figliolo, evita la delusione.
Erbacce, un vento di desolazione, barattoli.
Bella,sì, nella sua putrefazione.
All’alba, larve di filosofi in fila
e cani che vanno frettolosi
verso un destino da intellettuali.
Epigrammi, anni ’40
Disse un ermetico – triste e splenetico
– M’ami, o pio Bo?
Rispose pratico – quel problematico
– Sì. Ma. Però.
*
Pastonchi annunzia un’opera di mole
La lingua batte dove il Dante duole.
*
Fa Matacotta
Poesia scotta?
Non vi capisco,
A luci spente
Vi garantisco
Ch’è proprio al dente.
*
Guardare la radio spenta
Chiudere la televisione
dormire un poco al cinema
questa è la mia passione.
(1950)
La posizione di un poeta oggi, qualsiasi sia la sua poetica, non può che essere questa. Simile a quella di un acrobata che cammina sul filo o di un trapezista che volteggia tra le piattaforme sospese sul vuoto. È una posizione instabile, molto precaria, ma è da qui che può nascere la nuova poesia.
(Marie Laure Colasson)
Astronomia tolemaica, con un’appendice di astrologia caldaica.
Medicina ippocratea, con approfondimenti sulla teoria dei quattro umori.
Fisica aristotelica, contro le recenti innovazioni galileiane.
(Guido Galdini)
Francesco Paolo Intini
LA FARFALLA JONAS CHE SOFFRIVA LA GUERRA DEL PELOPONNESO
Disse che avrebbe buttato via la carta
Perché era martedì
Prendere e lasciare suonò lo spartito
Liberare il vento e gracidare rane
A far serena l’Orsa il Nulla suggeriva
Gobbo.
Maldivivere all’uno orizzontale
completo in verticale.
Finita la raccolta del fanciullino?
A Blek E Blanc I Joker
E dunque Fantozzi a centro tavolo
più Soldino per elettrone Genova per noi,
Akim e Super Pippo sui bordi della via lattea
L’eredità si riprese il malloppo
Malmenando nonna Abelarda.
Tutti staccati gli indicatori, sigilli sulla luce.
Dal mascara riconosci il pianeta Terra.
Galeotto fu il COVID?
La strega disse di voltarsi
Ma Antonius non vide nulla
Il circo della Luna montato dai crateri
cubisti il Sole e le altre stelle.
Partita a golf con meteorite.
Beep…Beep… Willy in buca.
Una pallottola brilla in ciel:
Da quando colpisci le capanne?
Vincenzo Petronelli
19 novembre 2021 alle 15:06
Carissimo Giorgio, ti ringrazio infinitamente per la tua risposta al mio commento e per i tuoi spunti di riflessione, come sempre puntuali e stimolanti. Trovo convincente la panoramica di nomi della storia della nostra poesia da te riportati e che, almeno in determinati capitoli della loro produzione, rimangono comunque dei punti di riferimento anche per un progetto di “riforma” (uso questo termine nel senso positivo originario ovviamente, ben sapendo che la storia ci abbia insegnato come possa essere anche un concetto scivoloso) degli schemi poetici, qual’è il nostro.
Le rivoluzioni sono spesso fallite per la frenesia, il furore orgiastico di disfarsi semplicisticamente di tutto quanto fosse “passato”, nell’ignoranza di come invece gli esempi positivi del passato contenessero già in nuce i germi del cambiamento. E’ ciò che scorgo nel tuo intervento e che, ripeto, riflette perfettamente il mio pensiero, accrescendo ulteriormente il mio entusiasmo per aver elencato alcuni nomi che mi sono cari, primo fra tutti proprio quello di Flaiano, anti-poeta per eccellenza e grande esempio di come anche in poesia, la giocosità, l’ironia, la deformazione del comico risultino estremamente efficaci per trasporre artisticamente in termini critici la realtà, come nella narrativa ed ancor di più nel teatro e nel cinema, di cui proprio egli stesso è stato un grande artefice come uno dei maggiori scenggiatori della tradizione della nostra commedia.