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Cambiamento di Paradigma, Sull’Evento nella nuova poesia, La poesia all’Epoca del Covid19, Poesie di Mario M. Gabriele, Giuseppe Gallo, Gino Rago, 

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sono portato a credere che un’era geologica della poesia sia finita, irrimediabilmente, e che se ne sia aperta un’altra. È cambiato non solo il paradigma, ma è cambiato il mondo, e forse sarebbe bene prenderne atto.

Giorgio Linguaglossa

cambiamento di paradigma

Tempo fa discettavo intorno alla ipotesi che si stesse profilando nella poesia italiana un cambiamento di paradigma, dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza, espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante. Possiamo affermare che in Italia c’è ormai da tempo, è ben presente, un cambiamento di paradigma, perché le cose della poesia camminano da sole, si sono rimesse in moto dopo cinque decenni di immobilismo. E questa è senz’altro una buona notizia.

L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn «un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (in La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, «lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica stilistica) più o meno di moda nei vari periodi, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista (1967) di Alfredo de Palchi, invece, invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.
Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist. Dice Kuhn citando Max Planck:
«Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa.»
Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.

quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato

Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.

si è concluso il Post-moderno

Possiamo dire che quell’epoca che va da l’Opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonologica) ed inizia una poesia topologica che integra il Fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili e mi riferisco ad una recentissima scoperta scientifica: è stato individuato un cristallo che ha una struttura atomica mutante, cioè che muta nel tempo!) ed il Fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un certo concetto di reale e di finzione), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo «dominio» (per dirla con un termine del lessico mediatico).

La poesia all’Epoca del Covid19

Leggendo la poesia di Mario Gabriele, sono portato a credere che un’era geologica della poesia sia finita, irrimediabilmente, e che se ne sia aperta un’altra. È cambiato non solo il paradigma, ma è cambiato il mondo, e forse sarebbe bene prenderne atto. E con esso anche la poesia, ovviamente.
È come andare in trattoria, chiedere un fritto misto di paranza e, invece, il cameriere ti porta un usufritto di oloturie, ologrammi e orologi da tasca. Qui c’è qualcosa di irriconoscibile e di inaspettato. E, davanti ad una materia irriconoscibile e inaspettata che cosa ha da dire una ermeneutica? Niente, penso proprio niente.

Mario M. Gabriele

Caro Giorgio,
mi sto indirizzando verso un nuovo paradigma poetico, come eccezione propositiva, senza rinnegare la NOE e i Distici.
Per quanto tempo potrò andare avanti su questa forma? Non lo so!. Ma mi piace assecondare ciò che qui dici con il titolo “cambiamento di paradigma”… “Possiamo affermare che in Italia c’è ormai da tempo, e ben presente, un cambiamento di paradigma, perché le cose della poesia camminano da sole, si sono rimesse in moto dopo cinque decenni di immobilismo”. Spero proprio, ma lo avverto che questo testo ne indichi qualcosa. Grazie di questo nuovo post.

*
Dalle cinque alle sei del mattino
sempre in dormiveglia. Perché?

All’alba ci muoviamo per la caccia ai lupi mannari
e ai sacchetti di speranza e di Lou Rossignon.

Ce la fai da solo?
Grazie! Fammi solo compagnia.

Vedo immagini passare come Mary Poppins.
E’ quanto di più raro mi rimane del tempo passato.

In questi agglomerati urbani non puoi chiedere
a nessuno la strada di un nuovo battesimo.

Il Naprosyn mi toglie la sindrome radicolare
simile ad una stagione all’inferno.

Beata te, Vanessa, che cogli le rose e i tulipani
nella serra di Nonno Vincent.

La nostra questione
rimane un olifante senza voce.

Maglie, camiciole, pezzetti di hamburger,
terreni seccati che tornano ad essere vivi.

Forse hai dimenticato qualcosa. Che cosa?
La brunetta che ti adocchiava come in un outlet.

Era la cucitrice di sogni in bianco e nero.
Questione di opinione!

Ciò non spiega l’allume di Rocca,
la barba di Marx e Senofonte!

Vivere a caso ci fa star bene
come un torroncino a Natale.

Il Corriere dell’Inferno scorrazza da New York
ai ghiacciai dell’Antartide.

Mondo sii buono!
E’ questo il mese della primavera!

Gino Rago

Storia di una pallottola 3

Il commissario:

«Madame Colasson, dalla sua pistola è partito un colpo.
che si è allungato lungo via Merulana,

ha colpito di striscio un signore che leggeva il giornale,
– qualcuno ha insinuato trattarsi di Barabba –

e invece si trattava di un modesto poeta di Mediolanum.
Madame, la accuso di infedeltà alla narrativa
e la sbatto in gattabuia!».

Marie Laure scende dal camion. È irritata. Prende un taxi,
si reca all’Opéra di Parigi,

getta un guanto in faccia al commissario Ingravallo,
afferra dalla sua borsa Birkin il revolver con il manico di madreperla

e spara un colpo che,
come al solito, sbaglia traiettoria e attinge

un aquilone il quale precipita in via Gaspare Gozzi
attigua alla abitazione del poeta Giorgio Linguaglossa…

Intanto, fiocchi di neve, chicchi di riso, uno scolapasta,
una stella di latta, un catecumeno con la tonsura,

le Poète noir Antonin Artaud con i guanti bianchi a testa in giù,
una tovaglia ricamata e la bandiera tricolore

precipitano dal quinto piano del balcone di via Gaspare Gozzi,
comprese delle mascherine, dei volantini della Lega lombarda,

una matrioska dipinta a mano,
e un piffero…

«Tutto questo per una pistola a tamburo con il manico di madreperla…»,
pensa Madame Colasson…

«Ah…les choses de la vie», commenta la parigina
mentre fa ritorno a cavallo al Beaubourg.

«Sont les choses de la vie»

Giuseppe Gallo

On/Off

la notte è in piedi
a volte sono io… la porta trasparente, la spia di controllo: accesa/spenta

: verde/bianca. La questione è che non sono ancora del tutto… On/off
Cos’è un P R O B L E M A?

“L’analista era spento”* poi “si tirò su, sorrise…” *
perché nelle sue parti esistono entrambi: la nascita e la morte…

ma le idee non vivono nel vuoto… sono un po’… come intermittenze sonore
o conchiglie infantili depositate sull’arenile.

Il quid è negli interstizi dei vuoti a rendere.
Entra. Siediti. C’è qualcuno che non hai mai visto?

A volte sei anche tu… On/off
è che non sei ancora del tutto… sei un po’… come la trasparenza di una parete,

il controllo di una spia: spenta/accesa: bianca/verde.
Spenta/accesa. Gialla/rossa. Spenta…

* Ph. Dick, The cromium Fence, in Tutti i racconti, 1955-1963, Fanucci Editore, 2012

Lucio Mayoor Tosi

Caro Giuseppe Gallo,
On/Off a me piace moltissimo. Il mix prosa-poesia (prima la prosa, che è cavalier servente) io lo avevo risolto tenendo sul comodino libri di Philip Dick e di Tomas Tranströmer. La prosa di Dick va spedita ma tutto sommato è prosa ordinaria, quel che colpisce è la sua magnifica inventiva. C’è un punto in cui la prosa deve lasciare il posto alla poesia, avviene per una sorta di suo svenimento… lo stop! dopo il quale i motori dell’astronave possono procedere in autonomia. Lo avrai sperimentato chissà quante volte anche tu.

Accensione e spegnimento non dipendono da noi. O raramente. Facciamo tutto in automatico: dal mattino, quando alzandoci dal letto tocchiamo con i piedi il pavimento, a sera nel chiudere gli occhi. Il punto del sonno. Penso che siamo niente. Solo spettatori.
Nemmeno le parole ci appartengono. E ci infiamma il pensiero. Tra poeti ci si legge per vedere chi sa infiammarsi meglio, e porre a confronto le qualità dei fuochi. Se stringiamo questa visione sul verso, ecco vediamo che brucia e finisce. Poi ne brucia un altro. Nella stessa poesia è morire tante volte. Chi non muore è lo spettatore, colui o lei che scrive: nella pausa vive, nell’ozio è se stesso. Dal che se ne deduce che la società non è a misura d’uomo. Nessun tipo di società può essere a misura d’uomo. Mi sa che tornerò a leggere Kierkegaard.

 

 

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Carlo Del Nero, Poesie, con una Dichiarazione di poetica,  Giorgio Linguaglossa, Verso un nuovo paradigma poetico?

Carlo Del Nero. Sono nato a Massa il 27/10/1955 e vivo a Massa. Sono un autore inedito. Sono appassionato di musica, ho scritto anche qualche canzone, e di pittura.

Dichiarazione di poetica sulla poesia «ingenua»

caro Giorgio, mi chiedi dunque una «dichiarazione» sul concetto di «poesia ingenua».

Già la richiesta è stupenda, perché «dichiarazione» mi porta subito alla mente una affermazione d’amore. La dichiarazione ad una donna, ma in questo caso una dichiarazione d’amore all’ingenuità.

L’ingenuità è una privazione positiva. L’ingenuità l’abbiamo alla nascita, quando non abbiamo sovrastrutture, non abbiamo limiti, ancora non abbiamo segreti né sappiamo cosa siano. Dura poco. Sopra questa ingenuità si costruisce gran parte di ciò che siamo. Ovvio che non è possibile e neppure auspicabile tornare a quel punto, però è possibile “ripulire”, depurare dal superfluo, togliere dal blocco il marmo in eccesso che nasconde la figura (si vede che vivo da questa parti!! ).Non è l’ingenuità dell’infanzia, quello è solo un richiamo, è invece molto più umilmente l’onestà.

Quando si incontra una persona sconosciuta e per motivi apparentemente incomprensibili, si raccontano cose mai raccontate ad alcuno e che mai avremmo pensato di mostrare.

Dopo tutto è l’onestà di essere quel che siamo. Mica un lavoro da poco!

Insomma, bisogna credere nelle persone nude, che se tutti lo fossimo ci sarebbe solo pace. In questi giorni che scopriamo così tanto odio, tanta vigliaccheria, tanta violenza (in questi giorni come in tanti altri giorni passati), vediamo in realtà solo maschere ammaestrate che probabilmente mai hanno fatto lo sforzo di “scoprirsi” a sé. 
E poi, come già ti dissi, l’arte è una fede. Non sappiamo dove nasce, non sappiamo come, e non sappiamo neppure davvero distinguere con assoluta libertà, precisione e certezza. Però sappiamo vedere, ascoltare e meravigliarci anche senza la formula chimica dell’arte. Esattamente come per chi ha fede: sentire una certezza senza averne alcuna certezza.

E’ una fede che è fiducia, ma non può esistere senza una fiducia nell’individuo nudo che ne è il costruttore. Una fiducia beffarda, perché persiste anche nel più pessimista, deluso, arrabbiato e maledetto dei poeti. Gli infonde l’ottimismo di prendere una penna per descrivere il suo pessimismo. Beffarda davvero, non trovi!
Cercando i contrari di ingenuità, troviamo astuzia, furberia. tra i sinonimi troviamo sincerità, freschezza, purezza. Non tutti questi sono i sinonimi e i contrari, ma questi sono quelli che danno il senso al mio modo di utilizzare il termine. Nell’ammirare una maestosa cattedrale gotica, anche il più “furbo” trova un attimo di ingenuità, e dunque proprio questo sia uno dei compiti dell’arte?

Probabilmente non è questo che chiedevi, ma io non sono all’altezza di scriverti un trattato su alcunché, ti dovrai accontentare.

carlo del nero (13)

PS: una piccola nota sul quadro che ti ho allegato all’inizio della discussione.

il 24 maggio ricorreranno i 100 anni dalla nascita di mia madre. Per commemorarla abbiamo deciso di riunire per una cena i cugini (da parte di madre appunto).  Il quadro che ho allegato l’ho dipinto per l’occasione ed è composto di 15 tavolette di legno della misura 20×30 che tutte insieme compongono l’immagine che vedi. In quella occasione ad ognuno dei 15 cugini (me compreso) consegnerò una foto dell’intero ed una tavoletta. Quel quadro intero non si vedrà più. Nel mio piccolo a me sembra un po’ una poesia anche questa.

Giorgio Linguaglossa

         Verso un nuovo paradigma poetico?

Credo che un poeta completamente inedito, e quindi «vergine» come Carlo Del Nero, e per di più non più giovane – quindi non appartenente alle nuove generazioni le quali sono tutte protese verso le radiose praterie della visibilità – abbia qualcosa da dirci, e ce le può dire proprio perché se ne è restato in disparte per decenni a ruminare la cosa chiamata poesia che tanto non interessa a nessuno, tanto meno agli addetti ai lavori (come si diceva una volta con pessima terminologia). Il titolo è un avverbio, e sta ad indicare la modalità esistentiva dell’esserci, di noi, il nostro modo di approcciare le «cose» con indaffarata superficialità e sordità. Possiamo immaginare che Del Nero abbia dovuto anche lui attraversare il deserto di ghiaccio degli anni ottanta, novanta e dieci del nuovo millennio, abbia scontato sulla propria pelle la deriva epigonica e prosaicista della poesia italiana del novecento e abbia meditato su tutto ciò. Ebbene, Del Nero nulla sa della nuova piattaforma denominata «nuova ontologia estetica», però penso che qualcosa abbia letto se ci ha mandato le sue poesie, ciò vuol dire che abbiamo riscosso quantomeno la sua fiducia. Carlo Del Nero fa poesia perché non ha nulla da chiedere alla poesia, nulla da perdere, fa poesia senza atteggiarsi a poeta (leggo frequentemente degli scriventi che si dichiarano «poeta» e «poetessa» senza tema di apparire ridicoli) e senza infingere o indulgere negli e con gli strumenti retorici e, soprattutto, non fa mai riferimento all’Ego e alla sua profilassi poetologica. Carlo Del Nero preferisce il discorso diretto, non conosce altro che il discorso diretto all’interlocutore. Il discorso testamentario potremmo definirlo:

Amico,
mi piacerebbe tu preparassi
una bella orazione funebre
per la mia notte,
tu

Credo che possiamo tranquillamente annoverare Carlo Del Nero quale ricercatore di «nuova poesia», al pari degli autori della «nuova ontologia estetica», lui che scrive: «mi affascinano i quaderni bianchi,/ le scatole vuote»; «Quanto è vecchio dio!/ neppure si è accorto/ che ha le tasche bucate/ …e quante stelle/ gli sono cadute». Si avverte una disillusione quasi senza amarezza per tutto ciò che è andato perduto, in lui non c’è nulla dello scetticismo, del cinismo e del disincanto del minimalismo post-moderno romano/milanese, il disincanto c’è ma senza ombra di scetticismo piccolo borghese e di cinismo pariolino. Del Nero ha una postura minimale, un lessico minimo, un tono minimo anch’esso, eppure la sua poesia non è minimalismo ma rientra nella poesia a corredo metafisico, quella che va verso le cose e si tiene a distanza dalle cose. Istintivamente intuisce qualcosa sulla differenza tra gli «oggetti» e le «cose».

cambiamento di paradigma

Tempo fa discettavo intorno alla ipotesi che si stesse profilando nella poesia italiana un cambiamento di paradigma, dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza, espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante. Possiamo affermare che in Italia c’è ormai da tempo, è ben presente, un cambiamento di paradigma, perché le cose della poesia camminano da sole, si sono rimesse in moto dopo cinque decenni di immobilismo. E questa è senz’altro una buona notizia.

L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn «un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (in La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, «lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica in stile ottocentesco) più o meno di moda in un dato periodo, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista (1967) di Alfredo de Palchi, invece, invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.

Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist. Dice Kuhn citando Max Planck:

«Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa

Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.

quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato

Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.

si è concluso il Post-moderno

Possiamo dire che quell’epoca che va da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed  inizia una poesia topologica che integra il Fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili e mi riferisco ad una recentissima scoperta scientifica: è stato individuato un cristallo che ha una struttura atomica mutante, cioè che muta nel tempo!) ed il Fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un certo concetto di reale e di finzione), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo «dominio» (per dirla con un termine del lessico mediatico).

 

Poesie di Carlo del Nero

In questa stagione non si appendono più
panni all’attaccapanni

L’ingresso è nudo e tagliato
dalla finestra assolata che ribolle il passo

L’Arlecchino nudo è in tinta unita
in tinta erotica Colombina

Ma l’amore stenta nel sudario
regalando l’imbarazzo di un’inutile attesa

Questo silenzio ci insegna
il traffico là fuori

Questo tempo ci indica stanchezza
serena di bastarsi almeno per adesso. Continua a leggere

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Carlo Del Nero, Poesie inedite, Prima pubblicazione – con un Commento di Giorgio Linguaglossa: Verso un nuovo paradigma poetico

 

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Amico,/ mi piacerebbe tu preparassi/ una bella orazione funebre/ per la mia notte,/ tu

Carlo Del Nero. Sono nato a Massa il 27/10/1955 e vivo a Massa. Sono un autore inedito. Sono appassionato di musica, ho scritto anche qualche canzone, e di pittura.

Giorgio Linguaglossa

         Verso un nuovo paradigma poetico

Credo che un poeta completamente inedito, e quindi «vergine» come Carlo Del Nero, e per di più non più giovane – quindi non appartenente alle nuove generazioni le quali sono tutte protese verso le radiose praterie della visibilità – abbia qualcosa da dirci, e ce le può dire proprio perché se ne è restato in disparte per decenni a ruminare la cosa chiamata poesia che tanto non interessa a nessuno, tantomeno agli addetti ai lavori (come si diceva una volta con pessima terminologia). Il titolo è un avverbio, e sta ad indicare la modalità esistentiva dell’esserci, di noi, il nostro modo di approcciare le «cose» con indaffarata superficialità e sordità. Possiamo immaginare che Del Nero abbia dovuto anche lui attraversare il deserto di ghiaccio degli anni ottanta, novanta e dieci del nuovo millennio, abbia scontato sulla propria pelle la deriva epigonica e prosaicista della poesia italiana del novecento e abbia meditato su tutto ciò. Ebbene, Del Nero nulla sa della nuova piattaforma denominata «nuova ontologia estetica», però penso che qualcosa abbia letto se ci ha mandato le sue poesie, ciò vuol dire che abbiamo riscosso quantomeno la sua fiducia. Carlo Del Nero fa poesia perché non ha nulla da chiedere alla poesia, nulla da perdere, fa poesia senza atteggiarsi a poeta (leggo frequentemente degli scriventi che si dichiarano «poeta» e «poetessa» senza tema di apparire ridicoli) e senza infingere o indulgere negli e con gli strumenti retorici e, soprattutto, non fa mai riferimento all’Ego e alla sua profilassi poetologica. Carlo Del Nero preferisce il discorso diretto, non conosce altro che il discorso diretto all’interlocutore. Il discorso testamentario potremmo definirlo:

Amico,
mi piacerebbe tu preparassi
una bella orazione funebre
per la mia notte,
tu

Credo che possiamo tranquillamente annoverare Carlo Del Nero quale ricercatore di «nuova poesia», al pari degli autori della «nuova ontologia estetica», lui che scrive: «mi affascinano i quaderni bianchi,/ le scatole vuote»; «Quanto è vecchio dio!/ neppure si è accorto/ che ha le tasche bucate/ …e quante stelle/ gli sono cadute». Si avverte una disillusione quasi senza amarezza per tutto ciò che è andato perduto, in lui non c’è nulla dello scetticismo, del cinismo e del disincanto del minimalismo post-moderno romano/milanese, il disincanto c’è ma senza ombra di scetticismo piccolo borghese e di cinismo pariolino. Del Nero ha una postura minimale, un lessico minimo, un tono minimo anch’esso, eppure la sua poesia non è minimalismo ma rientra nella poesia a corredo metafisico, quella che va verso le cose e si tiene a distanza dalle cose. Istintivamente intuisce qualcosa sulla differenza tra gli «oggetti» e le «cose».

cambiamento di paradigma

Tempo fa discettavo intorno alla ipotesi che si stesse profilando nella poesia italiana un cambiamento di paradigma, dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza, espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante. Possiamo affermare che in Italia c’è ormai da tempo, è ben presente, un cambiamento di paradigma, perché le cose della poesia camminano da sole, si sono rimesse in moto dopo cinque decenni di immobilismo. E questa è senz’altro una buona notizia.

L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn «un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (in La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, «lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica in stile ottocentesco) più o meno di moda in un dato periodo, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista (1967) di Alfredo de Palchi, invece, invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.

Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist. Dice Kuhn citando Max Planck: «Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa

Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.

quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato

Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.

si è concluso il Post-moderno

Possiamo dire che quell’epoca che va da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed  inizia una poesia topologica che integra il fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili e mi riferisco ad una recentissima scoperta scientifica: è stato individuato un cristallo che ha una struttura atomica mutante, cioè che muta nel tempo!) ed il fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un certo concetto di reale e di finzione), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo «dominio» (per dirla con un termine del lessico mediatico).

Carlo Del Nero 1

Lanciavo i miei aeroplanini di carta/ da bambino

Poesie di Carlo Del Nero

Lanciavo i miei aeroplanini di carta
da bambino
e pregavo con tutte le mie forze
che volassero
almeno il tempo di farmi sognare.

*

Sei invecchiata anche tu
come una casa svuotata
che non ci ricorda più
anni lontani.

*

Mi affascinano i quaderni bianchi,
le scatole vuote,
ripostigli e nicchie;

ogni luogo dove poter riporre
qualcosa di me.

Ogni amore dunque.

*

-scene dal libertino-

scena prima

Occhiaie di strega;
impronte di bicchieri
lasciate da un incontro
sul legno screpolato;
una macchia sul divano e
un’alba faticosa.
La promiscuità
è tutta nel mattino
che focalizza rovine.

*

Nella dispensa del mio cuore
dove già in molti hanno razziato
ancora puoi trovare ristoro
alla tua fame. Continua a leggere

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Giorgio Linguaglossa: Riflessioni sul concetto di “Paradigma”, Ilya Prigogine, Alfredo De Palchi “Sessioni con l’analista” (1967), Tomas Tranströmer, Jorge Luis Borges, Salman Rushdie,  il Post-moderno e il Modernismo europeo – Con una riflessione di Massimo Forti Robert Frost : “Scrivere in verso libero è come giocare a tennis con la rete abbassata”

eclissi sole 5.

Scrive Massimo Forti su “Il Messaggero” del  29 maggio 2003:

“Ha cavalcato la tigre della scienza moderna, così lontana dal quadro di rassicuranti “certezze” della fisica classica, persino con allegria. Talvolta contagiosa. Caos, instabilità, disordine, probabilità, casualità, complessità catastrofi… L’universo di Ilya Prigogine era come il Paese delle Meraviglie di Alice dove tutto cambia, tutto è possibile, tutto è rimesso continuamente in gioco. Premio Nobel per la chimica per le sue ricerche sull’entropia e sulle strutture dissipative non si stancava di sottolineare che anche Einstein aveva avuto paura della rivoluzione scatenata dalla fisica quantistica, che sostituiva alle sicurezze del mondo di Newton i concetti di aleatorietà e di probabilità. Non era stato, forse, proprio il padre della relatività a dire la celeberrima frase: «Non posso credere che Dio giochi a dadi»?
Prigogine, no. Come tutti i grandi scienziati consapevoli della sconvolgente e irreversibile svolta generata dalla teoria dei quanti, si trovava perfettamente a suo agio nel pirotecnico universo descritto profeticamente (nell’Ottocento!) da Lewis Carroll nei suoi capolavori. Nel mondo reale – ha detto, con implacabile lucidità, il grande chimico russo – non esiste un sistema che non sia instabile e che non possa prendere svariate direzioni. La fisica einsteiniana e post-einsteiniana non esprime certezze ma possibilità. Questa è stata la lezione, per qualcuno esaltante e per altri inquietante, di Prigogine. Ma, sempre fondata su solidissime basi scientifiche.
«L’universo», mi disse in occasione di un incontro a Firenze, «è come un romanzo. In principio c’è la storia del cosmo, seguita da quella della materia. Poi, c’è quella della vita e infine quella dell’umanità, la nostra. Queste storie sono concatenate l’una con l’altra proprio come le mille notti arabe di Sheherazade. Ma nuove storie ci attendono e possono essere scritte. Il romanzo dell’universo non è ancora finito e forse non finirà mai...»”.

 

eclisse disole 8

Eclissi

Il Cambiamento di paradigma

Cambiamento di paradigma (dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza), è l’espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante. Il concetto di scienza rivoluzionaria è messo in contrasto con la sua idea di scienza normale.
Anche nella storia della letteratura, i nuovi paradigmi non piovono semplicemente dal cielo. Il nuovo che voglia imporsi deve distaccarsi necessariamente dal vecchio per legittimarsi di fronte alla tradizione, così ché, mediante un nuovo modo di vedere l’oggetto, noi accediamo anche ad una nuova visione del mondo. I più importanti mutamenti di paradigma nella storia della poesia italiana avvengono a cavallo tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, e in questa accezione un libro come Sessioni con l’analista (1967) di Alfredo De Palchi è un libro fondamentale e in anticipo sui tempi, tanto che l’opera non venne recepita dai contemporanei in Italia (come ho spiegato in più occasioni).
Il titolo di Paradigma (2001), legato al nome e all’opera poetica di Alfredo De Palchi voleva alludere proprio a quel cambiamento della visione della poesia italiana degli anni Sessanta che la sua opera sottintendeva, in particolare il carattere pre-sperimentale della sua poesia che anticipava lo sperimentalismo. L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn “un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, “lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica in stile ottocentesco) più o meno di moda in un dato periodo, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista, invece invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.

Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist.
Dice Kuhn citando Max Planck: “Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa.”

Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.

Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.

salman rushdie con la moglie

salman rushdie con la moglie

Possiamo dire che quell’epoca che va da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed  inizia una poesia topologica che integra il fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili) ed il fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un concetto di reale e di finzione separati), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo “dominio” (per dirla con un termine nuovo).

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Tomas-Transtromer

Nei nuovi romanzi e nelle nuove poesie, finzione e realtà non costituiscono più un’opposizione ontologica, il reale stesso si mostra come il fittizio o fantastico potenziale; il presunto originale si presenta come un mero poscritto ad un testo passato, una sorta di palinsesto nel quale appaiono le tracce di ciò che il Novecento aveva già pensato e ci aveva consegnato. La poesia di Eliot e Brecht rappresenta i due corni della distanza che separa due tipi di poesia rendendole inconciliabili. Ancora una volta il grande precursore di questo modo di intendere la letteratura è stato Borges con Finzioni (1941) e con Pierre Menard autore del Chisciotte (scritto già nel 1939); l’ambizione di Menard sarebbe stata quella di riscrivere il Chisciotte adeguato al proprio tempo. Ebbene, l’opera di Borges ci pone il problema seguente: che non è possibile scrivere un’opera di letteratura se non consideriamo il fattore Tempo che interviene a modificarla dall’interno. Ecco il punto: nel mondo tecnologico odierno è il fattore Tempo ad essere sovversivo. A mio modesto parere, della nostra epoca presente sopravvivranno soltanto le opere che si approprieranno del fattore Tempo, ovvero, che hanno riflettuto sulla funzione deformante del tempo nella scrittura lineare progressiva che va dall’inizio alla fine seguendo una segmento direzionale.

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Eclissi

Il fattore Tempo all’interno della forma-poesia

Quando parlo dell’ingresso del fattore Tempo all’interno delle poesie vorrei dire qualcosa di diverso di quanto ci dice il concetto del fattore Tempo esterno all’opera d’arte. La teoria della ricezione è basata sul fattore Tempo in quanto elemento esterno all’opera d’arte, io invece intendo qualcosa di assai diverso: il fattore Tempo (da cui l’essere heideggeriano) è qualcosa che ci inerisce nel profondo e fonde in un unico dominio il reale e il fittizio, l’immaginario e il simbolico, l’io e l’Altro, il chi parla con chi ascolta. E la poesia di un Tranströmer indica mirabilmente questa nuova condizione ontologica. Chi non comprende questo nesso, a mio avviso, è destinato a rimanere indietro, a concepire la poesia, il romanzo, la musica e la pittura in quanto caratterizzate da quel flusso continuo (ma esterno) che chiamiamo convenzionalmente Tempo.

Risposta a Gino Rago

caro Gino Rago,
come tu hai compreso perfettamente, la mia posizione di poeta che riflette sulla poesia (e che tenta di farla), si basa sulla comprensione dei mutamenti fondamentali che dal 1922 anno di pubblicazione di The waste land di Eliot, arriva ai giorni nostri. Il Novecento è stato un secolo ricco e convulso, che ha visto un susseguirsi rapidissimo di mutamenti di paradigma. Dopo Eliot la poesia europea e occidentale è cambiata. Ma prima di Eliot una rivoluzione analoga era stata introdotta da Mandel’stam con la sua idea di una poesia basata sulla metafora tridimensionale.
In Italia, la poesia del neorealismo e del post-ermetismo è ancora attestata su un concetto arretrato e non evoluto di forma-poesia. Questa arretratezza impedì la lettura e la ricezione di un libro come Sessioni con l’analista di De Palchi (1967) e tuttora è presente una fortissima resistenza, come sappiamo, alla rivisitazione del paradigma poetico dominante. Con Satura di Montale (1971) le cose cambiano, ma a mio avviso in peggio, perché si continua a pensare ad una poesia lineare progressiva in linea di continuità con la tradizione italiana che si faceva iniziare da Myricae di Pascoli. È restata estranea alla cultura poetica italiana l’idea di una poesia come modellizzazione secondaria del fattore Tempo, cioè una poesia che non seguisse più il modello lineare progressivo. Sfuggiva, e sfugge ancora oggi che la poesia più evoluta in Europa è stata la poesia che va sotto la denominazione di poesia modernista, non si arriva a comprendere che la poesia italiana ha oggi bisogno urgentissimo di un nuovo tipo di DISPOSITIVO ESTETICO che contempli la adozione di un concetto di poesia tridimensionale, ovvero, fondata sulle proprietà del peso specifico e sulla forza gravitazionale che ha ogni costrutto linguistico. E qui mi fermo.

Wallace Stevens. Photo of Robert Frost and Stevens at the Casa Marina Hotel in Key West, ca. 1940

Wallace Stevens. Photo of Robert Frost and Stevens at the Casa Marina Hotel in Key West, ca. 1940

Io ho sempre pensato quello che la celebre battuta di Robert Frost ha riassunto in modo mirabile: “Scrivere in verso libero è come giocare a tennis con la rete abbassata”.

Il pensiero di Salman Rushdie è chiarissimo: non si può fare poesia senza presupporre delle regole condivise, altrimenti ognuno si fa le regole a propria immagine e somiglianza, con il che la “competizione” non è più una competizione ma un dialogo tra autisti, tra sordo-muti. Quello che si è verificato nella poesia italiana post-Montale è un po’ questo, e anche per responsabilità che investono alcuni poeti di rango: cioè aver accettato l’assunto equivoco che si potesse scrivere poesia in blank verse (metro libero) senza avere in mente alcuna idea di ciò che comporta il metro libero. Innanzitutto, il problema dell’a-capo, e subito dopo, quello della «durata» del verso: quando e dove un verso deve finire, deve (può) cominciarne un altro? Chi lo stabilisce? E perché? E che cosa significa (e comporta) l’utilizzo del “verso libero”? – Interrogativi pressanti come si vede anche a occhio nudo e di primo acchito.

Porto un esempio personale (così non faccio torto a nessuno):

Nella mia modesta falegnameria del verso libero (perché anch’io dopo Blumenbilder (Passigli, 2013) la cui stesura risale a 28 anni prima, ormai scrivo in verso libero), mi sono accorto che se cambio o sopprimo una parola (o più parole) di una poesia X del terzo verso, mi si pongono dei problemi di sbilanciamento per cui sono costretto ad intervenire sul verso n. 4 e magari anche sul n. 5, e financo sull’ultimo verso. Quello che voglio dire lo dico in modo molto semplice: che un disequilibrio del verso n. 3 si riproduce e rimbalza in un disequilibrio nei versi seguenti… fino spesso all’ultimo verso, per cui sono indotto ad inserire altri versi (o spezzoni di versi) (o tagliare dei versi) tra i versi proprio per tentare di riequilibrare la composizione di spinte e di contro spinte, di forze e di contro forze che agiscono all’interno di quello che io chiamo il “poligono di tiro” della composizione poetica.

Il verso libero (quello che crediamo ingenuamente che sia libero) in realtà non è libero affatto. Soltanto un poeta ingenuo e illetterato o superficiale può credere che il verso libero sia libero da tutte le regole, per il semplice fatto che una volta cancellate le regole (ammesso e non concesso che questo sia possibile), ecco che ci troviamo costretti ad introdurre noi stessi nel poligono della composizione delle regole ferree. E tanto più queste regole sono ferree quanto più la composizione ne beneficerà. Ma le regole che introduco nella mia composizione non possono essere arbitrarie (come quello di abbassare il cestello nel gioco del basket o allargare la porta nel gioco del calcio) ma debbono essere condivise (anche in maniera silenziosa) ma la dove non c’è condivisione di regole non c’è neanche libertà, si ha soltanto confusione.

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