Connesso in qualche modo al concetto di tempo è quello dell’autenticità, sono convinto che la materia vivente, la materia biologica, e quindi anche l’uomo, sia un congegno del tipo: orologio biologico e, in quanto tale, un oggetto fatto con la stessa stoffa del tempo. Noi non possiamo uscire fuori dal tempo, perché ci siamo dentro in quanto orologi biologici temporali e il nostro cervello anch’esso traduce tutto in ordine temporale, subisce una coazione del fattore biologico temporale a decodificare tutto ciò che vede e sente in ordine temporale.
(g.l.)
L’idea di fondo de Il tempo generato dagli orologi è che sia possibile rifondare operativamente il concetto di tempo a partire da un’indagine rigorosa degli strumenti di misura delle durate. Alla luce dell’ipotesi del tempo termico (Carlo Rovelli, 2008) e di considerazioni sulla possibile esistenza di orologi reali (in particolare radioattivi) il cui periodo proprio non sia in accordo con le previsioni relativistiche, viene formulata l’ipotesi circa l’esistenza, in natura, di tempi fisici diversi e di orologi non relativistici. In particolare si ipotizza l’esistenza di un tempo interno termodinamico, di cui la relatività einsteiniana e le teorie quantistiche non hanno saputo o potuto cogliere la novità e la profondità rivoluzionaria.
Questa la pagina da cui si può scaricare (gratuitamente) il testo completo dell’articolo:
http://isonomia.uniurb.it/node/33
Quisi può scaricare (a pagamento) il mio ultimo lavoro Physical time and thermal clocks, pubblicato in Foundations of Physics:
http://link.springer.com/article/10.1007/s10701-016-0030-y
Introduzione di Claudio Borghi
Questo articolo intende mostrare in una nuova cornice teorica il problema della natura del tempo fisico. L’elaborazione concettuale è costruita intorno ad una nuova interpretazione dell’effetto orologi come un effetto di potenziale gravitazionale e pseudo gravitazionale: il semplice fatto che si disponga solo di misure effettuate con orologi reali in moto curvilineo (un esempio significativo è il GPS), ai quali un osservatore corotante associa sia un potenziale gravitazionale che centrifugo (da cui il ritmo di marcia dell’orologio dipende), ci consente di avanzare l’ipotesi concreta secondo la quale gli orologi atomici (e pochi altri ad essi equivalenti) siano gli unici dispositivi che forniscono misure in sintonia con le previsioni della relatività generale, in quanto il loro periodo proprio dipende dal suddetto potenziale in accordo con la teoria. Non possediamo in effetti alcuna prova sperimentale che consenta di affermare che la diversa velocità di due orologi in moto rettilineo, inizialmente in quiete relativa, causi un rallentamento di quello che, avendo accelerato, sta viaggiando a velocità maggiore. Lo sviluppo dettagliato di tali ipotesi, senz’altro non allineate con l’interpretazione corrente dell’effetto orologi, porta a concludere che il problema del tempo vada necessariamente affrontato a partire dagli strumenti di misura, laddove troppo spesso si è pensato di risolverlo nella diatriba tra teorie relativistiche antagoniste. Le considerazioni conclusive intendono sviluppare le conseguenze epistemologiche della probabile esistenza di tempi fisici diversi, che si configura come potenzialmente rivoluzionaria.
Il concetto di durata in Newton ed Einstein
Nella meccanica newtoniana il tempo è una variabile matematica, a cui è utile riferire la variazione delle grandezze fisiche. L’utilità di una variabile, tuttavia, non implica che si riferisca a qualcosa di reale: le astrazioni, in quanto ideali, non scorrono. Nell’universo newtoniano la simultaneità e le durate dei fenomeni sono assolute: la vita di una particella radioattiva è compresa tra due istanti matematici misurati da un orologio universale. La durata newtoniana è una astratta proprietà dell’universo nella sua totalità, laddove i corpi si trasformano come accidenti di una sostanza che, nelle sue parti, cambia e si muove, ma senza la necessità di doverne quantificare, se non idealmente, il divenire. Lo spazio newtoniano è il luogo di movimenti ed evoluzioni di corpi contrassegnati da istanti e durate estrinseci ad essi: gli orologi possono solo simulare il flusso del tempo per mezzo del moto. Rispetto alla meccanica newtoniana, la relatività einsteiniana propone una rivoluzione radicale del concetto operativo di durata. In sede di relatività ristretta, la novità generativa del nuovo concetto di tempo è il postulato dell’esistenza di una velocità limite e invariante, da cui si deduce la relatività della simultaneità: due osservatori inerziali in diversi stati di moto non concordano sugli istanti che corrispondono a due eventi che delimitano l’intervallo di tempo che li separa. Istanti e durate sono, nel quadro teorico della relatività speciale, relativi all’osservatore e l’universo fisico è spaziotempo, uno spazio privo di materia-energia che possiamo immaginare riempito di orologi ideali. Tali orologi vengono sincronizzati da ogni osservatore, che di un fenomeno misura la durata (ad esempio la vita di una particella instabile) localizzando, in corrispondenza degli eventi iniziale e finale, due degli infiniti orologi (posizionati rispettivamente nel luogo della nascita e del decadimento) di cui si è servito per riempire il continuo. Poiché sulle coordinate spaziotemporali di tali eventi non concorda un altro osservatore inerziale in moto relativo rispetto al primo, uno stesso fenomeno risulta durare diversamente: la durata della vita di una sostanza radioattiva non è assoluta.
Dilatazione del tempo ed effetto orologi
L’effetto noto come dilatazione del tempo consiste nella diversa durata di uno stesso fenomeno osservato da riferimenti inerziali in moto relativo, laddove per uno di essi (O’) gli eventi iniziale e finale si producono nello stesso punto dello spazio, mentre per l’altro (O) si producono in punti diversi. L’effetto è simmetrico, nel senso che se la coincidenza degli eventi estremi è tale per O, è O’ che misura un intervallo di tempo dilatato rispetto a quello misurato da O. Tale effetto non testa il comportamento degli orologi, che in relatività ristretta si assumono essere dispositivi idealmente puntiformi e sincronizzati. Come rileva Basri (1965, p. 302), laddove si voglia allargare il quadro di indagine dalla relatività ristretta alla generale assume particolare interesse l’effetto orologi, noto anche come effetto gemelli. Nel secolo scorso sono stati effettuati solo due esperimenti del genere: uno da Hafele e Keating (1971), con quattro orologi al cesio in volo su aerei commerciali intorno alla Terra (due verso est e due verso ovest), e uno da Alley et al (1979), con tre orologi al rubidio in volo lungo un circuito chiuso locale. In entrambi i casi gli orologi in volo hanno misurato durate diverse rispetto a quelli rimasti a terra, con cui sono stati sincronizzati alla partenza e confrontati al ritorno. L’effetto è stato analizzato teoricamente, nei lavori citati, rispetto a un riferimento inerziale (con origine nel centro della Terra) e si è ritenuto che, per ottenere predizioni in accordo con la relatività generale, fosse necessario descrivere il fenomeno rispetto a un qualsiasi riferimento inerziale nel quale entrambi gli orologi (a terra e in viaggio) sono in moto, in quanto le durate misurate dagli orologi non risultano dipendere dalla velocità relativa, ma dalla velocità rispetto al riferimento inerziale scelto. E’ significativo rilevare che, volendo privilegiare l’analisi di un osservatore inerziale, si genera una sovrapposizione di due effetti, uno di dilatazione del tempo (noto come effetto di velocità, secondo la relatività ristretta) e uno di red shift gravitazionale (spiegato nel quadro teorico della relatività generale): ne consegue un procedimento ibrido, visto che la dilatazione del tempo, secondo la procedura descritta nel precedente paragrafo, costituisce un effetto legato alla diversa quantificazione di una durata effettuata da due riferimenti inerziali in moto relativo, quindi concettualmente e operativamente distinto dall’effetto orologi. Riteniamo quindi necessario, anche alla luce dell’analisi teorica di Basri, ma senza entrare nel dettaglio della sua complessa elaborazione matematica, proporre una spiegazione dell’effetto orologi come un semplice effetto di potenziale, nel senso seguente. Ammettiamo, come necessaria conseguenza implicita della definizione, che un tempo proprio debba essere misurato da un osservatore solidale con l’orologio. Operativamente questo significa che ogni orologio misura, rispetto ad un osservatore nello stesso stato di moto (co-movente), che quindi può essere non inerziale, un tempo proprio legato al suo periodo proprio: una durata propria si ottiene moltiplicando il periodo proprio dello strumento per il numero di oscillazioni del dispositivo che ne costituisce il cuore vibrante. Poiché il periodo proprio dipende dal potenziale gravitazionale o pseudo gravitazionale, la misura della durata propria di un fenomeno, che si produce tra due fissati eventi estremi (partenza e ritorno dell’aereo), risulterà dipendere dal potenziale in cui l’orologio è stato immerso, secondo l’osservatore co-movente, durante lo svolgersi del fenomeno. Poiché un osservatore a terra e uno sull’aereo, ai quali sia assegnato il compito di effettuare misure ciascuno con un proprio orologio, rileveranno durate diverse, essi spiegheranno tale diversità come semplice conseguenza dei diversi potenziali in cui gli orologi sono stati immersi. Il problema diventa quindi: se due orologi atomici, a terra e sull’aereo, misurano durate in accordo con le predizioni teoriche, in quanto il rapporto tra tali durate risulta in accordo con la relatività generale, tale rapporto si otterrà anche con orologi di diversa costruzione, ad esempio con orologi radioattivi? Se cioè un orologio radioattivo viene osservato a terra e su un aereo, il rapporto tra le durate misurate risulterà essere uguale a quello ottenuto con due orologi atomici, rispettivamente a terra e su un aereo? La domanda cela una problematica di profondo significato fisico, in quanto la possibile non equivalenza degli orologi, che verrà indagata nei paragrafi seguenti, mette in discussione l’esistenza di tempi di natura diversa, di cui il tempo relativistico potrebbe essere solo uno dei tanti possibili.
Il modello dello spaziotempo e la misura delle durate temporali
L’universo einsteiniano, quale emerge dall’articolo del 1905, è un modello di spaziotempo implicito, in cui un continuo tridimensionale (lo spazio) è riempito con un reticolo di orologi ideali sincronizzati, supposti puntiformi, che rilevano gli istanti corrispondenti agli eventi spaziotemporali. Nel 1908 Hermann Minkowski formalizza la relatività speciale nei termini di una teoria dello spaziotempo quadridimensionale, idealmente vuoto, secondo la quale la durata di un fenomeno, che caratterizza un corpo-particella-orologio, è la lunghezza della linea di universo che tale corpo misura come un tempo proprio. Per quanto apparentemente si tratti solo di una diversa formalizzazione matematica di una stessa interpretazione teorica dei fenomeni fisici, Minkowski compie un passo avanti concettualmente decisivo, in quanto implicitamente considera le durate misurabili direttamente dagli orologi, da intendersi come strumenti reali in grado di misurare la lunghezza delle linee di universo comprese tra gli eventi estremi. Einstein, nel 1916, con la teoria della relatività generale, facendolo proprio, amplia il modello minkowskiano di spaziotempo piatto interpretando l’effetto della presenza di materia-energia, che ne determina, a seconda della densità locale, la curvatura, quindi la metrica. L’analisi seguente intende mostrare che la teoria dello spaziotempo, di cui la relatività generale è la formulazione più completa, si risolve in un’astratta teoria dell’assoluto spaziotemporale, in quanto la teoria einsteiniana non presuppone il concetto di divenire, consistendo in un modello geometrico in cui le durate, che dovrebbero misurare il cambiamento intrinseco dei corpi-orologi, sono scritte nelle linee di universo, indipendentemente dall’evoluzione interna degli strumenti di misura che le percorrono.
Spaziotempo assoluto e concetto di durata in relatività generale
In relatività generale occorre distinguere il tempo coordinato, che compare, ad esempio, come argomento della variabile campo , dal tempo proprio misurato da un orologio lungo una data linea di universo. Laddove nella teoria di Newton gli orologi reali forniscono una misura relativa, approssimativa ed esterna, della durata assoluta, quindi della variabile t, nella teoria di Einstein gli orologi misurano la lunghezza τ della linea di universo, quindi non t, che figura essere una semplice etichetta matematica senza significato fisico. La mancanza di un riferimento temporale assoluto fa sì che in relatività generale l’evoluzione non sia funzione di una variabile indipendente e preferenziale come, invece, accade col tempo newtoniano, che gioca il ruolo di parametro indipendente dell’evoluzione stessa. La relatività generale descrive l’evoluzione di quantità osservabili una rispetto all’altra, senza isolarne alcuna come indipendente: secondo Carlo Rovelli (2008, p. 2), dati due orologi, uno a terra e uno su un satellite, su cui si leggano rispettivamente le coppie di valori ((, ecc., corrispondenti ai tempi propri che ciascuno di essi misura lungo la sua linea di universo, la teoria di Einstein prevede i valori di che devono essere associati ai corrispondenti valori di, senza dover considerare alcuno di essi come variabile temporale autonoma. Dall’esempio, che può essere esteso a svariati altri casi sperimentali, si deduce che in relatività generale esiste una pluralità teoricamente infinita di variabili ognuna delle quali, di volta in volta, assume convenzionalmente il ruolo di variabile temporale, senza dover ammettere l’esistenza oggettiva di una grandezza fisica chiamata tempo. Per quanto la teoria einsteiniana possa essere interpretata come un superamento di quella newtoniana, alla luce dell’inesistenza del tempo assoluto condiviso dai diversi osservatori, il problema del significato fisico della misura delle durate effettuata con orologi reali non viene in effetti superato. Nell’analisi di Rovelli, seppur inattaccabile sul piano della coerenza formale e del rigore matematico, l’evoluzione è limitata alla variazione della posizione reciproca dei corpi, che senz’altro può essere interpretata in senso relazionale senza dover introdurre esplicitamente una variabile temporale. Rovelli, in sostanza, trascura una grandezza che di per sé, all’interno della meccanica, ha sempre svolto un ruolo (assoluto o relativo, poco importa) solo convenzionale, in quanto riducibile, sia in Newton che in Einstein, a utile variabile matematica. Laddove Newton, esplicitamente, definisce il tempo assoluto un’astrazione concettuale (la durata) che deriviamo dal movimento, la natura matematica delle durate relativistiche, misurate dagli orologi lungo le linee di universo, era di fatto già presente nel quadro teorico della relatività generale, in quanto, come hanno recentemente osservato David Malament e Tim Maudlin, ogni corpo-orologio, qualora descriva linee di universo non equipollenti tra due fissati eventi estremi, registra durate diverse solo se lo si concepisce come orologio ideale, alla luce di quella che tali autori, come vedremo in dettaglio nel prossimo paragrafo, definiscono clock hypothesis. L’effetto della rivoluzione teorica einsteiniana è stato traumatico: il concetto di tempo, oltre a quello di spazio, è stato relativizzato (in questo è stata colta la novità rivoluzionaria rispetto all’assolutismo newtoniano), a prezzo di assolutizzare lo spaziotempo: in questo senso la novità della rivoluzione relativistica si direbbe consistere nella scoperta di un nuovo assoluto, seppur di natura diversa, da porre a fondamento dei fenomeni reali. In sede di riflessione epistemologica si è tentato di differenziare lo spazio dal tempo come variabili fisiche aventi diverso valore intrinseco, laddove, nella formulazione della teoria, sono sostanzialmente sullo stesso piano. Il tempo relativistico viene chiuso in una struttura geometrica, come appare chiaramente dalla seguente analisi dei fondamenti logico-operativi sui quali Malament e Maudlin hanno costruito la loro sintesi della filosofia relativistica dello spazio e del tempo, fondata sul modello della teoria einsteiniana.

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Clock hypothesis
Per quanto sia attualmente opinione largamente condivisa che gli esperimenti effettuati nel secolo scorso abbiano fornito prove praticamente definitive circa la correttezza delle leggi relativistiche, riteniamo necessario esaminare l’effettiva consistenza delle conclusioni degli esperimenti tramite i quali la teoria relativistica del tempo è stata confermata. Come riferimento ci serviremo dei recenti trattati di David Malament (2006) e Tim Maudlin (2012), che ricostruiscono l’edificio della filosofia relativistica dello spazio e del tempo a partire da semplici considerazioni teoriche di natura geometrica. In relazione alle durate temporali cosa misurano, secondo tali autori, gli orologi relativistici? Malament definisce orologio ideale un oggetto puntiforme che registra il passaggio del tempo proprio lungo una linea di universo:
One might construe an “ideal clock” as a pointsized test object that perfectly records the passage of proper time along its worldline, and then (…) assert that real clocks are, under appropriate conditions, to varying degrees of accuracy, approximately ideal.
In accordo con Malament, Maudlin formula la seguente definizione di orologio ideale:
An ideal clock is some observable physical device by means of which numbers can be assigned to events on the device’s world-line, such that the ratios of differences in the numbers are proportional to the ratios of interval lengths of segments of the world-line that have those events as endpoints.
Riteniamo che la possibilità di approssimare ogni orologio reale a ideale costituisca il punto critico più delicato della teoria dello spaziotempo. Non è ben chiaro, in effetti, se Malament intenda riferirsi a particelle elementari come impliciti orologi intrinseci in grado di registrare il flusso del tempo lungo la linea: laddove fosse possibile considerarle tali, occorrerebbe individuare il meccanismo evolutivo che consente a una particella elementare di ottenere una misura di durata legata a un fenomeno che si produce al suo interno. Un orologio reale, per essere tale, deve consentire una misura di durata o sfruttando un fenomeno periodico o un suo cambiamento interno, come potrebbe essere il decadimento radioattivo. Se, come si deduce dalla definizione di Maudlin, una verifica sperimentale dell’effetto orologi richiede che il rapporto tra le misure fornite da due orologi di identica costruzione, lungo due linee di universo non equipollenti comprese tra gli stessi punti-eventi p e q, sia uguale al rapporto tra le misure fornite da qualunque altra coppia di orologi, fra loro equivalenti ma diversi dai precedenti, la teoria relativistica del tempo non può, evidentemente, essere testata solo con orologi ideali. Laddove Malament suggerisce, senza indagarla, l’ipotesi di orologi puntiformi, Maudlin, riprendendo un’idea di Einstein, si limita a studiare il comportamento degli orologi a luce. La sintesi della filosofia relativistica dello spazio e del tempo proposta da tali autori, costruita a partire da semplici quanto limpide ipotesi di natura esclusivamente geometrica, assume la forma di una teoria dello spazio-tempo e del tempo-luce, in cui non viene indagato il comportamento degli orologi reali. Malament osserva che l’apparente paradosso degli orologi gemelli nasce dall’ignoranza circa il diverso comportamento degli orologi in free fall (quindi lungo un arco di geodetica) o sottoposti ad accelerazione e risolve il problema all’interno del modello geometrico dello spaziotempo, servendosi di un’argomentazione logicamente inconfutabile. Secondo Malament il malinteso nasce dal fatto che, erroneamente, qualcuno possa ritenere che la teoria della relatività non distingue tra moto accelerato e di caduta libera: la soluzione di Malament, condivisa da Maudlin, consiste nell’ammettere che le due situazioni non sono simmetriche e che i due orologi debbano quantificare durate diverse in quanto misurano la lunghezza della linea di universo che percorrono (clock hypothesis). La teoria di Einstein, interpretata da tali autori come filosofia dello spaziotempo, presuppone un modello di universo assimilabile a un fluido perfetto quadridimensionale: il tempo, secondo tale filosofia, è contenuto implicitamente nelle linee di universo, indipendentemente dal tipo di orologio reale che quantifica la durata. Si rinnova, in tale contesto teorico, l’innocua quanto immediata obiezione sollevata in precedenza: poiché gli orologi reali non soddisfano la definizione di orologio ideale di Maudlin e Malament, possono, perlomeno, essere considerati un’approssimazione empirica di tale definizione? Volendo precisare più in dettaglio tale obiezione, proponiamo i seguenti due nodi problematici, legati rispettivamente all’effetto di velocità e all’effetto di red shift gravitazionale.
In primo luogo, consideriamo due orologi di identica costruzione che, inizialmente in quiete relativa e sincronizzati, percorrono linee di universo non equipollenti, su traiettorie rettilinee, a causa della diversa velocità acquisita, dopo un breve quanto trascurabile tratto di accelerazione, da uno dei due rispetto all’altro: dopo aver percorso diversi tratti rettilinei, i due orologi si ricongiungono a causa del rallentamento di quello che si è allontanato. Poiché il loro periodo proprio è rimasto invariato, per verificare sperimentalmente se effettivamente essi misurano diverse durate, come sostengono Maudlin e Malament, basta contare il numero di battiti scanditi nei tratti percorsi di moto rettilineo uniforme: poiché negli esperimenti finora effettuati, in cui sia stato testato l’effetto con orologi in moto relativo (gli unici sono quelli di Hafele e Keating e di Alley), gli orologi in volo non hanno descritto traiettorie rettilinee, riteniamo che non sia disponibile, a tutt’oggi, alcuna prova sperimentale della diversa misura di una durata a causa del solo effetto di velocità su traiettorie entrambe rettilinee. La verifica diretta di questo, apparentemente semplice e innocuo, fatto sperimentale riveste in effetti un importante significato, in quanto consentirebbe di provare o meno se, come coerentemente sostengono Maudlin e Malament, l’effetto orologi su traiettoria rettilinea (in cui siano trascurabili i tratti di accelerazione e decelerazione di quello che si allontana e poi si ricongiunge col gemello) sia una semplice conseguenza della diversa lunghezza delle linee di universo che i due orologi descrivono, per cui quello che ha percorso la linea più breve deve aver scandito, senza variare il periodo proprio, un numero minore di battiti.
In secondo luogo, consideriamo due orologi che percorrono linee di universo non equipollenti a causa del diverso potenziale gravitazionale in cui sono immersi: ad esempio due orologi che, inizialmente sincronizzati nello stesso laboratorio, vengano separati in modo che uno rimanga al livello del mare e l’altro sia portato su una montagna, quindi siano riportati nel laboratorio di partenza e confrontati in quiete uno rispetto all’altro (come nell’esperimento di Briatore e Leschiutta (1977), in cui si è testato l’effetto su una coppia di orologi atomici). Nel caso in cui si osservino, nelle condizioni sopra descritte, due coppie di orologi di diversa costruzione, ci chiediamo: i rapporti tra le durate misurate dalla prima coppia, ad esempio di orologi atomici, sulle linee 1 e 2, sarà uguale al rapporto tra le corrispondenti durate misurate sulle stesse linee da una seconda coppia, ad esempio di orologi radioattivi?

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E’ prevedibile quanto scontata la seguente obiezione contraria alle due illustrate qui sopra: non è forse un fatto, sperimentalmente acquisito in modo definitivo, che la sincronizzazione degli orologi atomici del GPS (Ashby, 2003) viene spiegata in modo rigoroso dalla teoria di Einstein? Ci limitiamo a osservare che nell’analisi teorica di Ashby, in cui sono stati considerati sia l’effetto di velocità (interpretato come effetto di dilatazione del tempo), sia l’effetto di red shift gravitazionale, non si è valutato con attenzione il fatto che gli orologi in orbita descrivono traiettorie curvilinee, per cui il loro periodo proprio è variato a causa del diverso potenziale, sia gravitazionale che pseudo gravitazionale, rispetto a quello degli orologi a terra. Poiché è possibile spiegare la diversa misura degli orologi alla luce di un solo, e più semplice, oltre che teoricamente più elegante, effetto di potenziale, si apre il seguente problema, concettuale e operativo. Per quanto sia incontestabile che la sincronizzazione degli orologi del GPS è stata effettuata in accordo con la teoria della relatività, della cui coerenza logico-matematica a tutt’oggi costituisce una delle prove più convincenti e decisive, le obiezioni critiche sollevate in questa sede non mettono in discussione la capacità predittiva della teoria di Einstein su particolari tipi di orologi, bensì le possibili generalizzazioni in materia di misura delle durate temporali che ne è stata implicitamente derivata. Poiché il GPS è un sistema di orologi atomici sincronizzati, non siamo in alcun modo autorizzati a trasferire su orologi aventi diversa struttura interna quanto finora è stato provato su una limitata categoria di orologi reali. Ne segue che, se dall’analisi degli orologi reali dovesse emergere un’incongruenza palese rispetto alla clock hypothesis su cui, secondo Maudlin e Malament, la teoria è stata fondata, sarebbe necessaria una rifondazione critica del problema del tempo in fisica. E’ quello che ci proponiamo di fare nei prossimi paragrafi.
Gli orologi reali
I dispositivi sperimentali utilizzati per misurare intervalli di tempo, distinti in base al meccanismo di funzionamento, sono in gran parte riconducibili alle seguenti tipologie:
orologi gravitazionali, in cui la misura di una durata può essere ottenuta: a) indirettamente sfruttando una scala temporale dedotta dalle posizioni di determinati corpi celesti (tempo delle effemeridi); b) direttamente sfruttando il moto, approssimativamente armonico per piccole oscillazioni, di un pendolo, che può essere considerato, insieme alla clessidra, uno dei più semplici ma efficaci orologi gravitazionali;
orologi a bilanciere, in cui l’organo motore è composto da una molla, arrotolata su un asse, che tende a svolgersi trasformando l’energia potenziale elastica in energia cinetica rotazionale: in linea di principio, il fenomeno è equivalente all’oscillazione armonica lineare di un sistema massa-molla, il cui periodo proprio dipende solo dalla massa e dalla costante elastica della molla;
orologi al quarzo, in cui il periodo è determinato dalle oscillazioni di un cristallo di quarzo: un risuonatore al quarzo, dal punto di vista elettronico, è equivalente a un circuito RLC, con una frequenza di risonanza molto precisa e stabile;
orologi atomici, in cui il periodo proprio è direttamente legato al dislivello energetico tra due fissati stati quantici in un atomo;
orologi radioattivi (Borghi, 2012), in cui il decadimento di una sostanza instabile produce una quantità di sostanza figlia a partire da una data quantità di sostanza madre iniziale: occorre precisare che, laddove gli orologi gravitazionali, atomici, al quarzo e a bilanciere fanno riferimento a fenomeni implicanti l’alternanza di fasi identiche, per cui la misura risulta legata al conteggio di queste ultime e di suoi eventuali sottomultipli, in un orologio radioattivo la misura di una durata implica, nota la quantità di sostanza madre iniziale, la quantificazione della massa decaduta in relazione al cammino seguito dallo strumento tra due fissati eventi estremi.
Orologi radioattivi
Come già ricordato in precedenza, negli esperimenti sulle particelle instabili in volo si è provato che la vita media, misurata indirettamente (calcolando il rapporto tra la distanza media percorsa prima della disintegrazione e la velocità) quando i muoni sono in volo (l’emissione e il decadimento avvengono in punti diversi), risulta dilatata rispetto alla misura effettuata direttamente in laboratorio (in cui l’emissione e il decadimento avvengono nello stesso punto) su un campione di muoni in quiete. E’ di notevole rilevanza, al riguardo, in relazione all’osservazione del comportamento delle particelle instabili in volo, l’esperimento dei muoni immessi a velocità prossime a c nell’anello di accumulazione del CERN (Bailey et al, 1977): l’elemento di novità è in tal caso la presenza di un’accelerazione centripeta dell’ordine di 1018 g rispetto al laboratorio, quindi di un enorme potenziale pseudo gravitazionale (misurato nel riferimento del laboratorio, avente origine nel centro dell’anello) in cui le particelle si sono trovate immerse durante il volo. Il fatto che tale potenziale non abbia prodotto effetti diversi rispetto agli esperimenti con muoni in volo lineare nell’atmosfera, porta a trarre importanti considerazioni in relazione alla possibilità di considerare orologi i campioni radioattivi.
Data l’importanza, questo punto deve essere attentamente discusso.
Se definiamo orologio radioattivo un dispositivo che misura una durata propria sfruttando la quantità di sostanza decaduta in relazione a un certo fenomeno (ad esempio, la durata del viaggio dell’aereo che trasporta a bordo lo stesso campione radioattivo), possiamo chiederci se tale dispositivo, che di certo funziona anche in caduta libera, si comporta come un orologio relativistico. Il fatto che un’accelerazione centripeta dell’ordine di 1018 g non abbia alterato la struttura interna delle particelle porta a dedurre che il potenziale pseudo gravitazionale, proporzionale a tale accelerazione, di intensità enorme rispetto a un osservatore nel laboratorio, non abbia influenzato il periodo proprio dell’orologio radioattivo, producendo misure sperimentali analoghe a quelle ottenute con i fasci lineari. Ne consegue che un osservatore solidale (co-movente) con le particelle, per il quale esse sono in quiete ma immerse in un potenziale (pseudo gravitazionale) centrifugo avente lo spesso modulo di quello misurato dall’osservatore nel laboratorio, debba misurare la stessa durata rilevata, a parità di eventi iniziale e finale, da un osservatore nel laboratorio solidale con un identico campione radioattivo, avente la stessa numerosità iniziale di quello sparato nell’anello, col quale venga confrontato dopo il volo.
Questo implica che gli orologi radioattivi debbano essere indipendenti, alla luce del principio di equivalenza, dal potenziale gravitazionale e pseudo gravitazionale, quindi non siano equivalenti agli orologi atomici, il cui periodo proprio risulta dipendere dal suddetto potenziale. Ne consegue che, mentre due orologi atomici, inizialmente sincronizzati nello stesso laboratorio e separati portando uno di essi in alta quota, misurano durate diverse se vengono riportati nello stesso laboratorio e confrontati, la stessa cosa non dovrebbe accadere con una coppia di orologi radioattivi. Il comportamento degli orologi radioattivi, all’interno dei quali il ritmo di decadimento delle particelle instabili non dipende dal potenziale, implica che esistano in natura diverse possibili classi di orologi, di cui solo un numero ristretto rientra nella classe implicita degli orologi che possiamo definire relativistici. Non potendo, chiaramente, ammettere che il tempo abbia una natura indipendente dagli orologi che si usano per misurarlo, il fatto che alcuni orologi non misurino durate relativistiche assume il valore di una scoperta sperimentale e teorica, in quanto genera la possibile esistenza di tempi di natura diversa.
Costantina Donatella Giancaspero
Tempo e irreversibilità
Se si nega il tempo assoluto in quanto non esiste un orologio che consente di misurarlo, se si riconosce che il tempo proprio relativistico non misura durate evolutive ma durate legate al potenziale gravitazionale e pseudo gravitazionale, se si riduce la realtà fisica a una rete di relazioni tra campi quantistici covarianti, come esplicitamente fa Rovelli in sede di fondazione della gravità quantistica, si trascura, in quanto non lo si ritiene fondamentale, il concetto dell’irreversibilità dell’evoluzione, che gli orologi reali registrano laddove le loro misure siano legate a fenomeni irreversibili. In tale ottica è necessario quanto concettualmente assai importante rilevare la distinzione tra evoluzione interna dei corpi ed evoluzione legata alla variazione della loro posizione relativa, quale è descritta in meccanica: riteniamo che le evoluzioni interne, descritte in termodinamica, debbano essere misurate da orologi capaci di quantificare una trasformazione irreversibile. Il tempo quantistico e relativistico è in effetti virtuale e matematico, in quanto non tocca il divenire intrinseco del reale, che viene pensato, come esplicitamente propone Julian Barbour (2008), come un insieme di istantanee senza filo evolutivo che le raccorda. La vera essenza operativa del tempo fisico non va in effetti cercata nella meccanica o nell’elettrodinamica, classica o relativistica o quantistica, in cui gli orologi sono in ultima analisi strumenti di comodo, ma in termodinamica, in cui il tempo è generato all’interno degli strumenti di misura ed è un prodotto necessario dell’evoluzione irreversibile. Il concetto di irreversibilità, al livello descrittivo fornito dalla meccanica quantistica, dalla relatività e dalla gravità quantistica, non compare o viene esplicitamente considerato non reale, in quanto a livello fondamentale la sua realtà pare essere illusoria. La descrizione dei fenomeni fisici fornita dalla termodinamica sembra implicitamente rivelare l’esistenza di una dimensione del tempo diversa rispetto a quella che emerge dalle teorie fondamentali: la seguente ipotesi, formulata dallo stesso Carlo Rovelli, costituisce il possibile atto fondativo di una nuova esplorazione concettuale del reale fenomenico e di una nuova definizione operativa di tempo.
Fumetto design Diabolik ed Eva Kant
L’ipotesi del tempo termico
Carlo Rovelli riconosce, introducendo il concetto di recovery of time (2008, p. 7), che gli aspetti familiari del tempo, legati alla percezione del flusso, all’impossibilità di risalire la corrente evolutiva, ecc., non sono di natura meccanica ma termodinamica. In un certo senso, emergono al livello teorico in cui si descrive statisticamente un sistema fisico con un grande numero di gradi di libertà. In meccanica statistica, scrive Rovelli, è possibile introdurre l’ipotesi del tempo termico (thermal time hypothesis), secondo la quale, se un sistema si trova in un determinato stato statistico ρ è possibile individuare, a partire da tale stato, una variabile che prende il nome di tempo termico, per quanto in natura, essendo tutte le variabili sullo stesso piano, non esista una variabile temporale preferenziale e non esistano stati di equilibrio preferenziali individuabili a priori. Considerare tempo una certa variabile, spiega Rovelli, non significa enunciare una proprietà riguardante la struttura fondamentale della realtà, bensì enucleare una proprietà inerente alla distribuzione statistica che utilizziamo per descrivere un sistema che stiamo osservando macroscopicamente. Quello che nell’esperienza consideriamo tempo è quindi il tempo termico dello stato statistico in cui un sistema (il mondo, scrive Rovelli) viene osservato, quando viene descritto in funzione dei parametri macroscopici che abbiamo scelto. Il tempo è dunque l’espressione della nostra ignoranza dei microstati, in un certo senso una semplificazione concettuale emergente da una numerosità di grandezze che cambiano caoticamente. L’attività caotica che il tempo descrive prevede un incremento irreversibile del disordine molecolare ed è questa connotazione di irreversibilità che differenzia il livello di realtà descritto dalla termodinamica rispetto a quello descritto dalla meccanica quantistica o dalla relatività, all’interno delle quali, come si è visto, il tempo non ha un significato fisico legato all’evoluzione interna di un sistema, sia esso un insieme di campi-particelle interagenti o un corpo-particella che descrive una linea di universo registrandone la lunghezza. Se la realtà viene osservata trascurando o ignorando i microstati, e si abbandona la pretesa di geometrizzare i fenomeni riconducendoli a un tessuto quadridimensionale, che contiene spazio e tempo in relazione come se le durate fossero scritte nello spaziotempo, senza effettiva evoluzione interna dello strumento che effettua la misura, emerge la natura evolutiva del tempo dei sistemi fisici, in quanto soggetti a processi irreversibili. Il fatto che tale emersione appaia con un’evidenza e una realtà del tutto diversa da quella matematica che ne caratterizza la realtà virtuale in Newton e Einstein, suggerisce di considerare la termodinamica come un’area di indagine teorica che non dovrebbe riduttivamente essere semplificata come una grossolana approssimazione statistica, in cui si riassume l’effetto globale di miriadi di grandezze e corpuscoli inaccessibili all’osservazione diretta. In termodinamica emerge, nella sua natura irriducibile, il concetto di divenire intrinseco di corpi e sistemi, in cui la meccanica e la teoria della gravitazione newtoniana, la teoria della relatività generale einsteiniana e la meccanica quantistica non hanno mai affondato lo sguardo, limitandosi a descrivere teoricamente l’evoluzione dinamica quale appare nelle interazioni che coinvolgono corpi o sistemi di cui si trascura o si ignora la struttura interna. Abbiamo visto che gli orologi radioattivi, come chiaramente provato dall’esperimento effettuato nello storage ring al CERN da Bailey et al nel 1977, sono indipendenti dal potenziale centrifugo, da cui abbiamo dedotto, alla luce dell’interpretazione dell’effetto orologi come effetto di potenziale, che le misure ottenute con orologi atomici e orologi radioattivi non possono essere equivalenti. Poiché il decadimento radioattivo è un fenomeno statistico irreversibile, riteniamo che gli orologi radioattivi siano, in accordo con la definizione di Rovelli, chiari esempi di orologi termici e formuliamo esplicitamente l’ipotesi che il tempo termico abbia natura diversa dal tempo relativistico. La realtà teorica e operativa del tempo termico, per quanto Rovelli non l’abbia ancora riconosciuto, rende quindi palese la necessità di una revisione e di una conseguente rifondazione del concetto di tempo in fisica.
Il tempo generato dagli orologi
Le considerazioni sviluppate nei paragrafi precedenti portano al cuore del problema: la possibilità che orologi diversi misurino tempi di natura fisicamente diversa, legati ai diversi livelli indagine della realtà fisica sondati dalle teorie fondamentali, che possiamo suddividere in: 1) quantistico; 2) relativistico; 3) termodinamico. Ogni teoria è costruita sulla base di principi autonomi, indipendenti da quelli su cui sono state fondate le altre, quindi riteniamo non sia produttivo cercare anelli di raccordo o sintesi più profonde che consentano di fonderle, al fine di attingere un definitivo sistema concettuale su cui fondare la conoscenza della struttura ultima del reale fenomenico. Quanto al tempo, per quanto nei diversi ambiti teorici venga utilizzato come grandezza fisica, un’analisi attenta porta a concludere quanto segue. Mentre in ambito quantistico le interazioni sembrano prodursi istantaneamente nello spazio assoluto (l’entanglement ne è la prova sperimentale), in ambito relativistico richiedono un tempo finito, esiste una velocità limite e invariante e i campi implicano la struttura dello spaziotempo, la cui curvatura descrive i fenomeni gravitazionali e che supporta ogni altra interazione. La realtà del tempo relativistico è legata alle misure che gli orologi effettuano in accordo con la legge che esprime il legame tra il periodo proprio e il potenziale: solo la classe degli orologi elettromagnetici (a cui appartengono gli orologi atomici ed altri dispositivi ad essi equivalenti) contiene strumenti che funzionano come orologi relativistici. La natura evolutiva del tempo emerge solo nel quadro teorico della termodinamica, in cui gli orologi registrano un fenomeno irreversibile che si produce al loro interno: il tempo evolutivo (Borghi, 2013b) è misurabile in quanto generato da orologi che registrano durate in accordo con l’ipotesi del tempo termico di Rovelli. Il tempo termico emerge a un livello di descrizione del reale fenomenico in cui il modello dello spaziotempo non è fondamentale: i modelli teorici della realtà fisica, quindi, non si implicano l’un l’altro, in quanto fondati su strutture logico-operative potenzialmente autonome. Se, cioè, scavando verso il livello quantistico appare prima evidente la realtà relativistica dello spaziotempo, che quindi svanisce per lasciare il posto, al livello dei campi quantistici, alla realtà delle interazioni istantanee, in cui il mondo pare ridursi a caos reversibile, non siamo autorizzati a concludere che la vera realtà fisica sia quella che si mostra all’indagine su scala relativistica o quantistica. La realtà operativa del tempo irreversibile rivoluziona radicalmente il quadro teorico come se, in un certo senso, su scala macroscopica il mondo mostrasse una peculiarità fenomenica che le teorie più fondamentali non riescono a spiegare.
Laddove l’evoluzione della fisica è stata segnata dalla comprensione di fenomeni empirici alla luce di principi teorici unitari (ad esempio, i fenomeni elettrici e magnetici hanno trovato una sintesi compiuta nella teoria di Maxwell), la natura pare rifuggire, in materia di tempo, alla volontà di ricondurre la complessità dei fenomeni a un quadro teorico unitario. La recente sintesi della gravità quantistica (Rovelli, 2014), pur fondandosi su un modello in cui le contraddizioni tra meccanica quantistica e relatività generale vengono, per certi aspetti, brillantemente superate, non risolve, in effetti, il problema del tempo, limitandosi a contemplarne, a livello fondamentale, l’inesistenza, e illudendosi che tale visione riduzionistica possa spiegarne la realtà fenomenica. Cercando il fondamento ultimo, le teorie devono di continuo spogliarsi e privarsi degli elementi concettuali che avevano percepito come scoperte entusiasmanti accentuando il potere risolutivo dell’osservazione e dell’intelligenza dei fenomeni e non possono spiegare, al loro interno, l’emersione dell’irreversibilità da un fondo di atemporalità reversibile. Cosa se ne evince, ad esempio, circa la realtà del tempo relativistico, visto che la teoria della relatività generale prevede diversi tempi di decadimento di campioni radioattivi, sovrapponendo due concetti che qui riteniamo di diversa natura, il reversibile tempo proprio relativistico e l’irreversibile tempo evolutivo interno termodinamico? La risposta è implicitamente contenuta nelle osservazioni sopra riportate, in quanto attualmente in fisica si confondono i livelli di indagine intorno al problema del tempo, ignorando o trascurando che ogni ambito di ricerca produce gli strumenti concettuali e operativi che consentono di verificare la correttezza delle ipotesi sulle quali la teoria è stata fondata. Se, quindi, la relatività richiede di essere testata con orologi a luce o con orologi atomici, che consentono di sondare la struttura dello spaziotempo sulla quale è stato costruito il suo edificio concettuale, i dispositivi di natura termodinamica, come gli orologi radioattivi o gli orologi termici a cui allude Rovelli, all’interno dei quali si producono fenomeni irreversibili di natura statistica che non possono essere controllati dal modello relativistico, permettono di sondare la realtà emersa del tempo che si mostra nella sua natura evolutiva, e consentono di misurare durate di processi legati a un cambiamento interno irreversibile che si produce nello strumento. L’irreversibilità è l’elemento distintivo della realtà fisica quale appare alla scala macroscopica in cui sono immersi i nostri sensi e gli strumenti di misura, che ne amplificano il potere risolutivo e la capacità di osservazione e registrazione delle proprietà dei fenomeni naturali. Il tempo termico misura la durata dei fenomeni che osserviamo su scala macroscopica, ignorando i microstati, nonostante questi ultimi, a un livello più metafisico che fisico, possano essere considerati il sostrato invisibile e ultimo su cui poggia la realtà quale si mostra all’esperienza sensibile e agli strumenti che la esplorano. Ogni idealizzazione teorica legge diversamente la realtà fisica in quanto utilizza diversi modelli matematici come strumenti di interpretazione della complessità dei fenomeni, fondandosi, da Newton ad Einstein alla meccanica e alla gravità quantistica, su un chiaro quanto indiscutibile preconcetto circa una realtà del tempo esterna ai corpi e agli orologi.
Not Vidal Snowballs
Not Vidal Moon 1995
Conclusioni. Il mondo come realtà e rappresentazione
Le idee di tempo che emergono dalle recenti teorie fisiche generano nodi problematici, in quanto, pur ponendosi dialetticamente rispetto ad essa, si sviluppano tutte a partire dalla teoria newtoniana, in cui il tempo viene posto assiomaticamente come entità metafisica, durata matematica, quindi non reale. Il tempo relativistico non ha natura assoluta e la sua definizione operativa genera un diverso valore della misura di una durata per osservatori che si trovino in diversi stati di moto, ma si limita ad essere a sua volta un tempo matematico, che virtualmente tali osservatori misurano al variare del loro stato di moto: nella formalizzazione più completa della teoria, la relatività generale, le durate sono scritte nelle linee di universo e si prevede, in accordo con la clock hypothesis, che debbano esistere strumenti in grado di misurarle. L’analisi degli orologi reali, il cui periodo proprio non sempre varia in funzione del potenziale gravitazionale o pseudo gravitazionale in accordo con la teoria, porta a concludere che essi non siano tutti tra loro equivalenti. Gli orologi radioattivi, che misurano durate quantificando la massa di sostanza decaduta in corrispondenza di un certo fenomeno compreso tra due eventi estremi che ne contrassegnano l’inizio e la fine (nascita e decadimento di una particella instabile), con buona probabilità non funzionano in accordo con le previsioni relativistiche: i molteplici test sperimentali circa la diversa vita media di un campione radioattivo hanno solo verificato la relazione tra la misura della stessa vita media effettuata da due osservatori in moto relativo, non consentendo, quindi, di concludere alcunché circa la diversa evoluzione interna degli strumenti di misura. Non sono ancora stati fatti esperimenti per verificare se un campione radioattivo, in corrispondenza di due linee di universo non equipollenti comprese tra due fissati eventi estremi, registri quantità diverse di sostanza decaduta: solo l’esperimento diretto, quindi, che metta a confronto il comportamento di orologi reali, può dire qualcosa di definitivo circa la natura e la realtà del tempo radioattivo.
L’analisi critica ha chiaramente evidenziato che, mentre il tempo newtoniano è un insieme di istanti-universo, il tempo della relatività speciale è legato alla procedura di sincronizzazione degli orologi, che ogni osservatore ottiene tramite segnali luminosi, nell’ipotesi che la velocità della luce sia isotropa e invariante: dopo aver idealmente riempito lo spazio di orologi sincronizzati, un osservatore misura la durata di un fenomeno come differenza tra gli istanti che corrispondono agli eventi estremi. Il tempo della relatività ristretta è idealmente misurato da orologi puntiformi, il cui ritmo interno è indipendente da influenze esterne, la cui sincronizzazione è possibile grazie all’invarianza di c e allo scambio di segnali con altri orologi ideali e identici. Il passo verso la fusione tra spazio e tempo, preconizzata da Einstein in sede di relatività speciale, è stato formalizzato da Minkowski nei termini di una teoria dello spaziotempo quadridimensionale idealmente vuoto, a cui ha fatto seguito, nell’ottica di una sempre più rigorosa definizione operativa del tempo relativistico, la concezione einsteiniana della realtà fisica oggettiva dello spaziotempo, la cui metrica è determinata dalla densità della materia-energia. Il superamento della metafisica newtoniana dello spazio e tempo assoluti è quindi avvenuto, all’interno della teoria einsteiniana, generando un immanentismo metafisico dello spaziotempo assoluto, in cui gli istanti non sono scanditi da un unico orologio universale che misura la durata di ogni fenomeno e della vita di ogni corpo, bensì corrispondono a misure ottenute tramite orologi che registrano il tempo proprio come lunghezza della linea di universo. Laddove nessun orologio del reticolo, in relatività ristretta, quantifica un divenire interno reale, abbiamo mostrato, passando al quadro concettuale della relatività generale, che molti orologi reali con buona probabilità non si comportano come orologi relativistici, in quanto registrano evoluzioni interne irriducibilmente diverse.
Nell’ottica dell’ipotesi del tempo termico, come si è visto, il problema può essere posto nei termini del probabile disaccordo tra le misure sperimentali ottenute tramite orologi relativistici ed orologi termici. Si può obiettare, in accordo con Barbour e Rovelli, che si può ottenere una descrizione della fisica fondamentale, quantistica e relativistica, ignorando il tempo, ma il problema di fondo, a livello concettuale, rimane aperto e rischia di generare ulteriori contraddizioni: cosa significa prevedere diverse durate della vita di un campione radioattivo al variare della linea di universo se si concepisce, come correttamente fa Rovelli, il tempo relativistico come una grandezza legata al potenziale gravitazionale o pseudo gravitazionale, laddove un orologio radioattivo registra un’evoluzione interna il cui ritmo è indipendente dal potenziale? Il dubbio einsteiniano, posto già in sede di relatività speciale, circa la risposta coerente degli strumenti di misura, viene quindi superato, ma non risolto, grazie alla teoria dello spaziotempo che, da Minkowski alla relatività generale, diventa il nuovo assoluto della fisica, aprendo la strada alle molteplici rappresentazioni matematiche novecentesche della realtà fenomenica in cui proliferano le dimensioni e gli spazi astratti, sempre più allontanando la mente dalla natura, o confondendo la natura con la mente che la rappresenta, come se nel mondo dei fenomeni potessimo incontrare, vedendole emergere, le realtà che l’intelletto ha ipotizzato forgiandole nel mondo platonico delle idee.
Dall’analisi e dalle considerazioni sviluppate nel presente lavoro ritengo emerga la necessità di porre un nuovo confine tra realtà osservativa e ipotesi matematica, quindi tra fisica e metafisica, a partire da incongruenze rilevabili all’interno delle teorie sulla base di oggettive risultanze sperimentali. Si può obiettare in partenza che ogni teoria fisica nasce metafisicamente, fondandosi, in quanto elaborazione dell’intelletto che per sua natura pretende rappresentare e spiegare il molteplice empirico alla luce di sintesi logiche, su assunzioni assiomatiche. L’obiezione è corretta, ma non ci impedisce di osservare, in materia di tempo, che nessuna teoria delle durate può essere fondata su ipotesi assiomatiche che non contengano necessari riferimenti alle misure ottenute da orologi reali. Gli equilibrismi fisici e filosofici in cui si sono esibiti teorici ed epistemologi, da Einstein a Malament e Maudlin, fino a Rovelli e Barbour, non possono evitare che la fisica teorica debba a un certo punto confrontarsi con la complessa fenomenologia con cui il divenire, a livello microscopico e macroscopico, si mostra agli occhi dell’esperienza.
Le conclusioni, di cui occorre sottolineare l’importanza, sono due. In primo luogo abbiamo rilevato che gli orologi radioattivi sicuramente non funzionano in accordo con le previsioni relativistiche in materia di misura di durate, in quanto gli orologi relativistici ottengono misure legate al potenziale gravitazionale e pseudo gravitazionale, alla cui variazione i campioni radioattivi non sono sensibili. In seconda istanza occorre rilevare che le teorie fisiche, pur riferendosi allo stesso materiale di indagine, non sono sempre ampliamenti le une delle altre ma, spesso, visioni della realtà fra loro in buona parte inconciliabili. Ne sono prove evidenti e indiscutibili, oltre alla limitata rispondenza degli orologi reali alle previsioni circa le misure di durate, la diversità sostanziale tra il concetto di tempo evolutivo interno (misurato dagli orologi termici) e quello di tempo proprio che, a ben vedere, essendo già scritto nella linea di universo, non contiene alcuna informazione circa il ritmo evolutivo dei corpi e degli orologi che la percorrono.
Come si è modificata, dunque, la rappresentazione della realtà in direzione delle sintesi teoriche attuali? Il tempo newtoniano lascia intatta la possibilità del divenire: il suo essere assoluto significa possibilità di evoluzione aperta, non determinata dalla struttura dell’universo. Il tempo relativistico è parte costitutiva dello spaziotempo, la cui struttura è determinata dalla densità di materia-energia: in quanto tale misura un divenire chiuso, senza evoluzione effettiva. La teoria di Einstein è in effetti fondata sull’implicita ipotesi di un tempo-movimento che, nella forma della sua sintesi ultima (la relatività generale), è scritto nei cammini quadridimensionali che i corpi-orologi percorrono. La relatività ha chiuso il mondo in un modello geometrico in cui l’evoluzione, che si produce all’interno dei corpi, si è dissolta nell’astrazione logica. La termodinamica, ancora poco esplorata o ridotta a visione grossolana in cui i fenomeni complessi vengono risolti in sintesi statistiche, è la sola teoria in cui emerge la natura evolutiva del tempo. In tale contesto, come dice Rovelli, emerge l’ignoranza dei microstati e delle strutture fondamentali su cui poggia la realtà fisica e si postula l’esistenza di un tempo interno, di cui le altre teorie non hanno saputo o potuto cogliere la novità e la profondità rivoluzionaria.
Solo da una nuova teoria degli orologi reali, quindi, che generano e misurano le durate legandole a fenomeni irreversibili che si producono al loro interno, può nascere una rifondazione del pensiero fisico intorno al tempo, da cui molto probabilmente emergerà l’impossibilità di chiudere il reale in una rappresentazione teorica riconducibile a una struttura concettuale unitaria.
Ringraziamenti. Grazie a Carlo Rovelli e Julian Barbour per aver ampiamente discusso questa analisi teorica del problema del tempo. Un ringraziamento particolare a Silvio Bergia, per la preziosa e concreta attenzione allo sviluppo di queste idee.
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Claudio Borghi
Claudio Borghi è nato a Mantova nel 1960. Laureato in fisica all’Università di Bologna, insegna matematica e fisica in un liceo di Mantova. Ha pubblicato articoli di fisica teorica ed epistemologia su riviste specializzate nazionali e internazionali, in particolare sul concetto di tempo e la misura delle durate secondo la teoria della relatività di Einstein. Presso l’editore Effigie sono uscite due sue raccolte di versi e prose, Dentro la sfera (2014) e La trama vivente (2016). Una selezione di testi da La trama vivente è stata pubblicata nella rivista Poesia (settembre 2015).