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Atto unico di Mauro Pierno, Teatro kitchen, Commenti di Marie Laure Colasson, Vincenzo Petronelli, Giorgio Linguaglossa

Tutti allo stesso tempo
(Ossia, un concerto di voci
Ovvero, coincidenze)

Personaggi
Emme
Erre
Emmea
Ci
E
Gi
A
Effe
Esse

L’operatore, ovvero

studio teatrale 22.04.90
rivisitazione maggio 2020

AMBIENTAZIONE: (nove posti a sedere disposti a diversa altezza; agli estremi di essi alcune file di scatole tutte uguali. Nove individui occupano i rispettivi posti e a ritmo si passano le scatole. Tutti sono vistosamente scalzi. S, ad un estremo, avrà il compito di ripristinare la fila di scatole; dall’altro capo, M, avrà cura di riproporre il giro delle stesse. Gli altri personaggi: R, Ma, C, E, G, A, F.)

(Terminando il giro silenziosamente)
M
R
Ma
G :
A :
F :
S : vuota!

M: Incomincio ad essere stanco.
R: che senso ha?
Ma: appunto che senso ha?
C: …” Che senso ha?” Cosa?
E: questa ricerca suppongo?!
G: no, no…forse il senso…
A: …ho inteso!
F: io niente!!!
S: centro quarantatré! Vuota!

M: Passa.
R: anch’io incomincio ad essere stanco!
Ma: io ancora no.
C: cercare, cercare, cercare…
E: mai essere stanchi…
G: appunto!
A: certo!
F: su sbrigatevi! (È l’unico a dare segni di impazienza)
S: vuota!

(Toccandosi i piedi)
M: ho i piedi freddi.
R: i miei sono di ghiaccio.
Ma: i miei infreddoliti.
C: i miei semirigidi.
E: i miei raffreddati.
G: i miei ibernati.
A: i miei congelati.
F: i miei…non ci sono! (Tutti disapprovano)
S: vuota!

M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo
G: anch’io le indossavo
A: io le infilavo
F: io…semplicemente camminavo
S: vuota!

M: era un quarantuno!
R: il mio un trentanove!
Ma: il mio un trentacinque!
C: il mio un trentasette!
E: il mio un trentasei!
G: il mio un trentotto!
A: il mio un trentanove!
F: il mio…un centoottant’otto! (Tutti disapprovano)
S: vuota!

M: Mi mancano.
R: anche a me.
Ma: pure a me.
C: a me anche.
E: a me pure.
G: sicuro.
A: chiaro.
F: oscuro! (Disapprovano tutti)
S: vuota!

(Sempre guardandosi i piedi)
M: Si, si…
R: si, si, all’improvviso…
Ma: si, si, all’improvviso scomparse
C: si, si, all’improvviso scomparse nel nulla…
E: si, si, all’improvviso scomparse nel nulla, perdute…
G: si, si, all’improvviso scomparse nel nulla, perdute per sempre
A: si, si, all’improvviso scomparse nel nulla, perdute per sempre
per strada
F: si, si…in effetti! (Sbrigativo. Ancora una impertinenza.)
S: vuota!

(Riflettendo)
M: Riflettiamo
R: riflettiamo
Ma: riflettiamo
C: riflettiamo
E: riflettiamo
G: riflettiamo
A: riflettiamo
F: …non pensiamoci più! (Occhiate di disprezzo da tutti)
S: vuota!

M: Non ci riesco.
R: non ci riesco.
Ma: non ci riesco.
C: non ci riesco.
E: non ci riesco.
G: non ci riesco.
A: non ci riesco.
F: …io ci riesco! (come sopra)
S: vuota!

M: Allora ricostruiamo
R: si, ricostruiamo
Ma: certo, ricostruiamo
C: dai ricostruiamo
E: su, ricostruiamo
G: via, ricostruiamo
A: ricostruiamo, ricostruiamo
F: …va bene…non pensiamoci più! (Disapprovazione, come sopra)
S: ricostruiamo: centoquaranta sette! Vuota!

(Avvincenti)
M: Erano le quattro!
R: già, le tredici
Ma: precisamente le otto!
C: esatte le sedici!
E: in punta le nove!
G: erano le sei!
A: appunto le ventidue!
F: … (Leggendo l’orario) …sono le… (Generale disapprovazione)
S: vuota!

(Squilli di telefono)
M: Pronto?
R: pronto?
Ma: pronto?
C: pronto?
E: pronto?
G: pronto?
A: pronto?
F: chi parla? (Crescente disapprovazione)
S: vuota! (Terminano gli squilli)

M: È per te?
R: no! È per te?
Ma: no! È per te?
C: no! È per te?
E: no! È per te?
G: no! È per te?
A: no! È per te?
F: È per me! (Nervosismo dilagante)
S: vuota!

M: Vuole distoglierci.
R: è vero
Ma: allora, resistere
C: continuare e basta
E: senza tregua
G: senza arrendersi
A: giammai
F: diritti alla meta! (Seppur sconcertati, cenni di consenso)
S: vuota!

(Caricati ripetono la strofa)
M: Vuole distoglierci.
R: è vero
Ma: allora, resistere
C: continuare e basta
E: senza tregua
G: senza arrendersi
A: giammai
F: diritti alla meta! (Tripudio di consenso)
S: vuota!

(Riprendono gli squilli)
M: Non bisogna rispondere alle provocazioni
R: ogni provocazione resterà impunita
Ma: abbasso la violenza
C: viva, via Ghandi
E: mio padre non mi picchia
G: mia madre neanche
A: evviva, evviva
F: diritti alla meta! (Ancora consensi)
S: vuota! (Gli squilli terminano)

M: Dove eravamo rimasti?
R: dove eravamo rimasti?
Ma: dove eravamo rimasti?
C: dove eravamo rimasti?
E: dove eravamo rimasti?
G: dove eravamo rimasti?
A: dove eravamo rimasti?
F: diritti alla meta! (Costernati tutti. Ricomincia)
S: vuota!

(Ignorandolo)
M: Scomparse
R: giusto
Ma: inopinabile
C: d’accordo
E: più che giusto
G: giustissimo
A: verissimo
F: diritti alla meta! (Tutti al limite della sopportazione)
S: vuota!

M: Ma che ha?
R: ma che ha?
Ma: ma che ha?
C: ma che ha?
E: ma che ha?
G: ma che ha?
A: ma che hai?
F: diritti alla meta!
S: vuota!

M: Non è proprio il caso di scherzare!
R: proprio non lo è!
Ma: certo!
C: insomma!
E: manchi di eleganza!
G: alla tua età!
A: vergognati!
F: (Afono) diritti alla meta!
S: vuota!

M: Finalmente
R: diventava insopportabile!
Ma: ripetitivo
C: fastidiosissimo
E: sgradevole
G: amarissimo
A: disgustevole
F: diritti alla meta!
S: vuota!

M: allora è un problema politico…
R: non necessariamente…
Ma: ma insiste…
C: allora è sociale…
E: no, politico.
G: no, sociale.
A: no, politico.
F: diritti alla meta!
S: vuota. Vuota alla meta!

(Senza scampo)
M: vuota alla meta!
R: vuota alla meta!
Ma: vuota alla meta!
C: vuota alla meta!
E: vuota alla meta!
A: vuota alla meta!
F: diritti alla meta!
S: vuota!

(Disperazione crescente. Sguardo ai piedi)


M: Senza non andremo lontani
R: soltanto pochi passi
Ma: ai lati della strada
C: seppure
E: non più lontano di tanto
G: vicino
A: più vicino
F: immobili! (Pare rinsavito…)
S: vuota!

M: Abbiamo perduto le scarpe,
R: ci mancano,
Ma: non è un mistero,
C: siamo scalzi,
E: non le ritroveremo,
G: illudersi non serve,
A: non serve,
F: immobili! (…invece ricomincia)
S: vuota!

(Disperati)
M: Cosa faremo?
R: cosa faremo?
Ma: cosa faremo?
C: cosa faremo?
E: cosa faremo?
G: cosa faremo?
A: cosa faremo?
F: immobili! (Scoppi d’ira)
S: vuota!

(Esasperati)
M: Digli di smetterla!
R: digli di smetterla!
Ma: digli di smetterla!
C: digli di smetterla!
E: digli di smetterla!
G: digli di smetterla!
A: smettila!
F: (In piedi) Immobili!
S: vuota!

(Incazzati)
M: Potrebbe anche sedersi!
R: potrebbe anche sedersi!
Ma: potrebbe anche sedersi!
C: potrebbe anche sedersi!
E: potrebbe anche sedersi!
G: potrebbe anche sedersi!
A: potresti anche sederti!
F: (Sempre in piedi) immobili!
S: vuota!
M: Allora ignoriamolo! (Si alza, anche gli altri a turno)
R: certo, ignoriamolo!
Ma: lo merita, ignoriamolo!
C: bene, ignoriamolo!
E: ignoriamolo, ignoriamolo!
G: ignoriamolo e basta!
A: basta ignoriamolo!
F: (Sedendosi) Immobili!
S: vuota! Ignoriamolo!

(Si ode un segnale orario. Potrebbero essere anche i rintocchi di una pendola, di un campanile lontano. Batte le sedici. Le quattro, pare l’attacco della quinta di Beethoven. La scena
sì oscura. Sulle note de “io cerco la Titina” entra in platea l’operatore telefonico con in mano una seggiola pieghevole. Una bacchetta. Nell’abito rammenta Charlot, Totò, è molto impacciato. Ovvero, dirige il traffico, una orchestra immaginifica, dispensa faccine, risponde al telefono. Però la scena incalza. La sua voce diventa afona. Ovvero, è un personaggio irriconoscibile. Si sovrappongono immagini di Totò, di Charlot. Il palco si rillumina. Scompare. Anche F è scomparso. Ben visibile il vuoto lasciato sullo scranno. Il giro delle scatole riprende immutato.)

M: Assurdità
R: nullità
Ma: fesserie
C: frottole
E: balle
G: bugie
A: …è scomparso! (F non c’è. A è turbata; la scatola cade nel vuoto)

S: vuota!

M: Senza senso
R: non verificabile
Ma: insufficiente
C: meno che sufficiente
E: mediocre
G: scadente
A: (Come sopra) È scomparso!!! (La ignorano)

S: vuota!

(Quasi sollevati)
M: Basta distrarsi un attimo…
R: certo, soltanto un attimo…
Ma: un attimo…
C: anche di meno…
E: ancora meno…
G: meno, meno…
A: (Come sopra) È scomparso! (Ancora la ignorano)

S: vuota!

M: Basta distrarsi un attimo…
R: certo, soltanto un attimo…
Ma: un attimo…
C: anche di meno…
E: ancora meno…
G: meno, meno…
A: è scomparso!

S: vuota!
(Rispondendo allusivamente ad A)
M: Delle buone ragioni
R: delle buone ragioni di certo
Ma: delle buone ragioni di certo indubitabili
C: delle buone ragioni di certo indubitabili e irreversibili
E: delle buone ragioni di certo indubitabili e irreversibili e
inequivocabili
G: delle buone ragioni di certo indubitabili e irreversibili e
inequivocabili e indiscutibili
A: … è scomparso!

S: vuota!

(Comprensivi)
M: un piccolo sforzo
R: un’altra strofa
Ma: eravamo alla fine
C: la sequenza era completa!
E: non dovevi interrompere
G: certo, non dovevi
A: …è scomparso!

S: vuota!

(Ancora comprensivi)
M: Sgombra la mente
R: non distrarti
Ma: attenzione!
C: applicazione
E: studio
G: metodo
A: …è scomparso! (Disapprovazione generale)

S: vuota!

(Ancora un’altra possibilità)
M: che strano indolenzimento
R: davvero
Ma: rasenta la stanchezza
C: più indolenzimento che stanchezza
E: una via di mezzo
G: il giusto mezzo
A: ma è scomparso! (Sono sconcertati)

S: vuota!

(Per l’ultima volta)
M: Ho i piedi freddi
R: due pezzi di ghiaccio
Ma: infreddoliti
C: semirigidi
E: congelati
G: raffreddati
A: … è scomparso!

S: vuota!
(Sbottando inesorabilmente)
M: Non lega!
R: con cosa lega!
Ma: davvero non lega!
C: insomma non lega!
E: non lega per niente!
G: per niente non lega!
A: …ma è scomparso!!!

S: vuota!

(Ultimatum)
M: Le responsabilità sono soltanto tue!
R: sono soltanto tue le responsabilità!
Ma: tue soltanto sono le responsabilità
C: soltanto tue le responsabilità sono!
E: soltanto sono tue le responsabilità
G: le responsabilità tue soltanto sono!

A: … ma è scomparso!!! (Disperata)
S: vuota!

(Nuovamente si ode un segnale orario. Squilli di telefono. Un pendolo, alcuni rintocchi di un campanile. L’attacco della quinta. Ancora una volta parte la musica della Titina. L’operatore, l’improbabile Charlot,Totò, forse un venditore di palloncini, forse il direttore d’orchestra, probabilmente il vigile, fischia, dirige, risponde, si accomoda sulla sedia pieghevole. Perde la bacchetta. Rimane afono. Prima buio poi di nuovo luce. La scena incalza è l’esibizione è interrotta. Scompare. Anche A è scomparsa.)

M: Assurdità!
R: nullità
Ma: fesserie
C: frottole
E: balle
G: bugie (la scatola ormai cade nel vuoto…S dovrà recuperarla)

S: vuota! (…Disperato. Per l’impatto la scatola si apre)

M: Senza senso
R: non verificabile
Ma: insufficiente
C: meno che sufficiente
E: mediocre (come sopra)
G: scadente (come sopra)

S: vuota!

(Occhiate di intesa per l’avvenuta nuova scomparsa)
M: Ci sono cose di cui non bisognerebbe parlare
R: termini che non bisognerebbe usare
Ma: assolutamente da dimenticare
C: parole vietate!
E: concetti vietati.
G: contenuti vietati! (come sopra)

S: vuota! (come sopra)

M: Mai parlare
R: mai usare
Ma: da dimenticare
C: vietare
E: vietare
G: vietare

S: vuota!

M: Mai parlare
R: mai usare
Ma: da dimenticare
C: vietare
E: vietare
G: vietare

S: vuota!

(All’infinito)
M: Mai parlare
R: mai usare
Ma: da dimenticare
C: vietare
E: vietare
G: …boom! (Enfatizza la caduta della scatola)

S: vuota! (Ride.)

M: Mai parlare
R: mai usare
Ma: da dimenticare
C: vietare!
E: vietare!
G: … boom!!! (Ride più forte. Gli altri disapprovano)

S: vuota! (Ridono insieme)

(Richiamo all’ordine)
M: L’immagine del silenzio
R: ali
Ma: l’anima in concreto
C: l’estasi vola
E: l’estasi
G: …infranta! (Accompagnando la caduta della scatola)

S: boom! Vuota! (Entrambi ridono)

(Ulteriore richiamo all’ordine)
M: Solo parole
R: semplici parole
Ma: parole di parole
C: parole alla terza
E: parole alla quarta
G: chi ha visto le mie scarpe? (Disapprovazione)

S: boom! Vuota (Come sopra. Entrambi ridono)

(L’ordine, soprattutto)
M: L’economia della realtà non permette impertinenze!
R: sia chiaro!
Ma: la realtà non fa rumore!
C: è sorda!
E: è muta!
G: (Emette una sonora pernacchia. Come sopra)

S: boom!!! (Entrambi ridono sonoramente)

(Soprattutto, l’ordine)
M: È il tempo dell’insurrezione dei rumori,
R: bisogna fermarli,
Ma: la realtà non fa rumore,
C: è sorda,
E: è muta,
G: (Come sopra. Ancora una pernacchia sonora)

S: boom!!! Vuota!

(L’ordine non si inceppa mai!)
M: È il tempo dell’insurrezione dei rumori,
R: bisogna fermarli,
Ma: la realtà non fa rumore,
C: è sorda,
E: è muta,
G: (Come sopra. Ancora una pernacchia sonora)

S: boom!!! Vuota!
M: È il tempo dell’insurrezione dei rumori,
R: bisogna fermarli,
Ma: la realtà non fa rumore,
C: è sorda,
E: è muta,
G: (Come sopra. Ancora una pernacchia sonora)

S: boom!!! Vuota!

(Ancora un segnale orario confuso tra i rintocchi e un pendolo.
L’apparizione dell’operatore, ovvero, è più confusa, pare essere imbavagliato. La musica, le immagini tutto più accelerato. Il buio più totale. La sparizione dell’operatore e di G ed S fulminea. Luce.)

M: Assurdità
R: nullità
Ma: fesserie
C: frottole
E: balle! (Le scatole si esauriranno perché il giro è ormai inevitabilmente interrotto)

M: senza senso
R: non verificabile
Ma: insufficiente
C: meno che sufficiente
E: mediocre (Continueranno anche a scatole terminate)

M:
R:
Ma:
C:
E:

(Alludendo alle recenti scomparse)
M: non esprimersi,
R: nessun giudizio
Ma: soltanto caso
C: puro caso
E: coincidenze

(Riflessivi)
M: Il senso libero
R: l’espressione
Ma: la parola
C: i concetti
E: i problemi

M: Non esistono,
R: non esistono,
Ma: non esistono
C: non esistono
E: non esistono

(Alcuni giri a vuoto. Poi con nuovo rigore)
M: Ho i piedi freddi
R: i miei sono di ghiaccio
Ma: i miei infreddoliti
C: i miei semirigidi
E: i miei raffreddati
M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo

M: Mi mancano
R: anche a me
Ma: pure a me
C: a me anche
E: a me pure

M: Abbiamo perduto le scarpe
R: ci mancano
Ma: non è un mistero
C: siamo scalzi
E: non le ritroveremo.

INTERMEZZO – SIPARIO
AMBIENTAZIONE:
(Siamo alle spalle della scena precedente. Anche gli attori superstiti, M, R, Ma, C e E sono di spalle al pubblico e continuano a vuoto a passarsi le scatole inesistenti.)

M: Ho i piedi freddi
R: i miei sono di ghiaccio
Ma: i miei infreddoliti
C: i miei semirigidi
E: i mei raffreddati

M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo

(Marcia trionfale dell’Aida. Trombe a tutto spiano.)
(Attraversando tutta la platea accompagnati dalla musica assordante e marziale. In corteo sorridenti e festanti. Elegantissimi, G A F e S precedentemente scomparsi recano a passo trionfale enormi scatoloni da imballaggio. Una quantità indescrivibile di svariate scarpe verrà riversata sulla scena. Scene di giubilo. Entusiasmo alle stelle. Alle spalle intanto con indifferenza totale)

M: Abbiamo perduto le scarpe
R: ci mancano
Ma: non è un mistero
C: siamo scalzi
E: non le ritroveremo
(Incominciano a passarsi le scarpe nella speranza di trovarne un paio giusto. La marcia dell’Aida diventa il motivo di sottofondo che accompagnerà lo spettacolo fino alla fine dell’azione.)

G: non è per l’occasione
A: figurarsi questa
F: non l’indosserei mai
S: fossi morto!

G: no, questa non è mia.
A: no, non è neanche mia!
F: non può essere nemmeno mia!
S: fossi morto!

(Sul retro)
M: Mi mancano.
R: anche a me.
Ma: pure a me.
C: a me anche.
E: a me pure.

(Sul palco)
G: calzavo trentotto!
A: io trentanove!
F: io centoottant’otto!
S: fossi morto!

M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo
G: a me serve sportiva!
A: a me serve elegante!
F: a me serve classica!
S: fossi morto!

G: … più alta!
A: di più!
F: di meno, di meno!
S: fossi morto

(L’orchestrazione dell’azione è a questo punto al massimo. La contemporaneità del movimento dietro e davanti al palco è totale. Medesima la ricerca affannosa e infruttuosa da entrambe le parti, tutti allo stesso tempo insoddisfatti della ricerca, fino a diventare totalmente afoni.)

M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo

G: anch’io le indossavo
A: io le infilavo
F: io…semplicemente camminavo
S:

M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo
G: anch’io le indossavo
A: io le infilavo
F: io…semplicemente camminavo
S: vuota! (Senza voce. Quasi un rigurgito)

M: era un quarantuno!
R: il mio un trentanove!
Ma: il mio un trentacinque!
C: il mio un trentasette!
E: il mio un trentasei!

G: il mio un trentotto!
A: il mio un trentanove!
F: il mio…
S:

M: ho i piedi freddi.
R: i miei sono di ghiaccio.
Ma: i miei infreddoliti.
C: i miei semirigidi.
E: i miei raffreddati.

G: i miei ibernati.
A: i miei congelati.
F: i miei…
S:

(La stessa marcia di sottofondo. Ossessiva. La ricerca affannosa diviene ripetitiva ed evidentemente infruttuosa da entrambe le parti. Il sincronismo raggiunto è perfetto! Le voci sempre più afone. L’operatore ovvero Il direttore ovvero il vigile ovvero il conduttore…completamente in abito bianco, ricomparirà in scena)

M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo

G: anch’io le indossavo
A: io le infilavo
F:
S:

M: era un quarantuno!
R: il mio un trentanove!
Ma: il mio un trentacinque!
C: il mio un trentasette!
E: il mio un trentasei!

G: il mio un trentotto!
A:
F:
S:

M: Mi mancano.
R: anche a me.
Ma: pure a me.
C: a me anche.
E: a me pure.

G:
A:
F:
S:

M: Si, si…
R: si, si, all’improvviso…
Ma: si, si, all’improvviso scomparse
C: si, si, all’improvviso scomparse nel nulla…
E:

G:
A:
F:
S:

M: Riflettiamo
R: riflettiamo
Ma: riflettiamo
C:
E:

G:
A:
F:
S:
(I movimenti frenetici raggiungeranno il culmine. L’apparizione dell’operatore inaspettata. Pure la musica diventerà vorticosa e silenziosa.)

M: Non ci riesco.
R: non ci riesco.
Ma:
C:
E:

G:
A:
F:
S:

M: Allora ricostruiamo
R:
Ma:
C
E:

G:
A:
F:
S:

M:
R:
Ma:
C:
E:

G:
A:
F:
S:

L’operatore: allo stesso tempo il silenzio ed il rumore la scoria ultima del suono, le parole, gli uomini e gli oggetti…
(Silenzio assordante e vorticoso…Tutta la scena pare un metronomo silenzioso, un pendolo, un tacet silenzioso e frenetico)
La convinzione forte è che non ci siano più momenti di incontro casuali e che seppure i colori ed i suoni si centuplicassero, tutti allo stesso tempo, in sottofondo rimarrebbe un inespugnabile silenzio, una inespressa vita, vuota! Coincidenze completamente definite, nelle azioni, nelle parole, noi stessi compiuti all’infinito.
La memoria la vera illusione.
(Un gigantesco disco di Newton vorticosamente abbaglierà la sala decretando la fine dello spettacolo.)

FINE.

Marie Laure Colasson

caro Mauro,

volevo parteciparti che ad una seconda lettura l’impressione tratta dalla prima lettura ne esce rafforzata: si tratta di un Atto unico del nuovo dadaismo kitchen, sfido chiunque a raccapezzarsi in quel tigullio di parole in libera sarabanda!
Il segreto della poesia kitchen è semplicemente questo: commerciare con il Nulla senza alcun timore reverenziale, non avere dogmi o fidejussioni di alcun genere, saper porre agli arresti il significante e il significato. Soprattutto: non c’è né è mai esistito un significante primordiale (che alcuni chiamano dio). Il resto viene da sé.
Complimenti!

Giorgio Linguaglossa

caro Mauro, direi che il tuo Atto Unico rappresenta in scena la Marcia Trionfale del Nulla (con le trombe dell’Aida di Verdi in sottofondo), con quegli scatoloni che rimbalzano di qua e di là e le parole assolutamente vuote che vengono pronunciate e masticate e i personaggi che parlano frasi sconnesse e smozzicate parenti strette del Nulla!
Come nella procedura della ripetizione e del fermo immagine, qui si “svela” l’artificio delle parole, la loro parzialità, la loro insostanzialità, l’“effetto di realtà” prodotto dalle parole-simulacro… la realtà come effetto di qualcosa d’altro, come in un gioco di riflessi di riflessi… un gioco di specchi che non sappiamo, che non riconosciamo… questo è, per l’appunto, kitchen e chicken, chicken cotto al forno, parole come crocchette di chicken…Rispondi

Giorgio Linguaglossa

caro Mauro, tu scrivi alla fine dell’Atto Unico:«il silenzio ed il rumore la scoria ultima del suono, le parole, gli uomini e gli oggetti…
(Silenzio assordante e vorticoso…Tutta la scena pare un metronomo silenzioso, un pendolo, un tacet silenzioso e frenetico)»dove è chiaro che il reale è ciò che interrompe e ostacola il funzionamento illimitato del dispositivo semiotico; qui è ben visibile l’irruzione del reale nella catena semiotica, l’impasse della formalizzazione e dell’elaborazione dell’inceppamento all’interno del dispositivo semiotico e semasiologico del testo. Il reale fa problema, è problema, all’interno della linearità del dispositivo linguistico nella misura in cui si insinua nella strutturazione simbolica della realtà. E se il dispositivo semiotico è ciò che funziona a patto di non arrestarsi mai, il reale emerge in questo meccanismo introducendovisi come un ostacolo, un inceppamento del motore semiotico che ne mina anche solo per un istante la stabilità della continuità.

Vincenzo Petronelli

Caro Mauro,
andando a perlustrare tra gli ultimi episodi dell’ “Ombra”, mi si è rivelata questa tua gemma. Ritengo si tratti di una straordinaria invenzione linguistica ed espressiva di grande giocosità: ho appena avuto modo di evidenziare in un mio intervento sull’articolo che cronologicamente precede questo. come ritenga quest’attitudine una straordinario valore aggiunto sulla strada dello sradicamento dei dogmi legati al linguaggio tradizionale della poesia e dell’arte in genere. La storia delle arti ci insegna come proprio la dimensione del gioco, della levità, dell’ironia, siano gli strumenti più efficaci per demolire le convenzioni e rivitalizzare le strutture e le categorie culturali tradizionali una volte logoratesi. La trama e l’intreccio surreali di questa atto unico è strepitoso e lo considero a tutto tondo un esempio di Poetry kitchen, perché difatto giunge all’altezza di un “gramelot” per la ricomposizione degli elementi del linguaggio e pur non essendolo “strictu sensu”, approda allo stesso apice di non-sense (che di questo processo di scomposizione e ri-composizione giocosa del mondo è a mio avviso la dinamica apicale) del gramelot. Ho riletto più volte questa tua proposta e mi si rafforza ogni volta l’idea che tu sia giunto sul punto di edificare una nuova cosmologia di significati che ci apre dei nuovi spiragli e dei nuovi indirizzi semantici.
Grazie per aver condiviso questa chicca con noi.Buona serata.

Mauro Pierno

Ti confido caro Vincenzo che l’idea del testo mi è venuta osservando l’andirivieni lungo il viale, meraviglioso dei tigli, che tu conosci, qui a Ruvo. Immaginai che tutta quella folla avesse perduto le scarpe e che percorrendo imperterriti “le vasche” forse le avrebbero ritrovate.
Una dannazione dantesca! Un abbraccione.

Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”. 

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248 GIORNI – Dramma in tre atti di Donatella Costantina Giancaspero, dal romanzo omonimo di Giorgio Linguaglossa

 

bello Une femme mariée di Jean-Luc Godard

fotogramma da Une femme mariée di Jean-Luc Godard

Per un Nuovo Anno ricco di «cose» che la redazione augura a tutti i lettori dell’Ombra

Personaggi
(in ordine di apparizione)

ELY, la spogliarellista
MASSIMO, lo scrittore
L’EDITORE
MAGISTRI, l’impresario di porno star

ATTO PRIMO

Primo quadro
                                                                                                                                                 
La scena si svolge in una stanza, nella notte di fine anno 1999.

Il sipario si apre sul palcoscenico immerso nel buio. Lentamente si rischiara, fino a una mezza luce. Al pari della luce si diffonde un suono di musica da ballo, insieme a un rumore di stoviglie e alle voci, allo scalpiccio degli ospiti, che immaginiamo affollare un salone attiguo, dove si svolge la festa di fine e principio d’anno.

Al centro della scena, sopra un tappeto sdrucito, è un divano rosso, illuminato dall’alto da una luce più intensa e fredda. Sin dall’inizio, già nel buio, esso accoglie seduti i due protagonisti, Ely e Massimo. Dietro al divano, sul fondo, un poco a destra (guardando il palcoscenico), una finestra: ai due lati scendono le tende, rosse come il divano. I vetri sono illuminati a tratti da bagliori esterni, che simulano fuochi d’artificio. Al loro rumore ovattato, si unisce quello continuo, ma ovattato anch’esso, di una pioggia battente, insieme a scoppi di bottiglie stappate, grida festose di brindisi…

Sulla parete grigia, di lato alla finestra, come fossero quadri, alcuni specchi appesi, di varie dimensioni, con bizzarre e vistose cornici. Sulla sinistra, un grande orologio a muro segna la mezzanotte.

I protagonisti, seduti l’uno accanto all’altro, fissi come manichini, stanno fumando. Le volute di fumo volteggiano nell’aria. La biondissima ELY: ha il volto esile e ben truccato. Il suo corpo sensuale è stretto in un abito nero, lungo e scollato, con un ampio spacco che mostra due splendide gambe accavallate, fino al pizzo delle calze nere autoreggenti. Massimo, capelli brizzolati, indossa un elegantissimo completo da sera.

Tutti i suoni e i rumori di fondo a un tratto tacciono. Resta solo quello della pioggia.

 

bello angelo androgino

Ci sono molte cose che possono accadere…

MASSIMO: (guardando davanti a sé) Cade molta pioggia, stasera.

(dopo una breve pausa): Ci sono molte cose che possono accadere…

ELY: (guardando anch’essa davanti a sé, in tono neutro, quasi inespressivo) Ma non tutte le cose accadono… Accadono veramente soltanto le cose che noi non vogliamo. Anzi, le cose che non vogliamo, quelle sì, irrimediabilmente, accadono.

MASSIMO: (con tono affabile) Un filosofo tedesco del Novecento ha detto che il mondo è tutto ciò che accade, ma ha dimenticato un particolare: che noi non sappiamo quasi mai ciò che accade e quando accade.

ELY: (come in uno stato di apnea) Ciò che non vogliamo, ciò che non siamo…

Massimo sfiora con la mano il ginocchio di Ely, vi si sofferma. Poi, la sua carezza sale su, fino al pizzo delle calze. Sale ancora e le tocca i fianchi. Ely resta immobile, come una bambola o un manichino. Ma, a un tratto, un brivido lungo la schiena la risveglia dal proprio stato di apnea.

MASSIMO: (in un ironico fraseggiare, ammirandola) Sei una donna indiscutibile, con delle gambe indiscutibilmente inoppugnabili ed eleganti… Ed io ho un debole per le donne indiscutibili…

ELY: (a bruciapelo) Che cosa significa per te “indiscutibile”?

MASSIMO: Significa che la tua bellezza non si può discutere: è un dato, un evento che bisogna accettare così com’è. Se fossi in te, non correrei il rischio di perdere un’occasione così ghiotta per fare la mia conoscenza. (dopo una pausa, con humour): Vedi, potrei cambiare idea e fumarmi un’altra sigaretta… Sai, il velodromo di Monza contiene meno curve del tuo abito leggero… ed io amo appassionatamente prendere le curve in velocità!

 Dopo un silenzio gelido, Ely, all’improvviso, getta la testa indietro e prorompe in una fragorosa risata, che cessa di colpo. Fissa gli occhi sulla tappezzeria. Poi, nel momento in cui li distoglie, incontra di sfuggita quelli di Massimo. Ely appare smarrita in una inafferrabile inquietudine, che dissimula in finta allegria.

 ELY: (guardando davanti a sé) Tu vivi senza scandalo.

MASSIMO: (rivolto ad Ely, in contropiede) E tu vivi per lo scandalo.

ELY: (dopo un attimo di esitazione, nello stesso modo diretto di Massimo, guardando i suoi capelli brizzolati) Tu vivi sul filo del rasoio.

MASSIMO: E tu vivi in bilico, come dentro l’ovatta e sull’orlo di un precipizio.

ELY: (con l’intento di sorprendere, meravigliare Massimo) Io, invece, non cambierei il mio precipizio per un semplice rasoio.

MASSIMO: (come a voler chiudere il dialogo, lasciando Ely sospesa, perplessa): Ciascuno ha il suo modo di stare sul filo del rasoio o del precipizio. È il nostro modo di essere interlocutori: si scelgono uno o due oggetti, una o due metafore… e si continua per tutta l’esistenza  a parafrasare quegli oggetti, quelle metafore…

Ely alza gli occhi sul volto di Massimo. Ritorna da lontano la musica udita all’inizio. I due si guardano e, all’improvviso, si baciano: Massimo in modo affannoso, appassionato, Ely, invece, altera, come assente. E continuano a baciarsi, anche quando, lentamente, cala la luce sul palcoscenico, insieme alla musica.

Buio.

  

Secondo quadro

Le lancette dell’orologio a muro segnano le 3,20 circa: è pomeriggio. Una luce piena illumina la scena. Il divano rosso si trova un po’ più a destra, in prossimità della finestra, aperta sul cielo sereno. Le stesse tende rosse, ai lati. Alle pareti, gli stessi specchi. Sulla sinistra un tavolo con le sedie.

Ely è semidistesa sul divano, con la schiena appoggiata al bracciolo. Fuma pigramente e indossa una vestaglia di seta e pizzo nero che le lascia intravedere le gambe vestite dalle calze autoreggenti. Ai piedi, delle pantofole con un piumino di struzzo e tacchi alti. I capelli vaporosi sono raccolti disordinatamente dietro la nuca.

Massimo indossa dei pantaloni di velluto e una giacca di tweed marrone su una maglia chiara girocollo. Appoggiato alla finestra, fuma anche lui.

Le note di una canzone risuonano per un attimo, insieme ai rumori della strada. Poi, si perdono.

MASSIMO: (con aria leggera, divertita) Ah, lo sai, Ely!, il mio amico Raf… Raf Vallone (ridendo), come lo chiamo io… quello scrittore mancato peggio di me… beh, era proprio pazzo, lo sai? pazzo di te! Ti trovava portentosa quando lo portavo al locale e tu cantavi… La tua voce profonda e roca, diceva che era strascicata come se ti trascinassi dietro una borsa piena di pietre… (e ride di nuovo). Continua a leggere

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Commedia, Lu miraculu liberamente tratta da San Giovanni decollato di Nino Martoglio, messa in scena il 28 luglio 2017 a Maruggio (Taranto) dal Gruppo Teatrale de La Filodrammatica Maruggese – a cura di Antonio Sagredo

Teatro 1

  A Maruggio (Taranto) la sera del 28 luglio scorso è andata in scena la rappresentazione Lu miraculu, che come è scritto nel bel manifesto, è una “commedia comica in 3 atti liberamente tratta da San Giovanni decollato di Nino Martoglio, adattata in vernacolo maruggese da Giovanni Magliola”.

 Nino Martoglio (1870-1921), fu celebre ai suoi tempi per essere stato sceneggiatore e regista e grande organizzatore di talento di messinscene di proprie opere e di altri autori importanti, specie francesi; inoltre scrittore e poeta.  Fu tenuto in gran conto da Pirandello con cui scrisse due racconti in vernacolo siciliano. Fu apprezzato anche da Giosué Carducci per il “verismo descrittivo” della natura siciliana.

“Nel 1901 creò la Compagnia Drammatica Siciliana, e nel dicembre 1918 fondò l’ultima sua compagine teatrale, la Compagnia del Teatro Mediterraneo, attiva fino al 1920”.

(ulteriori informazioni su Nino Martoglio in internet).

TeatroIl Gruppo Teatrale de La Filodrammatica Maruggese è diretto da un capocomico di gran talento, Gaetano Lombardi, che dopo aver fatto una doverosa e davvero onorata gavetta (come del resto tutti i grandi capocomici italiani) ne è divenuto di questo “Gruppo” un conduttore acclamato, circondato dall’affetto dei suoi concittadini, e ciò lo si vede che quando entra in scena subito un applauso lo accoglie, così come alla fine di ogni spettacolo durante la presentazione di tutti gli attori chiamati uno per uno per nome e cognome da lui stesso. Gaetano Lombardi sono circa più o meno 35 anni che fa il capocomico con la serietà e dignità che richiede il suo ruolo costante e mai contestato. Questa Filodrammatica di Maruggio è nata nel 1968, e costituita nel 1976 con atto notarile.  L’anno prossimo saranno dunque festeggiati i 50 anni di attività si spera con il calore non solo concittadino, ma pure della provincia, invitando importanti altre compagnie, come lo si fa da tempo.

Lo spazio, in genere, in cui si svolgono le rappresentazioni estive teatrali di questo Gruppo è il Giardino della Biblioteca Comunale, che è situato a ridosso della Chiesa Matrice, dedicata alla Natività della Vergine Maria; fu edificata nel XV secolo nel centro storico del paese. Questo spazio è davvero delizioso, è un piccolo scrigno che raccoglie circa 250 persone. All’epoca doveva essere un luogo circoscritto di raccoglimento e di preghiera dei religiosi.

La regia dello spettacolo Lu miraculu  è affidata a Nicola Pastorelli; l’allestimento scenico a Damiano Pisconti (che ha funzioni anche di attore e fotografo) e Arcangelo Pulieri. I suggeritori davvero encomiabili, sono: Valeria Lombardi, instancabile e puntigliosa – sembra proprio lei a dettare i tempi delle battute e di alcune azioni, e a Gregorio Solazzo.

Gli interpreti /attori sono seri caratteristi che da tantissimo tempo seguo ed ammiro: alcuni non recitano più, come p.e. Giovanni Magliola, che fu 1° attore capocomico della Filodrammatica, poi è divenuto adattatore in ”vernacolo maruggese” di tantissime opere rappresentate, talvolta aiutato dallo stesso Gaetano Lombardi, e da altro attore. Ricordo, fra tanti fini caratteristi, Erminio Marsella, ma altri hanno lo stesso onore di venire ricordati. Ma sono le attrici che ricordo di più, alcune di loro forse avrebbero meritato di più come p.e. Daniela Guarini (che talvolta ho accostato alla verve di Dolorese Palumbo); poi Serena Guida, Maddalena La Torre, e infine a Ada Venneri, che da 4/5 anni dà prove egregie di disinvoltura scenica. Continua a leggere

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È scomparso Dario Fo, il premio Nobel del 1997, il«giullare», come è stato definito da quella parte d’Italia che fa capo al potere clerico-fascista; il grande drammaturgo, come diciamo noi, un intellettuale e un artista che non è mai sceso a patti con il potere partitico e il conformismo dell’Italia di questi ultimi decenni

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«I miei grandi maestri? Ruzzante e Molière». Ci ha lasciati Dario Fo, è morto a 90 anni e sette mesi per complicazioni polmonari. Era ricoverato da 12 giorni all’ospedale Sacco di Milano. Un’esistenza bizzarra, unica. «Esageratamente fortunata», come diceva lui stesso. Figlio di un capostazione era nato il 24 marzo del 1926 in un paesino del lago Maggiore. L’ attore versatile, il drammaturgo, il regista, lo scenografo, l’impresario del suo teatro, lo scrittore, il pittore, l’uomo che ha occupato un ruolo sinistra eslege, il «giullare», come  è stato definito dalla massa dei conformisti benpensanti a cui non andava giù l’assegnazione del Nobel nel 1997. Dario ha sempre fatto il teatro che gli era congeniale, quello di Ruzzante e della Commedia dell’arte, quello che si fa beffe del potere e del Palazzo, come lo chiamava Pasolini. Il Nobel manda in tilt gli intellettuali benpensanti. Dario Fo: l’eterno giullare, premio Nobel per la Letteratura, istrione del palcoscenico, come viene definito.

Siamo neli anni dell’Accademia di Brera, ricchi di stimoli culturali, fino alla divisa della Repubblica di Salò, «per non finire deportato in Germania»,  come spiegò più tardi. Dai testi radiofonici del Poer nano all’esordio con Parenti e Durano al Piccolo Teatro con Il dito nell’occhio, all’unica esperienza cinematografica, con Carlo Lizzani che gli cuce su misura il film Lo svitato. E poi l’incontro con Franca Rame, fulminante,  la donna della sua vita, la compagna che ha saputo dargli per tutta la vita il sostegno e l’incoraggiamento di cui Dario aveva assoluto bisogno.

Siamo negli anni della messa al bando dalla Rai democristiana. Siamo nel 1968 quando una sua canzonetta, cantata insieme a Enzo Jannacci, viene rifiutata dal Festival di San Remo.

Marito e moglie danno vita ai surreali titoli degli anni Cinquanta e Sessanta, Gli Arcangeli non giocano a flipper, Chi ruba un piede è fortunato in amore, La signora è da buttare; debuttano in tv nella scandalosa Canzonissima del ‘62 che gli costò la messa al bando per 14 anni dalla Rai democristiana. Segue il grande successo di Mistero Buffo del ‘69, dove Fo riprende a modo suo la lezione dei fabulatori e dei cantastorie, raccontando il sacro e il profano, sberleffi e sublime, le storie della Bibbia e dei Vangeli, di papi boriosi e di villani. Il ‘69 è anche l’anno della strage di piazza Fontana, inizio della strategia della tensione e degli anni bui. Storia e cronaca entrano prepotenti nel teatro di Dario, che sera dopo sera scrive e riscrive le pièce modificandole in diretta sugli eventi. Così è per Morte accidentale di un anarchico, sulla morte di Pinelli; così per Il Fanfani rapito. Un teatro fitto di rumori e di sberleffi, trombette e quisquilie, gli anni ruggenti della Palazzina Liberty. La polizia trova ogni pretesto per impedire gli spettacoli, irrompe sovente anche in teatro. Con grande intuito Dario Fo trasforma quelle invasioni in episodi improvvisati di una farsa che continua. Un elenco di sberleffi contro il potere ottuso dell’epoca democristiana con il suo grammelot infarcito di lessemi e di fonemi, di idiomi disparati, nonsense, bisticci linguistici. Una invenzione in progress, irrefrenabile, multiforme, magmatica, irriverente, prorompente che prende corpo in circa un centinaio di testi teatrali.

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Accolto con entusiasmo all’estero, con sufficienza e ironia in Italia, dove la nicchia benpensante della letteratura italiana mal digerì quel Nobel. Dario Fo, diceva la motivazione degli Accademici svedesi, «seguendo la tradizione dei giullari medioevali dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi». Riconoscimento a cui Dario rispose ringraziando quei dimenticati e anonimi maestri, ricordando Ruzzante e Molière e, su tutti, Franca Rame, la sua compagna di una vita, con la quale condivise il riconoscimento dandole  pubblicamente il ruolo di coautrice di tante commedie e sua consigliera. Franca Rame muore il 29 maggio del 2013. Per Dario Fo è un dramma. Al lutto di Franca si aggiunge quelli di Enzo Jannacci, amico e complice di canzoni irriverenti, da «Ho visto un re» a «El purtava i scarp del tennis» e quello recente di Gianroberto Casaleggio. È Franca a mancargli sempre di più, la perdita è incolmabile. Si getta nella campagna politica, appoggia il movimento dei 5 Stelle, scrive testi e articoli, interviene nei media, dipinge.

Una disperata vitalità. Ricordo che, intervistato sui giovani, disse che dovevano pensare a «grandi imprese». Li voleva spronare a non acquietarsi al presente, a non accettare la vulgata del potere.

(Giorgio Linguaglossa)

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Dario Fo e Franca Rame, 1962

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Su cantiam, su cantiam…
“Popolo di poeti, di cantanti, di canzonettisti, di cantautori;
Popolo di Canzonissima: cantate!
Popolo del miracolo
Miracolo economico
O popolo che volendolo
Puoi far
Quel che ti par
Hai libertà di transito
Hai libertà di canto
Di canto e controcanto
Di petto ed in falsetto
Chi canta è un uomo libero
da qualsivoglia ragionamento
Chi canta è già contento
di quello che non ha
Su cantiam, su cantiam
Evitiamo di pensar
Per non polemizzar
Mettiamoci a ballar
Su cantiam, su cantiam
Evitiamo di pensar
Per non polemizzar
Mettiamoci a ballar
Facciam cantare gli orfani
Le vedove che piangono
E quelli che dimostrano [E gli operai in sciopero]
Lasciamoli cantare
Facciam cantare gli esuli
Quelli che passano le frontiere
Assieme agli emigranti
Che fanno i minator
Su cantiam, su cantiam
Evitiamo di pensar
Per non polemizzar
Mettiamoci a ballar
Su cantiam, su cantiam
Evitiamo di pensar
Per non polemizzar
Mettiamoci a ballar
O popol musicomane
Che adori i dischi in plastica
Aspetti Canzonissima
Come Babbo Natale
Un Babbo un poco frivolo [senza scrupoli]
che alleva un sacco di canzonette
E poi te le fa correre al posto dei cavall
E poi te le fa correre al posto dei cavall
Boom!”

Sigla di Canzonissima 1962

Musica di Dario Fo e Fiorenzo Carpi.

dario-fo-e-franca-rame-e-compagnia-briscola

dario-fo-e-franca-rame-e-compagnia

dario-fo-comunicato-di-solidarieta-degli-operai-a-dario-fo-per-il-licenziamento

comunicato-di-solidarieta-degli-operai-a-dario-fo-per-il-licenziamento dalla RAI 1962

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