Marie Laure Colasson, Struttura, 30×32, acrilico, 2021
[Riterritorializzare frammenti, tracce, orme, lessemi, impulsi, abreazioni, rammemorazioni, idiosincrasie, tic, vissuti, dimenticanze, obblivioni; attaccare post-it e segnalibri, segnali semaforici e somatizzazioni, pixel, trash, pseudo trash, codicilli… questo spetta all’arte, è compito dell’arte senza più voler sondare chissà quali profondità metafisiche; in fin dei conti tutte le tecniche sono parenti strette della Tecnica con la maiuscola che afferisce al Signor Capitale e ai suoi epifenomeni: gli esseri umani, gli acquirenti consumatori di merci. Il Capitale pensa, sa, ma l’arte ne è consapevole e dismette gli abiti di scena, adotta la strategia del camaleonte, si mimetizza tra gli oggetti, vuole essere un oggetto più oggetto di altri, da usare e gettare via; vuole essere un oggetto meno oggetto di altri, vuole essere un conglomerato di orme, di tracce di oggetti scomparsi, luminescenze, rifrazioni di oggetti sprofondati in chissà quale superficie…]
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Alcune domande di Gino Rago a Giorgio Linguaglossa
Domanda: Che cosa intendi per «riterritorializzazione delle tecniche [poetiche] precedenti»?
Risposta: «riterritorializzare» le tecniche precedenti (la rima, il ritmo, il piede, il metro, l’assonanza, la consonanza, il parlato, il dialogato, le voci interne, le voci esterne, il distico, la strofe, il salto, il frammento, la peritropè, la metafora, l’allegoria, la metonimia, la metalepsi etc.) vuol dire averle incorporate in un nuovo modello, in una «nuova poiesis» (che ha al centro il polittico), qualcosa di radicalmente distinto e diverso dal modello della poesia lirica, post-lirica ed elegiaca della tradizione, tanto per utilizzare le categorie continiane.
Domanda: Tu hai scritto in modo un po’ sibillino che «L’evoluzione della poiesis va in parallelo con l’evoluzione tecnologica». Esattamente:
«Ogni tecnica è il prodotto di una riterritorializzazione delle tecniche precedenti. Con il che intendo dire che fare e leggere una poesia kitchen significa aver operato una riterritorializzazione delle tecniche precedenti, aver cioè imparato a far interagire in modo inatteso e inconsueto le tecniche precedenti in funzione di un nuovo modello di poiesis. L’evoluzione della poiesis va in parallelo con l’evoluzione tecnologica. Significa aver imparato il punto in cui una tecnica non può essere ulteriormente sviluppata senza l’ausilio di una riterritorializzazione della medesima tecnica.
Fu Marx il primo a suggerire che ogni macchina è sempre la riterritorializzazione di precedenti relazioni di potere. Tanto quanto la divisione del lavoro è plasmata dai conflitti sociali e dalla resistenza dei lavoratori, allo stesso modo procede l’evoluzione tecnologica. Le parti del “meccanismo” sociale “aggiustano” se stesse alla composizione tecnica loro contemporanea a seconda del grado di resistenza e conflitto. Le macchine sono forgiate dalle forze sociali ed evolvono in accordo con esse. Pure le macchine informatiche sono la cristallizzazione di tensioni sociali. Se accettiamo questa intuizione politica, che significa guardare alle relazioni sociali e ai conflitti sostituiti dalle macchine informati-che, abbiamo finalmente una metodologia per chiarire le generiche definizioni di “società dell’informazione”, “società della conoscenza”,“società della rete”, etc. Le macchine industriali non erano la sostituzione pura e semplice dei cavalli vapore degli operai, ma corrispondevano ad un intero insieme di relazioni sviluppate nel periodo manifatturiero; così le macchine informatiche vengono a rimpiazzare un insieme di relazioni cognitive già al lavoro ad esempio all’interno della fabbrica industriale del post-fordismo.»
Risposta: il dispositivo che abbiamo messo a punto in questi anni insieme a tutti gli amici dell’Ombra ha dato luogo ad un genere di poiesis completamente nuovo: la poetry kitchen, quale ultimo stadio della ricerca verso una nuova ontologia estetica.
Domanda: Vuoi dire che senza la ricerca di una nuova ontologia estetica o fenomenologia del poetico non si dà una «nuova poesia»?
Risposta: Si può scegliere di restare all’interno del perimetro della poesia della tradizione recente incentrata sulla Maestà dell’Io, ma si farà una poesia tradizionale, che non risponde e corrisponde alle esigenze dei tempi. I tempi chiedono altro.
Domanda: Un poeta deve guardare al passato o al futuro?
Risposta: Penso che un poeta debba non soltanto guardare al futuro ma debba inventarsi il futuro. Penso che debba «reinventare il reale», come diceva Baudrillard, ma per far ciò deve reinventare un linguaggio e un nuovo modo di abitare il linguaggio.
Domanda: Ennio Flaiano diceva: «Faccio progetti soltanto per il passato».
Risposta: Io faccio progetti soltanto per il futuro.
Domanda: il salto e la peritropè, il polittico, il capovolgimento sono caratteristiche essenziali della poetry kitchen?
Risposta: Sì, e ci aggiungerei la «palallasse», cioè il cambiamento del punto di vista e della linea di visione di un soggetto che si sposta lungo lo spazio e il tempo, che permette la raffigurazione di un oggetto mutante, che muta in rapporto con lo spazio e con il tempo, oltreché in rapporto con il soggetto. Ritengo l’impiego della «palallasse» fondamentale per la «nuova poesia», unitamente all’impiego del «polittico».
Domanda: Insomma, tu dici che si deve inventare un linguaggio che non c’è?
Risposta: Esatto.
Domanda: Un compito non del tutto semplice.
Risposta: Per prima cosa bisogna liberarsi della parola «poesia», troppo inquinata da parolismi e parolieri che l’hanno adulterata, per pensare e per parlare in termini di «polittico». È dal «polittico» che nasce la nuova impostazione della poesia. Finché non si pensa in «polittico» si ritornerà a fare poesia post-elegiaca nel migliore dei casi.
Domanda: La tua poesia, Stanza n. 57 è stata pensata in termini di «polittico» e di «composizione»?
Risposta: A mio avviso, finché non si pensa in termini di «polittico» e di «composizione», e quindi di «peritropè», cioè di capovolgimento e di metalepsi non si può parlare di «nuova poesia».
Domanda: È possibile, quindi, a tuo avviso, abitare un linguaggio inventato?
Risposta: A mio avviso, non solo è possibile ma è il solo modo per fare poesia.
Domanda: La tua raccolta poetica ancora inedita su carta Stanza n. 23, è scritta con un linguaggio inventato?
Risposta: Di sana pianta. Infatti ho pubblicato sullì’Ombra la Stanza n. 57, uno dei «polittici» più semplici della mia raccolta ancora inedita.
(Roma, 22 gennaio 2021)
Marie Laure Colasson, Struttura, 30×30, acrilico, 2021
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Guido Galdini
Ai miei tempi, affibbiare una Kappa iniziale ad un cognome era il massimo della perfidia. L’esempio supremo era il famigerato Kossiga. Leggendo le disavventure dei signori K. e Cogito mi è venuto in mente di operare un tamponamento tra i due, per ottenere un preoccupante signor Kogito.
Ed ecco il suo doveroso pseudolimerick. (g.g.)
C’era un tempo un sinistro signor Kogito
che andava trafelato a fare un rogito
a chi gli domandava della fretta
rispondeva con aria maledetta
di non intrufolarsi nei suoi affari
di locazioni e redditi fondiari
a chi invece si inquietava per la kappa
offriva del veleno misto a grappa
chi vuol sapere il motivo di quel rogito
fornisca un’altra rima a “signor Kogito”.
Mauro Pierno
Se volessi un’altra volta…(F. Fortini)
Un mendicante di mancette elettorali,
il sibilo è un teatro da quarta parete,
sullo sfondo un grande rullo compressore che avanza.
Uno scontro. Uno scoppio.
La fine la sai Amleto, la realtà che più non parla, e sai pure
che quella -pallottola- attraversa la storia per trovare il suo dolore.
-La stagione portò il battesimo alle Melinde, senza danneggiare i melograni- il nostro Sturm und Drang.
Un punto soltanto di calma somministrazione si avverte nelle onde,
il vento sopraggiunge dal centro, da uno strano -cappello a cilindro-.
La quiete, la quarta parete è sterile.
Tutto il teatro ha porte mobili.
Scena prima: tutto presuppone un dolore, tutte le suppellettili, i quadri e le imbottiture sono rimpinzate a dovere, nelle vene il virus dell’ossessione.
[Chiaro spunto dagli scritti di Gino Rago, Mario M.Gabriele, Giorgio Linguaglossa.]
Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa YY, acrilico 50×30 cm., 2020
Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa XX, acrilico 50×30 cm., 2020
Ed ecco che la struttura dissipativa di Marie Laure Colasson giunge alla sismografia della luce e delle forme, alla spettrografia come sismografia del frammento, al frammento come linguaggio originario, linguaggio allo stato aurorale incipitario. Perché lo scopo dell’arte è oggi quello di reinventare il reale. Occorreva ripartire dall’alfabeto e dal lessico del frammento e dalla forma frammento, dalle forme primordiali della curva e della semiretta, dalla luce e dal colore per poter costruire una nuova sintassi dove la forma-colore e la forma-limite assumessero un ruolo determinante. Il tratto, il graphein singolare trascrive la sismografia del testo, il luogo-non-luogo che soltanto il frammento può abitare. Ha scritto Lucio Mayoor Tosi: «vedere come può stare un verso lanciato nel vuoto, senza una chiara ragione e soprattutto senza difese. Come un bengala nel buio, un verso nel futuro».
«Il frammento è il sigillo di autenticità dell’arte moderna, il segno del suo sfacelo», ha scritto Adorno nella Teoria estetica, pensiero quanto mai vero che si insinua all’interno del facere della «nuova poiesis» con lancinante attualità. L’aforisma di Minima moralia che recita Das Ganze ist das Unwahre («il tutto è il falso») è il rovesciamento di un noto passo della Fenomenologia hegeliana che recita: «Il vero è il tutto [Das Wahre ist das Ganze]». La poetica del «frammento» è la risposta più evidente e forte che l’arte oggi dà alla Crisi dell’arte e alle ideologie dominanti, con la consapevolezza che la poiesis del «frammento» è la poiesis del negativo, della negatività assoluta che confuta il «falso» e il «vuoto» della «totalità» che abita l’ideologia della riproposizione metrica. Le immagini dell’arte sono diventate effimere, serializzate, moltiplicate, e quindi de-realizzate, precipitate nel valore di scambio, sono state scambiate per qualcosa d’altro, si sono scoperte libere.
Ma, libere da che cosa? Ad essere revocato nel nulla, e cioè nell’inesistente, è il loro «valore», è la loro posizione nel mondo, tant’è che non suscita più alcuna meraviglia la loro sostituzione con l’icona pubblicitaria e l’icona dei media. In questo contesto, la diagnosi di Fredric Jameson sul postmodernismo cade nel vacuum, le tipiche armi dell’avanguardia novecentesca – lo choc, la rottura, lo scarto – diventano variabili richieste dal sistema, infinitamente replicabili, e viene preventivamente azzerato il loro valore di posizione, di op-posizione, la loro capacità di rendere visibili, attraverso lo scarto imprevedibile, i rapporti di forza che si celano nel reale, di creare un varco nel dispositivo dell’istituzione-arte. Semmai, oggi, lo scopo dell’arte non è tanto creare un varco nella significazione ma negare la stessa significazione per sostituirla con un’altra artatamente posta.
(g.l.)
Mario M. Gabriele
Una Jeep Renegade ferma davanti alle VideoNews.
Signorina Borromeo, l’aspettiamo qui
dove meglio si possono leggere i suoi pamphlets.
Non dicono molto
ma rappresentano episodi di prosa spontanea.
Esterno. Campo vietato. Bandiere a mezz’asta.
Resiste in classifica
L’Enigma della camera 622 di Joel Dicker.
Meg ha in mente un viaggio,
lasciando la speranza ai poveri e i copecki ai ciechi.
Un Web-designer accende il PC
per correggere i fogli di Criminal Found.
Rivediamo i Mondi di Oz
anche se Turner lo fa di malavoglia.
Il cane bassotto
non trovò le tracce dell’assassino della piccola Maddie.
Tace la radio Deejay. Non c’è nessuno
che ascolti gli Scorpions.
Tornano in gioco Hamm e Clov
nella Febbre del Sabato Sera.
Volano i tweet. –Andrà tutto bene.
Ne sono sicuro- , disse il tutor su Instagram.
Si è fatto tardi. Silenzio blu notte
con flash mob lungo il colonnato.
Una farfalla muore sul poster di Guernica.
La guardo se mai dovesse volare via.
TM 22 è il numero del Call Center
per vedere Shining di Stanley Kubrick.
-Manca l’attitudine a produrre verità e trarre un film-
disse il critico all’autore della sceneggiatura.
Schermo piatto.Colore nero.
Diffusione di lampade Led in Galleria.
Miss Klary stava dietro ad una storia
dopo i dati dei subplots.
Voce di fondo e inquadrature a fumetti
nelle mani di un viaggiatore nel mondo.
Dolly voleva riprendere il cielo con uno Zoom
e ricavarne una Metafisica.
-Va bene, puoi provarci.
Saranno le nuvole a distrarti-,
disse Seanbook, manager del Progetto Outline
affiliato alla Glenn Artur jr e Company di Filadelfia.
Ginsberg, in quarantena, chiedeva Howl.
Voleva mettere qualcosa di suo e della Corea
con uno shock stellato di misericordia.
caro Mario,
Per capire il mondo attuale non abbiamo più bisogno della poesia.
L’arte che si fa oggi in Europa è simile al dolcificante che si mette nel veleno.
I piccoli poeti pensano al dolcificante in dosi omeopatiche…
È molto semplice: Dopo le Avanguardie non ci saranno più avanguardie, né retroguardie, le rivoluzioni artistiche e non, non si faranno né in marsina né in canottiera. Non si faranno affatto.
La tua poesia, caro Mario, è l’epitaffio più sincero che oggi si possa scrivere per il cadavere della poiesis.
(Giorgio Linguaglossa)
caro Giorgio,
La mia perplessità è un’altra: ci sono voluti anni per mettere a punto un discorso critico sulla scrittura a frammenti, anni per creare in distici (tra l’altro, allo scopo, penso io, di stabilire una situazione d’obbligo alla poesia, non divagante ma per aprire gli occhi, svegli nel sogno), anni per la struttura a polittico (come per allargare confini), per poi ripiegare sul verso libero, anche se in forma di casamatta, cioè di architettura non per upper class… ora Pop, tra Rushdie e il Tarantino di Pulp Fiction, la più avanzata cinematografia. Tutto questo mentre sento crescere, nel mio piccolo mondo, il bisogno di riordinare (il mio stupore nell’accorgermi di stare nel marasma con simil doppi ottonari e novenari)… Abbiamo riaperto le danze?
(Lucio Mayoor Tosi)