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Bob Tsao ci racconta come aiuta Taiwan a resistere alle minacce cinesi colloquio con Francesco Chiamulera da “Il Foglio” 31 marzo 2023

FRANCESCO CHIAMULERA  

Se l’isola è descritta come debole, l’attacco cinese arriverà prima, come con Kyiv. E dice sicuro: «gli americani non ci abbandoneranno». Colloquio con Bob Tsao, il fondatore del colosso UMC, seconda azienda taiwanese dei semiconduttori

Taipei. “Ieri sera ho incontrato un gruppo di medici di Taipei che stavano per partire per l’Ucraina. Che bravi. Ho dato loro dieci milioni di dollari taiwanesi”. Sorride. Alza il pugno destro. La chioma bianca, intatta e ribalda, elegantissima, si muove appena mentre Robert Tsao, settantasei anni, fondatore del colosso UMC, seconda azienda taiwanese dei semiconduttori, si alza dal proprio posto alla scrivania e guarda fuori dalla vetrata gigante. Siamo in una delle sue svariate penthouse nel centro della capitale dii Taiwan. Vista: il parco di Daan”, emulazione in piccolo formato di “Central Park” e “Hyde Park”, un po’ rigoglioso e traboccante di piante tropicali, un po’ soffocato tra i vecchi e cadenti edifici della frettolosa edificazione post 1949, quando l’isola si fece rifugio dei nazionalisti in rotta dopo la sconfitta nella guerra civile. Dieci milioni di dollari taiwanesi sono trecentomila euro: bruscolini per Tsao, miliardario liberale che ha fatto la sua fortuna con i chip e che ha fatto notizia nell’agosto scorso presentandosi in conferenza stampa con giubbotto antiproiettile, caschetto militare e giovane attivista capellone taiwanese al fianco, per annunciare che donava cento milioni di dollari (americani, però: una montagna di soldi) all’autodifesa di Taiwan contro la Cina comunista. “Non intendo vedere Taiwan fare la fine di Hong Kong”.

Collezionista coltissimo e curioso – “quello? È della dinastia Han, 100 a.C.”, e indica un vaso di bronzo, “carina la statua, vero? È un bodhisattva, ottavo secolo”, “le piace questo? Anche a me, è un antico corno persiano” – la sua è una delle raccolte private di manufatti antichi più ragguardevoli di tutta l’Asia. Nato in una famiglia della piccola borghesia (il padre era insegnante), imprenditore dagli interessi vasti e dalle molteplici capriole, Tsao è ora l’avanguardia dei falchi taiwanesi anti Pechino. In un momento di grandi angosce per la sorte dell’isola ha fatto scalpore tornando nel luogo dove è cresciuto e fatto fortuna, stracciando con gran senso del teatro il passaporto di Singapore e riprendendosi fieramente la cittadinanza taiwanese. “Credo che i miei concittadini abbiano apprezzato”, dice in una lunga chiacchierata al “Foglio” a piedi  scalzi, con indosso una camicia impeccabilmente stirata su cui campeggia il “Mala”, la collana mnemonica buddista in legno di sandalo, nell’appartamentone minimalista in centro a Taipei, la grande libreria che gli sta dietro piena di testi anticomunisti. “L’ho fatto per incoraggiarli. Comprendo la paura che la Cina può incutere nelle persone comuni, ma devono sapere che io ho rinunciato alla mia cittadinanza singaporiana per questa nazione. È per loro che ho abbandonato la mia comfort zone, è per loro che sono tornato a vivere in un luogo pericoloso. L’ho detto ai taiwanesi americani che mi hanno invitato l’estate scorsa a un summer camp in America: bisogna avere coraggio, eccomi, sono qui per darvi il mio”. Il linguaggio e lo spirito è churchilliano, se non proprio quello dell’ora più buia poco ci manca. E il capellone che gli stava accanto in conferenza stampa si chiama Puma Shen.

È il fondatore della Kuma Academy, una delle nuove scuole di addestramento all’autodifesa dei civili sorte a Taiwan in questi mesi concitati. Spiegano ai cittadini come prepararsi a un attacco della Repubblica popolare cinese: come trovare rifugio, come prestare il primo soccorso. Tsao era lì con lui, un signore che potrebbe serenamente godersi i suoi miliardi in qualche isola di privilegio in occidente e invece sta qui, sul fronte, dove ha preso tutta un’allegria militante e adrenalinica, da nuova Guerra fredda. Un editoriale del Taipei Times di qualche mese fa cercava di stargli (faticosamente) dietro, ammettendo che “tracciare la traiettoria di Bob Tsao non è facile”. Ma poi lo stesso quotidiano diceva una cosa molto vera: è la traiettoria di Taiwan stessa che è difficile da tracciare. Solo dieci anni fa, nel tempo della globalizzazione ancora in auge, non era impossibile coltivare qualche speranza non ingenua di riavvicinamento tra le due sponde. Non era raro vedere studenti taiwanesi all’università di Pechino, mentre frotte di cinesi continentali riempivano le vie di Taipei. Non sorprende, dunque, che nella sua estrosità mercantile lo stesso Tsao facesse i suoi affari con il mercato cinese, appoggiasse in modo ondivago partiti e politici che parlavano più o meno apertamente di prospettive (lontane) di riunificazione, viaggiasse in giro per l’estremo oriente considerandosi un cittadino dei luoghi che garantivano di volta in volta le condizioni più favorevoli per i suoi affari. In pochi anni, soprattutto dall’ascesa di Xi Jinping,  tutto è cambiato. “Innanzitutto abbiamo bisogno di restare uniti come taiwanesi. Vogliono eliminarci, portarci via le libertà, il nostro stile di vita improntato allo stato di diritto. E come ogni democrazia, Taiwan non è un monolito, molti qui sono confusi e disinformati. La Cina è riuscita a penetrare i media locali, a pagare commentatori ed editorialisti, a comprare testate, a diffondere la sua propaganda”. A Taiwan? Sul serio? “Ma certo. La gente è ovunque superstiziosa e credulona. Prendete i templi locali, le comunità, i gruppetti religiosi: a Taiwan sono quasi tutti infiltrati dal Partito comunista cinese. Bella mossa, devo dire: ampi risultati con budget ridotto. Ahah”. Ride, mentre dagli scaffali che gli stanno dietro va a cercare qualche recente lettura. Cosa pensa della politica taiwanese, del Partito progressista democratico, il partito al potere della presidente Tsai Ing-wen? “Sta perdendo la battaglia per le menti dei taiwanesi. La propaganda cinese è insidiosa, e segue alcuni semplici concetti: primo, che Taiwan è così piccola che difenderla sarà impossibile; secondo, se i taiwanesi non perseguono l’indipendenza, non ci sarà nessuna guerra; terzo, l’annessione di Taiwan alla Cina è un processo storico inevitabile, un destino segnato; quarto, è cominciata la nuova grande gioventù del nazionalismo cinese, l’èra in cui la Cina si riprende la sua gloria; quinto, la Cina avanza, gli Stati Uniti crollano, Pechino è più potente di Washington; infine, sesto, gli americani non verranno mai in soccorso di Taiwan: sono egoisti, irresponsabili, gli importa solo dei loro interessi. Credetemi, sono tutte fesserie. Propaganda! E il culmine di questo indottrinamento sapete qual è? Tsai Ing-wen, la presidente, è troppo provocatoria”. Mentre Tsao dice questo, le immagini delle televisioni taiwanesi mostrano la presidente imbarcarsi sul volo che sta per portarla in America. “Ecco, il messaggio che il Partito comunista cinese cerca di far passare presso la nostra opinione pubblica è che stiamo facendo ‘come Zelensky’. Che anche Zelensky ha tirato troppo la corda, che se non fosse stato così provocatore Putin non avrebbe invaso l’Ucraina. Un ribaltamento totale della realtà. E’ triste che ci sia in giro qualcuno che crede a queste scemenze”.

cinese drago Si racconta che nei tempi antichi, in Cina, quando arrivava un'eclissi di sole, si usasse battere i tamburi per cacciar via il dragone che si stava ...

Drago cinese – Si racconta che nei tempi antichi, in Cina, quando arrivava un’eclissi di sole, si usasse battere i tamburi per cacciar via il dragone che si stava …

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Mentre la presidente vola in California, l’ex presidente Ma Ying-jeou, del Kuomintang, il partito ex nazionalista che da acerrimo nemico dei comunisti si è fatto volto della linea morbida con Pechino, vola con sorprendente, allarmante simmetria in Cina. Che ne pensa Bob Tsao? “Ahah. Che stupido. Intendo, lui e il resto della leadership di quel partito. La verità è che la Cina potrebbe davvero attaccare Taiwan. Stiamo parlando di un’opzione reale, concreta. Ma non è affatto vero che non possiamo fare niente per evitarlo. Possiamo evitare di mandare messaggi sbagliati, ad esempio, come hanno fatto i filorussi in Ucraina quando invocavano l’intervento di Putin, quando gli facevano credere che l’invasione sarebbe stata una cosa facile e veloce. È proprio quello che dice il “Kuomintang”, quando molti suoi esponenti fanno intendere che in caso di aggressione la resistenza di Taiwan durerà poche ore, un giorno soltanto. È un messaggio molto pericoloso: incoraggia più o meno indirettamente Xi Jinping a usare la forza. Se ci vuole un giorno soltanto, perché dovrei aspettare?”.

Robert Tsao è un caso (molto) raro di imprenditore che risponde alle domande attraverso i libri che legge. “Lo vede questo?”. Squaderna sul tavolo il mitico “Illuminismo adesso” di Steven Pinker, in due edizioni, inglese e mandarino. “Poveri libri, li massacro, guardi come l’ho studiato e sottolineato. Bene, quello che dice questo libro splendido è che è l’illuminismo che ci ha portato all’ultimo stadio della nostra civiltà. E ora le maggiori forze dell’oscurantismo mondiale all’opera – la Russia putiniana, la Cina comunista, i talebani, i religiosi iraniani – sono tutte esattamente agli antipodi di quello che chiamiamo illuminismo. Vanno contro la ragione, non rispettano la scienza, non credono nell’umanesimo. Putin e Xi sono razzisti e imperialisti, la cricca che hanno portato al potere non vuole altro che l’espansione del proprio dominio e della propria influenza, approfittano della creduloneria di masse che sono ancora, di fatto, rurali. E’ l’esatto contrario di come abbiamo costruito faticosamente il mondo moderno, e cioè con la tecnologia e il pensiero scientifico. Possiamo crederci dèi, come scrive Yuval Noah Harari, ma il problema è che la nostra natura è divisa, a metà tra umani e animali. In questo senso Putin e Xi sono semplicemente dei sottosviluppati”. 

L’alleanza Mosca-Pechino reggerà?

“Non per sempre. Prima o poi finiranno per cercare di eliminarsi l’un l’altro. Ricordate Lin Biao? Mao non aveva addirittura scritto nella costituzione del partito che sarebbe stato il suo successore? Non gli era così straordinariamente leale? Bene, non è poi stato fatto fuori dal potere dallo stesso Mao? Così va sempre con i dittatori, specialmente quelli sorti nell’alveo del comunismo: non mantengono mai, mai la parola. E’ una malattia che risale a Lenin, quando disse che per eliminare la classe dominante qualsiasi mezzo era lecito: la menzogna, la contraffazione, l’inganno. Stalin lo ha fatto eliminando milioni di russi e di ucraini, Pol Pot sterminando i cambogiani, e così via”. Pausa. Altra consultazione della libreria, altri testi estratti dallo scaffale. “Mao’s Great Famine” e “The Tragedy of Liberation: A History of the Chinese Revolution”, dello storico olandese/hongkonghese Frank Dikötter. Che è lo stesso che nel suo ultimo libro, pubblicato l’anno scorso, parla della nuova superpotenza cinese.

“La Cina può essere molto potente, ma il suo dominio è a rischio. Se in questi vent’anni si è così arricchita non è certo grazie alle politiche del Partito, ma solo dell’occidente. Dell’interscambio con l’America, con Taiwan, con il Giappone, con Singapore. Ci ricordiamo di quando Deng Xiaoping andò negli Stati Uniti con quel ridicolo cappello da cowboy, a chiedere soldi e prestiti? Una politica culminata vent’anni dopo con l’accesso all’Organizzazione mondiale del commercio e l’apertura del mercato statunitense, con l’incoraggiamento agli americani a investire in Cina. Ne è seguita una specie di corsa all’oro, con la Cina che, come sappiamo, poteva offrire due cose molto appetibili: terra a bassissimo costo, perché il partito la prendeva dal popolo e la svendeva; e una riserva pressoché illimitata di manodopera altrettanto economica, poiché non ci sono leggi a protezione dei lavoratori, e i milioni di cinesi affluiti nelle città dalle campagne hanno lavorato in questi decenni in condizioni semischiavistiche. Ecco perché quando faccio shopping in Europa non compro nulla con scritto Made in China, è puro sfruttamento. Ma il punto non è questo. Il punto è che il sistema è dipeso fino a oggi dal mercato occidentale. E tutto questo sta per finire, perché seppure tardivamente gli americani se ne sono accorti”. Altri libri: “Post CCP China” di Kenneth C. Fan, e “Red Roulette”, di Desmond Shum, memoir dell’imprenditore cinese la cui moglie è scomparsa dal 2017.

Putin

Pensa davvero che il gigante cinese sia al capolinea della propria espansione?

“Sì. Il regime è in pericolo. L’economia sta rallentando e rischia la bancarotta. E in un sistema fondamentalmente mafioso, basato su ricompense verticali, gerarchiche, dall’alto verso il basso, se l’ingranaggio si ferma è tutto finito. Nella loro hybris i governanti cinesi pensano di essere a capo di un grande e brillante sistema, ma guardate quanto inefficiente e misera è stata la loro risposta al Covid. Taiwan sarà anche piccolina, ma può contare su un alleato grande e grosso: la stupidità del Partito comunista cinese. Che poi ancora non si possa vedere chiaramente, questo dipende dalle dimensioni gigantesche di quella nazione. C’è un vecchio detto in mandarino: se un insetto ha mille piedi, anche dopo che sarà morto continuerà a muoverne qualcuno. Eppure gli americani stanno tagliando i ponti. Le produzioni vengono spostate fuori dalla Cina”. Ma  a girare per le vie di Taipei, a parlare con giornalisti e opinionisti, perfino quelli vicini al filoamericano Partito progressista democratico, perfino i giovani e agguerriti attivisti che si oppongono con tutte le forze a Pechino, gira una certa sfiducia sull’appoggio che l’America sarà disposta a dare a Taiwan nel caso di un’aggressione o di un blocco navale. “Gli Stati Uniti che ci abbandonano? Non ci credo nemmeno per un secondo. Mica solo per amicizia o idealismo disinteressato. Ricordatevi di una cosa: Taiwan è diventata indipendente dal Giappone grazie agli americani. Ma non è successo in modo gratuito né indolore. L’America non ha sacrificato così tante giovani vite nel Pacifico durante la Seconda guerra mondiale per niente. Truman non ha schierato la Settima Flotta nello stretto di Taiwan il 27 giugno 1950, allo scoppio della guerra di Corea, per difendere quest’isola perché poi tutto questo andasse dimenticato. E oggi più dell’80 per cento degli americani, secondo i sondaggi, ha mangiato la foglia. L’America riconosce la One China Policy di Pechino, ma dice anche che Taiwan non ne fa parte”.

La rilevanza di Taiwan è legata anche all’egemonia nei semiconduttori, quelli che lei ha prodotto per una vita. C’è chi dice che quando l’America potrà farseli in proprio si scorderà della vostra isoletta. “Un’altra cosa in cui non credo minimamente. L’industria dei chip è strategica per il mondo libero. Ma nessuno può permettersi che Taiwan diventi una portaerei dei comunisti cinesi. Gli americani, non solo Biden, sono consapevoli che se cade Taiwan le prossime tessere del domino sono il Giappone, l’Indonesia, giù, giù, fino all’Australia. Se Taiwan o parti di essa dovessero finire sotto il giogo di Pechino gli americani non resteranno indifferenti. Ricordatevi del piccolo Kuwait attaccato da Saddam, e della fine che Saddam ha fatto. Un destino che peraltro attende anche Putin. Ecco perché sono convinto che il periodo più pericoloso per Taiwan sia alle spalle”.

Una scrollata di spalle, poi Tsao si alza e torna alla grande finestra su Taipei. Guarda fuori, al parco lussureggiante, e poi, oltre Fuxing Road e il Taipei 101, alle foreste montuose dello Yangminshan, col loro vulcano dormiente. “Guardate questo luogo verdeggiante. L’ultimo sacro angolo di civiltà cinese libera”. Certi nuvoloni neri promettono pioggia. Quanto ritiene probabile un’invasione? “Non posso dirlo. Quelli sono come zombie, e con gli zombie non ci sono previsioni che tenganoMa ci si può preparare. Altro che conquista in un giorno”. Sorride. “Se servirà combatteremo fino alla morte. Comunque vada, prendersi Taiwan non sarà un’impresa facile. Ve lo posso garantire”.

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Ilya Yashin, Il testamento di un oppositore russo colpevole di aver detto la parola “guerra”, Giunti alla fine della Seinsvergessenheit, adesso sappiamo (da Massimo Cacciari, Krisis, del 1976) che all’origine del linguaggio non c’è la parola ma il «grido», il grido di spavento e di terrore dell’homo sapiens perso nella savana che si ritira e si dirada. Giunti alla fine della metafisica e alla fine della storia, dunque, torniamo al «grido», alla «parola piena», alla parola «positiva», «ostensiva», alla parola performativa che esaurisce le sue significazioni nel detto, nell’integralmente detto, Commenti di Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa

 

Il Mangiaparole 18 Poetry kitchen
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twiter poetry di Giorgio Linguaglossa

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La ferita alla spalla Diomede l’ha guarita con insert di acido ialuronico antiadesivo, anticoagulante e ibuprofene
Erinomaco attraversando lo Scamandro ha incontrato una freccia in un occhio
Briseide è ingrassata ed è stata ripudiata
Aspasia fa la cura dimagrante
Eudossia guarda il televisore e si gode Odisseo che nel frattempo è tornato ad Itaca da quella megera di Penelope
Demostene è stato sostituito da Piantedosi
Il price cap è stato fissato a 60 euro al barile

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Giorgio Linguaglossa
5 novembre 2022 alle 17:18

È cosa nota la determinazione heideggeriana dell’essenza della metafisica come oblio della differenza di essere ed essente, nonché la contrapposizione del pensiero metafisico ad un pensiero più originario che che viene individuato da Heidegger nei detti dei pensatori aurorali presocratici. Si presenta così un contrasto: un’immagine della storia dell’essere che comincia con il pensiero autentico aurorale per poi cadere nell’oblio della differenza con l’avvento di Platone di contro ad un’immagine che pone la stessa storia dell’essere come storia dell’oblio – togliendo, allora, ogni compiuto riferimento autentico all’essenza dell’essere.
Per Heidegger la Seinsvergessenheit – l’oblio dell’essenza dell’essere, sarebbe succeduta ad un pensiero aurorale più autentico che sconosceva la Seinsvergessenheit. Da qui ecco il Wesen, l’Ente È qui in questione l’inizio della Metafisica – la quale resta pur sempre il pensiero dell’oblio.

Giunti alla fine della Seinsvergessenheit, adesso sappiamo (da Massimo Cacciari, Krisis, del 1976) che all’origine del linguaggio non c’è la parola ma il «grido», il grido di spavento e di terrore dell’homo sapiens perso nella savana che si ritira e si dirada. Giunti alla fine della metafisica e alla fine della storia, dunque, torniamo al «grido», alla «parola piena», alla parola «positiva», «ostensiva», alla parola performativa che esaurisce le sue significazioni nel detto, nell’integralmente detto. Nella situazione attuale della storia ridotta a storialità e della fine della metafisica ridotta a fuori-della-metafisica, la parola così deiettata ridiventa «piena», priva di sfumature semantiche. Ci troviamo nell’epoca della comunicazione universale che deprime ogni sfumatura di senso e preferisce la differenza bianco/nero dove il chiaroscuro viene tendenzialmente cancellato e rimosso e il Grande Altro tende a occupare e sostituire il piccolo altro… ed ecco la parola che rimbalza come una pallina di gomma…

Marie Laure Colasson
5 novembre 2022 alle 19:31

Scrive Linguaglossa :

«Nasce allora il Partito poetico a vocazione maggioritaria. Ecco, il mio lavoro fin dagli anni novanta ad oggi si è diretto a infrangere il tegumento del Partito poetico a vocazione maggioritaria. Il Logos chiama il Nomos, potremmo dire, la parola ha perso se stessa, vaga in una zona di compromissione nella quale a latitare è il significato, il referente, l’oggetto e che nulla lo giustifica, né il soggetto egolalico né l’oggetto posizionato… la parola liberata apre al discorso libero e liberato… così nel mondo storializzato (privo di storia) la poesia del novecento si allontana alla velocità della luce…»

Così, scopriamo che il Partito poetico a vocazione maggioritaria che fa della poetologia è rimasto privo di giustificazione, scopriamo che è arbitrario, né più e né meno come il disegno di decreto legge messo giù dal ministro Piantedosi dove ti accorgi che la norma manca di oggetto, davvero! l’oggetto è scomparso, si parla di “raduni” di 50+1 persone… Non si era mai vista prima d’ora una formulazione di tal fatta: è il mondo storializzato dove tutto è possibile perché tutto è arbitrario. Il linguaggio si sta storializzando. Così una norma che commina fino a 6 anni di carcere in realtà è senza oggetto, si parla di “raduno”, e il cittadino diligente d’ora in avanti dovrà prima fare il conteggio di quante persone ci siano in un “raduno”, se sono 49 potrà partecipare ma se sono 50, NO, perché a 51 scatta la sanzione penale fino a 6 anni di carcere. È talmente grossolana questa norma con la filosofia che la sottende che, ecco: le parole finalmente liberate si rivelano arbitrarie. La ideologia che sostiene e sottende quelle parole si rivela essere ancora più grossolana, rozza, inquisitoria, totalitaria. Evidentemente Piantedosi è andato a scuola di normazione da Putin!

Due domande a Giorgio Linguaglossa

6 novembre 2022 alle 15:21

Domanda: Una strenua lotta al significato contraddistingue tutta la poesia della nuova ontologia estetica?

Risposta. Sì, è una lotta incessante perché il «significato» permea il linguaggio comunicazionale impedendo di scorgere ciò che è al di là di esso, il significato è la cadaverizzazione del linguaggio… e la Musa muore anch’essa soffocata dai truismi e dai convenzionalismi.

Domanda: «Il non-senso sfugge alle leggi che governano il sistema capitalistico»?

Risposta: Penso di no, penso che il sistema capitalistico è il regno del non-senso complessivo perché è fondato sulla legge del plusvalore, del significante e della accumulazione del capitale che in sé è un non significato in quanto atto di fede. Nient’altro.
Il capitalismo è una religione e, come tutte le religioni, è basato su un atto di credenza, cioè di fede, si ha fede nella crescita del capitale e nella bontà di questa crescita come il credente ha fede in Dio e nella bontà delle sue azioni. Se cessasse la credenza nella bontà della accumulazione del capitale cesserebbe di colpo anche il capitalismo. Entrambe le fedi: in Dio e nel Capitale sono legate insieme in un modo misterioso…

Marie Laure Colasson
14 giugno 2021 alle 19:43

Sulle ragioni della Crisi

Jacqueline Goddard, una delle muse di Man Ray, azzarda un’ipotesi originale, incredibilmente semplice:

«Negli anni ’30, Parigi era il centro del mondo e Montparnasse era un club – racconta l’ex modella, una delle poche testimoni di quell’epoca leggendaria. – «Joyce, Duchamp, Picasso, Brèton… ci trovavamo alla Coupole dove Bob, il barman, teneva liberi alcuni tavoli per noi e i nostri amici. Tutto avveniva per un tacito accordo, senza neanche bisogno di darsi appuntamenti. E questo per un fatto molto semplice: allora non c’era il telefono… Una fortuna! Nessun telefono avrebbe potuto competere con Bob. E c’è di più. Al telefono possono parlare soltanto due persone. Noi, invece, eravamo in tanti a confrontarci, a litigare, a vivisezionare le idee». Era questo il segreto? La comunicazione reale anziché quella filtrata dai media? È forse un caso che il celebre detto di Aristotele («Amici miei… non c’è più nessun amico») si affermi proprio nel Villaggio Globale governato da Sua Maestà il computer e la banda larga popolata da folle di solitari disperati? «Eravamo amici e siamo diventati estranei» (La Gaia Scienza). Ancora una volta Nietzsche è stato un lucido profeta.
Il nostro è forse il tempo della inimicizia, della competitività e della conflittualità nel rapporto tra persone, tra artisti e con i lettori. C’era una volta l’amicizia. C’era una volta il sodalizio.

Francesco Paolo Intini
2 novembre 2022 alle 13:04

Caro Antonio Sagredo,

prima di scrivere sull’Ombra ho cercato di imitare Majakovskij, ma anche un po’ Esenin e Lorca, Eliot e Pound e Transtromer e da quando la mia frequentazione su questo giornale è diventata costante, chiunque mi sia capitato a tiro compreso Linguaglossa e tutti gli amici che sai e che fanno a meno di raccontarsi a partire dal proprio io. Perciò è difficile stabilire cosa di realmente mio sia rimasto.
Penso a una specie di deflagrazione dei linguaggi come se tutti questi poeti avessero incontrato sotto i loro piedi una mina colma di tritolo ed al sottoscritto toccasse di ricomporli seguendo i contorni di un puzzle assurdo. Tentativo goffo e destinato a perdersi o ad essere irriso da chi cercasse nell’ opera qualcosa di somigliante alla completezza e alla logica.

Confesso però che c’è un certo piacere nel ricomporli alla luce di qualche stacchetto pubblicitario e al mondo perfetto della cucina. Provo perciò a barcamenarmi in questo Stige e a portare a riva qualche verso pellegrino. Ma come ben sai mica è facile l’entrata nella città di Dite. Angeli delle tenebre stanno lì a guardia, pronti ad arpionarli e rigettarli al largo. Molti sono i peccati da pagare e anche qui ci vuole intelligenza, grazia e molta pazienza per andare avanti. Ciao.

Ilya Yashin

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Ilya Yashin

Il testamento di un oppositore russo colpevole di aver detto la parola “guerra”
07 dic 2022 da Il Foglio

Esorta i russi a combattere, opporsi, essere ottimisti per contrastare il regime di Putin: è il discorso che Ilya Yashin ha tenuto alla fine del processo che lo vede imputato per non aver usato l’espressione “operazione speciale” in riferimento all’invasione dell’Ucraina. Il discorso che l’oppositore russo Ilya Yashin ha tenuto alla fine del processo che lo vede imputato per aver usato la parola “guerra”. È stata proposta una condanna a nove anni da trascorrere in una colonia penale. 

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L’ibridizzazione, la privatizzazione, la tribalizzazione generano un nuovo dispositivo testuale, denotabile come finzionale/testimoniale, citazioni da Jacques Derrida, Italo Calvino, Maurizio Ferraris, Giorgio Linguaglossa, La top-pop-poesia, la soap-poetry, la poesia pop-corn è una spettrografia, Il governatore della Lombardia Fontana, Putin, e un fotomontaggio di Papa Francesco con Salvini

sALVINI BANDA BASSOTTI

foto del Governatore della Lombardia Fontana con un suo fedelissimo

Guardo la foto del governatore della Lombardia e del suo fedelissimo ascaro e provo sgomento, mi accorgo che è terribile. La foto che avrebbe dovuto essere decorativa e ornamentale, con le due figure con il vestito di cerimonia tirato a lucido, è invece terribile. Perché?
Perché mette a nudo la figura del re e del suo serviciattolo. In realtà, la foto ritrae i due figuri nudi di fronte al destino. Le loro espressioni sono anch’esse nude, esprimono falsa coscienza e falsi pensieri, false azioni, ignominia, servitù e tracotanza… esprimono la dissimulazione a cui sono abituate da sempre.
La foto è un capolavoro involontario.
Le figure appaiono isolate, e come recisi gli illusori rapporti dell’immagine col resto del mondo. («La forma illustrativa rivela immediatamente, attraverso l’intelletto, che cosa rappresenta, mentre la forma non illustrativa passa prima per la sensazione, e solo in un secondo momento, lentamente riporta alla realtà»).
Come nei monumentali Baigneur di Cézanne, isolare la figura è il primo passo per abolire il rapporto illustrativo tra immagine e oggetto, per concentrarla nella sua fissità, per trasportarla dal piano simbolico alla sordità imperturbabile della «cosa» bruta, per operare una specie di fossilizzazione coatta e inverosimilmente accelerata della umanitas.
(g.l.)

Giorgio Linguaglossa

Storia italiana del Covid19

➡Marie Laure Colasson telefona al poeta Gino Rago.
«Non c’è più posto nelle mie “Strutture dissipative”!*», grida allarmata.

Tatarkiewick litiga con il filosofo Žižek, dice che “Brillo box”
è una scatola di detersivo e basta.

Robert Redford e Jane Fonda.
Backstage sul set del film The Chase (1966).
Lui indossa una tuta da operaio, un bicchiere di plastica.
Lei sorride, sta fumando.
Ha un impermeabile grigio, ma forse no, è la foto in bianco e nero.
Che confonde.
Sembrano gentili e sorridenti.

Un selfie della putiniana deputatessa Olga Kamjenska in monokini sulla spiaggia
finisce su facebook.
Un ammiratore le scrive: «Das Nichts nichtet».

➡Piazza del Plebiscito. Milano. Giugno 2020.
La deputatessa Santanchè va in piazza a gridare contro i Dpcm del governo Conte.
Scarpe con tacco a spillo da 350 euro.
Leggings da 750 euro con lista laterale argentata.
Permanente con meches, 250 euro.
Gilet, 650 euro.
Giacca, 3000 euro.
Occhiali Ray ban da sole ottagonali, 500 euro.
T-shirt. 700 euro.
Mascherina Trussardi, 180 euro.
La deputatessa Santanchè, “Fratelli d’Italia”,
con la borsetta Birkin n. 21
Urla:
«Il popolo ha fame!».

➡Giugno 2020, post-Covid.
Una tavola rotonda di aspiranti poeti su Zoom.
La showgirl Wanda Osiris svestita da cow boy brucia il perizoma in pubblico.
Passeggia sulla passerella per il quarto d’ora di celebrità.

L’agente 007 bacia Ursula Andress sul set del film Licenza di uccidere (1962).
Ha inizio la saga cinematografica di James Bond,
agente segreto di Sua Maestà britannica.

Renzi attua in Parlamento la tattica della «opposizione al pop-corn»
contro il governo Lega-5Stelle.

L’Ombra delle Parole lancia la poetica della top-pop-poesia,
la poesia pop-corn, o soap-poesia.

Gino Rago invia “Storia di una pallottola n. 14” al poeta Giorgio Linguaglossa
all’Ufficio Informazioni Riservate di via Pietro Giordani
con un biglietto: «caro Linguaglossa, Lei è in pericolo».

Marie Laure Colasson è in atelier per un’ultima “Struttura dissipativa”.
Ci stanno dentro Marlon Brando e il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Telefona a Catherine Deneuve nel film “Belle de jour”,
le dice di cambiare il rossetto, di mettere quello rosso de l’Oreal n. 37.

La crossdresser Korra del Rio si fa fotografare nuda
avvolta in una tela di ragno
per la pubblicità di una marca di profilattici.

«Seguite la video-chat erotica di Lilla13», dice una inserzione promozionale
con tanto di pose osé della mitica star.
La poesia è «una questità di stati di cose», afferma il noto critico letterario
Giorgio Linguaglossa.

➡Il filosofo Stavrakakis fa una video-chiamata ad Ewa Kant.
Dice: «Pornostar di tutto il mondo, unitevi!».
La crossdresser esce dall’armadio
svestita di tutto punto: calzamaglia a rete, tacchi a spillo 16, perizoma.
Sta bevendo un caffè bollente.
Dice che presto salirà sul lampadario
e da lì verserà litri di “Aromatique elixir” sulla testa dei piccolo borghesi
con il naso all’in su.
Dice che vuole entrare in una “Struttura dissipativa” della Colasson
e invece si deve accontentare di un Covid garden di Lucio Mayoor Tosi.
La deputatessa Olga Kamjenska, “Forza Italia”,
chapeau a larghe tese Dolce & Gabbana, euro 370,
la invita ad una partouze con il Cavaliere
e l’ultrareazionario Pillon con la farfallina gialla sotto il collo.
Salvini mangia in diretta TV un cesto di ciliegie
e bacia il rosario della santissima Madonna immacolata.

I pronto soccorso in Sicilia da oggi li gestirà la Lombardia.
È stato firmato un protocollo d’intesa tra la regione Lombardia e quella di Sicilia
per una migliore organizzazione del servizio sanitario.

Un paparazzo fotografa l’assessore Gallera che se la spassa
con Korra del Rio,
dice che deve rimettersi dallo stress della pandemia.
Zaia, governatore del Veneto, dice che «i cinesi mangiano i topi vivi;
i pipistrelli invece li cuociono, ci fanno un budino».

«Se qui vi è della cenere, vi deve essere stato anche del fuoco.
Tutti i corvi sono neri», dice il generale Bava Beccaris
che si è risvegliato dalla tomba.

«La poesia è una posizione di significati», dice il critico letterario Linguaglossa.
«Ma anche esposizione di un mondo», aggiunge.
«Nella soap poesia c’è posto per tutti».

«Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., poiché una mattina…
venne arrestato…»

* Serie di quadri della pittrice Marie Laure Colasson intitolati “Struttura dissipativa”.

Salvini e Papa Bergoglio(fotomontaggio trovato in rete)

Dove ci si trova allora?
Dove trovarsi?
A chi ci si può ancora
identificare per affermare la propria identità
e raccontarsi la propria storia?
A chi raccontarla, in primo luogo?
Bisognerebbe costruire se stessi, bisognerebbe poter
inventarsi
senza modello e senza destinatario garantito. Continua a leggere

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Video di Gianni Godi, Promenade in Zelia Nuttall Gallery, con musica di Antonio Anendola, Poesia inedita di Mario M. Gabriele, Lucio Mayoor Tosi,  la Gioconda, 2005,

Video di Gianni Godi e musica di Antonio Amendola

“Promenade in Zela Nuttall Gallery”

Un Augurio per il Nuovo Anno

 Carissimi lettoti e poeti della Rivista L’Ombra delle parole, nell’augurarvi Buon Anno e un proficuo lavoro poetico, desidero ringraziarvi tutte le volte che leggete le mie poesie, comunicandovi che  Gianni Godi, ha realizzato un video con una mia poesia, su segnalazione di Giorgio Linguaglossa. Questo per me, ha fatto lievitare i battiti cardiaci, regolarizzandoli poi con l’uso di Mini Mas. (Biancospino che supporta  la regolare funzionalità dell’apparato cardiovascolare, oltre alla compressa di Lovidon).

 Scegliere una poesia e pubblicarla in video come ha fatto Gianni Godi è Avantgarde spettacolare. Scrivere versi è tagliare un vestito da parte di un sarto, che deve stare attento alla stoffa, e qui mi viene in mente Giorgio quando si autodefinisce “calzolaio della poesia” mentre con la sua critica apre nuovi cantieri estetici sulla Rivista. Sono supporti aggiuntivi che fanno bene a noi poeti, e che rendono i versi discontinui con la tradizione. Questo è davvero un modo insolito di proporre il nuovo, privo di sperimentalismi. Una volta acquisite queste forme diventa veramente rappresentativa la Nuova Ontologia Estetica.

 Da parte mia, che provengo da diverse stagioni di poesia e di particelle linguistiche, plurisensoriali e pluriestetiche, non mi sono tirato indietro quando Giorgio mi chiese di usare il frammento e il distico nelle mie poesie, senza nulla obiettare, perché si leggevano benissimo con la nuova scrittura.. Grazie a tutti voi e soprattutto a Giorgio al quale auguro ogni bene,  così pure a Gianni Godi che ha fatto un lavoro per me eccezionale, e ad Antonio Amendola con il suo preziosissimo accompagnamento musicale.

(Mario M. Gabriele)

Giorgio Linguaglossa Zen

[poesia recitata nel video]

La nebbia aprì squarci.

Il dubbio era se il mese più corto dell’anno
avesse altre vendette.

Una solitaria tristezza prese la strada più lunga,
senza pigolii d’uccelli allo sbaraglio.

Fu un’antologia di chimismi lirici a portarci in ecstasy.
In nessun porto approdò l’hovercraft.

Ci fu al Berlitz World un memorial day
con uno spartito di Liszt dell’Accademia di Santa Cecilia.

Ogni argine è un approdo di pensieri.
Il jet lag finì con la melatonina.

Un barcaiolo aprì un varco
alle colombe in lutto.

A volte ci si incontra con i vecchi amici.
Qualcuno prepara piani di lettura.

-Per favore, sediamoci
ad ascoltare il Prefatore di questa sera!.-

-Cari signori,
vi parlo di un prologo e di un frammento
senza leggere i capitoli su Diana Ross.-

Potrebbe essere, il doberman, questa volta,
a trovare il Santo Graal.

Ma non è stato Pietro da Sant’Albano
a citare:”Historia fratris Dulcini Heresiarche”?

Wall Street mi attrae più di New York
e della tomba di Marilyn.

Che ne dici di rifare le scorsaline
per la prossima estate?

Le orchidee sono sempre tristi
come le musiche di Regondi e Pujol.

Abbiamo dovuto bere il latte
per tornare all’infanzia.

L’uragano ha lasciato le strade deserte
e i marciapiedi divelti.

Dalla finestra all’ultimo piano fino all’EuroSpin
c’è una distanza dove Jenny naviga a vista.

Lucio Mayoor Tosi La Gioconda

Lucio Mayoor Tosi, 2005, la Gioconda

Guardando questo video di Gianni Godi, mi è venuta in mente la frase di Giorgio Agamben sulla «impossibilità di parlare». Che è soprattutto una categoria dell’arte e del politico di oggi. Oggi versiamo veramente in una situazione disperata, è veramente «impossibile parlare», figurarsi fare una poesia o un quadro, con tanto di immagine «bella». Penso che ciò che muove l’arte di Lucio Mayoor Tosi, di Mario Gabriele e quella di Marie Laure Colasson sia proprio il dolore per questa «impossibilità» di fare una immagine, un ritratto di noi uomini e donne di oggi. Questa «impossibilità» attinge alla base i linguaggi artistici del Dopo il Moderno minandone la interna «possibilità» di esprimere alcunché. Continua a leggere

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Manifesto degli intellettuali contro la politica razzista del leader della Nuova Destra della Lega, Matteo Salvini

Salvini migranti 2

Sono numeri dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati

(Unhcr), cui nessuno contesta l’affidabilità: tra il 2015, all’apice della tragedia siriana, e il 2017  il numero di migranti sbarcati sulle coste europee è passato da più di 1 milione a 172mila, per una popolazione europea che supera i 500 milioni.

Quest’anno siamo arrivati appena a 44mila migranti

In altre parole, la fase acuta della crisi migratoria è alle nostre spalle. Quella che viviamo è soltanto una crisi politica in cui la paura di un’invasione di persone dal sud-est sconvolge gli scacchieri delle politiche nazionali.

Per quanto ingiustificata, questa paura diffusa favorisce le estreme destre, ovunque in ascesa fatta eccezione per la Spagna, dove i ricordi del franchismo sono ancora troppo vivi. In Austria la paura è il collante della coalizione tra destra ed estrema destra. La paura sostiene i nazionalisti xenofobi che dominano in Europa centrale. La paura ha permesso la rinascita dell’estrema destra in Germania e messo in difficoltà la destra tradizionale, al punto tale che Angela Merkel è ormai contestata dall’ala bavarese della democrazia cristiana.

Salvini Il governo che intendo guidare non farà sbarcare neanche un clandestino o richiedente asilo in Italia Dal primo all'ultimo, tornano da dove sono partiti

Il fantasma agitato da politici cinici e sovranisti

La paura dell’invasione di migranti, infine, è diventata un jolly nelle mani dell’estrema destra italiana, la Lega, il cui leader Matteo Salvini è oggi ministro dell’interno, ruolo che gli ha permesso di chiudere i porti italiani alle navi cariche di migranti salvati nel Mediterraneo per mostrare i muscoli e accrescere la propria popolarità.

Il piano sta funzionando. A questo punto Salvini potrebbe innescare il fallimento della coalizione con il Movimento 5 stelle, nuove elezioni e la formazione di un nuovo governo con quello che resta della destra berlusconiana. Potrebbe funzionare anche questo. Terza economia dell’Unione e paese firmatario del Trattato di Roma, l’Italia potrebbe presto diventare il capofila dell’estrema destra europea e paralizzare l’Unione, se non addirittura guidare un movimento xenofobo europeo.

Salvini migranti_libiaIn questo quadrante politico, da mesi due uomini minacciano l’Unità Europea

Vladimir Putin ha strumentalizzato l’estrema destra in Europa per imporsi come forza dominante nel continente europeo e Donald Trump il quale ha dichiarato una guerra doganale all’Unione tassando le importazioni negli Stati Uniti e minacciando di chiudere l’ombrello politico e militare americano. Da est a ovest, due nemici imprevedibili operano, da opposti punti di vista, contro l’Unione, ma per l’Europa unita il pericolo principale viene dall’interno.

Ciò che oggi potrebbe davvero spaccare l’Unione è questa paura diffusa ad arte dell’immigrazione e la capacità di strumentalizzarla politicamente da parte  dei partiti di estrema destra. Davanti a Trump e Putin serve una potenza europea, ma la nascita di questa potenza appare compromessa dalla minaccia migratoria agitata come un fantasma da politici cinici e sovranisti.

La minaccia della dissoluzione dell’Unità Europea è concreta e attuale, come intellettuali e cittadini dell’Europa unita dobbiamo levare un grido di allarme, consapevoli del ruolo di pace e di benessere per tutto il mondo che l’Europa è chiamata a svolgere.

F.to

La redazione dell’Ombra delle Parole

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