Rossella Seller è nata a Bari, ma vive a Roma da molti anni, dove lavora come medico, psichiatra e psicoterapeuta in prima linea contro lo stigma sui malati mentali e l’emarginazione. Svolge anche un’intensa attività di ricercatrice e divulgatrice scientifica. Appassionata viaggiatrice, scrive racconti e poesie dall’età di quindici anni. Giovanissima ha creato un programma radiofonico dedicato alla poesia italiana ed è stata finalista del concorso letterario “Guido Gozzano”. Nel corso degli anni ha ricevuto altri premi e riconoscimenti letterari e i suoi versi sono presenti in numerose riviste e raccolte antologiche. Nel 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta Nello Specchio di Alice (Lietocolle). I suoi testi poetici sono inseriti in alcune opere teatrali e all’interno di spettacoli musicali. Email: lellanit@yahoo.it
Commento di Giorgio Linguaglossa. Le rovine del senso: il post-negativo
Pensiero di Tsung Ping: «Lo Spirito non ha alcuna forma. Attraverso le cose prende forma. Il nostro pensiero è tracciare le linee interne delle cose»
Tao: Prima dell’Uno c’è il Vuoto supremo, il Soffio primordiale che precede lo Yin e lo Yang
Dopo l’11 settembre 2011, la storia sembra andare verso l’implosione del senso piuttosto che verso il suo ripiegamento, verso la demoltiplicazione piuttosto che verso il dimagrimento. La poesia che si fa oggi è simile ad una femmina giunonica che mercanteggia il prezzo delle sue prestazioni. Ma la Poesia di oggi ha coscienza di questa negatività? La Poesia ha coscienza di questo de-moltiplicatore?. Oggi forse è possibile soltanto una poesia negativa, del negativo. Ma è una negatività senza impiego, una negatività da disoccupati dello spirito, senza contraltare, una negatività che permette di essere rappresentata soltanto attraverso la finzione, l’allestimento di un palcoscenico vuoto. Attraverso una secondarietà. E il primario? Che fine ha fatto il Primario? Non lo sappiamo più. Oggi, noi sappiamo soltanto che al posto del Primario è subentrato il Secondario, al posto dell’impegno è subentrato il disimpegno, al posto del negativo è subentrato il post-negativo. Le ipertrofie, le faglie, le erosioni, le citazioni, i rimandi, i geroglifici, i percorsi sotterranei del senso diventano i veri protagonisti del miglior romanzo e della migliore poesia, diciamo, del post-negativo.
La poesia ironica e scettico-urbana del post-negativo si muove in questa topografia assiale delle rovine del linguaggio e del senso; si muove, con eleganza e ironia magari, ed un quantum di elegia in questa topografia delle rovine (con una tipografia delle rovina!); si trastulla sfoderando le risorse antiche del plurilinguaggio e della polisemia, esibendo l’abilità del retoricoeur, nell’improvvisare paronomasie, omofonie ed anafore, iperbati, corto circuiti tra suono e senso, tra citazione e citazione; mima un senso plausibile ed effimero per poi subito dopo negarlo e de-negarlo ammiccando alla impossibilità per la poesia di prendere la parola, di parlare facendosi schermo dei famosi versi di Montale: «Solo questo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo ciò che non vogliamo».
È dalla fine degli anni Novanta e dall’inizio del nuovo secolo che si può datare il fenomeno della esondazione di una poetica femminile unanimemente accettata come una vulgata indiscussa. Si torna a credere nel linguaggio del corpo e nel linguaggio delle sensazioni come un dato stabilmente acquisito. Si stabilizza così un codice della partecipazione a questo nuovo altare della iniziazione salvifica. Una nuova deità si profila che ruota attorno al «corpo» e al «privato». Si ritiene da più parti che sia ancora possibile poetare con pensieri assolutamente originali se vissuti in modo personale individuale, si torna a credere ad una singolarità che opererebbe in modo quasi magico e numinoso sul piano della «poesia», si torna a credere ad una autenticità, anch’essa numinosa e salvifica, a volte anche esoterica, con tanto di ingresso nel tempio dell’«io».
Rosa Tardiva
Mi vedi come sono, sbocciata tardi,
oltre il guscio coriaceo che mi avvolge,
con le necessità impellenti di una rosa tardiva
dischiuse alle porosità del mare.
Nessuno si aspettava dal fiore
il coraggio di strisciare
fino alla fessura di un sogno,
alla vecchia porta scolorita
e bussare e affacciarsi alla valle
rigogliosa, in uno spasimo
in un dolore che si scioglie
ogni volta che muoio se
riconosco la tenerezza effimera
lungo la piega ferita della mano,
quel riparo che cerco ancora
e non mi vuole.
Chiesa
Sagome incerte,
spuntati dal nulla come fuggiaschi
gli ostaggi dell’assenza.
Accolti dal silenzio delle arcate
e finalmente soli a interrogare il cielo.
Una fiamma sacra e Dio compare
sulla bocca di ognuno.
Fremono intorno alla mensa
e i pensieri non sono argilla di parola
ma respiri del vento in stanza chiusa,
colomba fuggita che si è persa.
A qualcuno Egli concede
l’invenzione della leggerezza,
ad altri il segreto canto dell’attesa,
altri ancora, resi sordi dal risentimento,
andranno via senza nutrire di stelle
la notte che li aspetta.
Skipass
per G.
Ultima luce, ultime cime rosseggianti
contro un cielo disinvolto d’ azzurro.
Lame luccicano ai piedi,
tra gli alberi una coltre di cristalli
la neve brillò al tuo passaggio.
Hai lasciato una scia di domande e stupore:
“ Perché l’hai fatto?”.
Giovane alle soglie del nulla
ti voltasti a guardare l’obiettivo,
nella foto il pollice alzato, Okay.
Sull’abisso hai detto:” BASTA!”.
Hai sorriso e sembravi felice
mentre spezzavi l’ anello.
Ti buttasti senza altre parole
a braccia aperte
nel volo interminabile verso la valle,
nell’urlo di tua madre.
Invece tu
In un lungo richiamo lanciasti
Il mio nome tra le stelle,
in fuga da me stessa
scappai da te invece.
Prima che finisco in fondo ad un abisso
che non scruto e non posseggo
chiudi la ferita delle promesse spese invano
e trattieni la corda dei miraggi,
legami per non volare.
Oggi sono anni che ti cerco
ora sei una quieta risacca
impigliata alla mia rete.
Dal ritratto
Passo agli angoli del tuo sguardo
sulle labbra tese contemplo
la piega intrusa del naso.
Hai passato secoli
a cercare risposte immortali
domestiche conferme
e mi vieni incontro
sconosciuto fratello
simile allo sguardo curioso
di chi mi passa accanto
in questa piazza affollata oggi.
Alla fine del viaggio riponi la maschera,
e i tuoi occhi mi cercano
hanno visto molte ombre
nell’ ordine ignoto e mi sorridono.
Il tuo enigma è un sussulto.
Corale *
Uccello delle tempeste
che veleggi tra le onde
uccello farfalla
attraverso il tempo
dove tutto ha inizio e tutto finisce.
Uno splendore lunare ammanta la tua solitudine,
forse tu custodisci il segreto
che a noi non è dato sapere.
Facci uscire dalle nostre tane
alla speranza di splendere con te.
Osserva quella scia luminosa
che si dipana al di là degli scogli
forse altri uccelli sfidano le tenebre.
Tu volteggi e non sorridi,
poi scompari in lontananza
e noi restiamo sospesi
nel clangore della tempesta.
* L’uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus) è un piccolo uccello notturno in via d’estinzione che nidifica in mare aperto, scegliendo scogli inaccessibili. Col suo piumaggio nero si confonde nell’oscurità. Sorvola incessantemente le acque e si tuffa tra i fortunali, nel fragore delle onde per acchiappare a volo piccoli pesci.
VAPORI DELL’ALBA
Capita a volte che la mente nebulosa del risveglio infili parole ordinate, spuntate dal sonno, come perle a una collana.
Vapore 1
Il pensiero è un pendolo
nell’andamento taciturno
dell’anziano che si appisola
e si sveglia, un dondolio leggero
con cui si appisola e si risveglia
mentre sogna il fuoco della gioventù.
Vapore 2
Sbuffo all’alba
come il caffè che attende il giorno
lungo la riva del mare corro
al giro equilibrato di un gabbiano.
Prima che svanisca
incontro il mio angelo
e dispiego la spada
alla meritata vittoria di un’utopia.