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UNA POESIA di Antonella Zagaroli: Apologia della libertà,  Flavio Almerighi: Considerazioni finali sulla riforma urgente che non si farà, Sandra Evangelisti: Il Signor Cogito (risposta a Zbigniew Herbert), sul tema POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI 

 

POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI 

Antonella Zagaroli

Antonella Zagaroli  è nata a Roma e vive nella campagna romana. Dopo la plaquette La Maschera della Gioconda pubblicata nel 1986, nel 1988 ha pubblicato un testo comprendente tre diversi poemi sempre col titolo La Maschera della Gioconda (pref. Walter Pedullà) Crocetti. Nel 1992 viene rappresentato il poema Il re dei Danzatori. Nel 1996 pubblica Terre d’Anima (pref. Achille Serrao) Libroitaliano editrice Internazionale, Ragusa. Nel 2002 esce la prima raccolta di racconti e prose poetiche La volpe blu. A gennaio 2005 Stefano Giovanardi presenta il lavoro poetico Serrata a ventaglio – Onyx edizioni Roma -.Del febbraio 2007 è il saggio e reportage poetico in India Quadernetto Dalìt – Rupe mutevole edizioni (Bedonia – Parma), poi tradotto e pubblicato in lingua inglese a dicembre 2007 anche con la sceneggiatura teatrale Storia di un amore argentino. Nel 2009 esce Venere Minima. Nel 2011 è uscita un’antologia tratta da alcune sue opere tradotta in inglese Mindskin A selection of poems 1985-2010 – Chelsea Editions New York, 2011; nel 2012 sempre in collaborazione con la fotografa Mariangela Rasi Trasparenze in vista di forma (Libraria Padovana Editrice). Come traduttrice ha finora pubblicato alcune poesie da Suicide Point dell’indiano Kureepuzha Sreekumar (rivista Hebenon aprile-novembre 2010) e la plaquette One Columbus leapIl balzo di Colombo della poetessa irlandese Anamaria Crowe Serrano (2012), Hosanna- Osanna raccolta di epigrammi di Louis Bourgeois, poeta e scrittore statunitense (2014).

Antonella Zagaroli

Antonella Zagaroli

da Apologia della libertà – Rupe mutevole (2009)

(…)
La telecamera si avvicina
lentamente al letto bianco
al quaderno col risvolto nero.

Terzultima pagina

Cosa c’è nel regno dei morti
là dove si delinea l’appartenenza all’opera muta?
Un corteo di note accennate, volti sfumati?
Dentro lo scoppio luminoso dell’ultimo salto
il nome tuo muta per frammenti?

(A una donna suicida mai conosciuta
gennaio 1999)

Guardate oggi è il mio turno.
Non esisto più.
Finalmente mi libero da ogni guardiano.
Muoio al mondo senza suicidarmi
(non ho questo coraggio).
Non c’è più sesso nel mio corpo.
Sola, mi lascio toccare soltanto dal letto.
Abbasso le braccia.
Non sono riuscita ad essere un centro qualsiasi.
Ho fallito.

Ad occhi chiusi e nel letto disegno il futuro.
Per me non ci sarà il giorno.
Sta per finire anche la tortura dell’amor proprio.
Non scriverò a nessun amato di turno,
non ascolterò nessun ‘ti amo’.
Indegna per l’amore sono anche passata di moda.
Il lampo di vitalità è definitivamente offuscato.
Sto per tagliare il filo che tiene il capo retto.
Non sono stata sudiciume per nessuno
mi sono tenuta pulita!
Non sono stata interrata.
Non ho interrato alcun seme.
Adesso al buio il fremito mi prepara:
“cammina, cammina la principessa
va all’appuntamento
……………………………”
Grandi occhi semichiusi

Penultima pagina

Senza volontà cambio volto
divento un grande orecchio.
Rintocco di piume
Dilatazione di boccioli
Voce in fondo agli abissi
…………………………..

(….)
Rumori di traffico.

“-Alle prime gocce aveva aspettato con ansia le altre.
Il tempo era fermo o era la paura per l’arrivo dei colpi di lama?
Non lo seppe mai.
Perse il conto a causa delle lacrime che stillavano.insieme.”

Suono di ambulanza che si avvicina. Panoramica su un articolo:

-Dopo parecchi giorni un odore acre
ha destato i vicini di una casa in via………
hanno trovato un uomo in bagno
riverso davanti al water. Aveva tagli alle mani
e dentro gli occhi. Il sangue raggrumato
era mescolato alle ultime feci. –

“Qui voglio un’assordante colonna sonora
chitarre elettriche, voci che discutono, filastrocche.
Sullo schermo l’azione di una trebbiatrice
anni 50’ (in morphing sepia)
In sovrapposizione carrellata di sanguigne
con corpi nudi torturati.”

Lasciato solo, Ermafrodito misura la cadenza dell’episodio.

 

Flavio Almerighi

Flavio Almerighi è nato a Faenza il 21 gennaio 1959. Sue le raccolte di poesia Allegro Improvviso (Ibiskos 1999), Vie di Fuga (Aletti, 2002), Amori al tempo del Nasdaq (Aletti 2003), Coscienze di mulini a vento (Gabrieli 2007), durante il dopocristo (Tempo al Libro 2008), qui è Lontano (Tempo al Libro, 2010), Voce dei miei occhi (Fermenti, 2011) Procellaria (Fermenti, 2013). Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati da prestigiose riviste di cultura/letteratura (Foglio Clandestino, Prospektiva, Tratti)

flavio almerighi

flavio almerighi

 

Considerazioni finali sulla riforma urgente che non si farà (inedito)

Vorrei fare un comizio
anzi no, voglio fare un comizio.
Perorare una discussione molto accesa su tutti gli angeli caduti,
andati a morire in basso di morte bianca.
La morte bianca che cazzo è? Poesia inventata dai giornalisti?
Fare credere ai bambini che i morti sono ancora vivi,
e per questo incattiviti come diavoli perché dabbasso non c’è primavera?
No, non è onesto.
Lunghissima è la sera camminata tutta sugli spalti derelitti della fantasia vuota.
La città murata è uno scherzo di natura, orfana com’è di assalitori, significato strategico, difensori.
Sotto c’è una bocciofila per coppie mature.
I bambini vanno a letto presto per far finta di dormire, e quando fanno brutti sogni si girano verso il muro. Papà è fuori per lavoro e non tornerà più.
Un muro è sicurezza. Un muro è per sempre.
Una parete non ha impedito ai Cucchi, a tutti quei suicidi patologici come lui, di gettarsi per le scale. Vogliono rovinare addosso a tutti quei bei muri coperti di rampicanti, mentre dormono ancora sopra la coperta verde del gran fossato asciutto. Vogliono infestarci le coscienze,
ma io griderò a gran voce, voglio lasciarmi andare, indurmi in tentazione, fondare un partito.
Perché prima di me partito più bello non c’é mai stato.
Un dolce partito preso, un’acciuga di partito che vada bene per ogni mal di gola, e assicuri a quei poveri demoni di fonderia un futuro meno gramo.
Attento, se non sei buono, obbediente, viene il diavolo.Viene el can e ti porta via.
In piazza ci siamo tutti, siamo tanti, e la Sardegna sta entrando buon’ultima.
Un comizio che speranze offre? E’ libertà per un momento (cazzo quanti siamooo!), quando tutti la pensiamo uguale, e sappiamo che qualsiasi speranza è in esubero.
La compagna all’esodato non è mai sembrata tanto bella, nemmeno sulle mura di un convento a tenersi per mano verso il tramonto, protetti dagli zigomi alti e potenti di lei. Sarà per lo scherzo di un’estate semi infinita, belleciao, che nemmeno il vento riesce a portarsi via. Diamoci la speranza, compriamo fragole, facciamoci una cioccolata calda al primo bar che viene, tutto senza falsità, almeno durante il comizio. Niente fiori però, Bordighera è già sott’acqua.
Compagni, fratelli, lavoratori, partigiani, lei sì che era un angelo!
Da domani si torna a far le ore in fonderia come se niente sia stato, e lei a compilare bolle dallo sgabuzzino senza porte e tutto finestre.
Oggi c’è un’aria strana, libera, più libera che al mare.
Voglio fare un comizio, voglio essere ascoltato.
Quel boia di toscano di merda non può far finta che qui non sia successo niente.Invece…
I dissidenti coraggiosamente non usciranno dal partito, lo cambieranno da dentro, meglio un tetto sulla testa anche se l’affitto è caro assai. Ai precari inventerò qualcosa per la prossima giornata.
Diremo a tutti, ai quattro, agli otto, ai sedici venti
che per oggi tutto è stato estremamente bello. Anzi, mai stato così bello, e basta

 

stendardo imperiale giapponese

stendardo imperiale giapponese

Sandra Evangelisti

Sandra Evangelisti è nata nel 1964 a Forlì, città in cui vive e lavora. Dopo gli studi classici, si è laureata in Giurisprudenza. Ha pubblicato sei raccolte di poesie: Lascio al mio uomo, 2008, L’ora di mezzo, dicembre 2008, Intanto tutto procede, 2010, Diario minimo, 2011, Cuore contrappunto, 2012 e La dimora del tempo, 2014. È collaboratrice del portale di arte e letteratura internazionale “Lankelot”. Ha una pagina a lei dedicata sul sito “Italian Poetry”.

dal ciclo di Selene (inedito)

 

Il Signor Cogito (risposta a Zbigniew Herbert)

.
La logica non è il mio forte
(almeno quella binaria).
Sono una donna e penso,
ma non ho mai pensato davvero
che ciò che tocco sia come lo vedo.
Quello che vedo appare, ma è proprio così come si mostra?
Sì, certo, anche nell’epoca dei “quanti “
si può affermare che tutto ciò che è riproducibile
è reale (state attenti, riproducibile e non sperimentabile
come si diceva allora- è diverso).
Eppure se particelle uguali ma di carica opposta possono convivere
senza annullarsi , allora anche un’opposta dimensione può consistere con questa:
quello che non vediamo, quello che non tocchiamo.

Allora c’è l’opposto e il paradosso lo spiega.
Io sono perché sento, non solo perché penso, Signor Cogito.
Io sono particella di una corrente di vita universale
che in me partecipa ed è partecipata dal senziente, dal corpo materiale.
Allora ciò che penso conta poco, caro Signor pensante ,
perché partecipando di un’ energia che c’è
si fa fatica anche ad esser uno e ci si sente parte
di un mondo dove gli opposti coincidono.

Sono una madre: il paradosso mi conduce:
“Si guarda e non si vede: l’invisibile.
Si ascolta e non si sente: l’inudibile.
Si tocca e non si afferra: l’imprendibile.
Tre qualità inspiegabili
che, fuse, fanno l’unità.”*

Cui omnia unum sunt et omnia ad unum trahit et
omnia in uno videt potest stabilis esse et in Deo
pacificus permanere.
O veritas Deus, fac me unum tecum
in caritate perpetua.”**
“Ex uno Verbo omnia***
et unum loquuntur omnia,
et hoc est Principium…

*Lao Tzu, La regola Celeste, 14
**De Imitatione Christi, I,3
**De Imitatione Christi,I,3

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DUE POESIE di Claudio Damiani “Quando mi alzai già suonava la musica” “Il cercatore d’oro” sul tema Poesie su personaggi storici mitici o immaginari con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

claudio.damiani

claudio damiani

 

Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovannclaudio damiani Eroii Rotondo. Vive a Roma dall’infanzia.
Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Lettori), Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea, Premio Volterra Ultima Frontiera, Premio Borgo di Alberona, Premio Alpi Apuane), Il fico sulla fortezza (Fazi, 2012, Premio Arenzano, Premio Camaiore, Premio Brancati, finalista vincitore Premio Dessì). Nel 2010 è uscita un’antologia di poesie curata da Marco Lodoli e comprendente testi scritti dal 1984 al 2010 (Poesie, Fazi, Premio Prata La Poesia in Italia, Premio Laurentum). Ha pubblicato di teatro: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013). Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia(L’Attico Editore, 1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000). E’ stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84). Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue (tra cui principalmente inglese, spagnolo, serbo, sloveno, rumeno) e compaiono in molte antologie italiane (anche scolastiche) e straniere.

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Mi sembra che una delle caratteristiche della poesia di Claudio Damiani sia la capacità di travasare la dimensione onirica nel quotidiano, farne una dimensione unica ed omogenea. Il musicista che non sa di aver scritto la musica, che si meraviglia che gli altri ascoltino estasiati quella musica, non distingue più la dimensione onirica da quella del reale. Analogamente, nella poesia “Il cercatore d’oro”, chi cerca si accorge che all’improvviso, “senza scavare”, tutto gli è dato, che tutto l’oro del mondo è lì perché era lì da sempre e che il più grande rimpianto era un’altra cosa che gli era sfuggita da sempre.
Nella poesia di Damiani il linguaggio sembra già dato e formato lì da sempre, il poeta sembra che dica che c’è sempre un nucleo di senso nella vita, che non è vero che il senso non esiste o che non sia raggiungibile, il senso della vita è qui, con noi, accanto a noi, nell’attimo del quotidiano delle piccole cose; c’è una positività nell’atteggiamento del poeta dinanzi al mondo, c’è un implicito invito a raccogliere, ad ascoltare questo grumo di positività. Mi sembra una sincera dichiarazione di principio di contro alla presunta negatività di chi nega e vuole negare qualsiasi ipotesi di positività per riaffermare sempre di nuovo il nichilismo esistenziale e il nichilismo in poesia. Mi sembra una dichiarazione di speranza, una apertura di credito alla positività. Di qui quella poesia del discorso quieto e pacato, la poesia del racconto del quotidiano, di un «io» debole che narra le sue vicende sentimentali.

claudio damiani foto di dino ignani 1

claudio damiani Sognando-Li-Po-Damiani_3

 

 

 

 

 

 

Quando mi alzai già suonava la musica

Quando mi alzai già suonava la musica,
era una musica che non conoscevo
eppure, essendo mio il sogno,
era una musica che avevo scritto io.
Sì, l’avevo scritta io, ricevevo i complimenti
della gente, gli applausi, scene di delirio,
coppie che piangevano, ricordando il loro amore,
donne già avanti negli anni che mi guardavano estasiate,
sì, l’avevo scritta io, e allora?
Giornalisti mi facevano domande, quali erano le circostanze
della mia vita allorquando composi
questa musica meravigliosa,
se ero stato influenzato da qualche musicista,
se ero innamorato
quando l’avevo scritta, e chi era l’amata,
e già fantasticavano di una donna magra
piccola, che si nascondeva ai fotografi,
mi chiedevano in quanto tempo l’avevo composta
e se col piano, o senza strumenti,
se l’avevo composta nella mia mente.
Sì nella mia mente
– rispondevo – l’ho trovata già fatta
e come l’ho trovata, tale e quale l’ho scritta.
Dissi che non conoscevo la musica, che ero pure stonato
solo portavo un amore smisurato,
i giornalisti non mi volevano credere
e ridevano, poi fui accolto da re
e imperatori, scrissi molte musiche
divenni famoso in tutto il mondo, mi chiamavano ovunque,
ovunque dicevano che per me la musica era risorta,
la grande musica che da tanti anni taceva
era tornata a rifiorire all’improvviso,
i teatri straripavano, ovunque si studiava il canto,
si studiava il pianoforte, il violino
ovunque scuole di musica (la televisione
fu chiusa, perché si disse:
che o la musica la ascolti dal vivo, oppure niente
e che la devi suonare, per capirla).
Si disse anche che la musica ingentilisce
e che la gentilezza è la cosa più importante,
non la felicità, la ricchezza o la fama, il potere
ma la gentilezza era il traguardo di ognuno.
Poi la mia popolarità cominciò a scemare,
a nuovi musicisti volgeva il favore del pubblico,
caddi presto in miseria, come era successo a Vivaldi
che sarebbe stato riscoperto molti anni dopo la morte
per brillare per sempre nel cielo della musica.
Ma di morire dimenticato
non mi dispiaceva,
ero contento di aver fatto rinascere l’arte
e di aver stimolato tanti
all’educazione e allo studio,
ero contento che tutti cantavano, tutti ballavano
ricercando la gentilezza in cuor loro,
questa era una cosa che mi riempiva di gioia.

claudio damiani foto di dino ignani

claudio damiani foto di dino ignani

claudio damiani la miniera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il cercatore d’oro

Quanto ho penato, sai, cara Ketty
quanti anni ho passato in solitudine
a scavare in queste colline, a filtrare
nel mio setaccio interi greti di fiumi,
ora mi vedi sulla mia poltrona
davanti al caminetto, ma quanto ho penato, Ketty.
Vivevo in stamberghe umide, mi nutrivo di bacche,
piccoli roditori, radici, eppure sai, se penso a quei tempi
era una gioia per me, non trovavo l’oro
ma la mia vita era una preghiera,
come con una cannuccia infissa nella terra
suggevo un nettare invisibile, gioia liquida, forza,
come un bicchiere che non avesse fine,
un pozzo senza fondo, e ogni giorno di più
e più prendevo e di più ce n’era ancora.
Poi a un certo punto trovai l’oro, scendendo
in una grotta abbandonata, senza scavare,
senza nessun colpo di pala o piccone
trovai oro a non finire,
divenni ricco, molto ricco, e ora vedi
sono vecchio e mi si avvicina la fine
ma non rimpiango la povertà e la fatica,
non rimpiango la ricchezza e gli agi,
ma non aver conosciuto te bambina, questo rimpiango,
non aver diviso la mia vita con te,
questo rimpiango, ma vedi, ti vedo ora, cresciuta,
accanto a me, davanti al fuoco, a parlare,
cara figlia, e questa è una gioia,
una gioia che non riesco a contenere.

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TRE POESIE INEDITE di Ivan Pozzoni “L’alieno” “Il destino di Siface” “La fuga di Mitridate” POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI

 

Milano Quartiere Quarto Oggiaro

Milano Quartiere Quarto Oggiaro

Ivan Pozzoni è nato a Monza (MB) il 10-06-1976. Sue raccolte di versi: Underground (A&B, 2007), Riserva Indiana (A&B, 2007), Versi Introversi (Limina Mentis, 2008), Androgini (Limina Mentis, 2008), Lame da rasoi (Joker, 2008), Mostri (Limina Mentis, 2009), Galata morente (Limina Mentis, 2010), Carmina non dant damen (Limina Mentis, 2012), Il Guastatore (Cleup, 2013), Patroclo non deve morire (deComporre Edizioni, 2013) e Scarti di magazzino (Limina Mentis, 2013); ho curato antologie di versi: Retroguardie (Limina Mentis, 2009), Demokratika (Limina Mentis, 2010), Triumvirati (Limina Mentis, 2010) [raccolta interattiva], Tutti tranne te! (Limina Mentis, 2010), Frammenti ossei (Limina Mentis, 2011), Labyrinthi IIIIIIIV (Limina Mentis, 2013), Generazioni ai margini, NeoN-Avanguardie, Comunità nomadi, Metrici moti, Fondamenta instabili, Homo eligens, Umane transumanze, Forme liquide e Scenari ignoti (deComporre, 2014); nel 2008 sono stato inserito nell’antologia Memorie del sogno, di A&B Editrice, nel 2009 nell’antologia Paesaggi, di Aljon Editore, nel 2010 nelle antologie Rosso e Taggo e ritraggo di Lietocolle, nel 2011 nelle antologie Insanamente, di FaraEditore, Dal tramonto all’alba, di Albus Edizioni, e Verba Agrestia 2011, di Lietocolle, nel 2013 nelle antologie Il ricatto del pane, con CFR Edizioni e Le strade della poesia, con Delta3 Edizioni, nel 2014 nell’antologia L’amore ai tempi della collera, con Lietocolle. Ho collaborato, con saggio, ai volumi collettivi Ricerche sul pensiero italiano del Novecento (Bonanno, 2007), Le maschere di Aristocle. Riflessioni sulla filosofia di Platone (Limina Mentis, 2010), Centocinquant’anni di scienza e filosofia nell’Italia unita (Limina Mentis, 2011), Scienza e linguaggio nel Novecento italiano (Limina Mentis, 2012) e Pensare la modernità (Limina Mentis, 2012); sono usciti miei volumi e volumi collettivi da me curati: Grecità marginale e nascita della cultura occidentale. I Pre-socratici (Limina Mentis, 2008), L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Limina Mentis, 2009) [mon.], Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press, 2009) [mon.], Cent’anni di Giovanni Vailati (Limina Mentis, 2009), I Milesii. Filosofia tra oriente e occidente (Limina Mentis, 2009), Voci dall’Ottocento (Limina Mentis, 2010), Benedetto Croce. Teorie e orizzonti (Limina Mentis, 2010), Voci dal Novecento (Limina Mentis, 2010), Voci dal Novecento II (Limina Mentis, 2011), Voci di filosofi italiani del Novecento (IF Press, 2011), Voci dall’Ottocento II III (Limina Mentis, 2011), La fortuna della Schola Pythagorica. Leggenda e contaminazioni (Limina Mentis, 2012), Voci dal Novecento IIIIV (Limina Mentis, 2012), Pragmata. Per una ricostruzione storiografica dei Pragmatismi (IF Press, 2012), Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche: i Presocratici (IF Press, 2012) [mon], Le varietà dei Pragmatismi (Limina Mentis, 2012),  Elementi eleatici (Limina Mentis, 2012), Pragmatismi. Le origini della modernità (Limina Mentis, 2012), Frammenti di filosofia contemporanea I  (Limina Mentis, 2012), Frammenti di cultura del Novecento (Gilgamesh Edizioni, 2013), Frammenti di filosofia contemporanea II (Limina Mentis, 2013), Lineamenti tardomoderni di storia della filosofia contemporanea (IF Press, 2013), Schegge di filosofia moderna I (deComporre, 2013), Voci dal Novecento V (Limina Mentis, 2013), Voci dall’Ottocento IV (Limina Mentis, 2014), Schegge di filosofia moderna IIIIIIVVVIVIIVIIIIXX (deComporre, 2014) e Libertà in frammenti. La svolta di Benedetto Croce in Etica e Politica (deComporre, 2014) [mon.]. Nel 2012 è uscito il numero unico di rivista, da me curato, Le bonhomme. Dal 2007 al 2013 ho assunto il ruolo di direttore culturale della casa editrice solidale Liminamentis Editore.

Milano Periferia, scorcio

Milano Periferia, scorcio

“… mi sembra che si tratti di una questione molto semplice: la scomparsa della poesia così come l’abbiamo conosciuta e praticata nel Novecento: l’affondamento del Titanic. Ivan Pozzoni trae tutte le conseguenze dal fatto che il locutore ha cessato di essere fondatore, e che il linguaggio ha cessato di essere la dimora dell’essere; che, insomma, l’essere, l’io e il linguaggio stanno tutti in una dimensione di galleggiamento dove presente e passato collimano con il futuro-passato. Una dimensione a-dimensionale. Ivan Pozzoni  liquida la poesia così come liquida la filosofia del Novecento; tutto è affondato sotto i colpi di quel machete che è stato l’affondamento della Fondazione. Pozzoni risolve (a modo suo e con pieno diritto), la questione della «Poesia» facendo una «cosa» che, molto semplicemente, è fuori-della-poesia. La presa di distanze da ogni ipotesi di «retroguardia» come di ogni «avanguardia» è chiarissima nella nomenclatura che ne dà Pozzoni quando parla di «non-poesia» e di «neon-avanguardia», quell’avanguardia che è andata a farsi friggere non desta più alcun interesse al poeta di Monza, così come la «poesia» vista come istituzione stilistica è un concetto che non dice più nulla a Pozzoni.

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

Pozzoni prende dunque atto che la poesia contemporanea è rimasta priva di referente, priva di un pubblico mandato sociale, priva di fondazione, priva di un tegumento stilistico, figlia legittima del tempo della stagnazione e della susseguente recessione economica, politica e spirituale, essa non può che girare a vuoto nel vuoto valoriale ed esistenziale. Ergo, il «poeta» diventa «non-poeta», la «poesia» diventa «non-poesia», è una quiddità non esistente, galleggia su di una materia non-materia, liquida, è parerga, fronzolo ricciuto e fronzuto, «neon». Direi che questo azzeramento mi sembra una operazione che ha i suoi risvolti positivi: una iconoclastia radicale, una dissacrante e arrembante distruzione di tutto ciò che pretenda di ergersi a mondo valoriale riconosciuto e riconoscibile, tanto è vero che Pozzoni riesce convincente quando abbandona la griglia formale in rime che nel suo corpo testuale diventa qualcosa molto simile alla non-rima, che riesce appunto telefonata in quanto prevista in anticipo, in quanto è già programmata nel software del Dopo il Moderno anche la sua mancanza. In quanto posti nel magazzino dei bagagli smarriti in anticipo, Pozzoni si sbarazza con funesta allegria di tutto il conglomerato delle retorizzazioni novecentesche. È l’affondamento della forma-poesia che qui ha luogo, senza nessun frastuono immersi come siamo nel rumore di fondo di una omologizzazione pervasiva e onnilaterale.
A questo proposito ritengo interessante per i lettori riportare una riflessione di Ivan Pozzoni apparso su un blog”
(Giorgio Linguaglossa da prefazione a Patroclo non deve morire, 2012)

Ivan Pozzoni Patroclo non deve morire“I miei frammenti, come frammenti ametrici, rifiutano ogni categorizzazione tradizionale, caratterizzandosi come «non-poesia» dove, con «poesia», si intenda una scrittura in versi eccessivamente attenta a modelli e strutture formali. La mia è una «vocazione», interessata a richiamare alla mente l’assurdo della quotidianità e a chiamare a raccolta chi, contro tale assurdo, desideri architettare forme di resistenza, benché io non sia certo che, nel tardo-moderno, sia ancora significativo il concetto, molto solido, molto orientativo, di «via»”.

(Ivan Pozzoni)

ivan pozzoni l'alieno

48. L’alieno

Dei fari si accendono allo sbocco della tangenziale di Milano
stride un rumore di impatto al suolo, brucia il terreno
non è l’inondazione del solito Seveso a creare rumor d’uragano
è sbarcato un alieno.

Arrivano in loco ambulanze e carabinieri richiamati dalla confusione,
l’attracco di un Unidentified Flying Object non è un consueto risvolto;
dalla torre di Cologno Monzese arrivano celeri i fanti della televisione
l’intervista esclusiva su Mediaset Premium amputerebbe ogni indice d’ascolto.

«Dottor Alieno» – sgomita il giornalista pubblicista- «ha intenti di belligeranza?»,
nella speranza di strappare all’alieno una firma gratis sulla liberatoria;
«Somaro mio» – risponde l’alieno- «secondo te sarei sbarcato in Brianza
se avessi avuto intenzione di conseguire anche una mezza vittoria?».

«Sono un alieno, e vorrei lanciare un messaggio alla vostra nazione,
che, insieme a Grecia, Portogallo e Spagna è terrona dell’Unione Europea,
la Bca (Banca centrale aliena) è disponibile a favorire stock option
– come dite voi- in modo che ogni banca d’Italia, attuata una ricapitalizzazione,
abbassi i tassi di interesse ai conti correnti, irritando i colon
dei milioni di risparmiatori italiani fino a crear loro una recessiva diarrea».

La giornalista trentenne, in minigonna e scollatura di rappresentanza
tenta di interrompere l’alieno con una domanda d’ordinanza:
costui, puntando col medio, le manda un fulmine, sparita, via,
com’era abituata, di tanto in tanto, a sparir sotto qualche scrivania.

«Punto due della Bca – continua l’alieno- dovrete incrementare ogni forma di flessibilità,
cioè usate un flex o una mola Bosch sui sorrisi di chi spaccia disoccupazione
sotto la falsa retorica dell’opportunità: dall’era Craxi hanno esaurito ogni credibilità.
Se volevate mandare l’Italia a troie tanto valeva tenersi in Camera Ilona Staller
e smettere di votare, come ciucci, i microcefali epigoni sinistra-centro-destra della Merkel
affrontando sul Transatlantico, MonteTitanic, la punta dell’iceberg della recessione».

«Punto tre della Bca – conclude l’alieno-, se da Arcore arriva Berlusca neanche inizio
non vorrei, tra le varie nipoti di Mubarak, incappare in un’odissea nell’ospizio
(di Cesano Boscone) o se da Firenzi mi arriva il Fonzie con la faccia da cassamortaro
non vorrei spendere milioni di alien-dollari in detersivi a cercar di smacchiare un giaguaro,
dovrete vendere le Alpi alla Svizzera, il Tirreno alla Corsica e l’Adriatico all’Albania
e svuotare l’oceano di un debito pubblico col cucchiaio della gerontocrazia».

All’improvviso a sirene spiegate arriva un’autolettiga della Croce Verde Pavese
due nerboruti infermieri, attenti a schivare medio e media, incamiciano l’alieno genovese
che, divenuto immediatamente alienato, interrompe il discorso e si incammina tranquillo.
Come cazzo hanno fatto a confondere messaggi d’alieno con un comizio di Beppe Grillo?

 

Sofonisba, la consorte di Siface

Sofonisba, la consorte di Siface

49. Il destino di Siface

Tito Livio, contro Polibio, si compiace
di spiegarci il destino di Siface.

La cronaca: raccontiamo i meri fatti
come farebbe Govoni coi suoi fiori soddisfatti.

Gli antefatti: Scipione attiva Massinissa e Lelio
contro un Siface costretto a dare er mejo.

Per Siface, in Magnos campos, è amarissimo il boccone
d’essere sconfitto al Bagrada insieme ad Asdrubale Giscone:
Postero die Scipio cum omni Romano et Numidico equitatu Masinissamque Laelium
expeditisque ad persequendos Syphacem atque Hasdrubalem mittit militum.

Catturato Siface la resa di Cirta è certa
i cavalieri di Lelio stravincono in trasferta
la disfatta è colpa di Siface: nisba!
ci finisce in mezzo Sofonisba
costretta a ingurgitare una tazza di veleno
come nel Critone fece Socrate senza esserle da meno.

Scipio C. Laelio cum Syphace aliisque captivis Romam misso, cum quibus et Masinissae
legati profecti sunt, ad Tyneta rursus castra refert ipse.
Siface è imbarcato verso Roma, caput mundi
incarcerato da una catena di gerundi,
a Zama c’erano Mazetullo e Ticheo e Siface stava a Tivoli
Annibale ebbe volatili da diabetici, cioè cazzi amari, e a Cartagine furono davvero cavoli.
Morte spectaculo magis hominum quam triumphantis gloriae Syphax est subtractus,
Tiburi haud ita multo ante mortuus, quo ab Alba fuerat traductus.

Dove stanno bene i fiori? In un vaso:
non servivano ventisei versi a distruggere il Parnaso.

Mitridate

Mitridate

 

 

 

 

 

 

 

La fuga di Mitridate

Questi momenti oscuri da instabile mondo terziario
ci inducono ad una sottile costante mitridatizzazione,
versandoci in versatori versatili di veleni metrici
nelle arterie d’una società tossicomane,
in crisi d’astensione.

Fondo un mondo dove rari eroi eroinomani,
ed eroine, inoculino, alternando, dosi d’antidoto e dosi di veleno
nelle loro stanche vene artistiche,
assicurando esiti incerti ai tests d’immunodeficenza,
battendo soglie di tolleranza.

Mitridate, assuefatto a Roma,
indossò un’armatura di scaglie di vento,
e non fuggì.

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TRE POESIE di Lidia Are Caverni “Proserpina” “Odisseo notturno” “Il ciclope risvegliato” (poemetti 1991) POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI

 Invitiamo i lettori interessati ad essere ospitati nel blog ad inviare poesie sul tema: “Poesie su personaggi storici mitici o immaginari”

Roma_pittura parietale_ impero romano

pittura parietale stile pompeiano

 

Lidia Are Caverni, nata a Olbia  il 3/11/41, ha trascorso infanzia e adolescenza a Livorno, da molti anni risiede a Mestre. E’ insegnante elementare in pensione. Scrive sin da giovanissima. Ha pubblicato quattordici libri di poesia, tra cui “Un inverno e poi…” 1985; “Nautilus” 1990;  “Il passo della dea” 1999; “Fabulae linguarum” 2000; “Le montagne di fuoco” 2005 con la prefazione di Giorgio Linguaglossa; ”L’anno del lupo” 2006 con la prefazione di Walter Nesti; “Animali e linguaggi” 2006 con la prefazione di Michele Boato; “Il prezzo dell’abbandono” 2009 con la prefazione di Pietro Civitareale; “Fiore bianco notturno” 2010 con la prefazione di Giuseppe Panella; “Colori d’alba” 2010 con la prefazione di Franco Manescalchi “. Nova itinera” 2014 con la prefazione di Franco Dionesalvi.

Lidia Are Caverni

Lidia Are Caverni

Di racconti: “Il giorno di primavera” 1992; “La fucina degli dei” 2000; “Il satiro e la bambina” 2000; “L’albero degli aironi” 2004; “I giorni del breve respiro” 2007 racconti autobiografici. Romanzi per l’infanzia “Clotilde e la bicicletta” 2000; “Il pesce verdino” 2009. Romanzi:  “I giorni dell’attesa” col ilmiolibro.kataweb.it di Repubblica. Un breve saggio sul linguaggio nella scuola elementare: “Discorso sul linguaggio”. Ha pubblicato con la Casa Editrice Bruno Mondadori, Passigli, Bonaccorso con distribuzione nazionale, Masso delle Fate, Raffaelli, Edizioni Orizzonti Meridionali, Istituto Italiano di Cultura di Napoli. È stata tradotta in lingua inglese e rumena. Collabora a varie riviste, fra cui Capoverso, Poiesis, Lo scorpione letterario, Atelier,  ClanDestino. Ha collaborato con la rivista “I viaggi di Erodoto” della Casa Editrice B. Mondadori. Sue poesie sono apparse sui blog di Antonio Spagnuolo, Fortuna Della Porta, La Recherche, José Pascal, Moltinpoesia.

Roma Bernini il ratto di Proserpina 1621

pittura parietale stile pompeiano

 

Proserpina

Potrebbe ancora nascere
solitaria ruga dove si leva
il mare
nei cespugliati lentischi
ad abbeverarsi di salsedini
per abbarbicata emergere
dove ruvide labbra
la strappano
nei silenzi di mattini
dorati perduti come l’alba

Se ritornasse potrebbero
fiorire primavere
dimenticate orde remote
di notti nei solitari
sbadigli dei sonni
che tessono mai compiuti
riposi invecchiati volti
dipanano matasse
di lunghe stagioni
e ghirlande per le intrecciate
danze

Il tuo suolo di ovide
aspro nasconde desiderio
di fiori e di aratri
nelle purificate messi
impaziente attendi
che dai visceri scivoli
la bella
a ridonarti sorrisi

Forse languida non sa
più lasciare tepori
di notti
troppo è sazia di baci
prigioniera l’avvolgono
braccia nelle profondità
senza spiragli a rallegrarla
di luci
lento matura il seme
nel suo grembo
di spenta primavera

Della tenera cova
non resta che attesa
vuote le mani sospirano
morbidezza di guance
non sfiorata la terra
grida che si apra
il chiuso pugno di madre
spogliata del frutto
neppure seme spande
sterpi curvi abbrutiscono
labbra dove non più che
amare stoppie divorano
campi senza germogli

A sera tornavano i figli
stanche giovenche nel sonno
curvando l’umidore del viso
al mattino destandosi
nel fulgido bagno
del giorno
intrecciava nastri la madre
per il fiore più bello
finché tutta s’ingrigì la terra
nel mordente gelo
il sole a mascherarsi d’ombra

Acre sposo ruppe
il suo velo di sposa
imenei di tenebra levarono
canti si spensero i risi
dei dolci giochi
i sogni dei connubi
incantati
irsuti abbracci strinsero
tepori di fanciulla
traditi serti di fiori
oscurarono occhi

Corni modulano essenze
nevi ricoprono gli aridi
campi
fauni cercano memorie
di verdi solchi
non destano i suoni
eternità di sonni
mute acque non sanno
infrangere ghiacci
e aspettano i rinnovati
gorgogli

Il sole si colmò di raggi
penetrando la terra
suggellò la promessa
invano Pluto oscurava
le stanze per tradire
l’attesa
bagni di spigo aspettavano
pallide guance finché
tornasse l’aurora a indorare
la pelle

Ampi seni accolsero
tremori
splendenti tornarono
arcobaleni nelle freschezze
di piogge
dilagarono i teneri germogli
belati d’agnella
come la sua gola
ebbra di gioia
negli involucri delle bianche
braccia sospirose di rosa

Spighe bionde potranno
ora adornare capelli
papaveri arrossare labbra
ridenti come pianure
irrorate di chiare acque
frutti gonfiare grembi
nei flebili vagiti
la notte avvolgersi di stelle
custode l’Orsa a indicare vie
nei quieti solchi del mare
dalle pescose reti
dimenticate si perderanno
tristezze.

Cogito figura 1
Odisseo notturno

Segnato dal silenzio
non avresti che poche cose
da dire
dissanguato ti lasciano
parole che dicevano ore
pallori di meriggi
consumati in una tazza
di thé
sole ti restano attese
di presenze che non verranno

Rustiche pareti indicano
ricoveri dove si passa
una notte
aspettando di proseguire
cammini
devastate da lune
che dissipano raggi
incuranti della tua nudità

I nomi che tacciono
perdute stelle
mai possedute
se non per indicarle
con i pallidi telescopi
degli occhi
non le ritrovi
nella notte senza luna
se non per rimpiangerle

Curva sul tuo cappello
si è posata la luna
un po’ di mago
un po’ di bohemien
ne approfitti per tacere
chi sei
preferendo velarti
di mistero

Ora ti sorridono gli occhi
molto hai sognato
di luoghi lontani
assaporate acque di fontane
e di pianti
mescolati sudori e mattini
sosti e stai
di nuovo aspettando di partire

Assetato di follia
non porteresti con te
che le consuete banalità
sono le sole da cui
si può uscire
zavorre che ti faranno
tornare

Assaporate le acque
del sogno
non potrai che dire vado
infinite ti giungono malie
di stelle lontane
che non ritrovi più qui
mascherate di indifferenza

Lo stretto corpetto
rivela l’ombelico del mondo
attorno a cui credi
di ruotare
senza voltarti indietro

Solo un luogo ti è noto
che riscopri nei luoghi
che trovi
e non sei mai partito
punto che lanciato ritorna
boomerang di te stesso.

 

raffigurazione di Polifemo

raffigurazione di Polifemo

Il ciclope risvegliato

Scosso dalla cenere
che generava il sonno
(per destarsi non basta
che lieve sbatter di ciglia)
diatermie generate dai silenzi
e dai ghiacci di avvolgenti
simulacri destinati
ad altri pianeti
potresti intorno veder Continua a leggere

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POESIE INEDITE di Umberto Simone “La baia delle femmine” “La pastora” “Derviscio sovrappeso” , Antonio Sagredo “Più quadri, per te, Cassandra”! “madrigale ve(le)noso”, Flavio Almerighi “Marco Emilio Lepido” POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI

Parnaso apollo venere-mercurio e le muse di andrea mantegna.

Parnaso apollo venere-mercurio e le muse di andrea mantegna.

Umberto Simone

Umberto Simone

Umberto Simone

La baia delle femmine

.
Se non un uomo fossi di creta grossolana,
ma una spiaggia piuttosto di sabbia calda e fina,
l’estate intera avrei su me, gioia sovrana,
donne dischiuse al sole, chi prona chi supina,
e nonostante il grezzo telo di mezzo, come la cortina
importuna di un harem, lo stesso avvertirei quell’aurea grana
di curve, e tratterrei l’orma divina
dei grappoli dell’Eden, o dei gemelli della luna piena.

Ma se da me piombassero malcapitati incauti rozzi maschi,
di colpo diverrei spuntone, scoglio, sprone, scheggia, spina,
e senza pietà alcuna marchierei, se giacessero di schiena,
chiappe angolose e irsute con lividi e con raschi,
e se di pancia – diamine, mi comporterei peggio dei tedeschi
nel Terzo Reich coi libri: uno sfracello, una carneficina
farei, di quei volumi! e si lamenterebbero, i fuggiaschi,
con voci bianche come un coro della cappella Sistina.

La Baia delle Femmine … il gineceo tabù, dove a ciascuna
risorge dal bikini srotolandosi la coda di sirena,
dove il liscio col morbido in modi sempre nuovi si incatena
e la somma qui è bionda, e più in là è rossa, e più in là ancora è bruna,
e ogni ora si dipana piana come un’arcana cantilena …
se solo fossi rena! se solo fossi duna!
e non la goffa sagoma, non questo tizio dall’aria un po’ strana
che con le belle non ha più fortuna.

.
La pastora

Flabelli di papiro, pappi di cardo, granulosa ed irta
l’aria, a cunei il respiro, a prismi in fiamme
la luce, e crema blu lo stagno – ma di corsa si tuffarono
i boscaioli, giovani, sei, sette, e tutto diventò all’istante

agape da palestra, festa di guerra, rude paradiso.
Quello che mi scoprì, “ Bella, gridò, tu non lo senti, il caldo?
Sei timida, o non nuoti? Scendi, che t’insegniamo. ” Gli altri risero,
lui sorrideva e basta, e s’accostava già alla riva, uscendo

dall’acqua, come acciaio dalla fornace, a blocchi rutilanti:
la testa, che scrollò spruzzando fino a me, o mi parve, stille
aspre come tizzoni – la gola, con la biscia d’una ciocca
in bifido abbandono – e poi, a lingotti sempre più crudeli,

grondanti e lisce come masse corrusche all’acme d’una rapida,
spalle, e petto! e le braccia! con vene, tese, come gomene! e accecata
fuggii, povera cerva! ma non appena fuori visuale
mi fermai, per udire se venivo braccata, o minacciata, o canzonata, o invece

pregata di restare … Breve lo scatto, eppure ansavo, madida,
con frane come d’alghe o come d’aghi
a dolermi nell’osso – e con la cicatrice quasi d’una
ditata sporca d’oro sulla spugnosa bilancia del cuore.

.
Derviscio sovrappeso

Leggeri gli altri ruotano, librandosi a occhi chiusi,
disincarnati quasi dall’estasi e dal ritmo,
con la veste che all’orlo sboccia in cerchi allargati di ninfea,
ma in vita si restringe come il gambo del narciso:
io soltanto, derviscio sovrappeso,
io l’obeso, io il deriso, resto il sudato parallelepipedo,
la libellula quadrupla, la mongolfiera condannata a terra
da un surplus di zavorra.

Eppure a volte ospito un cuore che
ben oltre i miei più floridi diametri si dilata,
tanta dolcezza monta in me che penzolo
come una gocciolona di manna sul creato,
mi sento il vino che rimane fino
persino nella tozza damigiana,
e in me stesso volteggio! – e giro! e giro! come quella chiave
per cui le serrature fatte in serie sono strette.

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Sagredo

Più quadri, per te, Cassandra!

E tu vedrai i miei trionfi sulle Vie dei Canti,
come sulle consolari un tripudio di epitaffi
in cenere fissa il Tempo alla sua rovina
e dìssipa dietro le quinte lo spirito dei gesti.

Non avrai nemmeno un cantuccio per amare l’Arte
perché come un apostolo libertino l’umile potere
hai travisato per un’oncia di invidia bizantina:
il piacere del lutto hai vinto per un ignobile retaggio!

La lettura volgeva al tramonto di uno stile il vaticinio
di una lingua tòrtile, come una colonna asmatica
che dal leggio al calice celebra la sua caduta,
lo stupore di uno scacco e l’applauso di una metafora.

E non potrai mai scrivere un necrologio al mio pensiero:
ti manca la giostra dei numeri e dei sogni, le idiozie
degli arcani che sul Tempio dei Miraggi discutono
del fato, del destino, ma non sanno le destinazioni !

E se dici parola non ti consiglia l’Oracolo una visione
per divinare una sgraziata profezia… e ti disprezza,
e ti racconta frottole e menzogne se non hai valore,
e l’ispirazione credi vera, ma solo per la tua meschinità!

(Vermicino, 11 marzo 2009)

 

madrigale ve(le)noso

Il capezzale di una donna non amai fittizia alcova o reale
solo l’insana malattia di una melancholia carnale mi sedusse.
Liberai commosso i carnefici esiliati dai rastrelli della mente.
Il castello dei merli fu più di una malattia ascetica: una quinta!

La fuga generò una kermesse di cinque voci e semitoni,
una carezza della nemesi celebra ossessa atti indicibili,
il procardio vomitò esausto il cromo di straziate note:
vola -su –seno-doge … vola-su-seno-doge… vola-su…

Con gli occhi dei liuti ho cantato i carmi di un Orazio esterrefatto,
le mie labbra normanne gonfie come nere vele dal favonio,
pentagrammi di artigli e ombre assolate sul leggio infame.
La mia vita fu santa, sublimata dall’inchiostro, e dai delitti!

flavio almerighi

flavio almerighi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Flavio Almerighi

Marco Emilio Lepido

La mente di Marco Emilio, primitiva
efficace, i romani a quel tempo sorridevano
mostrando da sempre denti forti e aguzzi
non silenzi e ombre come i cristiani,
collegare, respingere galli e cartaginesi
prima della partenza dei goti verso sud.

Ogni rotonda scaraventa dintorni
barbari ovunque sembrano te,
solamente un pazzo poteva concepire così
l’ideale fluire di una visione,
vestaglia e pelle d’oca capelli lasciati al caso
addormentata lungo il grigio luna sull’asfalto.

Per questo la Via Emilia è stretta
venne tracciata a fil di spada,
oggi tanta ferrovia le cammina a fianco,
costituiti da almeno venticinque edifici
gli abitati accampano rimpianto e nebbia
per sempre amanti senza braccia.

 

Umberto Simone è nato nel 1949 a Monfalcone, in provincia di Gorizia, da padre pugliese e madre istriana. Ha trascorso in Puglia infanzia e adolescenza , quindi si è trasferito a Padova, dove si è laureato in medicina . Attualmente vive a Pisa. Ha pubblicato le raccolte: L’isola delle voci (2001, premio “Diego Valeri” 2002) e Il sacco del curdo (Il Ponte del Sale, 2008, premio “Massa città fiabesca” 2010, premio “O. Pelagatti” 2012).

Antonio Sagredo. Dicono che sia nato nel Salento decine di anni fa… a pochi chilometri da Giulio Cesare Vanini (a cui ha dedicato un poema mirabile), da Carmelo Be-ne e Eugenio Barba; il primo lo frequentò con discrezione somma, e gli de-dicò versi immortali. Fu frequentatore assiduo di quei teatri d’avanguardia romani e non, di cui conobbe autori e attori; recitò in due spettacoli teatrali: nei drammi lirici del poeta russo Aleksandr Blok e in uno spettacolo del poe-ta praghese Vitězslav Nezval, che inneggiava ai progressi della scienza della comunicazione. Sagredo studiò e visse a Praga calpestando gli acciottolati insieme ai poeti praghesi e a Keplero. I suoi primi componimenti, a 14 anni, in un vagone di terza classe (seppe tempo dopo che Pasternak e Machado viaggiavano nella stessa classe, componendo); distrusse i primi versi, i secondi e seguirono altre rovine; trovò un impiego di ripiego per nascondersi; poi raggiunse una forma inclassificabile tendente al sublime che gli permette di vivere di eredi-tà auto-postuma. Un amico poeta spagnolo, M. Martinez Forega, lo spinse a pubblicare due piccole raccolte di poesia a Zaragoza: Tortugas (Lola edito-rial, 1992) e Poemas (Lola editorial Zaragoza, 2001); sulle riviste: Malvis (n. 1) e Turia (n. 17). Poi nulla più, fino a che da New York, la scorsa estate, gli giunse una proposta di pubblicazione con Chelsea Editions.

Flavio Almerighi è nato a Faenza il 21 gennaio 1959. Sue le raccolte di poesia “Allegro Improvviso” (Ibiskos 1999), “Vie di Fuga” (Aletti, 2002), “Amori al tempo del Nasdaq” (Aletti 2003), “Coscienze di mulini a vento” (Gabrieli 2007), “durante il dopocristo” (Tempo al Libro 2008), “qui è Lontano” (Tempo al Libro, 2010), “Voce dei miei occhi” (Fermenti, 2011) “Procellaria” (Fermenti, 2013). Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati da prestigiose riviste di cultura/letteratura (Foglio Clandestino, Prospektiva, Tratti)

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POESIE di Annamaria De Pietro “Prosopopea della chimera ” “Prosopopea di medusa” “La giostra” “Diceria di Ofelia” “Dreyer” “La capitana” Poesie su Personaggi storici mitici o immaginari

Escher Maurits Cornelis Drago

Escher Maurits Cornelis Drago

Annamaria De Pietro è nata a Napoli, dove ha vissuto fino all’adolescenza, da padre napoletano e madre lombarda. Vive da tempo a Milano. Ha cominciato a scrivere non occasionalmente, ma sempre, in età matura. La sua prima pubblicazione in versi risale al 1997: Il nodo nell’inventario (Dominioni Editore, Como 1997). Sono seguiti Dubbi a Flora (Edizioni La Copia, Siena 2000), La madrevite (Manni, Lecce 2000), Venti fusioni a cera persa (Manni, Lecce 2002). Nel 2005 pubblica un libro in napoletano, Si vuo’ ‘o ciardino (Book Editore, 2005), col quale paga il suo tributo alla città d’origine, poco amata, mai più visitata. Nell’ottobre del 2012 esce Magdeburgo in Ratisbona (Milanocosa Edizioni, Milano, 2012).

annamaria de pietro 2010 febb

annamaria de pietro 2010 febb

  annamaria de Pietro Magdeburgo

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Prosopopea della chimera

A me ai tre terzi incutono tre fami
bocche di fiamme tre, e la prima e terza
liberi nervi pascolando a brani
l’arso dai fuochi vanno – ma ai mediani
denti solo inchinando stesa all’erba
come se riposando ai meridiani
schidioni gialli mi aggiogassi a basto
nutrimento consento – e si diserba
grande stesa di prato in medio monte.
Là dove già solo stanno le impronte
d’incenerite prede, i cavi ossami
per entro cui corvo non cerne pasto.
Senza recupero vana rovina,
triplice fame che secca la fonte,
scorta di ammanchi, ricrescente guasto,
morso maturo alla fragola acerba
che vizza eternità tripla trascina.
Fiamma che attizza mentre smembra e scerpa.
Fame di fame, di non più fame io grido,
tre volte io spezzo la corda cattiva
che tiene forte a triplici legami
e la fiamma a tre fiaccole la strina,
ma nuove fibre eternamente pronte
rifanno il fronte come onde addosso al lido.
O morta libertà a ogni vita viva
consunta a ognuna delle bocche infami,
inedia che dell’esca sua si priva –
morta voglia di spoglia cinerina
tre volte persa, per tre volte serva.
Che un cavaliere d’aria, io spero e fido,
galoppatore che nuvole sferza
né al trito della terra il volo inclina
la fiamma dei suoi ferri arda a contrasto
giù dall’alto sfrascando fronde e rami
e per tre volte schiantando la fronte
di noi misero gregge alla deriva
d’ombra e di neve per sempre mi sfami.

Da Venti fusioni a cera persa, Piero Manni, Lecce 2002

Medusa Caravaggio

Medusa Caravaggio

 

 

 

 

 

 

 

Prosopopea di Medusa

Solo dentro lo specchio la mortale
mia fra le tre differente figura
mieterà a morte falce o curva spada.
Dentro il risguardo del timore, abiura
che sola aggruma il possibile male,
il possibile fermo oltre la strada.
Solo nella raggiera il varco è dato
fra l’uno e l’altro varco penetrando,
dall’altra zona partito il grido al volto,
solo oltre la lastra che spezzando
il filo duro alla linea rivolto
lo invola a volo novissimo e mutato.
Solo lontano da quella nube bianca,
oltre e lontano, recluso in altra parte,
perde carriera il mio inclemente sguardo.
Solo qui, dove luogo e spazio manca,
qui, dove al cavo forma sponda imparte.
Ma dallo scudo di colei che sparte
i fini e le ragioni ordendo io guardo.

Da Venti fusioni a cera persa, Piero Manni, Lecce 2002

La giostra

La giostra

 

 

 

 

 

 

 

 

La giostra
Guardando la scatola del brandy Carlos primero

Sopra pianura in nubi irta la lancia
di cavalcante noi vedemmo in resta
diritta lontanando, e a svista presta
imprevista piegò per lati quattro
voltando giostra l’immagine spettro
che affievolí sé stesso, e stuporoso
ci apparve quel voltare, da riposo
di direzione a turbare a rivolto.
Glorioso re cambiò parvenza e volto,
abdicazione d’ambio che divora
ragione e tempo, e la terra si scolora,
e la nube si straccia da ritroso
dove piumato l’erpice l’aggancia
inaugurando colori di zolfo.
Ci interrogammo noi voltati indietro
ai quattro lati, giostrando l’inchiesta
– nel nome –, ma il viluppo non fu sciolto,
ma s’intricava la fusciacca rancia
mola nel ferro che l’oro lavora
al retrostare entrante di foresta.
Rivoltava l’involucro il suo metro
quattro da quattro quattro volte ancora,
metro da metro da intero corroso
dall’attore inseguito dal teatro.
Era, io pensai, l’hidalgo della Mancia,
e tutti insieme voltammo la testa.

Da Magdeburgo in Ratisbona, Milanocosa Edizioni 2012

annamaria de pietro

annamaria de pietro

 

 

 

 

 

 

 

Diceria di Ofelia – Per neve fusa

Dama lontana che sopra la neve
il tuo? di chi quel sangue – lo guardavi
e cadeva fondendo. Bianca mano
di stilo fine armata, irto e lontano
nei tuoi pensieri a te, all’altro, e guardavi
di te, dell’altro parte. Ora sorvegli,
poi che il tempo passò, l’urto lontano
in te, in quest’altro, in me che passai breve,
e le tue fiale la porta aperta beve.
Dunque passai, e salutai con la mano
da te, senza di te, che non guardavi
oltre la porta il mio porto lontano.

Buona notte dolce principe. La svegli
– piano fondendo nei vetri la mano –
poi se passi a cavallo Biancaneve?

Da Magdeburgo in Ratisbona, Milanocosa Edizioni 2012

C. Escher

C. Escher

 

 

 

 

 

 

 

 

Dreyer

Seppellita nel grano che a gran pioggia
versa la bocca di largo condotto
– e va aumentando lestamente il fiotto
preso alla vite dentro la tramoggia –

in stretta veste nera, e bianco il volto,
lei del nero e del bianco fa regioni
divise unite – calca gli speroni
coi talloni simmetrici il raccolto –

lei della rabbia infame fuso svolto
per la vertigine a cavi gironi
che mischia il nero e il bianco aggiunto e tolto –

lei costellante pardo in forte foggia,
voce alterna di flauto e di fagotto,
mano d’avorio e d’ebano che appoggia.

annamaria de pietro copertina

 

 

 

 

La capitana

Lei per la notte menava una squadra
di corazze con luce e fuoco e acciaio,
la mano presa nelle briglie, in guerra
il cuore in corsa e in lontananza – il suono
battente dei cavalli, e staffa e sella
macine di stridore, e le parole
sparse al silenzio, e l’odore di terra,
e il vento gonfio di neve e gennaio
erano compagnia, venia e perdono.
Ma fra le tempie a lei un arido sole
voltava i raggi come un arcolaio –
ma a lei fra i denti morso di viverra
mordeva a fame, a lei morso di vaio –
ma lei fra gli occhi librava una stella,
lieve colomba, mala gazza ladra.

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POESIE di Gino Rago “Fatelo sapere alla Regina…” “memoria di una madre”, Czeslaw Miłosz “Campo dei fiori”, Marek Baterovicz “Isola Tiberina” “Il Signor Retro” POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI

Gino Rago

Gino Rago

 Gino Rago nato a Montegiordano (CS) il 2. 2. 1950, residente a Trebisacce (CS) dove, per più di 30 anni è stato docente di Chimica, vive e opera fra la Calabria e Roma, ove si è laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005). Ai suoi libri poetici hanno dedicato saggi critici Sandro Gros-Pietro, Giorgio. Linguaglossa, Sandro. Montalto, Luigi Reina, Alfredo Rienzi e altri. Con componimenti lirici e recensioni ha collaborato e collabora con svariate riviste letterarie (Poiesis, Poesia, Polimnia, Vernice, Paideia, La Procellaria, La Clessidra, Hebenon). Per l’edito e l’inedito è stato proclamato vincitore assoluto al Rhegium Julii, al Fiera di Casalguidi, al Città di Manduria, al Libero De Libero di Fondi, al Città di Quarrata, all’Alessandro Contini Bonacossi, al Pietro Borgognoni di Pistoia, al Città di Mesagne, al Lorenzo Calogero, al Premio Athena-Galatina, al Città di Aprigliano, al Città di Lecce, a Il Litorale – Marina di Massa, fra gli altri.

 shakespeare teatro

Gino Rago

Fatelo sapere alla Regina…

Fatelo sapere alla Regina, ditelo
anche al Re: non abbiamo
bisogno di niente, né per la carne
viva né per lo spirito del tempo.
Siamo ricchi di noi,
dei profumi del sole nelle primavere.
E’ questo mare aperto
il poema di parole
sull’acqua, ci basta lo sciabecco
a sollevare spume.
Olio e ferite, vino e fatica,
festa e camicia pulita,
vento fanciullo a danzare
nell’erba, amore nelle mani
quando cercano
altre mani, oblio d’anemoni
sui nervi delle pietre,
mulinelli di zagare all’alba.

Ditelo alla Regina, fatelo
sapere anche al Re:
non ci servono rubini
alle corone
né domandiamo le monete
d’oro: siamo ricchi di noi
per i canti nel cuore, la saggezza
del pane, la quieta
sapienza del sale:
per le sciabole
rosse dei papaveri nel grano

Cassandra

Cassandra

Memoria di una madre

I falò di Carnevale… Tu ( opaca,
in un letto d’ospedale
già tutta pronta in cuore
al viaggio fra le stelle alla tua foce )
con l’occhio nella cenere
quieta sussurravi:
“Non sprecate l’acqua, lo capirete
quando è secco il pozzo… Di me
vi accorgerete forse a focolare spento.”
Per questo il mare urlò più forte
e smarrimmo l’odore delle mele,
di calce su quest’altra sponda
chiusi nel perimetro del pianto:
abiti neri, veli di pervinca,
condoglianze appena bisbigliate,
colpe da nascondere
come una vergogna,
contorni d’ombre , intermittenze d’asma,
tuo viaggio solitario verso l’onniscienza.
Luce di lampo, eternità d’istante,
colloqui da iniziare con l’assenza,
suoni a smemorare in quei labirinti.
Nel sole alto a candire i cedri
il vuoto di te
ruppe la barriera
fra vita finta e morte, atrocemente
straripò
come un’eco di strepiti lontani
o di remoti palpiti sapienti. Dall’ocra
dei licheni al fiore sui limoni
un vento soffiò rapido sul sangue della terra:
prosciugò le conche, disperse l’aquilone
ed essiccò la gioia del canto dentro l’anima.

(Inediti)

Czeslaw Miłosz

Czeslaw Miłosz

Czeslaw Miłosz, poeta polacco naturalizzato statunitense, Premio Nobel per la Letteratura nel 1980. È nato il 30 giugno 1911 a Szetejnie, ora in territorio lituano ed è morto a Cracovia il 14 agosto 2004. Aveva 93 anni. Poeta, ma anche saggista e traduttore: nel 1953 pubblicò La mente prigioniera, denuncia della passività degli intellettuali polacchi – ma anche dei francesi marxisti conosciuti a Parigi – di fronte al totalitarismo staliniano; nel 1977 La terra di Ulro, riflessione sulla poesia e sull’attività dello scrittore; nel 1998 Il cagnolino lungo la strada, autobiografia con aforismi e poesie. Una voce contro i totalitarismi: si dichiarava amico di antifascisti come Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone e i suoi versi vennero trascritti nelle piazze dagli operai di Solidarnosc per onorare i lavoratori uccisi dal regime comunista nel 1981. Intanto Miłosz insegnava poesia in California e scriveva i suoi versi ispirati da Simone Weil, Selma Lagerlof, William Blake, Emanuel Swedenborg. Un cattolico praticante attirato dagli eretici è stato definito.
Il premio Nobel per la letteratura 1987, Josif Brodskij, nel discorso tenuto a Torino per l’inaugurazione del primo Salone del Libro nel maggio del 1988, affermò che «la più straordinaria poesia di questo secolo è scritta in polacco», segnalando i nomi di Leopold Staff, Czesław Miłosz, Zbigniew Herbert e Wisława Szymborska».

giordano bruno arso vivo il 17 febbraio 1600

giordano bruno arso vivo il 17 febbraio 1600

Czeslaw Miłosz

Campo dei Fiori

A Roma in Campo dei Fiori
ceste di olive e limoni,
spruzzi di vino per terra
e frammenti di fiori.
Rosati frutti di mare
vengono sparsi sui banchi,
bracciate d’uva nera
sulle pesche vellutate.
Proprio qui, su questa piazza
fu arso Giordano Bruno.
Il boia accese la fiamma
fra la marmaglia curiosa.
E non appena spenta la fiamma,
ecco di nuovo piene le taverne.
Ceste di olive e limoni
sulle teste dei venditori.
Mi ricordai di Campo dei Fiori
a Varsavia presso la giostra,
una chiara sera d’aprile,
al suono d’una musica allegra.
Le salve del muro del ghetto
soffocava l’allegra melodia
e le coppie si levavano alte
nel cielo sereno.
Il vento dalle case in fiamme
portava neri aquiloni,
la gente in corsa sulle giostre
acchiappava i fiocchi nell’aria.
Gonfiava le gonne alle ragazze
quel vento dalle case in fiamme,
rideva allegra la folla
nella bella domenica di Varsavia.
C’è chi ne trarrà la morale
che il popolo di Varsavia o Roma
commercia, si diverte, ama
indifferente ai roghi dei martiri.
Altri ne trarrà la morale
sulla fugacità delle cose umane,
sull’oblio che cresce
prima che la fiamma si spenga.
Eppure io allora pensavo
alla solitudine di chi muore.
Al fatto che quando Giordano
salì sul patibolo
non trovò nella lingua umana
neppure un’espressione,
per dire addio all’umanità,
l’umanità che restava.
Rieccoli a tracannare vino,
a vendere bianche asterie,
ceste di olive e limoni
portavano con gaio brusio.
Ed egli già distava da loro
come fossero secoli,
essi attesero appena
il suo levarsi nel fuoco.
E questi, morenti, soli,
già dimenticati dal mondo,
la loro lingua ci è estranea
come lingua di antico pianeta.
Finché tutto sarà leggenda
e allora dopo molti anni
su un nuovo Campo dei Fiori
un poeta desterà la rivolta.

(Varsavia, Pasqua 1943)

Marek Baterowicz

Marek Baterowicz

Marek Baterowicz è nato a Cracovia nel 1944. Ho avuto il mio primo incontro epistolare con lui quando stavo preparando la mia antologia di racconti brevi polacchi dal 1945 al 1985 circa, che fu poi pubblicata da Editori Riuniti nel 1988 con il titolo Viaggio sulla cima della notte. Gli scrissi informandolo di questo mio progetto, ma mi rispose di non aver ancora scritto un racconto breve e di essere soprattutto un poeta. Da allora, pur non essendoci mai incontrati, dura la nostra sincera amicizia “a distanza”.
La sua odissea continua ancora oggi. Essa iniziò nel 1985 quando, dopo quattro anni di inutili tentativi, grazie al premio Circe Sabaudia, ottenne finalmente il sospirato passaporto che gli era stato rifiutato per la legge marziale polacca del 1981: l’Italia – da lui sempre ritenuta la sua seconda patria – gli aveva restituito la libertà. A Roma ha ricevuto riconoscimenti per le traduzioni dei poeti Montale, Saba e Ungaretti. Ha poi viaggiato attraverso la Francia e la Spagna, fino a raggiungere Sydney, dove vive tuttora. E’ autore di numerose raccolte di poesie pubblicate, oltre che in Polonia, in Australia, in Francia, negli USA e in Inghilterra, e di narrativa (racconti, un romanzo, e la novella Il manoscritto di Amalfi; ha collaborato anche con la rivista “Miscellanea” con saggi e poesie in italiano. In Italia una sua raccolta di poesie scelte è stata pubblicata dalla casa editrice Empirìa di Roma nel 2010, con il titolo Canti del pianeta, nella mia versione. Essa comprende prevalentemente le poesie composte durante le sue drammatiche peregrinazioni in diversi paesi, senza mai dimenticare la Polonia. Canti del pianeta è un libro aperto all’umanità intera. Il poeta diventa un “uomo planetario” che invita alla fraternità tra gli uomini.
Ecco un suo lapidario ritratto, tracciato da un autorevole critico australiano: “indiscusso principe dei letterati polacchi residenti in Australia, grande erudito, conoscitore di culture straniere, lavoratore instancabile, pensatore-poeta, maestro di metafore filosofiche”. Un altro critico scrive: “ogni sua poesia è una entità intellettuale e artistica, creata in modo pressoché perfetto. La sua capacità di sintesi, l’eleganza dello stile, la disciplina verbale e la profondità filosofica – tutti questi aspetti concorrono a formare una creazione non comune”.
Dopo tanti anni di lontananza, Baterowicz ha sempre la Polonia nel cuore. L’amore per la propria Terra infatti non si può cambiare con i luoghi e col tempo e, consapevole del suo destino di emigrato, il poeta cerca e ritrova la sua patria nei valori trascendentali, nel cosmo delle verità universali.
Una peculiarità di Baterowicz da sottolineare, è il suo atteggiamento nei confronti del progresso. Nelle numerose lettere inviatemi in tutti questi anni, ricorre spesso il motivo del signor Retro, un personaggio-maschera, uno scettico del progresso tecnologico, perché esso distrugge ogni progresso dei valori spirituali. In una delle poesie della raccolta Canti del pianeta Baterowicz dice: “il signor Retro rinuncia al progresso, convinto che l’umanità sia andata già troppo lontano”.

(Paolo Statuti)

Isola Tiberina ricostruzione Roma antica

Isola Tiberina ricostruzione Roma antica

Marek Baterovicz

Isola Tiberina

La voce di un uccello che chiama la primavera,
solitario contrappunto alla melodia del Tevere
– dell’acqua che infrange contro il fondo sassoso
giare di canti – interroga il futuro.
Dal passato, che anch’esso detta le sue leggi,
giunge il ritmico grido delle legioni
che marciano sui ponti Cestio e Fabricio.
Il mio passo tenta di unirsi al loro
– mi precedono sempre di un lampo di spada.
Anche l’acqua è più rapida correndo immutabile verso il mare,
dove Nettuno possiede da secoli
la corona abbandonata dei cesari.
L’Isola Tiberina salpa allora verso la sorgente del fiume
come nave che mi porta fino alla prima goccia
del sangue di Remo.

(Roma, 1973)

*

Il signor Retro estrae l’orologio da tasca,
lo carica –
e ascolta il ticchettio del meccanismo,
che impassibile spinge avanti
le lancette e i secondi
(come fermare l’istante, questa goccia di eternità?)
girando sempre nello stesso punto,
lungo la divina forma del cerchio,
eppure senza sosta andando oltre,
tirandosi dietro folle di manichini –
che si accalcano in marcia,
illusi dalla chimera del Domani,
la quale appare come nuova stella,
scoperta nella vecchia volta celeste –
ma misurata senza la bussola…
Il signor Retro rinuncia al progresso,
convinto che l’umanità sia andata già troppo lontano.

(Traduzione di Paolo Statuti)

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POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI – UNA POESIA di Maria Grazia Calandrone “Il mago di Nola”

maria grazia calandrone

maria grazia calandrone

Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964, vive a Roma): conduce di programmi culturali per RAI Radio 3, critica letteraria per il quotidiano “il manifesto”, cura la rubrica di inediti “Cantiere Poesia” per il mensile internazionale “Poesia”. Libri: Pietra di paragone (Tracce, 1998 – edizione-premio Nuove Scrittrici 1997), La scimmia randagia (Crocetti, 2003 – premio Pasolini Opera Prima), Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier, 2005) La macchina responsabile (Crocetti, 2007), Sulla bocca di tutti (Crocetti, 2010 – premio Napoli), Atto di vita nascente (LietoColle, 2010), L’infinito mélo, pseudoromanzo con Vivavox, cd di sue letture dei propri testi (luca sossella, 2011) e La vita chiara (transeuropa, 2011); è in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012); scrive testi teatrali per Sonia Bergamasco e ha scritto frammenti poematici intorno alla Guerra Civile Spagnola per la compagnia internazionale “Théatre en vol”; sue sillogi compaiono in antologie e riviste di numerosi Paesi Europei e delle due Americhe: segnaliamo le antologie La realidad en la palabra (Editorial Brujas, 2005), Caminos del agua (Monte Avila Latinoamericanas, 2008) e Antologia italikes poieses (Odós Panós, 2011); ha curato per Adonis, l’antologia Voci della Poesia Italiana Contemporanea: Un’Antologia Breve (L’Altro, 2012 – Beirut e Damasco), nella quale è inserita; nel 1993 ha vinto l’XI edizione del premio Montale per l’inedito e, dallo stesso anno, viene invitata nei più rilevanti festival nazionali e internazionali; dal 2008 porta in scena in Italia e in Europa il videoconcerto Senza bagaglio (finalista “RomaEuropa webfactory” 2009), realizzato con Stefano Savi Scarponi, per il quale interpreta se stessa in I fiori che lei porta; nel 2010 il suo testo My language is the rose, scelto dal compositore malese Chie Tsang, è finalista in “Unique Forms of Continuity in Space” in Melbourne, Australia. Sempre nel 2010 è scelta come rappresentante della poesia italiana e diretta da Lucie Kralova in “Evropa jedna báseň”, documentario andato in onda il 28.8.12 in Česká televize. Nel 2012 fa parte del progetto RAI TV “UnoMattina Poesia”, avvia una collaborazione con il musicista Canio Loguercio ed è vincitrice del Premio Haiku dell’Istituto Giapponese di Cultura. La sua poesia è tradotta in: ceco, francese, giapponese, greco, inglese, iraniano, portoghese, russo, serbo, siriano, spagnolo, svedese, tedesco e turco.

statua di giordano bruno Roma Campo de' Fiori

statua di giordano bruno Roma Campo de’ Fiori

 

 Il mago di Nola

Se la grazia di lei
pesa sulle tue spalle – Giordano – più della cappa
di bronzo, se il libro
nella tua mano non ha la leggerezza
dei suoi sandali rossi
se nemmeno ti volti – Giordano – ma fermo in piedi sul tuo stesso rogo
chini il capo-asino
sul volto
degli dèi per scrutare nel fitto di quei volti se essi siano
destinati a spiegarci attraverso segni molto sottili che ruotare di angeli levi
di cielo in cielo la struttura apicale delle stelle
e secondo quale penosa contrazione il legno
perseveri invece nella sua buia figura
(di panchetto), sì
la natura è il chiodo che ci fissa
nell’orizzonte della bestia umana,
è vero che le stelle
più di noi sono angeli
perché siamo derive della scissione
di un astro
mai nato, auratiche piramidi di terra
in trono, nodi
di uccellatori
accalappiati a mani nude
dalle mosche e dagli asini
perché è sola la scimmia di Dio e nemmeno adesso –
Giordano – ti pentiresti di aver dichiarato
che è compito
della carne ruotare
nella carne
dell’immobile il succhiello di ossa
della memoria, benché siamo così
pause da nulla
nell’escursione della materia
ma indivisibili
ma concepiti con dolore e il ginocchio
di lei
è un’effimera capitolazione nella festa, nella
cabala delle superfici. La lingua corruttibile serrata
nella mordacchia – ma
vola, piccolo gabbiano
nella mesta quiete, da lei
che più di tutte ho amato. Leggero
come un uccello è l’animo mio se dopo il fuoco fatuo saremo uniti
.

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POESIE SU PERSONAGGI STORICI MITICI O IMMAGINARI – DUE POESIE di Anna Ventura “La vergine di Norimberga” “Torquemada ” con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Onto VenturaAnna Ventura è nata a Roma, da genitori abruzzesi. Laureata in lettere classiche a Firenze, agli studi di filologia classica, mai abbandonati, ha successivamente affiancato un’attività di critica letteraria e di scrittura creativa. Ha pubblicato raccolte di poesie, volumi di racconti, due romanzi, libri di saggistica. Collabora a riviste specializzate ,a  quotidiani, a pubblicazioni on line. Ha curato tre antologie di poeti contemporanei e la sezione “La poesia in Abruzzo” nel volume Vertenza Sud di Daniele Giancane (Besa, Lecce, 2002). È stata insignita del premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha tradotto il De Reditu di Claudio Rutilio Namaziano e alcuni inni di Ilario di Poitiers per il volume Poeti latini tradotti da scrittori italiani, a cura di Vincenzo Guarracino (Bompiani,1993). Dirige la collana di poesia “Flores”per la  Tabula Fati di Chieti. Suoi diari, inseriti nella Lista d’Onore del Premio bandito dall’Archivio nel 1996 e in quello del 2009, sono depositati presso l’Archivio Nazionale del Diario di Pieve Santo Stefano di Arezzo. È presente in siti web italiani e stranieri; sue opere sono state tradotte in francese, inglese, tedesco, portoghese e rumeno pubblicate  in Italia e all’estero in antologie e riviste. È presente nei volumi: AA.VV.-Cinquanta poesie tradotte da Paul Courget, Tabula Fati, Chieti, 2003; AA.VV. e El jardin,traduzione di  Carlos Vitale, Emboscall, Barcellona, 2004. Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016)

 

Torquemada
Torquemada

Anna Ventura

La vergine di Norimberga*

La Vergine di Norimberga
non avrebbe voluto straziare
il bel giovane che già stava lì, per terra,
in catene,
ad aspettare la morte. Ma lei
era la Vergine di Norimberga
e doveva ubbidire al suo compito.
Perciò quando immaginò il sangue dell’uomo
scorrere lungo le sue membra ferrate,
immaginò il pallore del suo volto,
gli occhi già rovesciati alla morte,
invocò su se stessa
l’aiuto degli dei, e delle dee,
specialmente di queste ultime:
perché, essendo donne,
avrebbero meglio compresa la sua pena. Ma quelle
avevano altro da pensare.
Fu Cupido, invece,
a raccogliere il pianto della Vergine,
lui così attento
a qualunque sospiro d’amore.
Poiché era un dio,
poteva anche fare un miracolo: fece in modo
cha la Vergine si coprisse di fiori: tanti fiori
da rivestire le punte delle lance.
Il che, tuttavia,
non ottenne altro che allungare la pena.
Alla fine, fiori e sangue si mescolarono
sulla terra bruna: un intrigo
non più complicato
di tanti altri.

Anna Ventura Strumenti di tortura; sulla destra una vergine di Norimberga

Strumenti di tortura; sulla destra una Vergine di Norimberga

*notizie storiche sulla Vergine di Norimberga

La Vergine di Norimberga, chiamata anche vergine di ferro, è una macchina di tortura inventata nel XVIII secolo ed erroneamente ritenuta medioevale, a causa di una storia raccontata da Johann Philipp Siebenkees che sosteneva fosse stata usata per la prima volta nel 1515 a Norimberga. Non esistono prove che tali macchine siano state inventate nel Medioevo né utilizzate per scopi di tortura, nonostante la loro massiccia presenza nella cultura di massa. Sono state invece assemblate nel Settecento da diversi manufatti trovati nei musei, creando così oggetti spettacolari da esibire a scopi commerciali.

La macchina consiste in una specie di armadio metallico a misura d’uomo e di forma vagamente femminile, più o meno grande a seconda dei casi, pieno di lunghi aculei che penetrano nella carne senza ledere organi vitali.

Il condannato ipoteticamente veniva fatto entrare in questo “sarcofago” e, chiudendo le ante, veniva trafitto dai suddetti aculei in ogni zona del corpo, morendo lentamente tra atroci dolori. In realtà simile strumento non è stato usato almeno fino al XX secolo (un’apparecchiatura di tale tipo è stata trovata durante un reportage televisivo a casa di Udai Hussein, il figlio maggiore dell’ex dittatore iracheno Saddam Hussein).

Anna Ventura

Anna Ventura

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Perché la poesia di Anna Ventura inizia con una negazione («non avrebbe voluto»)?. La poesia inizia da una negazione per rendere evidente che tutto ciò che segue deriva da un fato immodificabile. La sentenza degli dèi è già stata emessa: morire dentro un armadio irto di chiodi. La poesia percorre la via dell’Um-Weg, gira attorno al tema, vorrebbe evitare quanto già decretato dagli dèi ma non può. L’impotenza della poesia è però anche la sua forza: il paradosso della poesia che è menzogna ma non può mentire. E allora alla poesia non resta altro che girare intorno al tema con spire sempre più concentriche, fino all’atto finale, fino all’ultimo cerchio, fino alla bella invenzione di un dio, del dio Cupido, il solo che può fare «un miracolo»:

fece in modo
cha la Vergine si coprisse di fiori: tanti fiori
da rivestire le punte delle lance.

Questo «passaggio» è un Um-Weg, una via indiretta, contorta, ricca di andirivieni, di anfratti? O un cunicolo sotterraneo che non si vede (ma che c’è), nascosto dal folto della vegetazione del pensare positivo? Ma, percorrere un Umweg per raggiungere un luogo non significa girarvi attorno invano? – Umweg non è Irrweg (falsa strada) e nemmeno Holzweg (sentiero che si interrompe nel bosco), sentiero interrotto – ma compiere una innumerevole quantità di strade, perché la «dritta via» è smarrita, impenetrabile e, come scriveva Wittgenstein, «permanentemente chiusa». Non v’è alcuna strada, maestosa e tranquilla, come nell’epos omerico e anche ancora in Hölderlin e in Leopardi, che sin da subito mostri la «casa», la Heimat, il luogo dal quale direttamente partire per ritrovare la patria da dove gli dèi sono fuggiti per sempre. Non c’è più una «siepe» che delimita lo sguardo, non c’è più un qualcosa di solido che ostruisce l’ingresso e la perquisizione poliziesca dell’occhio, per non parlare del viaggio turistico cui è ragguagliata tanta poesia moderna. Tutte le vie sono possibili e compossibili. Statisticamente tutte le vie sono interscambiabili perché tutte condurranno, alla fine dei tempi, a Roma.

la tortura dell'acqua

la tortura dell’acqua

E poi c’è il paradosso più grande: il corpo femminile, quello deputato alla vita, qui diventa strumento di morte. Perché? E qui ci vorrebbe uno psicanalista. Io proporrei questa ipotesi: il corpo femminile è la Poesia, che è diventata un armadio metallico irto al suo interno di aculei. E la Poesia deve uccidere chi osa entrare al suo interno: il Poeta. È questo il prezzo del pedaggio, e lo stesso Cupido non può nulla per evitare un tale decreto, può solo mitigarne la forma (ma non la sostanza) con l’invenzione dei fiori. I «fiori», appunto, anch’essi simbolo traslato della «poesia».

Mi chiedo: che terribile chiaroveggenza sulle sorti della Poesia nel Moderno. Mi chiedo: quanta altrettale chiaroveggenza c’è nella poesia italiana del tardo Novecento e dei giorni nostri di questo nesso problematico? Dinanzi a questa poesia di Anna Ventura, mi chiedo: c’è nella poesia che si fa oggi in Italia e in Europa la coscienza della caduta della «dimensione interna» del privato e dell’utopia? C’è la consapevolezza di quella terra di nessuno (non dell’io e né del non-io), della glossolalia e della glossofilia tipica del villaggio telemediatico? C’è consapevolezza di quanta poesia turistica si fa oggi?

 anna ventura Torquemada

tortura

tortura

Torquemada

Torquemada teneva tra le mani
un lungo elenco di persone
che avrebbe dovuto interrogare:
troppi, per avere il tempo di straziarli
con domande sempre più insidiose,
abili tranelli
che li avrebbero inesorabilmente portati
alla contraddizione
e alla rovina. Decise
che la prima ad essere interrogata,
quel giorno,
sarebbe stata una donna,
una contadina in odore di stregoneria.
Sarebbe partito bene,
con modi delicati,
in modo da metterla a suo agio;
le avrebbe fatto credere
che non c’era pregiudizio,
contro di lei; che ogni decisione
sarebbe stata imparziale.
Quando la donna entrò,
Torquemada le rivolse
il suo sguardo fermo,
simile a quello del serpente.
Ma la strega sapeva il fatto suo:
quando il giudice la guardò,
sia pure di sfuggita,
scoprì in quel volto una nota familiare,
guardò meglio: sì, era proprio sua madre.
Morta da anni,
mostruosamente presente in quel momento.
Pensò di essere oggetto di un raggiro,
e tentò di trovare un’uscita facile.
Ma non fu facile per niente.
La donna allungò un braccio,
e gli tirò l’orecchio: proprio
come faceva sua madre,
quando era ragazzino.
“L’udienza è tolta”,
disse Torquemada, sforzandosi
di tenera ferma la voce.
“L’ho sempre pensato,- disse la donna –
che saresti diventato un delinquente”,
e gli assestò uno schiaffo in piena faccia.
“L’udienza è tolta”, ridisse Torquemada,
avviandosi verso i recessi
del tribunale. Ma sapeva
di non avere scampo: sua madre
lo avrebbe seguito.

la tortura della ruota

la tortura della ruota

Torquemada nel set

Torquemada nel set

C’è in questa poesia la terribile consapevolezza di quella terra di nessuno qual è diventata la nostra coscienza. Torquemada rappresenta la Ragion di Stato, il Super-Io, il pensiero giustificatorio?, che cosa rappresenta Torquemada?. È l’indiscussa abilità diplomatica che si riconosce all’ermeneuta della Verità? Torquemada è colui che detiene la Verità per conto di un dio nascosto, suo compito è istruire con burocratica precisione un’istruttoria dalla quale si evinca senza margine di errore, l’esistenza del Male, dell’Errore, del Negativo. Torquemada è l’espressione del positivo della civiltà occidentale, suo compito è positivizzare le sentenze, renderle assertorie, ragionevoli, giustificate e quindi eseguibili. Suo compito è Positivizzare il Negativo, esorcizzarlo per meglio domarlo. La domanda interna che pone Anna Ventura è: quanta parte della nostra cultura segue la traccia mnestica di questa logica mostruosa? Quanta parte di noi è segretamente imparentata con la logica inconscia che fa di Torquemada l’implacabile assertore delle forze del Bene?

(Giorgio Linguaglossa)

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POESIE SU PERSONAGGI STORICI, MITICI O IMMAGINARI – Poesie di Adam Zagajevski “Conversazione con Friedrich Nietzsche”, Iosif Brodskij “A Urania”, Jarosław Mikołajewski “la spadina”

Adam Zagajevski

Adam Zagajevski

Adam Zagajevski

I poeti, come ha scritto Adam Zagajevski, spesso dimorano in una strettoia «tra Atene e Gerusalemme», «tra la verità mai pienamente raggiungibile e il bello, tra il pensiero e l’ispirazione». «Tale viaggio – continua Zagajevski – può essere descritto nel modo migliore con un concetto preso in prestito da Platone – metaxy: essere “tra”, tra la nostra terra, il nostro ambiente ben noto (tale almeno lo riteniamo), concreto, materiale, e la trascendenza, il mistero. Metaxy definisce la situazione dell’uomo quale essere che si trova irrimediabilmente “a metà strada”». Metaxy, deriva dal platonico métechein, che significa «prender parte», «mezzo dove gli opposti trovano mediazione».

Adam Zagajewski nasce a Leopoli, 21 giugno 1945, poeta e saggista polacco, risiede a Parigi dal 1981  al 2002. In seguito di trasferisce a Cracovia, dove insegna letteratura presso la University of Chicago. È noto soprattutto per il poema Try To Praise The Mutilated World, uscito a puntate sul periodico statunitense The New Yorker e divenuto celebre dopo gli attentati dell’11 settembre 2011, e per le sue pubblicazioni sul poeta connazionale, Czesław Miłosz Premio Nobel per la Letteratura nel 1980. Ha vinto il Neustadt International Prize for Literatur nel 2004; è il secondo polacco, proprio dopo l’amato Miłosz, a vincere il premio conferito dall’università statunitense.

Adam Zagajevski

Conversazione con Friedrich Nietzsche

Illustrissimo Signor Nietzsche,
mi pare di vederla, sì,
sulla terrazza del sanatorio, all’alba,
quando cala la nebbia e il canto gonfia
la gola degli uccelli.

Non troppo alto, la testa a forma d’obice,
lei scrive un nuovo libro
e una strana energia le scorre intorno:
mi pare di vedere i suoi pensieri che danzano
come eserciti possenti.

Lei sa che Anna Frank dai neri capelli è morta
e così i suoi compagni e le compagne,
i coetanei, le amiche dei compagni
e i suoi cugini.

Vorrei chiederLe cosa sono le parole e cos’è
la chiarezza, perché mai le parole ardono
anche dopo cent’ani, nonostante il greve
fardello della terra.

È ovvio che non c’è nesso tra l’incanto
e il cupo dolore, la ferocia.
Esistono almeno due regni,
se non altri ancora.

Ma se Dio non esiste e nessuna forza
salda tra loro gli elementi,
che cosa sono le parole, da dove viene
quella luce interiore?

E da dove la gioia? Dove va il nulla?
Dove abita il perdono?
Perché i piccoli sogni svaniscono
al mattino, e quelli grandi crescono?

(da La vita degli oggetti, Adelphi, 2012)

Iosif brodskij 5

Iosif Brodskij

Brodskij  Iosif Aleksandrovič (anglicizzato Joseph Brodsky). – Poeta russo (Leningrado 1940 New York 1996). Di famiglia ebrea, autodidatta, avendo lasciato la scuola a 15 anni, cominciò a pubblicare le sue poesie nel 1958. Processato per “parassitismo”, subì un periodo di reclusione (196465). Espulso dal suo paese nel 1972, ha vissuto negli USA, dove sono apparse tutte le sue raccolte di versi: Stichotvorenija i poemy (“Poesie e poemi”, 1965); Ostanovka v pustyne (1970; trad. it. Fermata nel deserto, 1979); Konec prekrasnoj epochi (“Fine di una bellissima epoca”, 1977); Čast reči (“Parte del discorso”, 1977); Rimskie elegii (“Elegie romane”, 1982); Novye stansy k Auguste (“Nuove stanze ad Augusta”, 1983). Altra traduzione italiana: Poesie 1972-1985 (1986). Fedele a una tradizione che egli tuttavia rielabora in modi personali, arricchendola in particolare di suggestioni che provengono non solo dalla lezione di O. E. Mandel´štam e di B. L. Pasternak, ma anche da J. Donne, T. S. Eliot e W. H. Auden, e dalla conoscenza della Bibbia, B. è poeta intimo e speculativo, cantore di una memoria lucida e disincantata, lontano da tentazioni declamatorie. In inglese ha pubblicato una raccolta di saggi, ricordi e ritratti (Less than one, 1986, trad. it. in 2 voll.: Fuga da Bisanzio, 1987, e Il canto del pendolo, 1987), in italiano Fondamenta degli Incurabili (1989). Nel 1987 gli è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura. Negli anni Novanta ha continuato a risiedere negli Stati Uniti, dove ha svolto attività accademica e dove è stata pubblicata la sua ultima raccolta di saggi in inglese, On grief and reason (1995; trad. it. 1998), e una raccolta di poesie, in parte tradotte, in parte composte direttamente in inglese, dal titolo So forth (1996). In traduzione italiana è stata pubblicata la raccolta Poesie italiane (1996), voluta espressamente dal poeta. Nel 1989 era stato “riabilitato” nella sua patria, che negli anni Novanta manifestò un crescente interesse per il poeta. È stata pubblicata una prima raccolta di opere, Sočinenija Josifa Brodskogo (“Opere di Iosif Brodskij”, 4 voll., 1992-95), e dopo la sua morte si è dato inizio alla pubblicazione della sua opera completa. Inoltre sono apparsi alcuni volumi di versi, Bog sochranjaet vsë (“Dio conserva tutto”, 1992) e Pejsaž s navodneniem (“Paesaggio con inondazione”, 1995), e il volumetto dedicato alla poetessa M.I. Cvetaeva (O Cvetaevoj “Sulla Cvetaeva”, 1997). Per suo espresso desiderio è stato sepolto a Venezia.

Iosif Brodskij

A Urania

a I.K.

Tutto ha un limite, compresa la tristezza.
S’impiglia lo sguardo alla finestra, come alla palizzata
la foglia. Puoi versare acqua, scuotere chiavi.
Solitudine è l’uomo al quadrato. Il dromedario
così fiuta, ingobbendosi, il binario.
Si scosta il vuoto, come una portiera.
E cos’è poi lo spazio, in generale, io
dico? Assenza di corpo in ogni punto.
Per questo Urania è più vecchia di Clio.
Di giorno, e al lume di lumini ciechi,
vedi che non nasconde nulla: cerchi
di guardare il globo, e guardi una nuca.
Eccoli, i boschi pieni di mirtillo,
fiumi dove si pesca a mano lo storione,
una città che non ti annovera più
nell’elenco del telefono. E a sud
anzi a sud-ovest, ecco montagne brune,
e vagano nel càrice cavalli, prževali,
si fanno gialli i visi. Poi, più in là, corvette
navigano e si fa azzurro lo spazio,
come una biancheria con i merletti.

(da Poesie, Adelphi, 1987)

Jarosław Mikołajewski

Jarosław Mikołajewski

Nato a Varsavia nel 1960 (dove abita attualmente) Jarosław Mikołajewski debutta nel 1991 con la raccolta A świadkiem śnieg (“E come testimone la neve”). Alla sua produzione poetica, che conta fino ad oggi sette raccolte e un’antologia, ha affiancato un’intensa attività di traduttore dall’italiano, traducendo tra gli altri Dante, Petrarca, Michelangelo, Leopardi, Montale, Luzi, Penna, Pavese e Pasolini e Camilleri. Collabora inoltre da diversi anni con la “Gazeta wyborcza”, il  maggiore quotidiano polacco. L’anno scorso è apparsa in Italia la traduzione del suo Un tè per un cammello, un thriller ironico abbondantemente farcito di citazioni letterarie.

Jarosław Mikołajewski
la spadina

mio padre quando cammina
i cani ringhiano contro di lui
spiega per questo viene così di rado
dice che lì accanto
(non dice in alto)
non ci sono altri zoppi
perciò i cani si scagliano sempre contro di lui
quando appare in livida lontananza
una letterina in un nugolo di virgole latranti
cerco in fretta la strada della mia camera di bimbo
prendo la spadina di legno e lo scudo di plastica
corro incontro e provo a gridare
ma di solito non riesco a sguainare la voce
sulla laringe ormai da tempo mi si è accumulato il gesso
polvere come dal cancellino della lavagna di scuola
dimeno allora la spadina e i cani scappano
dall’altra parte mentre noi ancora da questa
ci sediamo per una quieta conversazione sull’erba
così è anche se non è più poiché nel sogno di un mese fa
non ho preso la spadina e ho disprezzato lo scudo
non avevo voglia di alzarmi allora ho gettato ai randagi
ciò che avevo sottomano
il cuscino o la moglie
la bottiglia d’acqua o il pugno vuoto
loro sono accorsi
mio padre si è girato
è andato via e finora non è tornato
da un mese mio padre non viene da me
ogni notte sopra di me si radunano i cani
prendono tra i denti la mia spadina di legno
e mi chiedono di difendere
ma non ho chi difendere
non le figlie di certo
poiché i cani non le mordono
non la moglie di certo
poiché i cani non la sentono
non me stesso
poiché mi piace quando i cani sono qui
e mio padre forse va per dove vuole

(traduzione di Lucia Pascale)

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POESIE SU PERSONAGGI STORICI, MITICI O IMMAGINARI – POESIE di Flavio Almerighi, Giuseppe Panetta, Ivan Pozzoni, Sandra Evangelisti

escher Labirinto

Escher Labirinto

Flavio Almerighi

Tecniche di paludamento

Teste in disordine, braccia più piccole, incontrano soltanto propri simili. Allora si rimedia un fucile da ficcare in fondo alla gola, e così fecero Otto Weininger nel 1903, Vladimir Majakowski nel ’30, Ernest Hemingway nel ’61, Guido Morselli nel ’73, Guy Debord nel ’94.
Preferirono l’acqua Alfonsina Storni nel ’38, Virginia Woolf nel ’41, Paul Celan e Jean Amery nel ’70, Lucio Mastronardi nel ’79.
Ai gas chiesero conforto Sylvia Plath nel ’63, Anne Sexton nel ’74.
Pierre Drieu La Rochelle diventò leggenda col gas e un forte quantitativo di farmaci nel ’45. Yukio Mishima iniziò a decomporsi sul filo di una katana in diretta tv nel ’70.
Emilio Salgari, nonostante la tigre malese in giardino, si aprì ventre e gola con un rasoio nell’11.
Sergej Esenin, ottima tecnica di paludamento, s’impiccò dopo essersi tagliato le vene nel ’25,
Marina Cvetaeva nel ’41 appese una corda al soffitto, salì su uno sgabello e tirò un calcio.
Hart Crane nel ’32, John Berryman nel ’72 e Amelia Rosselli nel ’96 si gettarono da un ponte; George Trackl morì per overdose di cocaina nel ’14, Beppe Salvia sparì in uno sperpero di luce nell’85, Claudia Ruggeri aspettò l’autunno del ’96.
Cesare Pavese si uccise in una camera d’albergo a Torino nel ’50, sempre con i sonniferi nel dicembre del ’38 la giovane poetessa Antonia Pozzi attese la morte distesa sulla neve immacolata di Chiaravalle. Eros Alesi non volle scrivere troppo e se ne andò nel ’74, Remo Pagnanelli nell’87.
Primo Levi si tolse la vita gettandosi nella tromba delle scale del suo appartamento torinese anche lui nell’87; così come fece 15 anni dopo Franco Lucentini. Simone Cattaneo non si sopportò più a partire dal 2009
scrivere può preparare una vecchiaia perbene?

flavio almerighi

flavio almerighi

Arturo Nicolodi

Arturo Nicolodi è cronaca
di tralci d’umore e frantumi
dispersi senza tetto a morire
abbandonati al buon cuore
del destino, pigro
come il samaritano

quando serve
la cavalleria non si vede
nemmeno la polvere di lontano
sollevata dagli zoccoli,
generalmente sbaglia strada
come faceva il mio tenente

com’è tutta la voglia
di origliare milioni di notizie,
tante storie
nessuna informazione
a questo basterebbe mia madre
prima di dormire,

quanto mi sento piccolo
grandemente frustrato,
niente è andato né tornerà
fermo come questo paese
dove mia figlia non ha futuro
e noi a cenare con il nemico

flavio almerighi

flavio almerighi

Stazzema dodici agosto

Pardini Anna giorni venti,
settanta anniversari,
niente compleanni
nemmeno uno vissuto
in questo cazzo d’infinito,
gettata in strada, la stessa
ripristinata alla vigilia del freddo.

Durante i lavori di sterro
ritrovavano ossa e carcasse
le interravano di nuovo
in fretta e per paura
che uno zelota fermasse i lavori,
dopo l’oscurità nuova oscurità
accumularsi senza respiro.

L’armadio ha le ante
girate verso il muro,
sì che il vento non risollevi
le cartacce di Stazzema,
dormano pure tranquille
sul finire di questo dopoguerra

con tutte le sorelle in attesa
che quelle incinte
partoriscano solitudini bastarde
da mettere subito a dormire
appese al soffitto,
giusto angeli in cielo,
e fine di ogni formalità civile.

Un barlume,
appena appena ritrovato,
sta sul ciglio della strada riaperta,
come il paese tutto intento
a esportare democrazia.

Giuseppe Panetta

Giuseppe Panetta

 

Giuseppe Panetta

Meta-Mito

Mio nonno mi diceva sempre:
ricordati di salutare la stella del mattino
e di controllare che la tua ombra
sia attaccata ai piedi appena sveglio
altrimenti sei morto.

Guardo le pale d’Eolo sulla collina
il tritacarne dell’aria, i pannelli solari
che friggono insetti e formiche
che accendono la Titanomachia
e l’adamantina focaia del Sol invictus.

Il Pecus cuce energie a balletti
di bollette, con i Ciclopi dell’elettronica
omaggia l’onorata società della biacca
ed i galloni d’oro di Crono
il Titano di cromo. I Giganti del bisturi
e dei distributori tossici.
La madre che si congiunge col figlio
dal nickname Urano
in un video-poker di Caos.

Favolisti del consumo.
Riciclo di Apollonio Rodio in spray;
condizionamento di Callimaco in crema;
estorsione di Esiodo 2000 diesel.

Ricordati di salutare il satellite artificiale
che ti informa e ti deforma
e di controllare che la tua ombra
sia sopravvisuta ai cocktails di veleni
che non hanno nome.

(Inedito)

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

La fuga di Mitridate

Questi momenti oscuri da instabile mondo terziario
ci inducono ad una sottile costante mitridatizzazione,
versandoci in versatori versatili di veleni metrici
nelle arterie d’una società tossicomane,
in crisi d’astensione.

Fondo un mondo dove rari eroi eroinomani,
ed eroine, inoculino, alternando, dosi d’antidoto e dosi di veleno
nelle loro stanche vene artistiche,
assicurando esiti incerti ai tests d’immunodeficenza,
battendo soglie di tolleranza.

Mitridate, assuefatto a Roma,
indossò un’armatura di scaglie di vento,
e non fuggì.

sandra evangelisti

sandra evangelisti

Sandra Evangelisti

L’Imperatrice

Teodora dagli occhi di ghiaccio, l’imperatrice
nido di vespe e dono di dei
troneggia al tuo fianco.
Dalla sua mente discende il principio
ed il tempo di ogni legge.
L’imperatore, il “padre di tutti”,
trova rifugio ed il senno in un ventre di donna.
Boccoli scuri, altezza dogmatica, pelle dorata.
Taglio di lepre gli occhi e le labbra
zigomi alti e il mento sottile,
lei dura e veglia nei secoli.
Immagine fissa nella cupola eccelsa
e mosaico perenne.
Mentre il diritto rimane.
Scritto e tradotto passa il millennio,
fino all’inizio della nuova età.
“Piuttosto che bruciare arsi dalla passione,
è meglio unirsi in nozze.”
Ventiduesima delle Novelle trascritte.
“Melius est nubere quam uri”
La pelle di ambra della sposa arde per sempre nel tuo viso. Continua a leggere

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