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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA NATURA MORTA di Anna Ventura, Francesca Diano, Giorgio Linguaglossa, Annalisa Comes, Antonio Sagredo, Laura Cantelmo, Giuseppina Di Leo, Ivan Pozzoni, Ambra Simeone, 

rene magritte les deux mysteres 1966

rene magritte les deux mysteres 1966

Ut pictura poesis. E Leonardo ha scritto: «La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura muta». Ogni natura morta ci parla, parla di noi, che siamo fuori quadro. Essa è assenza che attende la presenza umana, o meglio, è una presenza umana che è scomparsa, ed è rimasta l’assenza. E l’assenza ci parla con il proprio apparire, il proprio essere là.

Magritte elective affinities 1933

Magritte elective affinities 1933

Anna Ventura

Natura morta con insetto

Dalla vetrata aperta, una mosca entrò, perentoria,
quando la signora appese al muro
della sala da pranzo
il quadro appena acquistato
in un’asta di Montecatini. Quel quadro
era un simbolo di gioia,
per lei, donna fortunata
e consapevole di esserlo.
Sulla felicità delle sue scelte
nessuno avrebbe osato dubitare Eppure
in quel quadro
c’era qualcosa che stonava:
forse l’opulenza eccessiva
delle uve, l’arancione forte
di una fetta di melone, il rosso acceso
di una granata aperta. La mosca
ronzava intorno al quadro. La padrona di casa
volle scacciarla, agitando un panno
inumidito, ma quella
era più tenace di lei:
all’improvviso entrò nel quadro,
si attaccò a un acino d’uva,
e lì rimase. Non ci fu verso
di allontanarla. Ma la signora
non poteva- ne andava della sua reputazione-
farsi beffare da un insetto. Chiamò un pittore
di buona fama e gli fece dipingere una mosca
proprio lì, su quell’acino d’uva
dove l’intrusa giocava a rimpiattino.
Il giorno dopo,
l’insetto dipinto era scomparso.
L’acino d’uva, liscio, tondo, viola,
l’aveva nascosto
nel folto delle foglie di vite che,
maestose,l’assediavano dal basso.
La mosca viva ronzava per la stanza.

Anna Ventura

Anna Ventura

 

 

 

 

 

 

 

Club

Un sospetto di neoclassico fascista
sfiora le squallide rotondità
di poltrone, angoli, tende
senza colore.
Passa il cameriere basso,
con tre tazze fumanti sul vassoio.
La sala di lettura: deserta,
un uomo solo, nascosto dal giornale.
Corridoi lunghi, pavimento screziato,
archi.
Ripassa il cameriere,
con le tre tazze vuote.
La stanza del bridge è piccola,
colorata di verde e rosso-i tavoli-,
tenue fumo ristagna
tra gli occhi fissi.
“Siamo noi. Siamo arrivati.”
Morti?
No, vivi di una propria vita.
Rossa è la tentazione socialista,
azzurro
il fascino discreto della monarchia.
Ripassa il cameriere, ossequioso,
con quattro tazze colme.
La stanza proibita
È all’angolo,
dopo l’ultimo corridoio.
Bordello?
No, si gioca d’azzardo.
La porta è chiusa, peccato!
E il vetro ha un’ombra di liberty.
Il cameriere è vivo:
fa parte del copione,
e ci crede.

(da Tu quoque” Antologia Poesie (1974-2013) EdiLet 2014

De Chirico la metafisica

De Chirico la metafisica

Francesca Diano

Natura morta veronese

Otto pesche ed un vaso –
Di ceramica azzurra
Opaca ed all’interno traslucida
Di biancore cinereo –
Otto pesche sparse sul tavolo
Privo di gambe e confini
Soltanto un piano che linea
Ombrosa ha come sua fine.
Trasmutante il colore
Avvolge la forma nella sua eternità.
Invisibili due bambine
Nascoste dall’ombra
Sottratte alla visione

francesca diano

 

 

 

 

 

 

 

 

Donna nuda con fiore

La Madre siede
Composta nell’azzurro
Velato di fili
Il corpo solido di materia
Scolpisce lo spazio
Lo colma di peso
Pesanti le cosce il ventre
Nudo che è cupola sciamana
Seni robusti venati di marmoree
Correnti promettono mondi
Sommersi da un fiore
Che la mano porge.
Congela in sé il flusso
Di particelle raccolte
In atomi e molecole
E morule e organi
Infinitamente diversi
Nella ripetizione del modello
Eidetico utero cosmico
Matrice d’universi fecondati.

opera di Giuseppe Pedota

pianeta bianco di Giuseppe Pedota anni Novanta

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorgio Linguaglossa

Atropo

Colei che non si volge è qui:
Atropo. Indossa un vestito nero
che le fascia il corpo come un guanto.
Suoi attributi sono gomitoli e forbici
con le quali taglia il filo della vita.
Osserva una sfera di cristallo
e legge su un rotolo misteriosi geroglifici:
il destino degli umani.
È la più vecchia delle sorelle Cloto e Lachesi.
Guarda sempre in avanti, così ha decretato Zeus.
Ha una gorgiera di ferro che le impedisce il respiro
e non può voltarsi né a destra né a sinistra né indietro.
È sempre in affanno.
Ruota in eterno tra le sue mani la sfera di cristallo
legge il rotolo di pergamena
e col gomitolo avvolge la sfera
che ruota attorno al proprio asse magnificamente.
Ma lei, la megera, non sa
né quando né come né perché
taglierà il filo del gomitolo.
La vecchia pazza gioca con le forbici
e il gomitolo. E ride, ride.

 

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

Apro la prima porta a sinistra

… Apro la prima porta a sinistra:
ci sono tre donne sedute intorno ad un tavolo:
stanno per parlare ma non parlano
sembrano in ascolto ma non ascoltano,
indossano vestiti bianchi, hanno il plettro
e una chitarra azzurra,
ciascuna guarda davanti a sé ma ognuna
in direzione diversa,
ogni direzione è una dimensione;
il loro volto non ha volto, e guardano
con un solo occhio; «che cosa guardano
– ci chiediamo noi – se non il vuoto?»;
non possono uscire dal solco tracciato dal fonografo
non possono uscire dalla foto scattata dal fotografo:
traducono la traccia magnetica in onda sonora,
possono cantare soltanto ripetendo il medesimo ritornello
come gli uccelli sugli alberi:
«ciò che noi siamo voi mai sarete
e ciò che siete noi mai saremo».
La prima, Lachesi, canta le cose che furono,
la seconda, Cloto, canta le cose presenti
e la terza, Atropo, canta le cose che saranno;
cantano le tre signore un coro discorde
che neanche Zeus, loro padre, può appianare.
Cantano? È questo il destino del canto?
sì, è questo, e il loro canto è nemico della morte.
Ogni canto è nemico della morte?
Ogni canto è amico della morte.
Lachesi ha il volto rivolto al passato
Cloto ha il volto rivolto al presente
soltanto Atropo ha il volto rivolto al futuro
ma Atropo, la terza tra le donne, è cieca
e non può vedere ciò che taglia
e taglia con robuste cesoie il filo della vita
che non vuole cessare. E canta.

 

acrilico su tela, anni Sessanta, di Giuseppe Pedota

acrilico su tela, anni Sessanta, di Giuseppe Pedota

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Annalisa Comes

Natura morta e partenze

Parte di questo mondo se ne va.
Se n’è già andata una manciata d’anni,
una famiglia con quattro rampe di scale e una torre
a via Mantova.
Se ne sono già andati lontano lontano,
senza che faccia la minima differenza,
un gatto e un padre.
Se ne sono andate via brezze invernali, estive e piogge
in gocce leggere.

Un vestito blu troppo stretto, il cappello di paglia, il vaso di violette
ch’era ai piedi del nostro letto.

 

annalisa comes

annalisa comes

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamento in domestica natura morta

Foglie di vite e
grappoli di uccelli.
Sull’orlo delle pagine :
l’orlo della tovaglia,
le posate,
beccano senza sosta mani
e unghie.

Allora, ecco, posso ringraziare questi lavori domestici,
per il sapone che lava piume e
scaglie,
e il vino che arrossa il fondo dei bicchieri,
brocche da impugnare e tazze e tazzine.

E per le storie che ho detto e per quelle che ho ascoltato,
– grembiule e alfabeto dei miei giorni-.
E per la pelle liscia delle patate
che fanno il nido, qui,
dopo vetri e ringhiere,
qui,
docilmente.

ardengo soffici donna seduta con finestra

ardengo soffici donna seduta con finestra

Antonio Sagredo

I ricordi beati dei poeti

sulla Montagna dei Passeri
dove mai sono stato
né mai ho pestato un’ala
io vidi le vostre dita
intrecciarsi come fiocchi invernali,
carezze crollavano come chicchi di sinistre stelle!

Se ne andavano in slitta i due poeti
sapevano le destinazioni egiziane:
il riposo in un’algida fossa mozartiana,
la Marina sul molo dei Nodi scorsoi.

Cantavano con avanzi di grida e parole la propria epoca,
conteggiavano dal passato il martirio dei loro giorni luciferi.

La corda e la trave smaniavano per un collo
che non soffriva ancora – che ancora non si offriva!
L’esilio dantesco come un deterrente sognava
un requiem, un trionfo d’ossa, una fine comune.

Una nera carrozza notturna brillava di neri stivali,
non più cortese si fermò sotto un fanale d’orange
in Via della Mortalità dell’Arte:
c’era posto soltanto per milioni di poeti…

il primo – ucciso per asfissia ovvero mancanza d’aria – il cigno
il secondo – ucciso dagli stenti – il prigioniero d’assonanze
il terzo….
ecc. ecc.

ma il Tempo si ritrasse come un verme….

oggi Basquiat Jean-Michel è evirato dai colori

non c’è scampo
per i suoni, e la parola!

Roma, 25 maggio 2014 Continua a leggere

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