Archivi tag: Poesie di Lucio Piccolo

Roma, venerdì 15 aprile ore 18 all’Aleph vicolo del Bologna, 72 (Trastevere) presenta Teoria delle Ombre, notturno in 4 movimenti per Lucio Piccolo (1901-1969) nella interpretazione di  Pino Censi, real time processing Paolo de Laurentiis. POESIE SCELTE da Gioco a nascondere (1960) Plumelia (1967), La seta, (1984), Il raggio verde, (1993)

città Catania interno di palazzo-manganelli

Catania interno di palazzo-manganelli

Roma, venerdì 15 aprile ore 18 all’Aleph vicolo del Bologna, 72 (Trastevere) presenta Teoria delle Ombre, notturno in 4 movimenti per Lucio Piccolo (1901-1969) nella interpretazione di  Pino Censi, real time processing Paolo de Laurentiis

.

Appunto di Pino Censi

.

Teoria delle Ombre, notturno in quattro movimenti per Lucio Piccolo si propone di investigare il senso alto e sublime della parola poetica – eludendone l’enfasi – evidenziando nella pratica vocale le presenze e le apparenze che in essa sono contenute.
Le singole liriche, come suggeriva lo stesso poeta, saranno considerate un inarrestabile e stravagante flusso meditativo ciclico e unitario
affannosa e spettrale recherche…memorie legate a risvegli infantili…ex-voto per le anime in fiamme liberate dalla vibrazione del canto”.
I movimenti di scansione potrebbero costituire ideali cesure legate alla simbologia numerica del quattro. Essi oltre a richiamare la modalità musicale barocca, cioè quella di comporre per temi ordinati in una successione di sezioni e blocchi, possono evocare ancora gli angoli di una ipotetica stanza nella quale le stagioni dell’anno, i quattro elementi, i punti cardinali, le fasi della luna, i quattro momenti in cui si sviluppa l’arco temporale di una giornata, orbitano e si fondono con lo sviluppo archetipico dell’età umane collegate tra loro (attraverso la poesia) dal centro del cosmo.
Contrappunto all’interpretazione musicale del pensiero, una drammaturgia sonora concepita per questo carme.
…« Notturno» è solo un riferimento mentale e giocoso rispetto al significato attribuitogli dai romantici…ad eccezione del fatto che il componimento potrebbe essere idealmente destinato e concepito per le ore della notte, o meglio ispirato ad esse. Forse più semplicemente è un ulteriore tributo diretto a Piccolo, autore egli stesso di uno spettrale e magico notturno…contenuto nella partitura dello spettacolo?
.
Sono appassionato lettore di Lucio Piccolo da molti anni e recitare POESIA è stata da sempre una mia OSSESSIONE, pensavo fosse solo quell’esperienza intimissima e profonda 
-quasi sacra-  dell’occhio con il foglio scritto.
Questo è un tentativo affascinato ed estremo di una ulteriore riflessione sul seducente mondo del poeta,una delle figure più significative del 900.
Indagare dentro quei suoi versi densissimi frutto di una costante tensione metafisica in continua fluttuazione tra il protagonista lirico e la realtà circostante, contingente, documentata da una cattura incessante di simboli e immagini… dallo sperimentalismo linguistico (uno stile ermetico reso da una forma e struttura barocche generanti un ossimoro letterario) alle combinazioni prospettiche, al contrappunto tematico, alle variazioni ritmiche fino al richiamo della “armonistica bartokiana”. Tutti questi segni hanno avvicinato l’amato poeta proprio al “moderno compositore politonale” intravisto da Montale… ed è proprio lui, Lucio stesso, che in un inesauribile vortice mi ha condotto e fatto violare quell’inviolabile limite intimo – quasi sacro – tra occhio e pagina, offrendomi con la sua poesia, voce e corpo all’impalpabile e implacabile flusso mentale della parola, una parola “… poeticissima, luminosa, difficile da penetrare, di pasta dura e, come la luna con zone d’ombre, macchie scure”.
lucio piccolo picnic di famiglia

picnic di famiglia

Commento di Silvia Chessa da Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 83 (2015)

.

Piccolo, Lucio (Lucio Carlo Francesco), barone di Calanovella. – Nacque a Palermo il 27 ottobre 1901 da Giuseppe e Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò, e morì a Capo d’Orlando nel 1969.
Lucio Piccolo appartenne a una famiglia aristocratica siciliana che annoverava, per parte materna, l’origine normanna e tre viceré di Sicilia. Il padre Giuseppe (1866-1928), figlio di Casimiro e Agata Moncada Notarbartolo, aveva sposato Teresa il 28 aprile 1890 ed era morto a Sanremo, in una sorta d’esilio imposto dalla moglie, che aveva tollerato la cattiva gestione del patrimonio e le avventure sentimentali, ma non l’abbandono della famiglia. Da Lucio Mastrogiovanni Tasca Lanza d’Almerita, che nel 1867 aveva sposato Giovanna, figlia del soprano Teresa Merli Clerici e unica erede di Alessandro Filangeri di Cutò, nacque invece la madre (1871-1953) di Piccolo, in una famiglia numerosa ma non fortunata: il fratello Lucio morì poco dopo la nascita; Nicoletta fu vittima del terremoto di Messina del 1908; Giulia, la bellissima dama di corte della regina Elena e madrina del principe ereditario Umberto, fu assassinata dal proprio amante; Maria morì per una dose eccessiva di Veronal e Pia colpita da meningite, a soli otto anni. Alessandro, fratello minore di Teresa, si distinse per la sua attività giornalistica e l’impegno politico nel Partito socialista riformista, ma l’alto tenore di vita, l’inclinazione munifica e le conseguenze di una condanna per diffamazione contribuirono al suo declino economico, e il ‘Principe Rosso’ morì in povertà nel 1943. Il suo primogenito, Alessandro jr., produsse e collaborò con registi di fama come Orson Welles e John Huston.
In questo illustre e complesso contesto familiare, la parentela più nota è però quella con Giuseppe Tomasi di Lampedusa, figlio di Giulio Maria e di Beatrice Tasca Filangeri di Cutò, sorella maggiore di Teresa. Giuseppe ebbe un legame profondo con i cugini Piccolo, di cui condivise gli interessi culturali, le aspirazioni e una nativa neghittosità mista a timidezza e fierezza. Non privi di analogie furono anche i rapporti con le figure genitoriali e i condizionamenti familiari relativi a matrimoni e discendenze: Tomasi adottò Gioacchino Lanza Mazzarino, e Piccolo, che non si sposò mai, ebbe da Maria Paterniti l’atteso erede, Giuseppe Giovanni Piccolo di Calanovella (Ficarra, 24 giugno 1960 – Palermo, 1° luglio 2012), su cui decise di far confluire il patrimonio materiale e culturale della famiglia. Da Giuseppe e da sua moglie Gaetana Guadalupi nacque a Messina, il 23 marzo 1991, Mariel (all’anagrafe Mariella) Piccolo di Calanovella.
Ultimo di tre fratelli, Piccolo trascorse gran parte della sua esistenza nella villa di contrada Vina, a tre chilometri dal centro di Capo d’Orlando, in cui, in ossequio alla volontà materna, la famiglia si trasferì definitivamente dopo l’allontanamento del padre e le difficoltà economiche che determinarono la perdita della casa palermitana di via Libertà 13. Poliglotti, colti e raffinati conversatori, amanti della musica e dell’arte, della natura e degli animali, specialmente dei cani, cui avevano riservato in villa un degno cimitero con il nome dei defunti sulle lapidi, i Piccolo vennero inevitabilmente considerati una famiglia di eccentrici.
La sorella Agata Giovanna (1891-1974), appassionata di botanica e membro dell’Associazione mondiale di floricultura, trapiantò, nell’orto di villa Vina, la Puya delle Ande, introducendo per la prima volta in Europa la rara pianta tropicale illustrata in un saggio del 1963. Fin troppo noto per la sua inclinazione verso l’occulto, il fratello Casimiro (1894-1970) condivise con Lucio la fascinazione per l’oscurità, spartita fra indagine scientifica ed esoterismo; più recente fu invece l’attenzione agli acquerelli e alle fotografie, testimoni di originali e pionieristici interessi.
Ingegno acutissimo, precoce e poliedrico, Piccolo sovrastò tutti per talento lirico e cultura. Conseguita la maturità classica al liceo Garibaldi di Palermo, non intraprese studi universitari; fu in una corrispondenza con William Butler Yeats e frequentò il salotto palermitano del barone Bebbuzzo Sgàdari di Lo Monaco. All’insegna di un paradossale cosmopolitismo (rari gli spostamenti in Italia e all’estero, in Francia e in Inghilterra con Lampedusa), Piccolo continuò a vivere a Capo d’Orlando dove fu munifico ospite di letterati, artisti e giornalisti, attratti dalla sua personalità non meno che dall’opera. Eclettico lettore di testi classici moderni e contemporanei, italiani e stranieri in lingua originale, esperto di filosofia, teosofia, metapsichica, matematica e astronomia, fu anche pittore e musicista con la passione per Richard Wagner, i polifonici del Cinquecento e Gian Francesco Malipiero.
.
montale e il picchio

eugenio montale e il picchio

A Eugenio Montale inviò, nell’aprile del 1954, un gruppo di sue poesie, 9 liriche, con una lettera di accompagnamento. Un’altra lettera, con poesie accluse, fu contestualmente indirizzata a Giuseppe De Robertis, informato, come Montale, che una copia dattiloscritta delle liriche era in lettura presso Vallecchi. Pochi mesi dopo la morte della madre – per la quale in villa si continuava ad apparecchiare un posto a tavola –, Piccolo si aprì quindi al confronto con almeno tre importanti interlocutori: un editore, un poeta e un critico.
A scrivere la lettera d’accompagnamento, che a Montale era parsa «piuttosto generica e tale da far temere una poesia puramente descrittiva», era stato invece Tomasi. Lo rivelò lo stesso Piccolo a Camilla Cederna: «in una sorta di raptus scrissi i “Canti barocchi”. Li lessi a Lampedusa, che, smesso quell’inesorabile seppure stimolante persiflage nei miei confronti, li approvò incoraggiandomi a mandarli a Montale. Fu lui anzi a scrivere la lettera d’accompagnamento, e in questo modo io restavo come Nereo dietro le ombre, e lui si divertì a mettere Montale in curiosità» (cfr. L’Espresso, 29 aprile 1962, p. 18).
Fu Montale invece a raccontare di una busta gialla, con un bollo da 35 lire il cui ritiro gli costò 180 lire di tassa per l’errore di affrancatura: conteneva un «libriccino» stampato nello Stabilimento Progresso di Sant’Agata di Militello in una veste tipografica che gli ricordava i Canti Orfici di Dino Campana. Nel mese di luglio del 1954, al convegno di San Pellegrino Terme organizzato da Giuseppe Ravegnani sul confronto letterario fra due generazioni, Montale, invitato a fare il nome di un nuovo scrittore, scelse di presentare Piccolo, scoprendo che il poeta «nuovo» era in realtà poco più giovane di lui. L’arrivo del barone e del principe suo cugino, l’ancora sconosciuto autore del Gattopardo, in questo contesto mondano e sottilmente ostile, suscitò molta curiosità, acuita e riorientata dal discorso tenuto da Montale vòlto poi a introdurre Canti barocchi e altre liriche (Milano 1956), edito nella collana mondadoriana Lo Specchio.
Montale vi descriveva le singolarità di «un uomo che la crisi del nostro tempo ha buttato fuori del tempo», un poeta senza maestri, in cui la virtù oratoria presente nella linea materna (specialmente in suo zio, l’on. Tasca di Cutò) era riuscita a sublimarsi in poesia: «Mi trovavo, insomma, di fronte a un clerc così dotto e consapevole che veramente l’idea di dovergli essere padrino mi metteva in un insormontabile imbarazzo. Lucio Piccolo ha letto tous les livres nella solitudine delle sue terre di Capo d’Orlando; ma non segue nessuna scuola» (cfr. E. Montale, Prefazione, ibid., pp. 16-17). Nello stesso anno, al premio letterario Chianciano, Piccolo ottenne per i Canti barocchi un ex aequo con Le passeggiate di Saverio Vollaro (Roma 1956).
Sempre per Mondadori, Piccolo pubblicò Gioco a nascondere. Canti barocchi e altre liriche (Milano 1960), dedicato a Montale, e nel 1967, anno della sua ristampa, presso Scheiwiller uscì un’«edizioncina» di nove componimenti, Plumelia (poi 1979), con dedica ad Antonio Pizzuto, da lui ricambiato in Ultime. Nel 1959 erano già apparse in Botteghe Oscure (XXIV, 2, pp. 291-295) le poesie Ombre, Topazio affumicato e Candele, mentre datata 2 giugno 1965 è la lettera-omaggio per i settant’anni di Montale (Per la conoscenza di noi stessi, in Letteratura, n.s., XXX (1966), 79-81, p. 249).
In Nuovi Argomenti furono edite L’esequie della luna – un balletto sulla Palermo barocca cui, almeno nei voti, avrebbe dovuto far seguito, con la musica di Malipiero e i costumi di Fabrizio Clerici, un’esecuzione alla Piccola Scala di Milano diretta da Gianandrea Gavazzeni – e La torre (rispett. n.s., 1967, n. 7-8, pp. 152-169; 1968, n. 9, pp. 112-114). Su Carte segrete uscì invece La seta (1968, 2, 7, p. 191). Con Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia, direttori di Nuovi argomenti, e insieme ad altri amici, fu nella giuria del premio letterario Vitaliano Brancati di Zafferana Etnea (1968). Nei due anni precedenti aveva presieduto il premio internazionale di poesia Riviera dei Marmi (Custonaci, Trapani; 1967) e il premio Città di Naso (1966), vinto da Maria Luisa Spaziani.
Il 1° novembre del 1968, fra il serio e il faceto, e con un vaticinio d’addio non solo poetico, Piccolo mandò a Pizzuto una cartolina illustrata: «Io sto non troppo bene con disturbi di circolazione che fanno un tantino di male al cuore. Ma questo sarebbe nulla se non soffrissi di una quasi completa aridità poetica. Non scriverò più nulla ahimè! Per la quale ragione ben tosto mi getterò da questa storica torre – di cui ti mando la foto. Così potrai vedere il luogo nel quale chiuse tragicamente i suoi giorni il tuo sventuratissimo amico».
Per un’embolia cerebrale morì a Capo d’Orlando il 26 maggio 1969.
.
Lucio Piccolo e Vincenzo Consolo-foto-di Scianna-©-Ferdinando-

Lucio Piccolo e Vincenzo Consolo-foto-di Scianna-©-Ferdinando

La prima raccolta postuma fu edita da Vanni Scheiwiller con il titolo La seta e altre poesie inedite e sparse (a cura di G. Musolino – G. Gaglio, Milano 1984). La stima e amicizia con il poeta aprivano la Nota dell’editore in cui Scheiwiller faceva cenno ai progetti editoriali condivisi e poi sospesi per l’inattesa morte di Piccolo, alla «scoperta» degli inediti, alla vertenza giudiziaria che aveva reso temporaneamente inaccessibili le carte e la biblioteca (cfr. La sorte delle carte del poeta L. P., in Corriere della sera, 21 gennaio 1973, p. 5), e alla personale consegna delle bozze a Giuseppe Piccolo e ai curatori. La silloge, articolata in «Poesie sparse mai raccolte in volume» e una serie di venticinque «Poesie inedite», comprendeva fra queste ultime Resurrescit, già apparsa in L’esperienza poetica (1955, n. 7-8, pp. 6-9), insieme con Anna Perenna, che in altra redazione sarebbe entrata in Gioco a nascondere. Fra gli Autografi di poeti italiani contemporanei “all’insegna del Pesce d’Oro” (Milano 1986) fu inclusa la traduzione da Yeats Ma mentre andava brancicando; sempre per Scheiwiller uscirono Il raggio verde e altre poesie inedite e L’esequie della luna e alcune prose inedite (Milano 1993 e 1996, a cura di G. Musolino); l’Antologia poetica (Milano 1999, con introd. e note a cura di G. Celona); Canti barocchi e Gioco a nascondere (Milano 2001, con uno scritto di V. Consolo, Il barone magico); Plumelia, La seta, Il raggio verde e altre poesie (Milano 2001, con prefaz. di P. Gibellini); e A. Pizzuto – L. Piccolo, L’oboe e il clarino. Carteggio 1965-1969 (Milano 2002, a cura di A. Fo – A. Pane). Nel 2005, con le litografie di Mimmo Paladino, sono stati editi da Zanella e Upiglio i Canti barocchi (note di B. Manzitti, Una busta per Montale e S. Verdino, Poesia di sangue blu) e nel 2010, a Ficarra, per il Museo Lucio Piccolo, 9 liriche (nota al testo di D. Perrone). Alta, difficile, resistente alle necessità tassonomiche di antologie e storie letterarie, la scrittura di Piccolo, anche nella sua inappartenenza, è quella di un poeta metafisico che si colloca all’interno della più grande tradizione italiana e straniera. Il suo lirismo strumenta l’invenzione di un’epoca e traduce un’autentica febbrile visionarietà, stemperata solo dall’intensità apollinea dei referenti fisici e stilistici, chiusi in quel cerchio della memoria che è per Piccolo vita e poesia. Una lirica pura, che sintetizza sostanza e forma poetica nei termini di una perfezione stilistica non minacciata dal descrittivismo e non contaminata da intellettualismi, e per la quale Pizzuto dichiara la sua stima al massimo poeta italiano del suo tempo. L’opera di Piccolo attende e merita una nuova acquisizione al panorama storiografico nazionale e internazionale, che dovrà passare attraverso il vaglio della biblioteca, il censimento, l’indagine sistematica delle carte, e un’adeguata valorizzazione in sede di edizione critica.
Font e Bibl.: Il Fondo «Lucio Piccolo di Calanovella» è conservato presso le eredi Gaetana Guadalupi e Mariel Piccolo, e comprende carte e libri, alcune collezioni, mobili e una motocicletta di P.; a oggi, tre sono gli inventari, redatti da G. Guadalupi e M. Piccolo, con l’ausilio di G. Celona, relativi a testi letterari (fra cui materiali preparatori, appunti e scritti vari), corrispondenza (che annovera almeno Yeats, Tomasi, Montale e Pizzuto, Guido Piovene, Leonardo Sciascia, Maria Luisa Spaziani, Vincenzo Consolo e, fra gli editori, Mondadori e Scheiwiller) e materiale fotografico. Sono invece in corso di allestimento l’inventario dei manoscritti musicali, in cui si registra il pluricitato Magnificat, e quello dei disegni e acquerelli. È infine conservato nel Fondo un nucleo di documentazione privata, costituito da atti, donazioni e testamenti personali e familiari. Duemila volumi circa compongono la biblioteca; la lingua maggioritaria è l’italiano, ma sono presenti testi in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco, latino e alcuni in arabo.
Per la Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella (Capo d’Orlando, villa Vina, oggi Casa-museo), si vedano l’Archivio storico famiglia Piccolo di Calanovella, a cura di A.M. Corradini, Capo d’Orlando 2002, e il sito ufficiale http://www.fondazionepiccolo.it.
Per un profilo complessivo della bibliografia di e su Piccolo si rinvia a S. Palumbo, Notizia e Bibliografia critica, in L. Piccolo, Plumelia, La seta, Il raggio verde e altre poesie, cit., pp. 111-113 e 114-128; Opere di L. P. e Opere su L. P. (www.fondazionepiccolo.it) in cui sono inclusi documentari, programmi radiofonici e tesi di laurea. Ulteriori rimandi in A. Tasca di Cutò, Un principe in America e altrove, Palermo 2004; G. Tomasi di Lampedusa, Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930, a cura di G. Lanza Tomasi – S.S. Nigro, Milano 2006; C. Aliberti, L. P., in Letteratura siciliana contemporanea. Da Capuana a Verga, a Pirandello, a Quasimodo, a Camilleri, Cosenza 2008, pp. 536-550; S. Chessa, Dalla Torre di L. P., in Studi di filologia italiana, LXVI (2008), pp. 293-325; A.M. Corradini, Il principe rosso. Alessandro Tasca Filangeri di Cutò un socialista dimenticato, Acireale-Roma 2010; F. Cevasco, Montale e Lucio il poeta barone nella villa incantata dei Gattopardi, in Corriere della sera, 14 agosto 2013, p. 30; C. Segre, Le fughe e i ritorni di Consolo. Sicilia non è solo Gattopardo, ibid., 19 gennaio 2015, pp. 30 s.

LE LIRICHE
(da: Gioco a nascondere-Canti Barocchi, Mondadori 1960; Plumelia, Scheiwiller 1967; La seta, Scheiwiller 1984; Il raggio verde, Scheiwiller 1993)

.

Non fu come credevi…

Non fu come credevi per lo scatto
del giorno innanzi che aveva turbato
la pianta gracile troppo sensitiva.
Per altro fu il singhiozzo subito:
forse l’eco risorta
d’una storia dolente;
ma certo in me s’apriva
tremenda ed umile
la voce che da sempre dura
e che ci lega, ognuno
di noi, al dolore d’ognuno anche ignorato.
Poi viene calma, e il riposo
al tuo riparo. Su la rena
onda dopo onda la marina lontana
forse suona una notte
in cui riemergono dalle profondità
sull’errante pianura
le luci fuggitive dei tesori
che i navigli salpati alle speranze
dell’Isole Felici
dispersero sull’acque.

.
I giorni

I giorni della luce fragile, i giorni
che restarono presi ad uno scrollo
fresco di rami, a un incontro d’acque,
e la corrente li portò lontano,
di là dagli orizzonti, oltre il ricordo,
– la speranza era suono d’ogni voce,
e la cercammo
in dolci cavità di valli, in fonti –
oh non li richiamare, non li muovere,
anche il soffio più timido è violenza
che li fra storna, lascia
che posino nei limbi, è molto
se qualche falda d’oro ne traluce
o scende a un raggio su la trasparente
essenza che li tiene
ma d’improvviso nell’oblio, sul buio
fondo ove le nostre ore discendono
leggero e immenso un subito risveglio
trascorrerà di palpiti di sole
sui muschi, su zampilli
che il vento frange, e sono
oltre le strade, oltre i ritorni ancora
i giorni della luce fragile, i giorni…

.
La meridiana

Guarda l’acqua inesplicabile:
contrafforte, torre, soglio
di granito, piuma, ramo, ala, pupilla,
tutto spezza, scioglie, immilla;
nell’ansiosa flessione
quello ch’era pietra, massa di bastione,
è gorgo fatuo che passa, trillo d’iride, gorgoglio
e dilegua con la foglia avventurosa;
sogna spazi, e dove giunge lucente e molle
non è che un infinito frangersi di gocce efimere, di bolle.
Guarda l’acqua inesplicabile:
al suo tocco l’Universo è labile.
E quando hai spento la lampada ed ogni
pensiero nell’ombra senza peso affonda,
la senti che scorre leggera e profonda
e canta dietro ai tuoi sogni.
Nell’ora colma, nelle strade meridiane
(ov’è l’ombra, ai mascheroni anneriti
alle gronde scuote l’erbe l’aria marina)
rispondono le fontane,
dalla corte vicina (lasciò la notte ai muri
umidi incrostazioni di sali, costellazioni
che il raggio disperde),
dai giardini pensili ove s’ancora il verde
si librano cristallini archi
s’incontrano nell’aria incantata alle piazze
sui cavalli di spuma gelata,
s’alzano volte di suono radiante
che frange un istante e ricrea
– la tenera piovra, il fiore liquido emerge, elude
il silenzio e un àndito schiude fra il canto e il sopore;
s’aprono zone di solitudini, di trasparenze,
e il bordone poggiato al sedile riposa
e il sogno si leva…
L’ombra del cavalcavia
Batte al selciato che brucia.
Ora piana ora ferma, ti guardi, ti specchi beata
in alta murata di loggia –nitore di vela- in altana
e la loggia, la cupola, la cuspide che vuole
salire più alta, sono immerse nel vento del sole;
permea l’azzurro le travature corrose,
la scala che sale alla cella, delle aperture
dei muri forati, degli archi fa sguardi sereni,
e le cavalcature riposano ai fieni falciati;
rigoglio di lantane, di muse, di calle,
ai terrapieni ove il gelso arpeggia l’ombre
ed alle balaustre scendono diffuse
le molli frane del caprifoglio,
(dietro al cancello fra gli aranci
l’acqua nascosta ha note d’uccello).
E le montagne, le montagne, l’han consumate
al corale dei raggi
le resine, l’erbe odorose, gli aromi selvaggi
…lancia il sole crinale cerchio
nell’idrie ove l’acqua scintilla
e s’uno scende l’atro sale,
• armonica d’oro –
la Bilancia appena oscilla
quasi uguale.
Attendono i vegliardi;
sotto la cupola al segno rotondo
(in gemini) folgora l’ora eco di cosmi,
ed alle siepi del mondo
passa il brivido di fulgore
fende l’immane distesa celeste
vibra, smuore, tace,
vento senza presa e silenzio.
Ma se il fugace è sgomento
l’eterno è terrore.

Lucio Piccolo

Lucio Piccolo

Scirocco

.
E sovra i monti, lontano sugli orizzonti
è lunga striscia color zafferano:
irrompe la torma moresca dei venti,
d’assalto prende le porte grandi
gli osservatori sui tetti di smalto,
batte alle facciate da mezzogiorno,
agita cortine scarlatte, pennoni sanguigni, aquiloni,
schiarite apre azzurre, cupole, forme sognate,
i pergolati scuote, le tegole vive
ove acqua di sorgive posa in orci iridati,
polloni brucia, di virgulti fa sterpi,
in tromba cangia androni,
piomba su le crescenze incerte
dei giardini, ghermisce le foglie deserte
e i gelsomini puerili – poi vien più mite
batte tamburini; fiocchi, nastri…
Ma quando ad occidente chiude l’ale
d’incendio il selvaggio pontificale
e l’ultima gora rossa si sfalda
d’ogni lato sale la notte calda in agguato.

.
La notte

La notte si fa dolce talvolta,
se dalla cerchia oscura
dei monti non leva alito di frescura
perché non sòffochi, ai muri vicini apre corimbo di canti,
sale coi rampicanti pei lunghi archi,
alle terrazze alte, ai pergolati, al traforo
dei mobili rami segna garofani d’oro,
segreti fievoli coglie ai fili d’acqua sui greti
o muove i passi stanchi
dove l’onde buje si frangono ai moli bianchi.
Subito allo schermo dei sogni
soffia in vene vive volti già cenere, parole àfone…
muove la girandola d’ombre:
sulla soglia, in alto, ogni dove
vacuo vano, andito grande tende a forme,
sguardo che muove le prende,
sguardo che ferma le annulla.
Riverberi d’echi, frantumi, memorie insaziate,
riflusso di vita svanita che trabocca
dall’urna del Tempo, la nemica clessidra che spezza,
è bocca d’aria che cerca bacio, ira,
è mano di vento che vuole carezza.
Alle scale di pietra, al gradino di lavagna,
alla porta che si fende per secchezza
è solo lume l’olio quieto;
spento il rigore dei versetti a poco a poco
il buio è più denso – sembra riposo ma è febbre;
l’ombra pende al segreto
battere d’un immenso
Cuore
di
fuoco.

 

*
sebbene tu cerchi che la tua stessa
fugacità sia l’arpa, il flauto, il ruscello,
sai che su la fronte è il segno
di una malinconia senza fine;
e se l’aria della notte che avanza
scioglie la maggiorana, i mirti,
il chiaro calice della datura
in fumo umido di fragranza,
sai che la favola sboccia,
poco dura, s’allontana,
e l’amaro e dell’ultima goccia.
Anche se il disperso ritrova
il confine, il lume notturno, il riposo,
anche se il tumulto gioioso
delle campane irrompe
nell’aria della sera,
e la corona da le gemme invernali
dolce sì curva a la primavera dei bianchi sponsali.
Ora su le colline oscure, su le curve dei monti
le terse cinture, le cacce di scintille
prende il primo scoramento che poi trascolora,
e saranno in fondo a le valli, brusio, brina,
all’eriche sonaglio di stille che vapora,
breve fluire di fonti che l’erba disperde,
che la terra densa ai raggi caldi beve.

.

Notturno

Hai visto come al varcare la soglia
il lume che era nella mano manca
mentre l’altra fa schermo, ha dato uno svampo
leggero del vetro se spento.
tardo il passo ne fu colpo di vento,
forse ha soffiato qualcuno, un volto
subito svaporato nell’aria?
Felpata, ovattata
densa di cortine ogni stanza, ogni vano
-solo per la notte che pensa? Imbottiture
a finestre doppie che l’aria non giri
ed anche la porta a la sua veste
di stoffa che spenga ogni stridio (rinchiuso
interno che la malinconia
di nuovo chiama opprime e la figura
annosa e i figli estremi
incandescenti al flusso giallo).
Non ebbe strisce sanguigne il tramonto,
vennero chiare le campane,
ora pende la lanterna al carretto che stenta
e in fondo alla strada sul mare
un bastimento che prende il largo
gira i suoi fuochi lontani.
E ancora due volte hai riacceso
Il lume e due volte se spento
all’entrare: una villetta,
un ventaglio di piume, una mano
che sfilò dal guanto, la falda
d’un portale che non sostenne
Il nastro? Ma non c’è nessuno
e sai che non bisogna tentare
il buio: rimemora, a nostalgie, imprevisti,
l’ombra a le ombre, meglio pregare
a questo ora, quel che gioco
sembra di giorno fa vero
di notte la notte che sogna-
penso che farai: la luna, i pianeti la rosa
Di maestrale o scirocco nei porti
lontani maree: il volume
sibillino di numeri e immagini
che muta in oro innegabile voci
smorzate all’orecchio, significazioni
di sogni, eventi. Ma i morti
non hanno cifre per i nostri tesori,
singulti hanno in noi,
veglie
di fiamme basse, aneliti
d’angoscia verso un nodo di vita
incompreso, e a volte una sera
che scende dall’alto e candori infiniti.
Parlottare fatuo nell’aria
o il buio che si cerca o sfioramenti
di matasse invisibili o altro
certo non saranno che folle,
ma è vero che per tre volte
t’anno soffiato sul lume al passare.

.
Il raggio verde

Da torri e balconi protesi
incontro alle brezze vedemmo
l’ultimo sguardo del sole
farsi cristallo marino
d’abissi… poi venne la notte
sfiorarono immense ali
di farfalle: senso dell’ombra.
Ma il raggio che sembrò perduto
nel turbinio della terra
accese di verde il profondo
di noi dove canta perenne
una favole, fu voce
che sentimmo nei giorni, fiorì
di selve tremanti il mattino.

.
Voce umile e perenne

Voce umile e perenne
sommesso cantico
del dolore nei tempi,
che ovunque ci giungi
e ovunque ci tocchi,
la nostra musica è vana
troppo grave, la spezzi;
per te solo vorremmo
il balsamo ignoto, le bende…
ma sono inchiodate
dinnanzi al tuo pianto le braccia
non possiamo che darti
la preghiera e l’angoscia.

Pino Censi

Pino Censi

Pino Censi, diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica “Silvio d’Amico”, è stato diretto da Gabriele Lavia, Glauco Mauri,Walter Pagliaro, Cherif, Barbara Nativi e Giorgio Treves. Intensa la collaborazione artistica con Sandro Sequi negli spettacoli realizzati per il Centro Teatrale Bresciano. Suoi i progetti “Nijinsky” (frammenti dai “Quaderni” di Vaslav Nijinsky, il madrigale di Claudio Monteverdi “Combatimento di Tancredi et Clorinda”, ”Cerchio di Melodie – Teoria delle Ombre” da dieci liriche di Lucio Piccolo e “Una lunga notte” tratto dal romanzo omonimo di Antonella Cilento sull’opera del ceroplasta secentesco G. Zummo. Alla biennale di Venezia (n°40) è stato Minosse/Cefalo nello spettacolo di Giorgio Marini “Il giavellotto dalla punta d’oro” racconto di Roberto Calasso. Ippolito nella “Fedra” di D’Annunzio al Vittoriale; Edipo nella performance “Edipo, la sfinge e lo spettro” da Cocteau presso la galleria “L’Attico” di Sargentini e Egon Schiele in “vive morendo ogni cosa” dal “diario di Neulengbach” dell’artista viennese.

 

21 commenti

Archiviato in critica della poesia, poesia italiana del novecento, Senza categoria