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Luca Ariano POESIE SCELTE da “Ero altrove” (2015) con un Commento di Salvatore Ritrovato

Foto il trasporto pubblico

il servizio pubblico a Roma

Luca Ariano (Mortara – PV 1979) vive e lavora a Parma. Di poesia ha pubblicato: Bagliori crepuscolari nel buio (1999), Bitume d’intorno (2005), Contratto a termine (2010) e Tracce nel fango (2011) oltre a testi presenti in antologia. Ha curato Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto 2008) e Pro/Testo (Fara 2009). Nel 2012 per le Edizioni d’If è uscito il poemetto I Resistenti, scritto con Carmine De Falco, tra i vincitori del Premio Russo – Mazzacurati. Collabora a riviste e fa parte di Ultranovecento. Nel 2014 per Prospero Editore ha pubblicato l’e-book La Renault di Aldo Moro con una prefazione di Guido Mattia Gallerani. Nel 2015 per Dot.com.Press-Le Voci della Luna ha dato alle stampe Ero altrove.

 

città scorcio urbano

Commento di Salvatore Ritrovato

Non saprei dire se Ero altrove segna il passaggio a una maturità più consapevole, occorrerà vedere il prosieguo; senz’altro si può dire che essa guarda, come poche altre raccolte di così detti ‘giovani’ poeti che magari hanno maggiore risonanza, al Novecento pur avendo i piedi piantati saldamente nel nuovo millennio. Ammesso pure il valore ermeneutico di queste categorie meramente convenzionali della storia occidentale, io credo che la poesia di Ariano guardi in maniera effettuale, non ideologico, al presente, nel quale è inevitabile che coesistano, stratificandosi ed entrando spesso in confitto, più epoche della storia di una nazione che (da Stilicone ai Partigiani alla seconda repubblica) non ha mai cessato di chiamarsi Italia, prima ancora di esistere sul piano amministrativo. Guardare al presente è una delle operazioni più difficili, per un poeta, mi piace sottolinearlo: infatti, è alto il rischio di scivolare sulle parole, senza riuscire a mettere l’oggetto scrutato alla giusta distanza. Ma per fare questo Luca Ariano provvede ad alleggerire, per quanto possibile, il discorso, concentrandosi su nomi e verbi che, nella composizione delle diverse sequenze, ci restituiscono i fatti in una visione cruda, scabra, essenziale, ma non denaturata, né asettica. Non occorrono cornici per entrare nella prospettiva esistenziale del poeta, che anche quando sembra, almeno sulle soglie di qualche sezione (come La Renault di Aldo Moro), di portare il lettore su una pista precisa, verificabile, in verità non mira a interpretarne la dimensione politica, e a prendere posizione, ma a rilevarne i riflessi nella prospettiva etica dei suoi personaggi che vivono la storia dal margine, che se mai un giorno saranno famosi, lo dovranno non a una goffa esibizione mediatica, ma alla qualità intrinseca della loro vita.
Luca Ariano non fa della poesia un portato del suo ‘impegno’, dietro il quale si scorge una dichiarazione politica, un manifesto, e così via; tutt’altro, Luca si dedica alla poesia come al solo linguaggio che può finalmente ribaltare i triti luoghi comuni sulla letteratura impegnata, ove non vi sia una lucida e strenua coscienza della nostra condizione esistenziale.

(dalla Prefazione di Salvatore Ritrovato)

Luca Ariano ero-altrove-1

Otto poesie di Luca Ariano da “Ero altrove”

Il dottor Saverio mai avrebbe fatto il medico:
uno studio avviato… il padre uno dei migliori…
l’hanno incastrato con una valigetta di soldi…
una Mercedes luccicante.
Era davvero bella – dicono – fino agli anni Settanta,
poi la droga… il terrorismo ma ancora perdersi
in banconi profumati di verdura,
pesce scaricato coi camion dalla costa.
Marceranno con la camicia cachi, saluti romani
pronti a bastonare all’occorrenza.
Guido – lo stesso nome del nonno partigiano,
suo padre vent’anni di galera per banda armata,
l’hanno intercettato con volantini a cinque punte
e un mitra da comunista combattente.
L’odore di temporale dalle campagne
prima che l’acqua tracimi fogne schiumanti
e Teresa nel volo d’un’altra stagione
che non tornerà in un fruscio di vento.

*

Anche di notte l’Enrico lavüra,
come i cinesi o i giargianès
negli anni Sessanta: l’imprenditùr
lo chiamano ma per arrivare a fine mese
insegna lingue morte senza profitto.
L’Amalia assapora una caramella
alla liquirizia sentendosi bambina
quando tutti stavano bene
e l’Andrea – forse un po’ di freddo
o una mala bevuta – vomita
in qualche angolo… senza di lei
sarebbe un barbùn.
Era l’antico mattatoio – orgoglio
di generazioni di beccai, ora cimitero
di amianto… taniche.
Fiulin – in testa Teresa, pare fuoriuscito
da una sezione fumosa anni Cinquanta
ma non ci sono rivoluzioni, scioperi,
Guerra Fredda, destra, sinistra
e in auto un libro di Berlinguer…
uno scherzo… solo uno scherzo.
Campi di fiori gialli nel fresco del viaggio
da far l’amore fino a tardi
mentre le strade invecchiano discrete.

*

L’Enrico pochi ghèll in saccoccia,
anche oggi lavora fino a notte fonda
e in testa frasi da professore di paese:
«Sarete la classe dirigente di domani!»
Primo ora che la fiolètta l’è andà
solo sul divano fumerà un torcione
guardando vecchi film
e fuori vociare sui marciapiedi.
Il mare ridà antichi tesori
affondati in qualche tempesta
e Carletto operaio di tempi postmoderni
cronometra ogni gesto prima di essere
delocalizzato dall’altra parte del sole.
L’Andrea dopo un giorno a scrivere storie
in poche righe ha voglia di parlare,
di ascoltare dal canale il canto delle rane
come fossero altri tempi.

*

Marcellino a digiuno
un cucchiaio d’olio d’oliva
come voleva sua madre:
è tutta salute tra l’odore di limoni,
basilico e la risacca del mare.
Il cantiere navale fin da ragazzo,
le prime sigarette e le notti al porto:
tra i fumi d’inverno è spirato
poco dopo la pensione coi polmoni asciugati.
L’Armando bancario da sette generazioni
– forse ebrei scappati dalla Spagna –
ha iniziato con il nonno a giocare a carte
per ammazzare il tempo.
Si è bruciato a poker,
cacciato per un ammanco di cassa,
«Commissario… commissario…»
Ancora più caldo il vento d’estate
tra viali che trasudano azoto
e l’odore dei tigli è quasi archeologia.

*

Luca Ariano

Luca Ariano

L’Emilio quella chiamata
l’ha aspettata per giorni:
forse era al bagno… a comprare il pane
o aggiornarsi per nuovi corsi.
Non è rimasta che la preghiera mattutina
e il capo chino oltre il portone.
Gianni quando spegneva le prime candeline
non si sentiva un bambino come gli altri;
bastava un attimo per perdere il respiro
e ascoltando Faber con gli occhi lucidi:
“Spiare i ragazzi giocare al ritmo del mio cuore malato…”
Ancora li vede giocare sospirando per strada
ma alla sera quel bacio è un sorriso
lungo una sorsata al tramonto.
Fiulin torna come se nulla fosse cambiato
tra gli ultimi postumi d’estate:
un fiume di fango travolge case,
un sindaco colpito a morte
e domani ricominceranno le scuole
come il vento voltando pagine s’una banchina.

*

«Ben poca cosa è un poeta se non è in grado
di comporre senza angosce,
passo dopo passo, in qualsiasi momento
e con sicura efficacia stilistica qualsiasi motivo
che sia riuscito a concepire con chiarezza.»

Gabriel Ferrater

Lüìs non lo riconoscerebbe il suo paese:
era un borgo da romanzo di Fenoglio o Gadda.
Ora Ndranghetisti a dettar legge tra auto bruciate…
pizzo ancora caldo e appalti pilotati.
Dopo una partita a carte e on biccér de vín
«Se vedèm!» all’uscita del circolo
travolto da un’auto a folle velocità;
è sepolto in un cimitero nebbioso
accanto al fiume pieno di gamberi della Louisiana.
In un caffè vagamente francese
per scrittori e intellettuali dissidenti
– oggi un fast food – un poeta decise
che non sarebbe vissuto oltre mezzo secolo:
se n’è andato nel suo appartamento
tra fogli volanti una notte d’inverno.

*

Tiberius etiam ad rapinas convertit animum.
Gaius Suetonius Tranquillus

Di carovane nel deserto
già ne parla la Bibbia,
nella città dove sostò Abramo
conquistata dai Romani ora dai coloni.
Svetonio narra che Tiberio
nel suo secessus Caprensis adescasse pueros
e un vecchio senatore sdentato
offrisse carne fresca per l’Imperatore.
Tacito non conferma né smentisce.
L’Enrico tra colline nebbiose
odorose di legna arsa per l’inverno,
di Barbaresco appena stappato
e una canzone nella testa
«Pedala… pedala… pedala»
Teresa si sente come foglie secche
cadute nell’acqua e scarpe
che lasciano passi impantanati
in quei giorni di buio presto.

*

“E cielo e terra e mare invocano
la nuova luce che sorge sul mondo,
luce che irrompe nel cuore dell’uomo,
luce allo stesso splendore del giorno.”

David Maria Turoldo

Sarà stato il Settantasette
– forse il Settantotto – in un appartamento
non lontano da Botteghe Oscure
in un conflitto a fuoco coi brigatisti
è morto l’agente Pietro Ruotolo.
Lascia una figlia di cinque anni,
ora storica scrive su quegli anni
e non ha mai visto negli occhi gli assassini.
L’Emilio alla festa di Natale con gli studenti
tra un Padre Nostro, un Ave Maria
e canti di Natale – magari fosse una poesia
di Turoldo – vorrebbe salire su un tetto…
una gru… in piazza come suo padre
tra zampe d’elefante e zazzere al vento.
Il tramonto è una crema al salmone
da spalmare su un cielo d’inverno;
Teresa e Fiulin in un’autostrada
di campi oscurati si ricorda la torre STAR:
«Mamma guarda quelli del brodo!»
ma il sapore delle verdure
è un volo interrotto prima della nebbia.

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