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Valerio Magrelli, La guerra, la pace, disegni di Alessandro Sanna, Rizzoli 2022, pp.48, € 16, Nei linguaggi del Grande Labirinto di Giorgio Linguaglossa, Per Magrelli, che ha sempre aspirato a perdersi come i bambini all’interno dei linguaggi e che interpreta da sempre una narrativa e una poesia che non considera più necessaria alcuna ermeneutica, l’approccio ad una poesia per bambini è stato un risultato agevole perché essi non hanno bisogno di una guida ermeneutica, Ma almeno a Magrelli va il merito di non averci affibbiato del modernariato in piena epoca di ipermoderno metalmediatico

valerio magrelli 4

valerio magrelli

Nei linguaggi del Grande Labirinto

di Giorgio Linguaglossa

Oggi tutto è compreso nel presente. 1 vale 1. 2 vale 2. È tutto compreso, prendi tre paghi uno. Viviamo tutti in una Grande Dimensione polifrastica, un Grande Labirinto dove si parla una Babele di linguaggi disparati nei quali i bambini si perdono. I bambini non sanno nulla dei generi poetici e dei sottogeneri narrativi, però capiscono tutto, tutto l’essenziale. Così, in un panorama in cui i parametri fideistici che fino in pieno novecento indicavano i conflitti estetici tra forme poetiche e i generi romanzeschi, oggi quei parametri indicano l’impiego che si fa di essi per restare editorialmente sulla cresta dell’onda con tanto di iniezioni nella narrazione di massicce dosi di déjà-vu, di cronaca e di situazioni maramaldesche. La partita della immaginazione senza fili è relegata alla sfera dei bambini e l’ultroneo del pensiero infantile viene derubricato dagli adulti a modello autoriflessivo, così il «successo» non si gioca più all’interno della letteratura, perché passa per altri e ben più potenti media, attraverso le stanze dei bottoni e dei salotti televisivi. Ma i bambini nulla sanno del linguaggio degli adulti, per loro il linguaggio è una palestra della immaginazione senza fili, ma gli adulti che vivono stabilmente nella zona di compromissione che chiamano libertà, non sono più capaci di dialogare con i bambini, mancano di un linguaggio idoneo perché hanno perduto il senso del gioco.
Dopo Il pubblico della poesia, antologia di autori di poesia pubblicata nel 1975 da Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli, siamo ormai giunti al pubblico del varietà privatistico e mediatico che nel frattempo è diventato pubblico della chatpoetry e del romanzo chat; l’indotto conta più del dotto e del prodotto e l’affiliazione più del merito, i linguaggi tendono a diventare una efficiente organizzazione, all’interno del Grande Labirinto, della “Ditta” di riferimento.
Sopra tutto questo panorama giunge la luce fioca dal lampione della Ragione. C’è una platea in chiaroscuro che chiede ai libri di essere bianchi e, soprattutto, blasoni sociali, etichette e benemerenze, i libri sono considerati non più che dei videogiochi. Più lontano ancora, l’angusto cortile di casa che è la letteratura delle benemerenze, sfuma nelle galassie dello storytelling e nella glaciazione di una generica scrittura creativa in promozione generalizzata a televendita. La letteratura, che nella modernità era una lingua speciale, è diventata oggi comunicazione ordinaria, il modo più spiccio per affermare il proprio Ego, la propria autorialità e la propria autostoricizzazione.
Per Magrelli, che ha sempre aspirato a perdersi come i bambini all’interno dei linguaggi e che interpreta da sempre una narrativa e una poesia che non considera più necessaria alcuna ermeneutica, l’approccio ad una poesia per bambini è stato un risultato agevole, diciamo così naturale, perché essi non hanno bisogno di alcuna guida ermeneutica, sono già diventati anzitempo sufficientemente e precocemente adulti da aver preso a prestito dagli adulti il loro cinismo e la loro ipocrisia; per il poeta romano che ha da sempre preferito agire tra i piani sconnessi della paraletteratura, della letteratura, del midcult e delle (rarissime) opere complesse, non è stato disagevole trovare un linguaggio che corrispondesse alle esigenze dei bambini. Ma almeno a Magrelli va il merito di non averci affibbiato del modernariato in piena epoca di ipermoderno metalmediatico, lui almeno è sincero: adotta il registro del minimalismo del linguaggio infantile che è una modalità plausibile e presentabile: quello delle micro storie e delle piccole morali con cui il poeta romano presenta la Storia degli eventi bellici di oggi ai bambini. Magrelli questo compito lo esegue con perspicacia e acume, forse il suo libro migliore, perché qui l’autore non utilizza gli stereotipi della cronaca ma accenna soltanto e di sfuggita alla Storia con la maiuscola, la Storia che ci minaccia di estinzione con la guerra nucleare.
La frase di Lacan: «Io mi identifico nel linguaggio, ma solo perdendomici come un oggetto», Magrelli la risolve facendo poesie per bambini, perdendosi nel linguaggio solo come un bambino può perdercisi, le sue poesie per fanciulli sono un eccellente interludio alla assurdità e alla incredibilità della guerra, e la forma-poesia diventa un congegno davvero assurdo, ultroneo, anzi il miglior congegno linguistico atto a descrivere l’assurdità e la barbarie della guerra vista dal punto di vista dei bambini con la psicologia dei bambini; l’autore romano si cimenta nel compito di presentare ai bambini i lati assurdi di quella cosa orribile che chiamiamo guerra. Che però, dal punto di vista psicologico dei bambini appare come un mondo capovolto. E Magrelli ci riesce al meglio, fa una poesia in modalità infantile.
Scrive l’autore in una didascalia in calce al volume:

«Fino a oggi, non avevo mai scritto versi dedicati ai bambini. Avevo soltanto composto poesie sui bambini, e soprattutto un saggio sui disegni dei bambini. Ciò significa che adesso succederà qualcosa di opposto: saranno loro a osservare i disegni che Alessandro Sanna ha creato a partire dai miei testi. Ma cosa implica “Scrivere per i bambini”?
Visto che non l’ho fatto mai prima di ora, sono l’ultimo a poterlo dire. Posso però raccontare come mi sono regolato personalmente ho giocato su forti contrapposizioni, ricorrendo a soggetti precisi attraverso un linguaggio preciso. Ognuno ha una sua propria idea del bambino: io lo immagino curioso, avido di sapere, il “polimorfo perverso” di cui parlava Freud. Certo, me lo figuro ancora svantaggiato rispetto all’adulto, in quanto dotato di meno strumenti a sua disposizione – pochi, ma assai più potenti (basterebbe pensare alla sua forza di immaginazione!).
Dunque, ho cercato di stabilire un ponte radio in grado di unire le mie parole, illustrate, al suo ascolto. Ecco, io spero esattamente nel miracolo di una sintonizzazione, nel miracolo di un canale che si apra tra il mio lavoro e lo splendore infantile.
(v.m.)

Scrive Marie Laure Colasson:

«È vero, qualcuno, leggi la poetry kitchen, ha smobilitato il discorso poetico del Grande Labirinto, lo ha decostruito, lo decostruisce di continuo. Nessuno di noi (adulti) fa più un discorso poetico, ognuno se lo fa per se stesso e se lo cuoce e se lo deglutisce. Il bello della modalità kitchen (o infantile) è che ciascuno può pescare nella propria soggettività (evanescente) quello che vuole, al contrario dei poeti elegiaci che partono dal principio di affidarsi alle virtù balsamiche della soggettività salvatrice.
Questa poesia per bambini è nata felice, perché scritta con un linguaggio infantilizzato, minimal, sembra scritta durante un terremoto della 9a scala Mercalli. Sei stato per caso in Turchia? (attento allo tsunami!). Ma sì, noi tutti facciamo poesia ma senza prenderci più sul serio, della seriosità dei poeti elegiaci e degli adulti che parlano la Lingua del Labirinto, si fa poesia perché è un nulla di nulla e non conta nulla, perché «l’essere svanisce nel valore di scambio» (Heidegger). Almeno questo lo possiamo dire, senza innaffiarci di «sublime» e senza le furbizie degli elegiaci».

Valerio Magrelli la guerra la pace

testi scelti da La guerra, la pace, (2022)

La guerra nella neve

La guerra nella neve
ha un non so che di irreale.
Tutto viene attutito:
anche i colpi di cannone
vengono fuori avvolti nell’ovatta.
C’è un’aria bianca, frizzante, natalizia,
ma nessuno che nasce,
anzi, il contrario.

.

La Pace nella neve

La Pace nella neve
ha un non so che di irreale.
Tutto viene attutito:
anche i saluti
vengono fuori avvolti nell’ovatta.
C’è un’aria bianca, frizzante, natalizia,
che spinge il mondo a rinascere,
anche se tutto sembra seppellito.

.

La guerra in riva al mare

La guerra in riva al mare
è soltanto ridicola.
Le spiagge bianche, le onde, il sole fresco,
e invece di sdraiarci mezzi nudi
soffochiamo coi caschi, le divise,
la sabbia che si infila nelle scarpe
e quelli che ci sparano acquattati
dalla pineta.
La guerra in riva al mare è una vergogna.

.

La Pace in riva al mare

La Pace in riva al mare!
Ignorarla, è ridicolo.
Le spiagge bianche, le onde, il sole fresco,
e noi sdraiati mezzi nudi,
la sabbia che ci indora,
e qualche pecorella acquattatella
nella pineta.
La Pace in riva al mare…
rinunciarci, è un peccato.

.

La guerra in città

la guerra in città
non ha senso.
Appena arriva, saltano le regole.
Adesso vanno tutti contromano
e senza che nessuno glielo vieti.
Sono spariti i divieti:
come è possibile circolare così?

.

La Pace in città

La Pace in città
è la festa dei sensi
Teatri, cinama, palestre, librerie,
ristoranti, caffè, pasticcerie.
E tutto regolato come un orologio,
frecce, semafori, strisce pedonali…
Chi viola le leggi, viene sempre multato.
Si può vivere meglio di così?

.

La guerra in campagna

la guerra in campagna
fa meno impressione.
Sembra di più una caccia
a qualche animale nascosto.
Anche i vestiti sono quasi uguali,
mimetici, per non farci scoprire.
E c’è un’eccitazione in tutti noi,
per questa specie di gioco a nascondino.
Anche se dopo è brutto,
vedere l’altro giocatore a pezzi.

.

La Pace in campagna

La Pace in campagna
è il paradiso.
Finalmente vietata la caccia,
l’animale si mostra, non più timoroso,
mentre l’uomo si mostra sapendo
di non suscitare timore.
E c’è un’eccitazione in tutti noi,
per questa festa unanime.
Abbiamo superato la ferocia della natura,
siamo natura spogliata del suo male.

.

La guerra nella pioggia

La guerra nella pioggia
è un doppio schifo.
fa freddo e sei bagnato,
ma l’ombrello è vietato:
si è mai visto un soldato con l’ombrello?
Potremmo addirittura definire “soldato”
chi non porta l’ombrello.
Perché l’ombrello si usa in tempi dolci,
dove ci si protegge dalla pioggia.
In guerra, invece, nessuna protezione,
nessuna cura, nessuna attenzione.

.

La nebbia in tempo di pace

La nebbia in tempo di pace:
liquido amniotico.
Tutto è dolce e indistinto,
tutto è attutito
cullati nella pancia della mamma.

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POESIA PER BAMBINI di Valerio Gaio Pedini “Dal cielo alla terra” e “C’era una volta” di Chiara Moimas

Enrico Baj I funerali del'anarchico Pinelli

Enrico Baj I funerali del’anarchico Pinelli

POESIA PER BAMBINI

“C’era una volta” di Chiara Moimas

Chiara Moimas è nata a Ronchi dei Legionari nel1953 e vive a Gorizia ha al suo attivo diverse pubblicazioni a carattere didattico su riviste specializzate. Ha pubblicato i volumi di poesia Metamorfosi: donna (Firenze Libri, Firenze 1989) e L’angelo della morte e altre poesie (Ed. Scettro del Re, Roma 2005) che ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Seguono Curriculum vitae (Joker, 2012), e L’acerbo Pruno (Edizioni Progetto cultura, 2014). Sue poesie sono state pubblicate su riviste di settore e nell’antologia Ragioni e canoni del corpo di Luciano Troisio (Terziaria, Milano 2001). Nel 2012 ha vinto il “Premio speciale M. Stefani” al concorso di poesia erotica di Venezia. Si occupa anche di scrittura per l’infanzia e di poesia dialettale (il “bisiac”).

Chiara moimas_parigi

Chiara Moimas seduta su una panchina di Parigi, 2012

“C’era una volta” di Chiara Moimas

C’era una volta, tanto tempo fa,
un paese nel quale Sua Maestà
teneva nel pugno la sorte
del popolo tutto e della corte,
decidendo incondizionatamente
del destino di tutta la gente.
In un mattino dal cielo cupo e nero
nacque nella mente sua un pensiero:
dare vita a riforme senza spese
per trasformare l’intero paese.
Fu così che si formò la Compagnia
delle opere fatte in allegria
e ridendo e scherzando su che fare,
in primis si decise di tagliare.
Tagliare, venne subito chiarito,
ciò che risultava non gradito
a Sua Maestà ed alla Compagnia,
tipo, ad esempio, la democrazia.
Taglia a destra, taglia a manca,
la Compagnia non era mai stanca,
a terra giacevano avvizziti
quei diritti che parevano acquisiti.
Tra il popolo qualcuno, con coraggio,
tentò di fare un mesto ripescaggio,
ma fu tacciato dalla comunicazione
d’esser fautore di restaurazione
ed i nemici primi individuati
furono gli obsoleti sindacati.
Anche l’antica Costituzione
intralciava la neo rivoluzione;
che il lavoro ne fosse il fondamento
era un’idea smarrita nel tempo.
Il nuovo avanzava a spron battuto,
oramai si licenziava per statuto:
tutti, escluso Sua Maestà,
dovevano provar precarietà.
Ma la riforma vera era una sola:
da cima a fondo rivoltar la scuola!
E la Compagnia con grande impegno
si mise a scrivere di legge il disegno.
Più di cento pagine per la presentazione
e scoppiò il grande caos, la confusione.
Chi ci rientrava, chi restava fuori?
panico tra maestri e professori.
Si lesse fra le righe, fatto strano,
che diventava il preside un sovrano,
del grande potere investito,
di scegliersi il docente più gradito:
docile, mansueto, accondiscendente,
che si accontentasse di poco o quasi niente.
Ed ancora si lesse – incredibile visu –
che un comitato avrebbe deciso
a chi dare il premio di produzione:
questa sì, vera rivoluzione!
Risultavano tra i componenti
genitori ed anche studenti.
Ahimè, tanti ministri di ogni schieramento
per troppe riforme finite nel vento,
ed invece ci voleva così poco
per mettere la scuola a ferro e a fuoco,
annientare la scuola statale
si rivelò una cosa banale.
Un po’ di fondazioni, qualche emendamento
e finì la libertà d’insegnamento.

Per nostra fortuna Sua Maestà
ha governato tanto tempo fa,
fortunatamente una storia così
è accaduta lontano da qui (?!).

Cadavre exquis André Breton, Frédéric Mégret, Suzanne Muzard, Georges Sadoul, gouache sur papier noir daté du 10 janvier 1929.

Cadavre exquis André Breton, Frédéric Mégret, Suzanne Muzard, Georges Sadoul, gouache sur papier noir daté du 10 janvier 1929.

POESIA PER BAMBINI

“Dal cielo alla terra” di Valerio Gaio Pedini             

Valerio Pedini nasce il 16 giugno del 1995, di otto mesi, e viene tempestivamente scambiato nella culla: il misfatto viene subito scoperto. Esattamente 18 anni dopo, Valerio, divenuto Gaio, senza onorificenze, decide di organizzare il suo primo evento culturale ad Artiamo (gastrite e l’epilessia e quasi nessuno ad ascoltare); nell’intermezzo ha iniziato a recitare, preferendo l’espressività del teatro di ricerca rispetto al metodismo popolare e a scrivere, uscendo, in collaborazione col circolo narrativo AVAS – Gaggiano, nelle antologie Tornate a casa se poteteRigagnoli di consapevolezza e Ma tu da dove vieni?. Nell’ottobre del 2013 inizia il progetto Non uno di meno Lampedusa, insieme ad Agnese Coppola, Rossana Bacchella, Savina Speranza e ad Aurelia Mutti. A dicembre conosce Teresa Petrarca, in arte Teresa TP Plath, con cui inizia diversi progetti artistici: La formica e la cicalaEssence e Pan in blues e in jazz. Sta lavorando ad una monografia filosofica: Maggiorminore: la disperazione dei diversi uguali. A Maggio 2014 è uscita la sua prima raccolta poetica, con IrdaEdizioni: Cavolo, non è haiku ed è stato inserito nell’antologia Fondamenta Instabili (deComporre Edizioni) e, successivamente, sempre con deComporre Edizioni, uscirà nelle antologie Forme LiquideScenari ignoti e Glocalizzati.

Valerio Gaio Pedini

Valerio Gaio Pedini

1
Svolazzavan i pesciolin di sera,
luccicava la luna a mezzodì,
miagolava soavemente il cane,
quando nacque dall’uovo un bel bambin
di nome Rosellin.

2
Rosellin saltò su una stella
urlandole: “Quanto sei bella!
La stella splendeva
e il bimbo rideva,
finché la stella fu spazzata dal vento!

E allor che sgomento,
era cattivo quel vento.
Rosellin volò via,
Rosellin cadde giù
gridando: “Stellina, io volo nel blu!

3
Rossellin tutt’a un tratto,
atterrò sull’erbetta
di una ridente, soffice nuvoletta.

Buon dì nuvoletta, posso sulla tua soffice schiena saltellar?”
“Certo ,mio bel Rosellin: sorridi e divertiti,saltella sui fior, e senti del sole il rigenerante calor!

4
Saltò rosellin
sul verde prato
fin quando notò
una cosa rimbalzante
che lo salutò:

Buon dì Rosellin,
io sono la rana gracidin,
Cra cra
“Ciao ,Gracidin CRA CRA!
Cra cra è il mio gracidin
eh eh eh eh eh
mio caro Rosellin”

Si scusò Rosellin,
colla verde bestiola
ed insiem- saltellando-
esploraron l’aiola.

5
Bruchi e farfalle poltrivan nel prato
da fiori splendenti costellato.

Volavan libellule, cavalcate da gnomi
che, coi loro berretti,
infilzavano i pomi.

Rosellin si unì a loro
sull’aerea libellula
mangiò mele,
si saziò;
ed infin sul soffice petalo
insieme a loro
si addormentò.

6
Ma ecco che un ragnetto
dalle zampette nere
calò dal folto in sul visin
del nostro caro amico Rosellin:
si posò sul suo nasino
ancor che fosse un lettino.

Sobbalzò assai e levò il prato
Rosellin spaventato – si da bellissimo

E ancor scosso,
scivolò dalla nuvola
e volò via!

su
le
ali di
un’
aquila
si ritrovò;

e sul suo dorso ad esplorare il cielo stellato iniziò.

Il raggio argenteo di una stella attraversò.

Rosellin sulla stella danzò;
lì una nonnina lo accarezzò
e in una mano qualcosa gli tese:
gli tese un sogno,
un piccolo e fragile desiderio:

visitare quel mondo lontano
che vedeva brillare
e gli pareva sì strano:
questo Rosellin voleva.

7
Ringraziò Rosellin
la vecchietta

“Addio, Rosellin!”
esclamò la vecchietta
“Afferra il tuo sogno
… non farlo scappare
che ti condurrà dove tu vuoi andare”

Ed ecco che d’un tratto
Rosellin si trovò
su una distesa dipinta di sette color;
meravigliosi e sgargianti
i petali dei fior.

Rosellin
Attraversò quel ponte incantato
fino a quando
arrivato sulla Terra
rimase senza fiato.

8
Camminò Rosellin
per boschi e per prati,
per prati e per boschi,
gustando l’odor della libertà:
BRILLANTE UTOPIA
DI UN MONDO DI MAGIA.

Splendeva il sol
– lo fissava Rosellin-
splendeva il sol
– danzava per Rosellin-

MA
Avanzando Rosellin
vide un grigiume
che inghiottiva tutto
del sole il barlume.

9
Arrivò Rosellin
nella brutta città,
dominio sciccoso della lordosa maestà:
tutto pieno di torri, palazzi
e pubblicità.

Rosellin, spventato, voleva andar via:
abbandonare dello smog la scia,
per trovar rifugio nella periferia.

Ma ecco:
qualcuno gli tese una mano…

10
Era un bambino,
un coso assai strano!
che lo invitò ad andare lontano
Insieme

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