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PER UN’ECOLOGIA DELLA POESIA EROTICA WHALES WEEP NOT! LE BALENE NON PIANGONO! UNA POESIA DI D. H. LAWRENCE Trinita Buldrini, Steven Grieco-Rathgeb – Commento introduttivo di Chiara Catapano Commento di chiusura di Steven Grieco-Rathgeb

foto Andy warhol paintings lips

LA MANTIDE E IL CAVALLUCCIO MARINO

di Chiara Catapano

La coppia più audace e longeva del mondo, Eros e Thanatos, come tutte le coppie del mondo, è soggetta al pettegolezzo. E più d’altre vi si espone, fraintesa, mal capita, erroneamente interpretata. Da psichiatri, filosofi, esteti, poeti. Non passa giorno che qualcosa sfugga o indebitamente vi si associ dell’altro, per eccesso di zelo, per narcisismo, per incapacità, per ostinata passione. Spesso sono le migliori intenzioni a tradire questa coppia.

Spinosissimo parlare di poesia erotica – spinoso in generale parlar di ogni cosa in arte, in tempi in cui il giudizio è sospeso, macchia d’olio nel mare del web. Ma bisogna provarci, con tutte le lacune che potranno rimanere aperte, o che si potranno – fresche – aprire; perché insomma un po’ d’ordine va fatto. Un po’ di chiarezza: così come non tutto ciò che viene scritto con audaci ‘a capo’ è poesia; e di quanto rimane nel setaccio, non tutto ciò che si denuda è erotico.

La poesia di D. H. Lawrence, tradotta da Trinita Buldrini e Steven Grieco-Rathgeb, ha accompagnato in noi tre considerazioni su cosa sia l’eros in poesia. Va chiarito da ben inizio che non su criteri di “bello” o “brutto” qui ci basiamo (che quelli già la fine dell’800 li ha – fortunatamente! – scardinati mettendoci tutti gambe all’aria), bensì ci appelliamo al sacrosanto diritto/dovere di riconoscere (e defenestrare) il banale in letteratura, il tossico nella vita. Il trito e ritrito. La scopofilia.

La banalità, sissignori, esiste. Striscia sempre sulla superficie, non s’immerge. Tanto più rischioso quando si associa il gesto artistico all’eros. L’atto carnale è di per sé solo una parte del movimento erotico; ridurre dunque un testo all’anatomia di un amplesso è proprio come ridurre, per riprender la metafora di sopra, una poesia ai suoi a capo.

Ma è la civiltà dei consumi, dove i corpi stessi vengono a loro volta consumati nella loro smania di realizzazione: corrosi, per raggiungere un’acme, una postura effimera – E Letizia Leone, nelle sue poesie erotiche mette in luce proprio questo aspetto. Come nel suo  “La disgrazia elementare” chiarisce la natura esasperata dall’umano, la fine imminente, “la fossa tossica/e ai margini un orto/per insalate di malve e asfodelo”, altrettanto le sue poesie erotiche sono immersioni e riemersioni nel consumo della carne, indagine dentro l’umano che non si sente più parte di un tutto. Al limitar del bosco, dove la donna riesce a cantare con voce propria il tempo dell’amore di lattice.

Questa è poesia erotica che chiarisce i tempi in cui viviamo: l’essere umano con la sua distopica visione di sé, il suo collocarsi altrove rispetto al resto del mondo. Pezzi da usare. Ma dove queste immersioni non avvengono, dove i versi si dedicano alla parola eiaculata a forza come autoerotismo davanti ad un film porno, cade il palco, cade l’eros, cade ogni utilità. Banalità e cattivo gusto si sfiorano, e non mi si parli di gusto personale. Perché per carità, è lecito ci si dedichi anche al banale: basta saperlo.

Erotismo non è una questione di eiaculazioni e ditalini, per spiegarsi chiaro. Eros ha sempre la capacità di aprirci al mondo, e non ci chiude nel piccolo, angustissimo mondo delle scopate e dell’uso dei corpi. Della fermentazione dell’ego. Ciò che continua a stupirmi, nel leggere poesia erotica è la miope condiscendenza ai propri genitali: davvero la percezione è che sia tutto lì, l’eros? Che sia lì l’indicibile forza e la creatività? Davvero è così difficile comprendere che essa esiste prima di tutto nella natura di cui il nostro corpo è parte?

onto catapanoRidurre il corpo al corpo è la deriva dell’inutilità cui ci ha condotti la schiavitù antiecologica dei consumi. Per denunciare, suvvia, non basta citare. Ho tirato in ballo Eros – Thanatos per riportare il punto alla partenza. Per iniziare con un punto: Eros non è – solo – propensione sessuale, ma sensualità contrapposta a Thanatos. Così mentre Thanatos distrugge per rimettere in circolo, Eros raccoglie e spinge verso la creatività, l’istinto creativo, la spinta a generare (che sia la propria discendenza o l’opera d’arte).

Nella poesia di D. H. Lawrence l’eros si realizza pienamente, e noi siamo portati, sollevati, eccitati alla corsa, a disperderci fiduciosamente nel mondo. Vi è la gioiosa affermazione del corpo naturale, degli sfioramenti, delle penetrazioni, del mistero. La cromatica gioiosa della sessualità, la naturalità che vive nelle fibre nostre, così come in ogni pertugio di vita nel mondo.

Così, nella poesia di D. H. Lawrence, non possiamo adattare il metro stolidamente umano e solo umano, che divide e rappresenta il frammento scollegato dal resto: quello dell’amore romantico, o sensuale, o sessuale… L’erotismo contiene in sé ogni categoria, mentre ogni distinzione è insignificante in natura. Non appannaggio dell’essere umano, in quanto apice di un processo evolutivo, è l’aver scoperto il sesso separato dall’istinto vitale, il corpo separato dal tutto: sono falsi problemi, strade chiuse. D. H. Lawrence lo proferisce così bene, in questa come in altre poesie cariche di erotismo, in cui ci riporta a far parte della meravigliosa creazione della vita.

Così qui ci nutriamo di buon pane, di pane sano, ci appaghiamo perché siamo trascinati dentro la vita e dentro ciò che la regola: il movimento. Mentre ci può capitare (ci sarà capitato) di leggere e rileggere e provar afflizione, disagio. O di aver morso un pezzo di quel pane bianco alla cui farina è stato tolto il cruschello, la crusca, la pula… ha tutto lo stesso gusto. Ci sazia, ci gonfia, ci appesantisce. Andiamo a schiacciare un pisolino per digerire. Continua a leggere

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TRE POESIE EROTICHE INEDITE di Marco Onofrio “trittico del desiderio spinto”

bello immagine in bianco e nero Marco Onofrio (Roma, 11 febbraio 1971), poeta e saggista, è nato a Roma l’11 febbraio 1971. Ha pubblicato 21 volumi. Per la poesia ha pubblicato: Squarci d’eliso (Sovera, 2002), Autologia (Sovera, 2005), D’istruzioni (Sovera, 2006), Antebe. Romanzo d’amore in versi (Perrone, 2007), È giorno (EdiLet, 2007), Emporium. Poemetto di civile indignazione (EdiLet, 2008), La presenza di Giano (in collaborazione con R. Utzeri, EdiLet 2010), Disfunzioni (Edizioni della Sera, 2011), Ora è altrove (Lepisma, 2013). La sua produzione letteraria è stata oggetto di decine di presentazioni pubbliche presso librerie, caffè letterari, associazioni culturali, teatri, fiere del libro, scuole, sale istituzionali. Alle composizioni poetiche di D’istruzioni Aldo Forbice ha dedicato una puntata di Zapping (Rai Radio1) il 9 aprile 2007. Ha conseguito finora 30 riconoscimenti letterari, tra cui il Montale (1996) il Carver (2009) il Farina (2011) e il Viareggio Carnevale (2013). È intervenuto come relatore in centinaia di presentazioni di libri e conferenze pubbliche. Nel 1995 si è laureato, con lode, in Lettere moderne all’Università “La Sapienza” di Roma, discutendo una tesi sugli aspetti orfici della poesia di Dino Campana. Ha insegnato materie letterarie presso Licei e Istituti di pubblica istruzione. Ha tenuto corsi di italiano per stranieri. Ha partecipato come ospite a trasmissioni radiofoniche di carattere culturale presso Radio Rai, emittenti private e web radio. Ha scritto decine di prefazioni e pubblicato articoli e interventi critici presso varie testate, tra cui “Il Messaggero”, “Il Tempo”, “Lazio ieri e oggi”, “Studium”, “La Voce romana”, “Polimnia”, “Poeti e Poesia”, “Orlando” e “Le Città”.

Marlene Dietricht

Marlene Dietricht

*

Vieni, bella, ascolta insieme a me
il suono inesorabile del tempo:
senti come batte ad ogni tocco
la morte, dentro l’orologio?
E allora, che aspettiamo ancora
a goderci la fuggitiva ora?
Non vedi come tutto va in rovina?
Lasciati andare all’indistinto:
lì c’è la vita che t’invita
con la forza della verità.
Scorda le sciocchezze che hai imparato,
sono opera del diavolo che incensa
quelle mute sottintese convenzioni:
ci precludono la gioia sacrosanta
di essere davvero quel che siamo.
Credi a me, la vita è solo una
e ogni attimo che passa
è per sempre andato e non ritorna.
Su, non aver paura…
Io lo so che in fondo tu lo sai:
noi tendiamo allo stesso fine
mossi da un comune desiderio.
Togliti le maschere dal volto,
spezza le catene del pudore
e liberati, così come sei –
io ti prendo tutta
senza riserve
senza falsi veli.
A che serve portare le mutande
se non per farsele sfilare?
Vieni giù, rotoliamoci per terra.
Senti come odora, com’è buona!
La terra ci appartiene
fino a quando noi le apparteniamo:
mangiamone insieme
se il tempo ci concede l’occasione
prima che poi essa mangi noi
con il pane nero del silenzio.
Via, buttiamo le menzogne degli umani
che ci legano e ci stringono a morire:
arriviamo fino in fondo, giù, all’essenza
a sfiorare quello che noi siamo.
L’amore è divino e originale,
per questo si fa nudi!
Ora i nostri fuochi bruciano,
come lingue svelte e sensitive
che bramano annodarsi
in una sola.
Apri le tue porte al Paradiso!
Non smettere con gli occhi
il tuo sorriso! Amami,
amami sempre. Eccoti.
Dio, quanta carne sei…
liscia, morbida, odorosa
calda di freschezza che riposa
fresca di tepore che conforta
liquida e umorale…

 marlene dietricht

marlene dietricht

Ah, le tue tette buone profumate
con le areole corrugate a punte
come turgide prugnette color vino
che dirompono dal guscio autoreggente…
Che bello il reggiseno a balconcino!
E la linea del tuo collo da annusare
prima di leccarlo, e mordicchiarlo piano
per farlo abbrividire di passione!
E il miele del tuo magico ombelico
che sembra un succulento tortellino!
Ah, le tue cosce lucide, le caviglie
di cerbiatta e i piedi nudi:
che sublime vista!
Le tue ginocchia arrotondate,
dolci pomi sodi e gigli tosti
e la tua bocca rossa a polpa viva
che esiste per accogliere la mia!
Ah, sei diventata languida e animale
nel tuo respiro caldo e già turbato:
sei un luogo immacolato da violare,
voglio segnarti tutta del mio nome:
sono il padrone della tua saliva!
Sono entrato dentro il bosco del tuo odore
e mi son perso
nell’universo folto del mistero.
Donami la chiave del tuo mondo
schiudimi la luce del tuo giorno
il sole strepitoso del tuo sguardo
e il distillato puro
la viva quintessenza, la poesia!
Ti voglio inondare di me:
sarà l’abbraccio della pioggia con la terra
che ti ristora il cuore a nuova vita.
Senti l’oceano che mi romba dentro
gonfio di nuvole e di onde?…
Ti ricoprirò.

bello nudo in città

 

 

 

 

 

 

*

Sogno. Di godere la dolcezza
alla tua pelle, tutta quanta,
col tepore fresco della carne.
Di essere l’interno del tuo corpo.
Di aderirti dentro, intimamente
come la mano un guanto da indossare.
Di vibrare insieme alla tua luce
attraverso bocche e lingue aggrovigliate
mescolando brividi e sapori.
Di toccare la tua anima profonda
attraverso la seconda bocca tua
bagnata, offerta la cedevole natura
con la seconda lingua in immersione
che sulla punta ha un occhio esploratore
e prova grande il gusto del piacere
antico che rinnova, ma non dura.

Untitled, Undated

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Ah, miracolo di carne da godere!
Enigma di languido abbandono.
Dedalo fantastico di sensi.

Ho deciso e giuro, veramente:
oggi voglio nascere alla vita,
respirando sui tuoi pomi color luna
l’odore che tu hai meraviglioso.
Tu non sei una qualunque. Tu sei tu.
Voglio scaldarmi sul giaciglio del tuo cuore
come la belva che riposa sulla preda
conquistata e vinta, qualche attimo
prima di mangiarla. Non aver paura.
Sento come ti palpita e si muove
al centro delle cosce levigate
pronte, ora, a schiudere su me
il caldo del tuo liquido animale.
Che profumo il miele dentro la fessura
dove cuoci il pane della vita:
e il dolce companatico sei tu!

 

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TRE POESIE EROTICHE INEDITE di Antonio   Sagredo “Nodosostomìa” con un commento di Giorgio Linguaglossa

Antonio Sagredo. Dicono che sia nato nel Salento decine di anni fa… a pochi chilometri da Giulio Cesare Vanini (a cui ha dedicato un poema mirabile), da Carmelo Bene e Eugenio Barba; il primo lo frequentò con discrezione somma, e gli dedicò versi immortali. Fu frequentatore assiduo di quei teatri d’avanguardia romani e non, di cui conobbe autori e attori; recitò in due spettacoli teatrali: nei drammi lirici del poeta russo Aleksandr Blok e in uno spettacolo del poeta praghese Vitězslav Nezval, che inneggiava ai progressi della scienza della comunicazione. Sagredo studiò e visse a Praga calpestando gli acciottolati insieme ai poeti praghesi e a Keplero. I suoi primi componimenti, a 14 anni, in un vagone di terza classe (seppe tempo dopo che Pasternak e Machado viaggiavano nella stessa classe, componendo); distrusse i primi versi, i secondi e seguirono altre rovine; trovò un impiego di ripiego per nascondersi; poi raggiunse una forma inclassificabile tendente al sublime che gli permette di vivere di eredità auto-postuma. Un amico poeta spagnolo, M. Martinez Forega, lo spinse a pubblicare due piccole raccolte di poesia a Zaragoza: Tortugas (Lola edito-rial, 1992) e Poemas (Lola editorial Zaragoza, 2001); sulle riviste: Malvis (n. 1) e Turia (n. 17). Poi nulla più, fino a che da New York, la scorsa estate, gli giunge una proposta di pubblicazione con Chelsea Editions, ed esce nel 2015 una sua Antologia con testo inglese a fronte titolata semplicemente Poems. Nel 2016 dieci sue poesie sono presenti nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di troia non ricordo e, nel 2017 la raccolta Intrecci.

Foto Karel Teige_1

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Di Antonio Sagredo  è stato detto che è un poeta «inclassificabile», e in effetti nessuna definizione sembra più azzeccata, almeno se letto entro la lirica monodica della poesia italiana contemporanea; non ha precursori, vive nella sua splendida solitudine fatta di rovine e di pagliacci, di saltimbanchi e di falsi santi, di nani, di schiavi, di tiranni di cartapesta; Sagredo è un prestigiatore della parola, un giocoliere, un paria, un senza tempo e senza luogo, un ramingo; sembra non avere altra patria che quella della lingua, ma si tratta di una lingua sfregiata ed effigiata, lugubre e dionisiaca, demoniaca ed infingarda. Forse nessuna sua parola va presa sul serio, tuttavia la sua poesia è serissima, severissima involuta nel suo frac lucido e lurido, è la lingua di un demone accigliato ed iroso, ma anche ludico e imperioso che non chiede di essere verificato o riconosciuto se non nella sua alterità. In questo senso è un poeta lussurioso perché fiuta la lussuria della lingua, la sua parentela con la cloaca e l’empireo. Il riso di scherno di un dio ctonio che è stato gettato a capofitto nell’abiezione. La sua poesia (anche questa di matrice erotica)  è figlia di un giocoliere e di un prestanome, di un falsario e di un mercante, di un rigattiere e di un gallerista.   È la poesia di un cieco e di un sordo messi insieme, di un autista inerme e spregiudicato.  Inutile chiedere a Sagredo di essere un interprete della poesia altrui, di dirci la parola che mondi possa aprirci, ciò che lui ci consegna è una interiezione, uno sberleffo,  un irrispettoso cipiglio, sebbene della razza più sublime.

La poesia di Sagredo avvalora il noto assioma di Adorno secondo il quale «la poesia è magia liberata dalla necessità di essere verità». La poesia di Sagredo attinge la più alta vetta di «verità», appunto denegandone ogni residua qualità; non c’è nessuna «qualità» per Sagredo nel suo ergersi a «verità». La poesia di Sagredo è menzogna e sortilegio, alchimia e mania, fobia e follia, non c’è via di mezzo o di scampo: o la poesia c’è, o non c’è. Sono più di trenta anni che Sagredo è assediato, ossessionato dalla poesia. La sua ossessione è una malattia liberata dalla magia di essere verità.

È probabile che le istanze realistiche e mimetiche invalse nella poesia italiana degli anni Ottanta e Novanta del Novecento abbiano, come dire, urticato la sensibilità di Sagredo e lo abbiano, in modo incosciente o consapevole, condotto o ricondotto, alla sua profonda e anteriore natura espressionistica che con virulenza urgeva al di sotto della patina petrarchesca e sperimentale del tardo novecento italiano con il quale, s’è capito, il poeta ha intrattenuto un rapporto di assoluta ostilità…

(Giorgio Linguaglossa)

Foto Man Ray 1922

Man Ray, foto

 

Nodosostomìa

(Si) sono rotte le Acque – infine!
violente in quel Giorno del non Giudizio,
in quel giorno violento per altri nascimenti
che tracimarono d’aprile come fiori appestati
quando il mio sembiante risuscitò benedetto
dal piombato limbo e l’acido sangue
generò la scala corrosa di Giacobbe.
Io non conosco gli autunni dei tuoi seni,
il sentiero che il cardo – viola! – tracciò dal tuo ventre
in giù non mi fu nemico durante il doppiamento:
io conosco i tuoi segreti erogeni,
i punti cardinali di un corpo che non fu mai il tuo.
Ho solo visto nel mio sguardo l’Occhio tuo divino,
dai tuoi singhiozzi soltanto – suppliche!
non il perdono, ma l’affondo della mia stoccata
perché la cecità fosse inascoltata durante la canicola –
e la colomba che tu eri, perfetta come un’acrobazia circense,
respinse il miracolo della mia sorgente irrevocabile
affossata dal diluvio della tua falena inumidita –
il mio cervello svuotato dal canto del gallo
la notte che io non piansi il tradimento,
ma l’Occhio di Dio, il tuo, lento penetrai
e inesorabile la tua rosa oscurità mutò in rovina
l’Onnisciente:
il flauto mio compatto
nella tua bocca!

(Vermicino, 22/24 luglio 2004)

helmut newton modella che fuma

helmut newton modella che fuma

*

L’azzardo senza infingimenti
che gli dei non ci potevano donare
– perché tu restassi un isola –
fu puro oltre ogni privazione

dal centro che non aveva limiti
e che mi concedevo
o dal suo contrario
che non aveva confini
e che mi concedevo,
non si disegnava un arco
a sesto acuto, né moresco

ed ero come un oceano insensato
– perché mancante era un naufrago –
suo segno e contrassegno insieme
con quello stesso centro e il suo contrario –

confusa la mia lingua
ti donava un piacere ineguagliato

i miei occhi levitarono
Amore e Morte
e ancora in fiamme – li abbandonai!

(Vermicino, 17-23 giugno 2004-20 luglio 2004)

helmut newton foto del volto di Catherine Deneuve

helmut newton foto del volto di Catherine Deneuve

*

La Notte che non difese mai la mia Natura
è l’Occhio di Dio che questa notte
non mi hai dato
ed è cieco per tutta la durata
quel Male che per me è solo dolce,
gridando lagrime contro la mia Natura

ma io sono cieco per tutta la durata
di quel Male che solo per me è dolce

e solo per te è dura lex!

gridando lagrime contro Natura
tutte le sante che non furono puttane
l’Occhio di Dio accecarono infedeli

in quella notte che non mi hai dato
m’hai oscurato per tutta la durata
la rosa che la mia lingua inumidiva

il mio 3/1/21/21/13 per 10 anni tra le bende,
nemmeno le pietre sapranno le storielle
che, se accese, sono mute per eccesso

l’Occhio di Dio nella Notte contro Natura
è il Male che s’avventa lento con dolcezza
quando la mia lingua è caduta in prescrizione
con quella doppia tomba risorta dalla croce

Sudario, è qui il punto circoscritto
– prima della vita c’è un’altra morte –
l’eredità s’è dipinta sulle labbra un testamento:
la possanza eretica di quel cardo suicida!

(Vermicino, 20 luglio 2004)

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Antonio Coppola   DODICI POESIE EROTICHE “Specchio di malie”

antonio coppola

antonio coppola

 

Laura Antonelli nel film mamma mia come sono caduta in basso

Laura Antonelli nel film mamma mia come sono caduta in basso

Antonio Coppola è nato a Reggio Calabria vive a Roma dal 1970. Si laurea all’Università di Roma La Sapienza in Lettere Moderne, giornalista-pubblicista dal 1972, ha scritto su quotidiani Nazionali, quali: Momento sera, Avanti, Il Secolo, Giornale d’Italia, Giornale di Calabria e riviste: La fiera Letteraria, Il Veltro, Libri e riviste d’Italia, La Vallisa, Capoverso, Lettere Meridiane, Quaderni di Rassegna Sindacale e Medicina dei Lavoratori (editi dalla CGIL). Ha pubblicato Terre al bivio; Frontiera di maschere (con pref. di Saverio Vollaro) in successione: Caro Enigma, A colloquio con il padre, La memoria profonda, Da Emmaus le parole, Morte ad Halabja, Gli angeli del Bonamico, La Poesia nella Scuola (incontro con l’autore), L’ombra dei gigli infranti, Nei vivai di Dio. Di recente (a cura di Coppola) esce La luce trasgressiva e, successivamente, Voci contro nella poesia contemporanea italiana e straniera. Ha fondato ed è direttore responsabile de I fiori del male prima “foglio di poesia” poi Quaderno quadrimestrale di Poesia Cultura letteraria e Arte. Gli sono state dedicate due monografie di approfondimento alla sua opera poetica, la prima di Maria Grazia Lenisa, l’altra, più recente, da Francesco Dell’Apa. Ha scritto saggi su autori italiani e stranieri.

 

laura antonelli sul set

laura antonelli sul set

Oh amore, mia cascata
di voglie non m’impedire
che nulla avvenga:
io sono già sogno,
vento di Calabria
che si prepara alla notte.
 

 

 

 

 

Un secolo fu soltanto ieri,
poi fummo turbine
e dardo di Cupido amante;
ora qualunque omaggio
mi venisse darò un poco
di furia del mio sangue.

 

laura antonelli sul set

laura antonelli sul set

 

L’onda va tra i tuoi seni,
giunge a me il profumo
dei meli, su gli arenili
la bellezza di Eurione
languì vicino al mio corpo.

 

*

 

Mia fanciulla dai seni azzurri
scaldami e giaci sopra me,
come è intensa la vita,
in che modo il passar degli anni
attira visioni che tornano amore.

 

laura antonelli

laura antonelli

 

 

 

Brucio di te, amata amante
e ti guardo mistero su me,
fumo in me trattengo
posseduta donna, inclita.

 

*

 

Non so di te che l’impercettibile
inconscio, unica malia
gli occhi felini da preda possibile;
oh vicina o lontana amata
che muovi e sorpassi il tempo! Continua a leggere

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