Didascalia della presentazione della Antologia avvenuta alla Fiera del Libro di Milano-Rho il 20 aprile 2017: “La «nuova poesia» del nuovo secolo si muove al di fuori dei modelli e dei canoni del Novecento e si presenta come disseminazione delle forme estetiche”
Immagine rappresentativa dell’evento della Fiera del Libro di Milano-Rho
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Lettura di Donatella Bisutti
Un’antologia che si propone uno scopo ambizioso: quello di dare atto e insieme di indicare una svolta, di voltare una pagina per aprirne un’altra, nuova, come a suo tempo, nel Novecento che abbiamo alle spalle ma che ci influenza ancora pesantemente avendo posto le premesse del nostro presente, hanno fatto antologie come quella dei Novissimi (1961), di Alfredo Giuliani che all’inizio degli anni Sessanta pose le basi della Neoavanguardia, o quella di Giancarlo Majorino, Poesia e Realtà (1977), che usci alla fine degli anni 70 dando alla poesia una nuova angolazione storica e politica, o La Parola Innamorata di Giancarlo Pontiggia e De Mauro, uscita a solo anno di distanza (1978) ma che rovesciò la situazione proponendo contro la neoavanguardia una poesia nella linea simbolista lirica orfica.
Direi che dopo di allora non è più esistita un’antologia “storica” dato che non mi risulta , benché in questi anni siano uscite numerose antologie che di fatto si potrebbero definire “minimaliste”, che ci sia stata un’antologia che per esempio si sia posta come il manifesto del minimalismo. Ora io credo che questa antologia curata da Giorgio Linguaglossa appartenga a questa famiglia di antologie contrastanti nei contenuti e negli intenti ma volte a dare atto e al tempo stesso a segnalare, o anche imporre, o cercare di imporre, una poetica, una nuova visione della poesia, e soprattutto del fare poesia. Sia cioè quella che vorrei chiamare un’antologia di intenti. Linguaglossa è, come tutti sappiamo un fine critico e un critico militante attivissimo e molto seguito sulla rivista-blog L’Ombra delle Parole. Credo che questa antologia da lui curata condensi e porti a compimento – compimento provvisorio beninteso dato che ci muoviamo nel flusso del divenire e tutto può solo essere un work in progress – un suo lavoro critico che dura ormai da anni. Dopo aver redatto Il Manifesto della Nuova Poesia Metafisica nel 1995 e aver pubblicato nel 2010 il saggio critico La nuova poesia modernista italiana, in cui registra la crisi irreversibile dello sperimentalismo e si interroga sulle possibilità di un nuovo linguaggio poetico, a partire dalle contraddizioni non risolte delle poetiche lasciateci in eredità dall’ultimo Novecento.
Roberto Bertoldo Annamaria De Pietro
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Così questa antologia vuole porsi come una sorta di atto di nascita di una nuova poesia che Linguaglossa definisce ontologica e cioè che vuole avere a che fare con il senso della realtà e dell’Essere, ispirandosi alla “rivendicazione della portata ontologica dell’arte e della poesia” enunciata da Vattimo nel suo Poesia e Ontologia del 1967 e riproposto nel 1985. Di questa nuova poesia Linguaglossa, nel suo saggio introduttivo, ci dà i parametri. E quali sono questi parametri? Si tratta prima di tutto di un ‘antologia che intende spazzare via gli ormai pochi e stanchi residui dello sperimentalismo ma anche il “canone” del cosiddetto minimalismo che in questi anni ha condizionato la nostra poesia. Altrettanto dicasi per quanto riguarda la poesia lirica, confessionale, romantica, di contenuto sociale e civile. Cosa resta allora? Diciamo che, a differenza di ciò che accadeva con lo sperimentalismo, resta apparentemente intatta la struttura del linguaggio, ma in una diversa dimensione. Una dimensione in cui la metrica diventa “ametrica”, il peso della parola cambia, diventa quello di “un’entità variabile”, di “un’entità temporale” come l’ha definita Linguaglossa, la punteggiatura acquista un valore assoluto e diverso, in cui per esempio il punto si sostituisce alla virgola creando una diversa articolazione della frase, una diversa sintassi.
Diciamo che si tratta di una destrutturazione non più lessicale e sintattica ma mentale, a livello di quel processo mentale o vorrei usare di quel big bang mentale da cui ha inizio la visione, l’immagine e che dovrà successivamente trasformarsi in parola. Resta anche il soggetto, ma non più come attore quanto soprattutto come osservatore, come punto di vista, come punto prospettico e quindi in qualche modo spersonalizzato. Il discorso poetico diventa così il luogo in cui, lacanianamente, il soggetto si annulla.
Diciamo che di questa antologia intesa come manifesto di una nuova poesia che ha le sue prime radici nel postmoderno, ma vuole anche superarlo verso una poesia nuova e ulteriore, è più facile dire prima di tutto ciò che non è, facendo nostro il montaliano “ciò che non siamo ciò che non vogliamo“.
Ma se approfondiamo l’indagine, non tenendo conto solo dell’analisi critica di Linguaglossa ma anche dei testi proposti, ecco che la “consegna del testimone di ‘eredità infranta’”, per riprendere sempre le parole di Linguaglossa, fa apparire i lineamenti di una nuova poesia possibile, ancorata a quello che Roberto Bertoldo ha definito come “nullismo” di contro al nichilismo, e che vuole essere, se ben capisco , soprattutto una presa di consapevolezza della necessità di sostituire le fondamenta della nostra visione del mondo ormai crollate per via della scienza della Storia dell’economia dello svaporare di un mondo che finora si reggeva sul potere di stati nazionalisti, sulla religione e su un modello di cultura borghese basata su canoni etici e cognitivi che si pretendevano assoluti. Consapevolezza che lo svanire di tutto questo sta lasciando posto, a velocità sempre più impressionante, a una nuova concezione del mondo, a un nuovo rapporto con la conoscenza, la morale, il tempo, che ancora non ci è per niente chiaro, genera anzi uno stato di ansia e di confusione. Ma genera anche nuove forme d’arte.
Ed è sicuramente una poesia dove ha un ruolo essenziale e centrale, determinante e assoluto l’immagine e per questo ha una grande consonanza con le arti visive. Non solo la grande lezione di Tarkovskij, ma anche un film come il recentissimo di Ozpetek intitolato Rosso Istanbul, ma anche Memento di Christopher Nolan del 2000, con la sua frammentazione, la sua mancanza di certezze, il suo senso di disorientamento – o Inception, dello stesso regista, in cui la percezione diventa illusoria, o 21 grammi del regista messicano Alejandro Gonzales Inarritu che ebbe l’Oscar nel 2004 e fu girato con tecniche particolari. Contraddizioni, instabilità, frammentazione sono veicolate attraverso l’immagine piuttosto che attraverso la trama. Io credo che la nuova poesia ontologica debba qualcosa all’elaborazione di immagini virtuali.