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È una poetica del «vuoto», una poesia del «vuoto», il «vuoto» è un potentissimo detonatore che l’innesco dei «frammenti compostati» fa esplodere. L’atto kitchen ha l’aspetto di un fuoco d’artificio di superficie; si ha l’impressione che si tratti di una diabolica macchinazione della simulazione, ci induce al sospetto che sia la nostra condizione umana attigua a quella della simulazione: non sappiamo più quando recitiamo o siamo, Poetry kitchen di Marie Laure Colasson, Mauro Pierno, Giorgio Linguaglossa, Commenti di Lucio Mayoor Tosi, Paul Klee il movimento parallattico della visione

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Paul Klee – Il punto di vista ha perduto rigidità, è diventato anomalo, abnorme, subisce uno scarto e con esso l’oggetto; ovvero, il punto di vista resta fisso, e a spostarsi è l’oggetto. L’anomalia consiste nell’accentuare una visione dell’oggetto a scapito di altre. Per la prima volta nel novecento con la poetry kitchen il movimento degli oggetti e dei soggetti diventa parallattico.
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Marie Laure Colasson
da Nuove Poesie

La blanche geisha cueille un trèfle à quatre feuilles
pour effacer les mirages d’un étang marzien

“Donne le moi!” dit Eredia
“pour prononcer les paroles du silence”

Madame Green intercepte l’ardue conversation
et dans un raptus d’acier hurle
“Vous n’avez rien compris!”

“Ses cris sont pires qu’une bouilloire
qui se trémousse en vacances!”

“Tu as raison un véritable court-circuit
un véritable drone kamikaze
une véritable illusion de la gravité”

Madame Green fume sa cigarette électronique
ses yeux à inventaire
tirent une flèche vers le soleil

Un lion à losanges pourpres
meurt de faim de soif dans sa cage

Les jeux sont faits
rien ne va plus

*

La bianca geisha coglie un quadrifoglio
per cancellare i miraggi di uno stagno marziano

“Dammelo!” dice Eredia
“per pronunciare le parole del silenzio!”

Madame Green intercetta l’ardua conversazione
e in un raptus d’acciaio urla
“Voi non avete capito niente!”

“Le sue strida sono peggio d’un bollitore
che traballa in vacanza”

“Hai ragione un veritiero corto circuito
un veritiero drone kamikaze
una veritiera illusione della gravità”

Madame Green fuma la sigaretta elettronica
gli occhi a inventario
tirano una freccia verso il sole

Un leone a losanghe color porpora
muore di fame di sete nella gabbia

Les jeux sont faits
rien ne va plus

Giorgio Linguaglossa

Christoph Türcke ha di recente introdotto un paradigma interpretativo, che ben si lega alle considerazioni fin qui svolte, il sociologo oppone al paradigma formulato da GuyDebord nel 1967, vale a dire quello della «società dello spettacolo», il nuovo paradigma di una «società eccitata», paradigma poi radicalizzato da Baudrillard nella nozione di «società della simulazione e dei simulacri». La società eccitata va a rimorchio del «sensazionale», vive di «traumi», di shock e di «oblio» che si alternano ripristinando sempre di nuovo il meccanismo della rimozione e dell’oblio. Il mondo del tardo capitalismo macchinizzato ha ormai fagocitato la società dello spettacolo e della simulazione, oggi siamo dinanzi ad una società perennemente «eccitata» dai fantasmi e dai traumi della comunicazione. Ciò che conta, ciò che vale di più, ciò che valutiamo positivamente negli altri e ciò che noi stessi cerchiamo di realizzare, è il produrre sensazioni, shock percettivi, comunicazionali, input. Si tratta di un mondo di sensazioni, di istanti, di affetti momentanei consentanei al nostro modo di vita che richiede continue sollecitazioni, continui zoom e continui scarti, un universo di notizie che si accavalla e implode su se stesso. Il sensazionale non produce esperienze, quanto simulacri di esperienze ed oblio.

Heidegger nel 1924 scrisse: «Quando ci sentiamo spaesati, iniziamo a parlare». Ecco, io penso che la poiesis accada quando ci sentiamo spaesati, quando non riconosciamo più le cose e le parole che ci stanno intorno. In quel frangente, le parole e le cose ci diventano riconoscibili, ed è proprio in quel momento possiamo iniziare a parlare.

È molto importante trovare il luogo nella linguisticità, e questo lo possono fare soltanto i poeti. Marie Laure Colasson ha trovato il suo luogo esclusivo nella linguisticità in una «poesia lunare», dove la forza di gravità è appena un decimo di quella terrestre, dove le parole e i suoi fantasmi sono così leggeri come il volo di una farfalla o di una libellula. È la leggerezza il fascino segreto della sua poesia che oppone allo shock e ai traumi della società della comunicazione l’agilità e la leggerezza delle zampe di una gru o di un cerbiatto. Non per niente la Colasson scrive nella lingua di Apollinaire, di Max Jacob, di Pierre Reverdy, di Anatole France e di Paul Claudel.

Mauro Pierno
Compostaggio

Dalla trincea del Meno si spara contro un eroico Più. (F.P. Intini)

Stasera passeggiava con il padre di Amleto torcia in mano e passo incerto. (M. Pierno)

L’illusione di un attore che non fugge da nessuno
e da nessuna cosa è il destino del numero infinito (A. Sagredo)

Che dire?, in questa jouissance c’è spazio per le anime nobili, per le parole assennate, per le anime belle.(G. Linguaglossa)

Poi ciascuno è libero di inventare una propria strategia di pescaggio degli escrementi.(M.L. Colasson)

Voglio dire, alla domanda “Cosa ti dà pena?” (Lucio M. Tosy)

o almeno tentare di farlo senza ipocrisia e postura di struzzo. (F.P. Intini)

i missili russi muniti di testate nucleari per attingere e annichilire Parigi, Berlino, Londra, Torino etc.

La morte è un congedo illimitato siglato dal Signor Dio (Gino Rago)

quanto accade normalmente nella poetry kitchen della pagina odierna (Marie laure Colasson)

Telegiornali, cose incredibili. Peggio che morire.
Telegiornali, cose incredibili. Peggio che morire.
(Lucio Tosi)

Tre frammenti di uguale misura, da ripetere con attenzione e intenzione. (Lucio Tosi)

Siamo entrati in un mondo parallattico (Slavoj Zizek)

*Merda d’artista (Manzoni)

Le tendine sporche alle pareti lasciavano trasparire un mesto umidore.(Linguaglossa)

Ameremo forse meno, per questo, “Anna Karenina” o “I fratelli Karamazov” (Tiliacos)

…tolgo gli orpelli…

Mauro Pierno

Dalla trincea del Meno si spara contro un eroico Più.
Stasera passeggiava con il padre di Amleto torcia in mano e passo incerto.
L’illusione di un attore che non fugge da nessuno
e da nessuna cosa è il destino del numero infinito.
Che dire?, in questa jouissance c’è spazio per le anime nobili, per le parole assennate, per le anime belle.
Poi ciascuno è libero di inventare una propria strategia di pescaggio degli escrementi.
Voglio dire, alla domanda “Cosa ti dà pena?”
O almeno tentare di farlo senza ipocrisia e postura di struzzo.
I missili russi muniti di testate nucleari per attingere e annichilire Parigi, Berlino, Londra, Torino etc.
La morte è un congedo illimitato siglato dal Signor Dio
quanto accade normalmente nella poetry kitchen della pagina odierna
Telegiornali, cose incredibili. Peggio che morire.
Telegiornali, cose incredibili. Peggio che morire.
Tre frammenti di uguale misura, da ripetere con attenzione e intenzione.
Siamo entrati in un mondo parallattico
*Merda d’artista
Le tendine sporche alle pareti lasciavano trasparire un mesto umidore.
Ameremo forse meno, per questo, “Anna Karenina” o “I fratelli Karamazov”

Giorgio Linguaglossa

Sul «compostaggio di frammenti» di Mauro Pierno

Quando Salman Rushdie inizia a scrivere il suo primo romanzo, Midnight’s children nel 1981, aveva già raccolto una sterminata miriade di «frammenti» dei cartelloni pubblicitari affissi in India negli anni Cinquanta, e il romanzo fu una ricostruzione minuziosa della storia indiana a partire da quei frammenti raccolti. Così anche il celebre romanzo di Orhan Pamuk, Museo dell’innocenza, ha nel suo centro il racconto della raccolta di una sterminata miriade di «frammenti», di biglietti dell’autobus, di spille, di oggetti femminili che erano appartenuti alla amatissima Fusun da parte del protagonista, poi morta in un incidente stradale. Il protagonista ricostruisce il passato a partire da quei frammenti. O meglio: crede, si illude di ricostruire il passato, ma il passato è passato e il più grande amore della sua vita, la bellissima Fusun è morta. L’unico modo per farla rivivere è, appunto, la raccolta dei frammenti, anche insignificanti di cose che avevano avuto un rapporto con la sua amata Fusun.
Il «frammento», dunque, è una cosa ben strana, la postmodernità lo ha scoperto da molti decenni; Derrida, Levinas, Barthes, Lyotard, Baudrillard e altri pensatori hanno investigato le straordinarie facoltà di questo «talismano magico»; la poesia, il romanzo, la pittura, la scultura, il cinema, ma anche la pubblicità ne fanno larghissimo uso da molti decenni, soltanto la poesia italiana non se ne è accorta, che continua a fare poesia scolastica, di accademia.

L’atto kitchen di Pierno è un atto rivoluzionario, utilizza il frammento come un «effetto di superficie», un «talismano magico», come immagini di caleidoscopio, come «cartellonistica»; impiega il «frammento», il polittico e il compostaggio di frammenti come principio guida della composizione poetica; ma non solo, l’atto kitchen è anche un perlustratore e un mistificatore dell’Enigma superficiario contenuto nei «frammenti», ciascuno dei quali è portatore di un «mondo», ma solo come effetto di superficie, come specchio riflettente, surrogato di ciò che non è più presente, simulacro di un oggetto che non c’è, rivelandoci la condizione umana di vuoto permanente della soggettività proprio della civiltà cibernetica-tecnologica.

È una poetica del «vuoto», una poesia del «vuoto». E il «vuoto» è un potentissimo detonatore che l’innesco dei «frammenti compostati» fa esplodere. L’atto kitchen ha l’aspetto di un fuoco d’artificio di superficie; si ha l’impressione che si tratti di una diabolica macchinazione della simulazione, ci induce al sospetto che sia la nostra condizione umana attigua a quella della simulazione: non sappiamo più quando recitiamo o siamo, non riusciamo più a distinguere la maschera dalla «vera» faccia. La poesia diventa un algebrico gioco di simulacri e di simulazioni, una agopuntura, una scherma, citazioni, reperti fossili, lacerti del contemporaneo, reperti dell’Antropocene. È una poesia che ci rivela più cose circa la nostra contemporaneità, circa la nostra dis-autenticità di quante ne possa contenere la vetrina del telemarket globale, ed è simile al telemarket, una danza apotropaica di scheletri viventi…

Lucio Mayoor Tosi

La parola che da inizio duemila apre le danze è “interattività”. Grazie all’interattività chiunque può “produrre sensazioni, shock percettivi, comunicazionali, input”. Performance, installazioni, arte concettuale, ecc. mirano al coinvolgimento dell’osservatore, che si suppone o lo si vorrebbe partecipativo; o assente, nei grandi numeri, se il parametro è meramente commerciale. Nella poesia kitchen la partecipazione attiva del lettore è fondamentale, troppe le parti mancanti del discorso (del discorso lineare). Tutto sta a capire se il linguaggio di risulta corrisponde o intercetta nelle modalità il farsi del pensiero odierno; il quale non sempre è rintracciabile nelle forme preferite dalle élite letterarie ma, al contrario, è rinvenibile nelle titolazioni di libri, giornali, notiziari e pubblicità. Mia sensazione è che il linguaggio comune, condiviso, abbia abbandonato l’uso di locuzioni appropriate ma si preferisca il modo di dire; il quale si aggiorna in ogni momento perché capace di integrare terminologie di linguaggio internazionale; purché sempre nella forma dei “modo di dire”. Parte della produzione kitchen sembra volta a creare inediti modi di dire.

La poesia di Marie Laure Colasson è all’insegna della leggerezza, è vero e lo si capisce sempre, fin dal primo verso. Eredia e Bianca geisha inaugurano la forma “sequel” (come già il Signor K e Cogito nelle poesie di Linguaglossa). Va però considerato che la forma distico tende ad irreggimentare il discorso, il che non giova alla leggerezza; tant’è che Marie Laure si trova a non poter uscire dalla forma soggetto verbo predicato. C’è anche la questione del bilinguismo. Ma certo è un passo avanti rispetto all’esistenzialismo, di cui si avvertono le tracce.

Giorgio Linguaglossa

Ho letto su ‘Il Giornale’ che Putin durante i suoi viaggi all’estero negli anni scorsi era accompagnato da un segugio del FSB il quale aveva il compito di raccogliere le sue risultanze fisiologiche in una borsetta per trasferire poi il conglomerato in una valigia e riportarla in Russia, questo per timore di lasciare in giro gli escrementi dello Czar che avrebbero potuto essere intercettati dai servizi segreti occidentali per appurare lo stato di salute dello Czar.
Straordinario, no? Chiediamoci: dove sta il significato?

Lucio Mayoor Tosi

Davvero straordinario. Pensare che qui da noi le Scatolette di merda di Manzoni (*Merda d’artista) vengono ancora riprodotte e vendute sul mercato.

Giorgio Linguaglossa

caro Lucio,

c’è più verità negli escrementi che nell’Empireo, anzi, l’empireo è fatto di escrementi, lo sanno bene tutti i dittatori i quali commerciano con gli escrementi e lo sanno bene anche gli schiavi i quali hanno da sempre le mani in pasta negli escrementi.
Ecco una mia poesia sull’argomento (g.l.):

Distretto n. 15

«Ecco gli appuntamenti che mi procurano benessere: Hotwitzer da 155 mm. Tank Terminator, Machine gun, Rocket launcher e fragole al polonio, di tutto di più».

Il Presidente del Globo Terrestre stava massaggiando un sorbetto al limone quando mi rivolse queste parole nella hall dell’Excelsior a Venezia:

«Dov’è la verità? Portate qui la verità!»
«Senza indugio!»,
urlò il Presidente completamente fuori di sesto.

Il cappotto di Astrachan pendeva dall’appendiabiti.
Il filamento elettrico in tungsteno della lampadina tossì e si frantumò.

«La verità è negli escrementi!», replicò Cogito mentre metteva sul fuoco la macchinetta del caffè e masticava una brioche.
«Tutta l’infelicità degli uomini proviene dal non saper starsene tranquilli in una stanza»,
aggiunse il filosofo

Le tendine sporche alle pareti lasciavano trasparire un mesto umidore.

Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle). Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italiano/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2014 fonda la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue nella ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.

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Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York.  Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.

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Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. È in corso di stampa la sua prima raccolta di poesia, Les choses de la vie

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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.

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Antonio Sacco, Lo haiku nei poeti occidentali, Federico Garcia Lorca, Pound, Allen Ginsberg, Paul Eluard, Pierre-Albert Birot, Paul Claudel, Andrea Zanzotto, Jorge Luis Borges, Tomas Tranströmer, Jorge Luis Borges, Mario Chini,  Edoardo Sanguineti, Rilke, Octavio Paz

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Prendiamo qui in esame il rapporto fra lo haiku e i grandi poeti occidentali del XX secolo, più in particolare questo breve scritto vuole essere un excursus storico – poetico che mira a focalizzare l’attenzione sulle modalità con cui i grandi poeti occidentali sono entrati in contatto con questo genere letterario e, inoltre, desidererei porre enfasi come, essi stessi, si siano cimentati in questo genere citandone alcuni esempi.
Le prime traduzioni di haiku in Occidente furono pubblicate agli inizi dell’900 in Francia e in Inghilterra, esse esercitarono un influsso sugli imagisti anglo-americani a cui si legò Ezra Pound (1885-1972). Pound fu tra i primi ad avvicinarsi allo stile haikai e fu un grande studioso del giapponese, sostenne, fra l’altro, che:

“L’immagine è di per sé il discorso. L’immagine è la parola al di là del linguaggio formulato”.
E questo è importante perché, come sappiamo, lo haiku ci propone delle immagini suggerendo al lettore più che dire esplicitamente. Pound stesso, nel 1913, pubblicò una breve poesia simile agli haiku molto famosa, In a Station of the Metro:

The apparition of these faces in the crowd;
Petals on a wet, black bough.
*
L’apparire di questi volti nella folla,
petali su un umido, nero ramo.

Come possiamo notare abbiamo, nel componimento testé citato, una poesia di due versi, quattordici parole totali e nessun verbo che descrivono un momento nella stazione della metropolitana.

*
Alba

As cool as the pale wet leaves
of lily-of-the-valley
She lay beside me in the dawn.

Alba

Fresca come le pallide umide foglie
dei mughetti
Giaceva accanto a me nell’alba.

(tratta dalla raccolta Lustra, 1916)

Oltralpe è al poeta Paul-Louis Couchoud che si deve la nascita del movimento dello haikai francese: nel 1905 egli pubblica l’opuscolo anonimo Au fil de l’eau a cui fa seguito, un anno dopo, Epigrammes lyriques du Japon. Lo stesso Couchoud si cimentò nella scrittura di componimenti haiku pubblicando i propri scritti sull’Esagono, egli si convinse che le caratteristiche dello haiku quali la brevità, il potere suggestivo evocato, l’emozione lirica immediata, la rarefazione dei legami logici e, soprattutto, l’assenza di spiegazione potessero rappresentare un’importante innovazione per tutta la poesia francese. Seguendo questa linea tracciata da Couchoud nel 1920 Jean Paulhan dà alle stampe un’antologia di haiku sulla rivista «Nouvelle Revue Française»: il suo scopo è di render noto e far attecchire in Francia questo genere poetico al fine di rinnovare e dare nuova linfa vitale alla produzione lirica francese. Questa antologia conobbe un buon successo negli anni Venti e nei decenni successivi dovuta anche alla presenza di autori come Paulhan, Paul Eluard e Pierre-Albert Birot, tanto che si può dire che con esso lo haiku viene legittimato oltralpe. Paul Eluard (1895-1952) in particolare fa suo lo stile dello haiku riproponendo a più volte, in raccolte successive, gli undici haiku pubblicati nella Nouvelle Revue Française: questo a significare quanto lo colpì questa forma poetica che fa del linguaggio rarefatto e spoglio, privo di orpelli la sua peculiare caratteristica.

Le coeur à ce qu’elle chante
elle fait fondre la neige
la nourrice des oiseaux

Cantando con il cuore
fa sciogliere la neve
la nutrice degli uccelli

(P. Eluard)

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Cent Phrases pour éventails (“Cento frasi per ventaglio”, 1927) è la raccolta di Paul Claudel (1868-1955), un altro grande nome della poesia francese del Novecento, di componimenti in stile haiku. Il movimento haikai francese suscita l’interesse anche di Paul Valéry, che non si cimenta con questa forma poetica ma che nel 1924 cura la prefazione a una raccolta di haiku tradotti in francese di Kikou Yamata.
Lo stesso Paul-Louis Couchoud diventa il tramite attraverso il quale anche Rainer Maria Rilke, che visita e soggiorna a Parigi più volte, entra in contatto con il fermento artistico e letterario in Francia, anche Rilke in tal modo si avvicina al genere haiku. Il poeta dei Sonetti a Orfeo, soprattutto nell’ultima sua produzione, mira ad una progressiva riduzione dell’Io, ad un distacco dell’Io poetante dalla realtà rappresentata, è molto colpito dal modo di comporre dello haijin. Ebbene anche Rilke sperimenta, cimentandosi, componimenti in stile haikai scrivendone ben ventinove:

Tra i suoi venti trucchi
cerca una boccetta piena:
è diventata pietra

(R.M. Rilke) Continua a leggere

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