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A PROPOSITO DEL NICHILISMO E PESSIMISMO  – GIACOMO LEOPARDI, ARTHUR SCHOPENHAUER, FRIEDRICH NIETZSCHE, OTOKAR BŘEZINA – a cura di Antonio Sagredo

pittura Herbert List

Herbert List

Il poeta e filosofo ceco-moravo Otokar Březina (1868-1929) è il poeta che più d’ogni altro, tiene legati i secoli ‘800 e ‘900 in maniera indissolubile… domina le tensioni nichilistiche di entrambi i secoli conoscendo a menadito i poeti  – più sotto citati – che lo hanno preceduto  (che formano l’ossatura portante di tutto l’Occidente, ma Březina conosce profondamente anche la filosofia orientale)

[dalla mia tesi su Otokar Březina del 1974-75]

“Otokar Březina terrà sempre presente il simbolismo erotico che sostiene tutte  religioni, in primis quelle le orientali: nell’amata perdere la propria individualità, il che equivale al raggiungimento del Sé reale supremo: i mezzi sono rappresentati coi simboli; non estraneo alla sua voluttà mistica è l’influsso del poeta persiano Hâfiz, che aveva già coinvolto Goethe. Voluttà mistica è conoscenza del corpo proprio e dell’amata. Si pone contro l’ignoranza che impedisce di conoscere il corpo; ma la conoscenza una volta assolto il suo compito impedisce, proprio perché conoscenza eguale ad esperienza, di ascendere al regno celeste, al Divino.

Forse per questo si ha nostalgia della conoscenza. Il problema della gravità/gravezza terrestre, dell’essere attaccati alla dea-terra-madre morbosamente, ammaliatrice che ci trattiene oltre il dovuto – poi che prima della morte vogliamo l’ascesi suprema – è uno dei problemi principi del poeta. E l’enigma della caduta (se siamo poeti, perché siamo scherniti come l’albatro di Baudelaire?… o siamo angeli caduti a cui è negata in eterno la luce!) è altro problema di Březina: come risolverlo? Ma tanti, tantissimi sono i temi che ci propone il poeta: tantissimo ha letto e riletto – tanta conoscenza dilata i temi rendendoli più abissali! Sa di essere anche filosofo,  ma, come poeta, non si fida poi tanto della ragione. Credo che il sogno(in lui naturale o in qualche modo costretto ad esistere/essere a causa della sua personale vita privata) è il regno dove meglio poteva realizzarsi, quindi una sorta di corazza sono l’illusione e l’inganno.

Il sogno è il riscatto dell’uomo, unica arma contro il Fato o il Destino avversi entrambi al Divino… ma sarà poi vero? Il Sogno-Inganno-Illusione ha vinto il Pensiero [punto di separazione tra Leopardi e anche di Březina, da Schopenhauer], e soltanto così mi spiego perché la poesia, con l’ausilio della filologia usi la filosofia come decollo (come in Leopardi; e Březina qui gli è molto vicino!), come unità di direzione, come mezzo per un’ascesi finale, per una Nemesi!, soltanto attraverso una volontà poetica del poeta opposta alla volontà filosofica, e non certo alla no(n-vo)lontà.

arthur schopenhauer

Arthur Scopenhauer

Comunque, dalle filosofie e dalle religioni orientali come dalla civiltà greca [di cui sia Březina che Leopardi ne accettano la rassegnazione classica, dunque lo “sguardo calmo e dolce”(e qui l’italiano si ferma)]. Ma Březina vedrà una luce nella Natura, non più matrigna portatrice del Male, dunque spinta o stimolo a voler avere fede nella vita, quando invece la Ragione vi si oppone perché l’uomo sia soltanto una creatura infelice. Insomma, con Socrate e Platone, Březina ha cari temi come l’immortalità dell’anima e il mondo delle idee, la metempsicosi e la reincarnazione a quella legati: inganni forse, ma comunque realtà che vivono con/nell’uomo. E c’è il problema dell’Uno in Tutto e del Tutto in Uno; il molteplice e la pluralità e la unità (più come com/unione) sono i contrappunti costanti della sua tensione e ricerca.

Così i valori, dell’assoluto e dell’unico e della totalità: problemi affrontati, già da tutte le culture d’oriente fino al neoplatonismo e, tempo dopo(specie con Plotino, che Březina citerà più volte)diverranno l’oggetto del più sfrenato romanticismo, a cominciare da Goethe e da Schiller, per concludere con Hölderlin, con cui Březina s’intende talvolta a meraviglia, ma ancor di più col suo, forse, diletto Novalis */(1).

Con quest’ultimo Březina intrattiene [al termine di una polemica/lotta interiore con se stesso lo preferirà a Nietzsche, nonostante   sia stato s/travolto da Dioniso (1), scegliendo allora “non il superuomo di Nietzsche, ma il magico titano di Novalis, genio e santo”(2)] uno speciale dialogo: stesso amore per il Medio Evo, dove i culti della notte e della morte, [comuni anche a  Mácha (3)], e della religiosità – realizzati simbolicamente con funzione organizzativa  d’ogni cosa esistente – avranno in comune l’Amore Cosmico per le costellazioni [le sfere celesti!]: entrambi poeti cosmici essenzialmente.

Otokar Brezina e Antonio Sagredo, Praga, anni Settanta

Ma il culto della Notte e della Morte è atavico primordiale mito[per gli spiriti vicini a Březina diviene simbolo come in quei popoli arcaici che precedettero le più raffinate dinastie egiziane coi loro poemi (4) o addirittura dei tibetani nel loro Libro dei Morti. Ma se di simbologia non si finisce mai di parlare, significa forse che è nato prima il simbolo dell’uomo!? Azzardato affermare che il simbolo abbia creato l’uomo? E qualcosa di più di un atavismo ancestrale? Non lo sapremo mai. In Březina c’è il simbolismo del viaggio (è un topos di fondamentale importanza che assume caratteristiche singolari in tutta la intera cultura boema) – prima  e dopo Mácha è una ossessione devastante – e la parola errare in lui si trasforma/trasmuta in ricordo romantico con sfumature byroniane. Březina, nella poesia Moje matka (Mia madre), detta:

Pellegrinava per la vita mia madre, come una triste penitente.

Il simbolismo del viaggio (il pellegrino, il viandante e vari sinonimi) è motivo primario di ogni religione, scienza, filosofia, poesia…  a cominciare da quelle orientali “la dottrina delle vestigia pedis è comune agli insegnamenti greci, cristiani, indù, buddisti e islamici”.

“I lamenti disperati di tutti i pessimisti e di tutti i nichilisti di tutte le epoche si somigliano; saranno state differenti le loro domande, ma la risposta è unica: non c’è risposta! Forse per questo che ancora esiste, per una sorta di inerzia parassita della mente umana, il gusto o il vizio della stessa domanda. Dalla parte opposta i lamenti degli speranzosi e dei credenti al mio orecchio risultano insopportabili! Un fatto è che: i lamenti filologici (filosofo/poeta) di Nietzsche e quelli poetici (poeta/filosofo) di Březina furono gli ultimi ad essere contemporanei… e chiusero un secolo… per aprirsi ad un nuovo, che si desiderava fosse più positivo e più ottimista, (dopo lo sterminio degli indiani americani e anche degli scozzesi) invece iniziò col primo sterminio etnico, degli armeni, riconosciuto dei tempi “moderni”, a cui seguì la prima carneficina moderna, e vent’anni più tardi uno sterminio mondiale “moderno” mai visto prima.

pittura Not Vidal Snowballs

Not Vidal Snowballs

Modernità non significa, sempre, progresso. E il secolo successivo a questo, come comincerà? Sarà ancora più dolce la vita?! Si, quanto più la disperazione diverrà sempre più terrificante! Poiché lo scontro occidente contro oriente o viceversa, già adombrato dal poeta russo A. Blok, io lo sottoscrivo; l’ottimismo breziniano è una beffa!    La rinuncia di Březina:

  1. a) la constatazione pessimistica che l’uomo oltre ad essere mediocre e insipido, è anche stupido. [“Mi allontano sistematicamente dalla società umana ed ho momenti di fastidio e di tristezza solo quando ritorno da essa”- lettera del 13 settembre 1892 a Bauer].
  2. b) la constatazione ottimistica che l’uomo è una creatura polifonica [all’inizio degli anni ’20 (27 dicembre 1922), nonostante la carneficina della prima guerra mondiale]. Il suo SILENZIO datato proprio all’inizio del ‘900 è il silenzio della PAROLA SCRITTA; non certo della PAROLA PARLATA, che è prerogativa (alla maniera) dei saggi orientali: Březina non farà altro che parlare e parlare, quando decide che è necessario non essere riservato; l’essere riservato, al contrario, è l’aspetto fondamentale del suo carattere. [Ma la parola orale (parlata) è prerogativa, anche, dei grandi carnefici: i dittatori. A chi appartiene la parola che uccide: ai saggi indiani? ai poeti? ai dittatori?]. Comunque, questo problema della rinuncia (punto a) il critico Pavel Fraenkl lo affronterà in modo particolare e specifico(1). Da questa rinuncia nasce l’”aristocraticismo artistico” di Březina ed insieme una sua dolce disperazione decadente.

Il passaggio da una solitudine sociale (“samota společenská”) ad  una solitudine artistica (“samota umělecká”) è contraddistinto dal fatto che “nello spirito decadente Březina sente la voluttà – e in ciò è un fedele dotto scolaro di Schopenhauer”(3). È ovvio che Baudelaire è dietro l’angolo! Ma nel poeta è presente tutta una fisiologia della voluttà[già detto, secondo il “satanista” Karásek ze Lvovic, come questa speciale voluttà è il fondamento erotico di alcuni mistici spagnoli ben noti a Březina], che è evidentissima, posso dire, in ogni poesia, poiché la voluttà usa travestirsi sotto innumerevoli e colorati vestimenti e maschere. Egli, ha si, attuato delle personali rinunce, ma il prezzo che paga è una malinconia disperante minata da desideri irrefrenabili… è dunque il poeta un Dionisio devastato dalla propria impotenza, impotenza anche di gridare! Sempre presente è il simbolo del suo dolore espresso in varie forme e svariatissimi oggetti. Per quale motivo Březina ha attaccato la Natura? Perché: “venendogli a mancare gli oggetti del desiderio, quando questo è tolto via  da troppo facile appagamento, tremendo vuoto e noia l’opprimono: cioè la sua natura e il suo essere medesimo gli diventano intollerabile peso. La sua vita oscilla quindi come pendolo di qua e di là, tra il dolore e la noia, che sono in realtà i suoi veri elementi costitutivi”.

Pittura Not Vidal Moon 1995

Not Vidal Moon 1995

da una mia nota:

* [notate questa singolarità: “dolce” in questi quattro autori:

  1. Nietzsche:

“Solo una vita piena di sofferenze e privazioni ci può insegnare come l’esistenza sia tutta intrisa di dolce miele…”; “Gli infelici raffinati, come Leopardi [e io aggiungo: Březina]… la loro inclinazione a pensare tutto quanto soffrono, la loro arte nel dirlo: tutto questo non è di nuovo – dolce miele?”; in Nachgelassene Fragmente. Frůhling 1878-November 1879; IV 3, 433. [Esempi: il celebre refrain di Březina: “dolce è la vita”; e quello di Leopardi:“m’è dolce naufragar in questo mare”]. E Franz Kafka: ”Ho detto di sì a tutto. Così il dolore diventa un incantesimo e la morte… la morte non è che una parte della dolcezza della vita” (Janouch, Gustav: Colloqui con Kafka, a cura di E.Pocar, Milano 1964).”.

In Březina è anche presente il sentimento/sensazione di PANICO cosmico che sconvolse Pascal, (e Leopardi)

e quell’HORROR VACUI di cui sono malati cronici i poeti: [“Morire in vita e vivere nella morte spirituale, ecco la sola cosa che provoca in me orrore”; lettera del 30 aprile 1890, a Bauer].

Ma il vuoto dell’orrore non è forse più terribile?

È indubitabile che il timore/terrore per lo spazio immenso: il vuoto che si suppone infinito, dell’infinito senza finitezza spaventi Březina [Leopardi per superare questo timore è costretto a fingere un/l’infinito “…e nel pensiero mi fingo…”], e che anche per questo motivo sia monista/monoteista/sintetista ecc. Il fine è ricondurre il Tutto all’Unico, ad un rinnovato Dio cristiano, infine all’Universo cristiano: supremo principio di tutte le cose esistenti e inesistenti. Per questo poi rifiuterà il Buddismo e di conseguenza il pensiero di Solov’ëv sul buddismo, affermando che “solo il cattolicesimo è verità” [secondo la testimonianza di Deml; op. cit. pag. 131]. Insomma il Buddismo, per il poeta, è incapace di riunire il Tutto sotto l’egida del fraterno universalismo.

 In definitiva se aver fede significa puro mezzo per scacciare il timor panico, la fede in un dio è ben poca cosa! É più seria la fede nella finzione di Leopardi, che non è mezzo per aggirare il Nulla; ma con la finzione rende ancor più disperante l’horror vacui! Lo sforzo di Březina è questo: che il Nulla mai diventi Dio, e viceversa: non vuole essere un epigono di Schopenhauer! Verrà il momento che rifiuterà la sua saggezza 

Březina ha il coraggio di fare poesia anche con parole improprie, estranee al misticismo classico-trascendentale; la parola, apparentemente, grezza e rozza operaia s’insinua tra sogni e giardini, mondi estatici; forse non proprio secondo l’idea socialisticheggiante e “urbanistica” del poeta belga Verhaeren (autore che stimava), che fu acclamato dai cubofuturisti russi e dal futurismo europeo, ma non italiano.

1] La “mistica ebbrezza” della Nacht ha vinto definitivamente il superuomo di Nietzsche, ma cederà il posto alla dolce e pacata rassegnazione greca, avvicinando sempre più Březina a Leopardi: superarono ambedue un nichilismo e un pessimismo che (/li/) divoravano le loro illusioni-realtà e con ciò superarono, attraverso due direzioni differenti ma speranzose, Schopenhauer e Nietzsche. Leopardi si riconcilia in qualche modo con la Natura riconoscendole una certa “eterna saggezza e bontà (Zibaldone, 66)… e addirittura una zona della nostra esistenza affine al divino” (in: W.F. Otto, Leopardi und Nietzsche, op. cit.) – Březina invece trasforma le sue illusioni pervase da un pessimismo romantico-decadente-simbolista in una religiosità ottimistica cristiana universale: corale fraterno che canta l’armonia delle sfere assieme all’intera umanità: non è questa una sorta di classica serenità greca? Serenità, che era garantita pure dagli dei pagani. É questa serenità che tradisce la tragedia greca! O è il contrario?!].

Antonio Sagredo Letizia Leone sorridono 2

Antonio Sagredo con Letizia Leone, Roma, presentazione di Capricci, 2017

Antonio Sagredo (pseudonimo Alberto Di Paola), è nato a Brindisi nel novembre del 1945; vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove  risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile.

Come articoli o saggi in La Zagaglia:  Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta):  Leone Tolstoj – le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A.   Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).

Ho curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema :Tumuli di  Josef Kostohryz , pubblicato in «L’ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi:  Edison (in L’ozio,…., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L’ozio», 1988) di Vitězlav Nezval;  (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).

Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudčenkova, di Zbyněk Hejda, Ladislav Novák, di Jiří Kolař, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar Březina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo),  trad. A. Di Paola e K. Zoufalová. È uscito nel 2015, per Chelsea Editions di New York, Poems Selected poems. Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016)

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CINQUE POESIE di Otokar Březina (1868-1929)  traduzione di Antonio Sagredo (A. D. P-) e Kateřina Zoufalová

Museo del poeta

Museo del poeta

 Otokar Březina 2Otokar Březina poeta ceco (1868-1929) – A.M. Ripellino definisce Jakub Deml “un antenato del surrealismo ceco”, in Storia della poesia ceca contemporanea, Le Edizioni d’Argo, Roma, 1950, p. 40. Grandi slavisti si sono occupati del poeta Otokar Březina, come Ettore Lo Gatto (il suo saggio Un poeta ceco moderno è del 1931); poi Luigi Salvini, Renato Poggioli, Bruno Meriggi hanno tradotto alcune poesie. Recentemente il giovane Ernesto Evangelista (La funzione semantica del verso libero nella poesia di Otokar Březina). Segnalo i lavori importanti sul poeta del boemista Petr Holman; e l’aiuto ricevuto dal poeta cattolico Josef Kostohryz, nei primissimi anni ’70.

Otokar Březina biblioteca

Otokar Březina biblioteca

Otokar Březina nasce il 13 settembre 1868, a Počátky, piccola città “nella regione di  Tábor, sulle alture ceche-morave, ai confini con la Moravia, Václav Ignác Jebav,; “più tardi, il grande poeta della vita e della morte e del silenzio, è conosciuto sotto lo pseudonimo di Otokar Březina”.    La sua è una famiglia umile, modesta, devota e rispettosa delle tradizioni etico-religiose. Entrambi i genitori, il padre, il calzolaio Ignác Jebavý e la madre Kateřina, erano prima della sua nascita, persone già anziane.  I parenti della madre erano evangelici, ma uno di loro si imparentò con una famiglia cattolica.

   Durante i primi anni alla Scuola comunale a Počátky, il poeta si lega di febbrile e tenera amicizia con un suo compagno di scuola così che l’amicizia è il suo primo più importante sentire, la quale è letteralmente, storicamente rilevante per la genesi dell’opera di Březina. A questo suo amico dedicò alcune poesie che si possono considerare i suoi primissimi componimenti poetici. Giovanili componimenti, e già senza luce alcuna, pieni invece di un fatalismo e pessimismo di cui il poeta si nutre. Questi componimenti possono dare la chiave per molti tratti del suo carattere e del suo sviluppo.

  Si può affermare che è l’amicizia – per il valore che il poeta a questa conferisce, altissimo e spirituale, ma anche morboso – una delle cause della sua iniziazione alla poesia: il lievito, il fermento di questa iniziazione è la solitudine. La poesia di Březina avrà aspetti più gotici che barocchi. In verità, questi due aspetti, si alterneranno.

  Già studente liceale, nella cittadina di Telč  prenderà la  difesa ad oltranza degli eroi e delle lotte nazionali, di Hus (arso vivo nel 1415) e della rivolta hussita, dei fratelli boemi, di Giorgio di Poděbrady: il capo degli ultraquisti ussiti  e futuro Re di Boemia; e infine il desiderio di un nuovo e diverso cristianesimo. Insomma il poeta  questi anni liceali li vive tra compagni della sua età, e partecipa ai discorsi sulla letteratura e sulle scienze, perfino recita e declama la poesia polacca che d’altronde avrà una influenza, ma non decisiva, sulla formazione del suo verso. Il suo pessimismo è vicino a quello di Giacomo Leopardi e di Alfred de Vigny. Fu grande saccheggiatore costruttivo di biblioteche.

Otokar Březina

Otokar Březina

 Gli bastarono  una decina di anni per realizzare la sua opera di Poesia, principalmente dall’inizio del 1891 al 1901; poi sino al 1903 e oltre ha prodotto pochi altri versi e prose. La sua prima opera in prosa, che anticipa quella in poesia, va dal 1886 al 1890 fu da lui rinnegata, poi che si trattava in gran parte di imitazioni di vecchi movimenti romantici e zavorre sentimentali. Bruciò un romanzo, l’Eduard Brunner, nel quale riponeva grandi speranze, e  se non l’avesse fatto, avrebbe avuto non poche difficoltà a fare quei versi che sono il fondamento della poesia moderna ceca. Ma in prosa scrisse una serie di undici saggi non a caso intitolata Hudba pramenů (La musica delle sorgenti)], che ha affiancata, sostenuta, guidata e modellata una parte consistente della sua produzione in versi dall’inizio del 1897 al 1901, e più oltre. Questi saggi sono scritture che trattano di argomenti religiosi, orfici, esoterici, trascendentali, mistici, teosofici, simbolici ecc., insomma tutto quell’armamentario che sconfina nei misteri e nei segreti insondabili e incomprensibili che sono dietro le creazioni delle opere umane.

    Si donò al silenzio e corrispose però con centinaia di suoi conoscenti: poeti, artisti, filosofi. Studiosi di chiara fama e traduttori d’ogni paese invano lo spronarono  a continuare a far Poesia, senza preoccuparsi loro delle ragioni primarie che lo assillavano da tanto tempo… come, in primis, il pericolo di ripetersi e di diventare un pedante impertinente. Poi che  già presagiva la nascita di una nuova anima in lui, che richiedeva una nuova forma, e un silenzio!

   Rimase orfano d’entrambi i genitori a 22 anni: evento che acuì fortemente il suo pessimismo già malsano, terribile, senza scampo che non gli dava requie, tanto da fargli  desiderare un destino simile a quello di Leopardi, che conosceva molto bene. Un letale e fatale pessimismo gli faceva desiderare la sua morte e quella della Natura stessa, e quel Nulla di Schopenhauer, come unica fede da seguire e in cui credere! Ma la filosofia del tedesco invece gli aprì allora la mente. Da quel pessimismo se ne uscì fuori con una rassegnazione attiva (al contrario di quella orientale, che è passiva), aiutato da tanti poeti più vitali di lui, come per esempio,  dalla natura vulcanica dell’americano Walt Whitman.  Ma fu lo spirito ditirambico di Nietzsche che gli dette una scossa grandiosa, ma poi infine dovette scegliere, e scrisse: “Non il superuomo di Nietzsche, ma il magico titano di Novalis”.

  E infine  sono stati i Fiori del male di Baudelaire che migliorarono la sua maniera di far versi, ma dallo spleen e idéal, dal concetto salvifico della mort che possedeva il francese si allontanò poi che ritenne  la sua ebbrezza non dovuta affatto all’uso di alcol e droghe, ma alle immagini allucinatorie del suo stesso fantasticare di cui si nutriva. Quanto amò la corrosiva ironia decadente di Laforgue e lo spirito acuto e sprezzante di Heine! E  Verlaine più di Rimbaud! La musicalità del primo lo affascinava. Altra sua conquista fu che assunse per se, per la sua poesia la limpidezza lirica di Hölderlin, come un corroborante esaltante che gli dette vigore!

   Intanto la forma della sua poesia diveniva sempre più raffinata (lezione del suo Maestro Mallarmé), tanto che un eccellente critico, Arne Novák,  sentenziò che possedeva  “il dono eccezionale dell’eufonia…l’instancabile inventiva nella rima, per cui il poeta è riuscito a usare felicemente tutte le più riposte possibilità musicali”.  Fu grande anche il suo amore per la musica di Beethoven da dedicargli versi “eroici”, e per il pittore, il lituano Curljonis, che nei suoi “quadri musicali” si ispirò al tedesco.. Il suo silenzio ebbe inizio nel 1901 fino alla sua morte nel 1929: il suo periodo creativo durò una decina di anni, poi ritenne di non scrivere più versi : questo il suo silenzio: il suo timore di divenire accademico, pedante, ripetitivo; scrisse è ovvio ancora, ma con l’ultima delle sue cinque raccolte, Mani, terminò la sua poesia! Era sicuro di se stesso, di ciò che aveva scritto e donato alla Poesia, così scrisse chiaramente che “Di tutte le rivelazioni che l’arte ha fatto nel corso dei tempi, solo una piccolissima parte si conserva nell’opera d’arte e nel libro. La maggior parte di esse scompaiono con le anime che poterono o dovettero sognare le loro vittorie in silenzio”.  Ecco le motivazioni : il timore di diventare, dunque – troppo barocco, gotico, metafisico, mistico, esoterico, religioso, estatico, analitico, sintetico, orientaleggiante, cosmico, mistagogo, più eretico che cattolico e viceversa, e così via – era reale: tanti gli -ismi che ha dovuto sopportare! E tutti gli stavano stretti! Disprezzò allora tutti gli –ismi che gli avevano  appioppato. Visse solo per amore delle sue parole, i versi, le metafore, le forme, le immagini intricate… si nutrì traverso la sua conoscenza enciclopedica dei pensieri dei filosofi e dei sogni dei poeti del passato, perfino di quelli dei contemporanei, ma con discrezione.

   Dette loro più lustro depurandoli coi suoi versi, raccogliendo di loro tutto ciò che potesse servire per proiettarli ancora di più nel futuro, dentro e fuori di tutte le arti.  In alcuni luoghi del suo cervello e del suo cuore risiedevano visioni di un rinascimento cristiano (e non cattolico come affermava con dichiarazioni arbitrarie il polemico e bravo scrittore sacerdote Jakub Deml) e di un risorgimento delle opere d’arte di tutti i secoli passati e presenti verso un futuro dove la fratellanza umana si potesse mutare in mistica, cosmica e universale. (questo suo traguardo era il suo ideale… il suo limite!).

  Non si capacitava che proprio a lui, che non era un presuntuoso, che era nato nel 1868 in un paesino moravo, Počátky, a sud-est di Praga, erano venuti in mente simili grandiosi pensieri con cui costruì, come una cattedrale, i suoi versi a cui attinsero decine e decine di poeti, anche stranieri! R. M. Rilke che lo lesse restò quasi di sasso! L’editore di Kafka, Kurt Wolff lo pubblicò. Fu candidato nove volte al Premio Nobel, senza che muovesse qualcuno o qualcosa per ottenerlo! La sua vita fu monastica in assoluta solitudine. Ebbe per compagno il Pensiero, fin dalla sua origine, dei Grandi Uomini, che nutrì la sua Poesia, e quanti fratelli ebbe: quelli morti per difendere il proprio e  libero pensiero: i grandi martiri eretici, Jan Hus, Giordano Bruno e tanti altri. Parteggiò per i suoi Fratelli Boemi, per l’insegnamento pedagogico di Comenius! (che ancora oggi detta legge nella Pedagogia!). Studiò e amo i grandi Padri della Chiesa! E i grandi mistici di tutte le terre e i filosofi d’Oriente e d’Occidente: i tedeschi, gli spagnoli, gli italiani, e tutti gli altri vedeva uniti da un infinito abbraccio fraterno! Dostoevskij e Tolstoj, dopo averli ammirati, li abbandonò perché per aver  troppo scavato nell’animo umano, si smarrirono. Parole di grandissima ebbe stima per Puškin e Lermontov. Rifiutò “le fantastiche teorie di paradisi in terra… dalla repubblica di Platone per finire a Proudhon e Marx” testimoniando una mente aperta e chiaroveggente! Divorò le visioni, le allucinazioni creative di Omero, Dante, Milton, Blake, Poe, Byron! E come Shakespeare, Tasso e Cervantes gli fecero conoscere  l’animo umano! Non posso elencare tutti gli autori che lesse.

   E poi,  le donne, le poetesse: da Saffo a Gaspara Stampa, alla diletta Emily Dickinson, e la Browning  e tante altre, di cui tanto scrisse nelle sue corrispondenze agli amici, specie alla sua amica teosofa Anna Pammrová.

   Lesse i poemi tibetani, i canti andini ed egiziani, e Gilgamesh, quasi tutti i poemi dell’antichità, prima di Omero! E i poeti greci e latini: Anacreonte, Catullo ecc. Quante loro tracce nei suoi versi! Forse troppa cultura sostenne la sua Poesia! Quando scrissi la tesi su Otokar Březina: profilo critico (1974-75 – unico relatore A. M. Ripellino) mi andavo smarrendo giorno per giorno per colpa della sua vastissima e profonda cultura!. Impossibile conoscere tutti gli autori che lesse e studiò e amò!  Coi poeti contemporanei della sua terra firmò manifesti (gli ultimo anni dell‘800) per il rinnovamento della poesia ceca; ma quelli più giovani di lui, coi loro esperimenti linguistici di primo novecento lo lasciarono indifferente. A Jakub Deml (A.M. Ripellino lo definì “un antenato del surrealismo ceco”), che gli parlava del giovane talentuoso poeta Vítězslav Nezval, rispose “del resto il surrealismo non è nulla di nuovo” aggiungendo che “già in Shakespeare si trova questo linguaggio, come nei pazzi”.

 Březina cantò in versi, in cinque raccolte (nomino in corsivo i titoli rispettivi), le oscure e splendenti Lontananze misteriose, le aspettative e le speranze conflittuali degli Albori a occidente, i gelidi Venti dai poli violati dalle prime spedizioni artiche moderne, le esaltanti e mistiche azioni dei Costruttori del tempio, e infine il lavoro festante e faticoso e socialistico di tutte le Mani  liberatrici, con cui  terminò il suo viaggio nella Poesia.

   Březina seppe estrarre dal sapere universale una bevanda vitale composita del Pensiero e della Poesia dei secoli passati…  e quante culture e scienze mescolò al suo Presente! Il risultato fu un vino di primissima qualità, come il vino di Hafiz! (che conosceva) – una tecnica magistrale della versificazione che ha sostenuto lo sbalorditivo cromatismo delle sue immagini, che sostiene ancora oggi la poesia ceca. L’uso delle metafore e anafore incessanti il poeta praghese Nezval lo apprese da Březina.

   Affermò che il poeta è il creatore di ciò che sorseggia, assapora; beve questa bevanda, la Poesia, inebriandosi, e questo atto stimolò simultaneamente gli umori e le forme dei suoi versi: così si  generò la sua Poesia! Ma questo lavoro di faticosa e riuscita liberazione lo si sente specialmente nella  tecnica versificatoria, nelle strofe rimate (che non sono una prigione!), e nei sonori ritmi, talvolta tortuosi, perfino nella sua grafia precisa, inappuntabile… tecnica eccelsa le filosofie e poetiche unite ai suoi umori che si addensano in oscuri-chiari pensieri e incidono profondamente sulla qualità delle immagini, metafore, altre figure… come il ditirambo dionisiaco dominante, il verso libero, l’alessandrino… e le strofe impeccabilmente rimate e limate, segnano conquiste liberatorie e lezioni a non finire per futuri poeti!

   Giocò come un invasato (ma controllato) e vinse una partita equilibrando l’ebbrezza dionisiaca col suo desiderio apollineo, preferendo infine  quest’ultimo (Novalis). Per questo poi abbracciò il cammino di una fratellanza e di un ottimismo universali, che gli era congeniale, ma tutto ciò fu distrutto dalla carneficina della Prima Guerra Mondiale. Gli sembrò che il mondo (i suoi mondi) gli crollasse intorno, beffeggiandolo, eppure ebbe il coraggio della speranza e nonostante le tragedie, il suo ritornello “dolce è la vita” restò intatto, perché voleva donare una ultima emozione, un sentimento ancora perché non risultassero aridi e freddi i suoi versi. (tanti furono i poeti e i critici che trovarono i suoi versi… gelidi! Che errore critico!).

  Březina fu tradotto in tante lingue; i primi suoii due traduttori furono un polacco e un italiano… glielo riferì l’amica teosofa Anna Pammrová in una lettera del lontano 1896; ed era appena agli inizi della sua produzione poetica.    Ha influenzato la Poesia ceca (e non solo) a lui contemporanea e quella dopo di lui profondamente (la stessa azione di Dante o Puškin), come per esempio la poesia di Halas, Holan, Nezval, Seifert, Josef Hora, Zavada, ecc. Anche se il vero fondatore della moderna poesia ceca è stato il romantico Karel Hynek Mácha, vero antesignano del  surrealismo ceco, secondo i poeti surrealisti cechi.

  Era cosciente che le sue metafore erano fuori del comune! Grandi poeti contemporanei stranieri hanno lodato la sua maestria, e di ciò si meravigliò  fortemente. Insomma, ha influenzato profondamente persino l’arte figurativa: artisti e poeti simbolisti e  surrealisti sui quali le sue visioni hanno agito fortemente.

Difatti un suo amico fraterno, il grandissimo scultore František Bílek, che non è secondo affatto ad August Rodin, ed è pure un raffinato disegnatore e pittore, ha subito il fascino dei suoi versi e li ha illustrati con disegni e grafiche, e perfino con straordinarie sculture lignee e di pietra. Tanti artisti hanno illustrato molti suoi libri

di poesia,  come Váchal (di cui ho visto tutte le cinque raccolte illustrate a colori pagina per pagina, nel Museo dei manoscritti nazionali in quei primi anni settanta), e poi il cupo Konůpek, che ha prediletto gli aspetti più romantici e dionisiaci del poeta.   Trionfali elogi gli giunsero dal grande critico letterario František X. Šalda. E infine fu definito da uno dei suoi primi estimatori, Sigismund Bouška, già nel 1896, a 28 anni!, “poeta per poeti”, un Maestro!,  a quattro anni dalla sua prima pubblicazione!   Poeta visionario, essenzialmente, comprese come pochi le tensioni tra due secoli: l’800 e il ’900, e che, con la sua alta e profonda cultura, ha sintetizzato la fine di un’epoca della Poesia: Březina è ultimissima propaggine romantica e uno degli ultimi grandi poeti simbolisti…  del simbolismo ne vide la fine senza rimpiangerlo affatto!  Notizie recenti riferiscono che fu candidato otto volte al Premio Nobel.

(nota di Antonio Sagredo)

Otokar Březina

Otokar Březina

Otokar Březina 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POESIE di Otokar Březina

Siesta

Il sogno dei grigio-azzurri tornò a vivere nelle ombre della neve,
ma i bagliori si assopirono nei giallo-rosei;
nelle gallerie della luce l’aria si distese negli strati irrigiditi,
e si placò il sibilo degli assi della ruota lamentosa dei venti.
Il riposo di linee bianche discese lentamente sul paesaggio
nel vestito di campi rigonfi e di boschi morti per incuria;
il volo degli uccelli non disegnava ragnatele nell’azzurro,
per il freddo, nel vapore bianco, non si condensava il respiro dei viventi,
e si è trascinato sul campo, come una nube, solo un Grande Pensiero
che parlava per il gioco delle ombre, per il sogno delle luci
e la voce del silenzio,
per l’unione delle forze e il dominio melanconico,
che dalla musica di onde nevose respira fin nelle anime umane.

Otokar Březina con il presidente Masaryk

Otokar Březina con il presidente Masaryk

 

 

 

 

 

Da misteriose lontananze

Mi canta nell’anima da lontananze eterne
una canzone monotona,
un’ottava bassa della mia tastiera
malinconica le suona.
Mi scorre sulle labbra e nel riso
come il gusto del mio vino,
e da uno stelo spezzato
nella lacrima amarognola del latte.
Il soffio ritmico dei ricordi
nei desideri delle danze bacchiche,
la sua nostalgia si spegne lentamente
stregata, nelle risonanze.
Il sogno-veglia fermenta il mio sangue
nella voluttà e sulle solitudini,
e mi cresce nei lunghi adagi
e nelle note oscure.
E affaticati dalla quiete dei raggi
non si addormenta,
e mi succhia e mi ingabbia nelle volte oscure
dei suoi suoni,
come nugoli di insetti in vortici metallici.
O lontananze e notti,
svenimenti e sogni! Dove non si attaccherebbero
le sue note? E con quale potere
rovinerò dentro me stesso, l’indistruttibile?
Il suo contatto come ala gelida
mi soffia sul viso
nei confessionali, davanti agli altari
e nei silenzi sepolcrali delle biblioteche,
ai miei colori mescola l’olio,
suona con le ali della mia ispirazione,
canta beffardamente nella mia afflizione,
eterno, monotono,
e sulle piastre roventi della mia vita
fermenta lo scroscio spumoso
della mia bevanda mortale, da cui berrò
il Mistero della vanità.

Otokar Březina cop

 

 

 

 

 

 

 

 

Rincrescimento

Io ho nella mia anima il rincrescimento di quello che è incatenato al letto,
– quando da un’altissima torre vibra un vittorioso suonare di campane,
(davanti al Corpo del Signore eresse altari di gigli
e concesse il fiorire, nei candelabri d’argento, di fiamme
trasparenti e malaticce negli incendi del sole),
– quando i passi delle folle si smorzano nei verdi tappeti
dei fiori
e nei ritmi rotti da un fragrante canneto si agitano per i
caldi vapori delle acque,
– quando il saluto dei giardini si diffonde da corone di
fanciulle
e un grazie della vita quando, pieni di gloria, navigano
sulle onde dei fumi a vele spiegate
nel corale del Mistero dell’Altissimo.
Io ho nell’anima il rincrescimento di un sovrano impoverito
di immense distese,
quando stanco della vita sente il crepitio delle spighe sui
declivi dei campi:
– delle ciocche di aghi d’argento setacciate dal vento,
– della splendente nuvola d’insetti bizzarri posarsi su steli
sonori,
– delle sere stanche per i profumi che riposano sui vigneti;
egli sente dal fragore delle falci la sua campana a morto,
le canzoni funebri dalle grida di forza;
di chi sarà la raccolta del grano, dove si sono rappresi i
raggi dei giorni nelle lucide squame
e nei grappoli nerastri il sangue della terra?
Chi soffiò il gelo sulla mia finestra e annebbiò il puro canto
dei colori?
Le lucerne serali si accenderanno nelle sale bianche sopra
la mia camera,
gli specchi col sorriso restituiranno i lieti rossori dei volti
vetri gelidi infiammeranno la neve di seni inumiditi,
l’aria colmerà le grida di risa e di profumi.
Ritmici colpi delle danze!
E ho ancora nell’anima il rincrescimento del prigioniero
nel giorno delle feste di maggio,
il rincrescimento dell’amante presso la soglia del tempio
nel giorno del fidanzamento,
il rincrescimento dell’esiliato nei tuoni dei cannoni, che
accoglie i vascelli coi vessilli dell’adirata lontananza,
il rincrescimento dell’esausto dalla ricerca dei sogni durante
i primi azzurramenti dell’aurora,
il rincrescimento degli sguardi stanchi per la vana attesa
prima della partenza,
il rincrescimento dei visi avvizziti che non arrossirono per un bacio,
il rincrescimento dello straniero commosso per l’innocente
abbraccio del canto di Natale,
il rincrescimento dello strumento musicale appeso sopra
il letto del maestro morto,
il rincrescimento dei fiori che nessuno ha colto e sacrificò
nei vasi sugli altari,
Il rincrescimento della luce che si spense nella lampada solitaria
e che nessuno accese nell’alcova degli amanti.
Le ore del mio passato mi abbandonarono e io per loro
non ho colto i fiori,
i giorni mi giungevano fiduciosi e non li ornai di rose, e
per loro non ho mietuto i raggi immaturi,
è giunta la stagione dei crepuscoli, il vento dello Sconosciuto
si alza nei viali
e nemmeno una canzone allegra mi risuona dalla lontananza.

(dalla raccolta Misteriose lontananze, 1895)

Otokar Březina

Otokar Březina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La leggenda di colpe misteriose

Il chiarore delle mie ore future illuminò questo istante nei sogni
e con tutte le luci dei lampadari si è sparso nelle magnifiche
sale dei miei giorni;
là scaturiva la musica delle mie future primavere e delle
tenerezze nascoste,
là scintillava il riso delle labbra che mi inebriavano e il respiro
che ingannava,
e negli occhi, dove mi aspetta la mutezza della voluttà,
là ardevano pieni di desiderio.
Ma inutilmente camminavo là dove tremava nei vertiginosi ritmi
la canzone della Vita. Mi seguiva dietro l’Ombra di Qualcuno
che davanti a me si univa;
di sala in sala veniva e dovunque entrava si spegneva il calore luminoso,
si oscuravano gli specchi e fremette il desiderio, la voce di
una musica trionfale cadde giù
fin nelle più basse ottave e si fuse in un’angoscia silenziosa.
O anima mia, da dove è venuto Lui? E chi sa quanti secoli trascorse
con le anime dei miei antenati prima di giungere sino a me?
Su quante tavole nuziali ha disteso come una tovaglia un
tappeto funebre?
Su quanti sorrisi rosei ha soffiato il suo gelido respiro sotterraneo?
E in quante lampade illividiva oscuramente con fiamme
di sale e d’alcool?

Otokar Březina 1

 

 

 

 

 

 

Umori

Il fruscio stanco del calore si distese sul ramo con gravezza
e pendeva senza moto poi che il bosco schiacciato respirava
nei malinconici intervalli, e un torrente amaro di sudore
gli fluiva con aspro profumo da vegetazioni frante.
Avanzava pallida la stanchezza sotto gli alberi immoti,
sedette al mio fianco, i presentimenti sospirò sul viso,
mi sommerse negli sguardi la malinconia della domanda eterna
e parlava con la mia anima, con la lingua delle parole morte.
Il fiore di un sole stramaturo appassì nei bianchi calori,
nei crepuscoli dei rami tremava e con foglie azzurre cadeva
nei silenzi apatici la muta estenuazione, si accese nel musco
e col deliquio mi cullava nel bagno di un respiro misterioso,
come se sotto le onde il sangue fosse sgorgato lentamente
da vene aperte.

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Boris Pasternàk – Una poesia:  “Su un battello” (1915) commento di Angelo Maria Ripellino e nota di Antonio Sagredo

Pasternak

 

  

 

 

 

 

 

 

 

Boris Pasternàk, 1915                                                                                                                                               

Era il gelo del mattino. Contraeva le mascelle,
e il fruscio delle foglie era come un delirio.
Più azzurra del piumaggio di un’anatra
dietro la Káma luccicava l’alba.

Il dispensiere acciottolava i piatti.
Un garzone sbadigliava, contando le oliere.
Nel fiume, all’altezza di un candeliere,
brulicavano in frotta le lucciole.

Penzolavano in un filo sfavillante
dalle vie lungo il fiume. Scoccarono le tre.
Il garzone con una salvietta cercava di scrostare
la stearina che sgocciolava sul bronzo.

Come una canuta diceria che strisciava da antichi tempi,
come una notturna canzone di gesta dei giunchi,
sotto Perm, sulla brezza nelle veloci perline
dell’increspatura dei lampioni, la Káma andava.

Affogando dalle onde, ad un pelo
dal sommergersi, dietro le navi
si tuffava e nuotava come un lucignolo
nel lumino delle acque fluviali – una stella.
Sul battello c’era odore di cibo
e di vernice e di biacca di zinco.
Per la Káma il crepuscolo navigava con ciò che aveva origliato,
non lasciandosi scappare nemmeno uno spruzzo, nuotava.

Tenendo in mano un boccale, voi con le pupille
strette, seguivate il gioco
degli errori di lingua libratisi a cena,
ma non vi attraeva il loro sciame.

Voi invitavate l’interlocutore alle storie,
all’onda dei giorni trascorsi prima di voi,
per naufragare in essa con l’ultimo
stillicidio delle ultime gocce.

Era il gelo del mattino. Contraeva le mascelle,
e il fruscio delle foglie era come un delirio.
Più azzurra del piumaggio di un’anatra,
dietro la Káma luccicava l’alba.

E il mattino avanzava in un bagno di sangue,
come nafta dell’aurora traboccata,
per spegnere i becchi del gas nel quadrato
ed i lampioni della città. Continua a leggere

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