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SETTE POESIE INEDITE di Laura Cantelmo “Tsunami (Notizie da occidente)”

Nascita di Venere di Botticelli, particolari

Nascita di Venere di Botticelli, particolari

 Laura Cantelmo, nata a Biella, ha studiato Lingue e letterature straniere presso l’Università di Torino e vive a Milano. Ha insegnato a lungo Lingua e Letteratura Inglese in un Liceo Scientifico Statale. Si occupa di poesia, di critica letteraria e di traduzione dall’inglese collaborando con diverse riviste e antologie. Ha pubblicato Invito alla lettura di Ezra Pound, ed Mursia, Milano 1978 e saggi su poeti anglo-caraibici (sulla rivista “Poesia”), inglesi e statunitensi su “La Mosca di Milano”, “Inoltre”, “Il Monte Analogo” e altre. Un saggio su Marianne Moore si trova in Con la tua voce, a cura di G.Fantato, Milano 2010. Partecipa alle attività dell’Associazione Milanocosa con interventi e saggi sull’arte e la letteratura (Milano, Storia e immaginazione, Milano 2011). E’ autrice della raccolta di poesie, Un luogo di presenze, Joker 2006, di alcune plaquettes e di testi comparsi in varie antologie. Suoi saggi sulla storia di Milano si trovano nel volume Milano – Storia e immaginazione, Milanocosa edizioni 2011 e una presentazione critica della poeta statunitense Marianne Moore fa parte del lavoro collettaneo a cura di Gabriela Fantato Con la tua voce, La vita felice, Milano 2010. Svolge attività culturale all’interno della Associazione Milanocosa, presieduta da Adam Vaccaro.

 

Mario Sironi paesaggio urbano

Mario Sironi paesaggio urbano

Tsunami (Notizie da occidente)

Un tempo il mare era nostro.
Un sogno d’infanzia carpito
si è alzato con rabbia dove
un mostro lontano, un gorgo
di palme nel regno dell’alba
ha scovato la gabbia del vento.
L’enigma del male fendeva
la terra spaccata gonfiando
la furia dell’onda.

Cancellate il debito
urlava il popolo dietro
le transenne, mentre
indifferente il vento
del nord si chiedeva:
ma dove avvenne?

Date brioches – disse intanto
la bionda regina – se manca pane
e s’incipriò i capelli.
In questa terra la vita
umiliata si vive col cuore
offuscato, tra grumi di link
e l’urlo inumano di qualche partita.

Magritte elective affinities 1933

Magritte elective affinities 1933

Balene

Le balene rincorrono nuove
costellazioni dopo che Leviatano
ha trafitto il ghiaccio boreale e
lunghe ombre del nord hanno turbato
il mare col rantolo glaciale
dell’albatro fuggente.
Noi, gente di risaia e di aironi,
brindiamo in un sussulto
al loro arcuato andare
immersi nell’abissale profumo
di tanta maestà che abbaglia,
sirena perturbante forse
di un mondo abbandonato
all’onda.
Pur con l’inquieto rombo dei pilastri
fondi tra Scilla e Cariddi
i precipizi dell’isola hanno retto
e il mosto antico promette ancora
nettare da bere. Nel turbinare
dello Stretto tra scogli ardenti
le navi scivolano oceaniche sotto
cirri ridenti. E indifferenti cercano
il porto.

Laura Cantelmo

Laura Cantelmo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bosco sotterraneo
(Metropolitana milanese)

The apparition of these faces in the crowd,
Petals on a wet, black bough.
( Ezra Pound, In a Station of the Metro)

Un origami di maschere
indurite dove furono petali
e ninfee. Nella fuga dei treni
graffiti di gioventù appannate
dal distratto pensiero dominante
sull’informe silenzio delle vetrine
nella vita affannata su prati
di marmo e alberi d’acciaio,
su muri grigi e scale gracidanti.

Oscure interferenze.
Per il poeta quali corrispondenze
nel bosco sotterraneo?

Nessuna verità e pochi
volti umani salgono alla città,
ma strana analogia nelle parole
per chi, transfuga, corre
verso ignota meta.

Nei cerchi d’ombra la paccottiglia
sui lenzuoli e i sogni dei migranti,
mosaici di sabbia arroventati
tesi verso il cielo che tutto
inghiotte fuori : lo pensavamo
blu, invece è di cemento.

Laura Cantelmo cop 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Baia di Campi

Alveo di sirene
il fuoco ti divora
e non ti spegne.
Amo il mitile del tuo placido ventre
l’isola verso l’ombra, l’aglio selvatico
il drappo dì foresta precipitato nel cobalto
il mirto in bilico sull’alto.
Mentre il vento ci travolge
mi aggrappo mitile
allo scoglio, sento voci del passato
piombare nel crepuscolo, il basalto
annerito in mille fogge
annunciare il nuovo amore.
Amo il tuo placido ventre palpitante
di luce.
Già vedo l’ombra ardere
la foresta delle ore, già mi sento
ospite di un altro, alto, più alto.

scippa l’anima
trapassa l’urlo sordo
delle navi col cicaleccio
dei barconi.
La bianca innocenza
delle grotte si perde
tra i mostri coperti
dagli scogli .
Perdersi tra questi
anfratti come in un viaggio
in lidi sconosciuti dove
come colombe volano
sete e damaschi coprendo
la furia di grandi Tamerlani
sempre più vicini.

Laura cantelmo cop 1

Parabola

Saliva l’alba con i tacchi
a spillo e scarpe luccicanti
di vernice – breve la gonna.
Occhi sfioravano affamati
la sua pelle tersa, le forme
tondeggianti.
Sola discese poi di stella
in stella le tenebre del giorno,
dopo l’amore.

Presto la luce vicina
all’imbrunire divenne
piuma, stormi di alianti
solcarono le brume e fu
girandola di vento.
Scorie di vita rigavano
il suo sguardo che clandestino
spiava la fine dell’incanto.

La chiocciola del tempo
s’arrotolava svelta mentre
muto dietro la valle il mare
rodeva piano gli spalti.

Lei si fermò sullo spazio
divaricato dagli assalti
del vento e attese il piombo
del silenzio. Continua a leggere

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA MUSICA O SUGLI STRUMENTI MUSICALI di Adam Zagajevski, Giorgio Linguaglossa, Domenico Alvino, Francesco De Girolamo, Franco Dionesalvi, Fortuna Della Porta, Terry Olivi, Laura Cantelmo

musica tra gli egiziani Adam Zagajevski

Adam Zagajevski

Il violoncello

Dicono i detrattori: è solo
un violino che, mutata la voce,
è stato espulso dal coro.
non è così.
Il violoncello ha molti segreti,
ma non piange mai,
canta solo a voce bassa.
Non tutto però si muta
in canto. Talvolta si può udire
un sussurro o un fruscio:
sono solo,
ma non posso prender sonno.

(trad. di Krystyna Jaworska)

picasso astratto musica

picasso astratto musica

 

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

 

 

 

 

 

Giorgio Linguaglossa

Il Signor K. era là

Aveva appuntato, Cogito, l’indirizzo della Signora Marlene
su un foglietto di carta che teneva in fondo alla tasca interna della giacca.
Voleva congedarsi. Prese il foglietto in mano.

Intanto, i premorienti si affollano nei vagoni merci.
Gendarmi portano al guinzaglio i mastini,
rovistano in ogni angolo della Zentralbahnhof,
perlustrano i binari.
Nella sala d’aspetto, c’è chi gioca con i serpenti,
chi pettina i capelli alle bambole,
chi suona il violoncello.
Tchiajkovski strimpella il pianoforte,
più in là Vermeer dipinge di profilo una ragazza.

La luce si spense sul lastricato. Nella Kammerspiel
color fucsia la bella Marlene canta al pianoforte
il Lied della morte e della nostalgia.

Il Signor Cogito ama questo luogo di pace,
non saprebbe farne a meno.
Berlino. Anni Trenta.
Sulle ciglia, sulla pelliccia, sui guanti grigi
del Signor Cogito adesso cade una neve soffice.

Il lampionista si voltò, vicino a noi accese un lampione
e si mise a fischiare un’aria di Mozart.
I soldati scrivono cartoline alle fidanzate.
«Che epoca è questa?», chiede Cogito
alla bella Marlene nel salotto color fucsia.
Salieri fuma una sigaretta nel divano scarlatto,
ufficiali della Wermacht giocano a whist nel reservoir.
«Signor Cogito lei è un vero umorista», gli risponde
la Signora Marlene dall’antichambre.
C’è chi gioca con i décolleté, chi con la vedova nera,
c’è chi gioca con i serpenti, chi pettina i capelli alle bambole.
Una neve soffice si posa sulla pelliccia di Cogito
che si affaccia a una finestra. È quasi inverno.

Il cigolio meccanico degli usignoli si arrestò.
Il Signor K. era ancora là, tra lo stipite e la porta.
«Gutentag Herr Cogito…».

Un lampadario veneziano brilla nella Kammerspiel

Un lampadario veneziano brilla nella Kammerspiel color fucsia.
Una maîtresse si trucca davanti allo specchio
con la cornice dorata. La bella Marlene
canta un Lied di nostalgia e di addio.
I treni sono carichi di soldati.
Ufficiali della Wermacht dicono «Gutentag und Gutenabend».
Il Signor K. indossa una parrucca argentata.
Il Signor Cogito inforca gli occhiali.
“Il signor Retro estrae l’orologio da tasca,
lo carica –
ascolta il ticchettio del meccanismo,
che impassibile spinge avanti
le lancette e i secondi
(come fermare l’istante, questa goccia di eternità?)”.*
Il Signor Retro ripone l’orologio sul tavolo
e dice: «auf Wiedersehen».
Il Signor Cogito si toglie gli occhiali.
Il Signor K. si toglie il guanto sinistro.
Getta una manciata di gioielli,
(smeraldi, perle, diamanti, rubini)
sulla toeletta; il tutto, così, alla rinfusa.
L’innominato indossa una redingote
nera, lucida, lisa, occhiali di tartaruga
con le stanghette dorate.
Gli uccelli sugli alberi emettono un singulto metallico.
Marlene singhiozza il Lied della nostalgia.
I soldati sono partiti nei treni carichi di morti viventi.
Si alzano in volo col muso ad uncino i pipistrelli.
Sette corvi beccano il mangime nel letamaio.
Nella Kammerspiel è entrato il fruscio degli astri.
Il Signor K. si mette in posa nel corridoio.
«Dov’è?».
«Cosa?».
«Il quaderno nero».
* versi di Marek Baterovicz

violino_Barroco

violino_Barroco

 Domenico Alvino

Domenico Alvino

Domenico Alvino

La cantante cieca

È una cieca ora l’accompagnano
resta dietro pupille grandi.
Cerca un bandolo là sotto
medita la sua canzone al buio
dentro un buio chiuso
a lampi
aduna
corde
lorde
parole salgono a grappoli
alle note
lega
una valanga
giocata a pigli scosse luride luminose
vengon fuori anime secolari
affollano e diradano
a respiri e ad ansimi
a balzi
e poi giù ricadute
piene di salti
roteanti riverberi in sé stessi
rientri
nel buio chiuso
essi e la cieca ricurva all’applauso
infinito
di tutti
lì in piedi
annusa il loro sguardo
dietro
le loro bocche spalancate.

(Roma, venerdì, 27 luglio 2007)

La musica: il morire

Nella tua spessa ombra
tu pensi
ch’io entri
come d’un pezzo passando cellule
atomi
fra atomi
io ombra
in un corpo-ombra?
O che un non-spirito
entri in un non-spirito
ove né valva né vulva ti apri
tu spirito così addensato d’ombra
che esaurisci il dentro
tanto che i molti io e tu ed egli tutti
schiodati fuori?
Il noi – dice – è però da dentro.
Ma è un dentro vuoto
senza il tu e l’io certi
a ben vedere
anche il tu e il voi e l’egli
e il loro e l’essi
sono altri dentro
spesso anch’essi
vuoti
avidi
sfumanti in fuori
e vedi quanti fuori vuoti
adesso astri
che si girano
lenti
l’uno guarda fuori
l’altro
l’essere, io penso, non ha dove
sta a guardare a lato
scoppi
attende
crepe
nella materia obdura
fin che ne si sciolga
un dentro…
Lascio la musica lì
nel nulla
essa non entra
nella morte
bisogna andarci soli.

(inediti, Roma, 6 aprile 2001)

musica sassofono

 Francesco De Girolamo

Francesco De Girolamo

Cammina e canta

Cammina e canta
e insegui molti amori
impossibili e fieri
e disvela misteri e nascondi
i tuoi sogni ai veleni del giorno
livido e freddo e uguale.
Troppe bocche senza ansia di fiamma
bisbigliano il coro dell’ombra
alla folla disabitata.
E tu, sii il seme di un’alba
remota, mai sorta;
appartieniti, proteggiti
dalla vita già morta
che incalza; sii il cucciolo inerme
della tua rinnegata eternità.

Metamorfosi

Non è molto quel ramo dietro i vetri
per sapere che fuori impera il niente;
ma è tutto ciò che scorgi e che non vedi
che lo trasforma in una gemma ardente.
Che lo trasforma in una calda rosa
che accende il limitare dello sguardo
della sua sete indomita e operosa;
e ritrasfonde in musica il tuo pianto

Francesco De Girolamo da Paradigma Lietocolle, 2010

musica rinascimento

 Franco Dionesalvi

Franco Dionesalvi

La fragola e il pianoforte

Il lembo vellutato
del vestito a macchie di fragola
si acquattava sul cranio pallido
del maestro francese
al pianoforte.

L’ansia distratta di lei
raccoglieva
silenzi mielosi margherite di raso
nel pubblico a cappelli
raccogliticcio
dalla valanga appena sventata
di là dalla finestra
per nuovi messia
intagliati nell’alba;
girava le spalle nude
accostava la parete
si poggiava sul davanzale di neve
concepiva nella sua mente
il nano della montagna.

musica

 Fortuna Della Porta

Fortuna Della Porta

Musica di pentagramma,
infuriano le dita sui tasti.
La Moldava, come la vita,
me la svelò mia madre,
con appena tre note, l’udito lacunoso.
L’oboe delle ellittiche,
in movimento di danza,
l’appresi di notte
malgrado i corni latranti dei cani.
In spirito millimetrico, rispettoso,
ninnavano il sonno i cerchi di Saturno
con andamento adagio, molto cantabile
e al fondo, sempre udibile,
la grancassa in fff del big bang
favilla di prestoria
dove il prima e il dopo
convissero in un fulmine.
In perfezione di suoni
la legge di sassi e comete.
Al flauto delle tempeste solari
fibrillano i violini del fiume
le cui ripe in concerto
sbocciano a un giro di do.
Arpeggia lo spartito armonico
col sigillo -da sfinire- di scale avulse.

Stradivari 1681

Stradivari 1681

 

Terry Olivi

Terry Olivi

 

 

 

 

 

 

Terry Olivi

Blues all’Alberone

.
Occhi succosi estate
la cantante
ha un vestito rosso
sul palco gli acuti
i bassi
uno swing? so sad
tonight
una disperazione
così dolce così tacita
too bad

tonight

il plenilunio è
ancora lontano
l’oceano mi è testimone
una zattera insegue l’onda
una culla
la ragazza sulla zattera
nel suo vestito rosso
canta microfono in mano
è solo per il mare
per il vento per le instabili nuvole
per l’ampio cielo intorno.
Un’armonica risponde
così pura così lontana.

Eppure
svaniscono piano piano
so sad so sad so sad
tonight….

Roma 30 dic. 2011

Giuliana Lucchini violoncellista

 Laura Cantelmo

Laura Cantelmo

Laura Cantelmo

Papillons*

A Mirna amante dell’armonia

Nel coro turchino dei grilli coglie
l’allodola semi e granaglie
con le prime note del mattino.
Ha vegliato la notte di collina,
paventando fantasmi della Selva
Nera, ciclopiche illusioni
dell’Egeo cipriota con i venti
della steppa turbinanti sopra
una tastiera di farfalle. Le note
si fanno immateriali trilli
di cutrettola vibrante con le piume
che gonfiano leggere le frasi
di spartito.
Poi appare Leda, abbandonata
all’assoluta gioia d’un amore
divino, ignara dell’infimo
destino mortale.

*Robert Schumann, composizione per pianoforte Op. 2

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POESIE di GRACE NICHOLS, POETA DELLA GUIANA a cura di Laura Cantelmo

Grace Nichols 11.

Tra i poeti anglofoni delle Indie Occidentali non  esiste solo il grande, universalmente riconosciuto e amato Derek Walcott (Premio Nobel 1992). Un gruppo di poeti caraibici di indiscusso valore, come James Barry ed Edward K.Brathwaite, che danno lustro alla letteratura post-coloniale ponendosi in posizione dialettica con quella dell’ex-Impero britannico, scrive nella lingua ufficiale imposta dai colonizzatori  con evidente orgoglio per le origini africane e per la cultura creola che caratterizza la loro appartenenza a quel territorio del continente americano dove si favoleggiava l’esistenza dell’Eldorado.

Tra di essi Grace Nichols, nata nel 1950 a Georgetown, nella Guiana, e da tempo residente in Gran Bretagna, offre il punto di vista di una condizione femminile all’interno di un meticciato socio-culturale, reso ancor più singolare da una sensibilità  arricchita dalla sensualità spontanea insita in un temperamento erede di una tradizione “vibrante” .

Come gli altri poeti  Nichols esplora le possibilità letterarie offerte dalla lingua creola nella quale si fondono lo Standard English con il dialetto africano (Swaili/ Yoruba) e che permette di liberare un immaginario sfavillante di colori, inondato dalla luce del paesaggio naturale. La sua visione del mondo, positiva e orgogliosa, si esprime attraverso immagini lussureggianti, spesso ironiche e prive di oscurità espressive.

Grace Nichols 10 Affermando:“Come scrittrice mi sento fortemente multiculturale e profondamente caraibica”  Nichols tematizza la centralità del problema della lingua, che insieme a quello della differenza razziale e di genere sarà la cifra della sua scrittura, caratterizzata da un fiero rifiuto di qualsiasi concessione ad atteggiamenti di autocommiserazione. Nel 1983 nasce così la raccolta IIs a Long Memoried Woman (Sono una donna dalla memoria lunga), seguito nel 1984 da The Fat Black Woman’s Poems (Poesie di una donna grassa e nera), forte di un’ironia graffiante contro gli stereotipi estetici e consumistici delle donne occidentali. Vi prevale l’accettazione dell’aspetto fisico che pare richiamare gli slogan degli anni sessanta e settanta, “nero è bello”  o “grasso è bello”. La donna grassa e nera decide con ferma dignità di accettare il proprio aspetto rifiutando  modelli omologanti, ma vivendo al contempo la nostalgia della terra lontana,  simboleggiata dalla pianta di ibiscus.

In Lazy Thoughts of a Lazy Woman (Pigri pensieri di una donna pigra) del 1989 prevale il divertimento, che consente anche l’ironia dissacrante nei riguardi di miti letterari (Shakespeare) e di una  quotidianità domestica vissuta senza fastidio :”L’unto si distende come un amante/ sul corpo del mio forno” (“Unto”). Il sesso, persino il sangue mestruale vengono liberamente affrontati senza pudore e con leggerezza, in aperta sintonia con la riscoperta del corpo da parte del movimento delle donne.

 Grace Nichols 6Ed è il corpo a porsi al centro della raccolta Sunris, imperniata intorno al rito dionisiaco del carnevale di Trinidad. Il corpo è coinvolto e travolto dal ritmo  pagano del calipso in una ritualità corale nella quale converge il senso di liberazione  e di rabbia  degli schiavi africani. Il titolo è una fusione del nome della madre di Grace, Iris, intrecciato idealmente a Isis (Iside), divinità egizia.  Iris (Iride) è l’arcobaleno, l’arco policromo che annuncia il ritorno del sole (sun) dopo la pioggia. Ne sgorga il titolo Sunris, evidente assonanza con  sunrise (alba).

 La costruzione simbolica del ritorno del sole annunciato dall’arcobaleno indica il presagio di una nuova e proficua relazione con l’Occidente. Questo il tema di Sunris, nella cui chiusa la bellissima e fantasmagorica celebrazione del carnevale di Trindad dà adito a a una rievocazione della storia e dei miti della sua gente, in mezzo alla popolazione scatenata nella danza al ritmo del calipso.: “Io sono una sognatrice ibrida/ Una credente ancestrale/ Una gaudente nel sangue/ che adora nella casa dell’amore”. Alla raccolta, popolata di miti femminili, dalle Grandi Madri della cultura classica alle divinità del mondo sassone fino alla dea cinese Kuan Yin, nel 1996 verrà assegnato il Guyana  Prize for Poetry. Accolta come Fellow nella Royal Society of Literature, Nichols è anche autrice di successo di libri per l’infanzia che narrano i miti del suo paese, grazie al  percorso intrapreso che è sfociato in un nuovo rapporto con la cultura occidentale.  Lapidariamente la sua vicenda umana e letteraria è sintetizzata in pochi versi tratti dalla sua opera di esordio, I Is a Long Memoried Woman: “Ho attraversato un oceano/ ho perso la mia lingua/ dalle radici di quella antica / una nuova ne è sgorgata”. Per l’appunto  I Have Crossed an Ocean, Selected Poems (2010) sarà anche il titolo della sua raccolta più recente.

 Bibliografia

I is a Long-Memoried Woman, London: Karnak House, 1983
The Fat Black Woman’s Poems, London: Virago Press, 1984
A Dangerous Knowing: Four Black Women Poets (Barbara Burford, Gabriela Pearse, Grace Nichols, Jackie Kav), London: Sheba, 1985
Whole of a Morning Sky (novel), London: Virago, 1986
Over the River, 1986
Hurricane Hits England, 1987

Lazy Thoughts of a Lazy Woman (poems), 1989
Sunris (poems), London: Virago, 1996
Startling the Flying Fish, 2006
Picasso, I Want My Face Back, Bloodaxe Books, 2009
I Have Crossed an Ocean: Selected Poems, Bloodaxe, 2010

 Poesie per  bambini

Trust You, Wriggly, London: Hodder & Stoughton, 1981
Baby Fish and Other Stories from Village to Rain Forest, London: Nanny Books, 1983
A Wilful Daughter, London: Hodder & Stoughton, 1983
Leslyn in London, London: Hodder & Stoughton, 1984
The Discovery, London: Macmillan Education, 1986
Come On Into My Tropical Garden: Poems for Children, London: A, & C. Black, 1988
Can I Buy a Slice of Sky?: Poems from Black, Asian and American Indian Cultures (editor), Knight Books
Poetry Jump Up: An Anthology of Black Poetry, Harmondsworth: Puffin Books, 1989
For Forest

 

Poesie di Grace Nichols

Beauty

Beauty is a fat black woman
walking the fields
pressing a breezed
hibiscus
to her cheek
while the sun lights up
her feet

Beauty
is a fat black woman
riding the waves
drifting in happy oblivion
while the sea turns back
to hug her shape

Bellezza

Bello
è una donna grassa e nera
che attraversa i campi
premendo un ibisco
di brezza
sulla guancia
mentre il sole le illumina
i piedi

Bello
è una donna grassa e nera
che cavalca le onde
alla deriva in dolce oblio
e intanto il mare si volge
e abbraccia la sua ombra

Sunris

Out of the foreday morning –
They coming
Out of the little houses
Clinging to the hillside –
They coming
Out of the big house and the hovel –
They coming
To fill up like mist dis Jour Ouvert morning
To lift up dis city to the sun
To incarnate their own carnation.

Symbol of the emancipated woman I come
I don’t care which one frown
From the depths of the unconscious I come
I come out to play – Mas Woman.

This mas I put on is not to hide me
This mas I put on is visionary –
A combination of the sighful sun
A bellyband with all my strands
A plume of scarlet ibis
A branch- of – hopeand a snake in mih fist
Join me in this pilgrimage
This spree that look like sacrilege.

But those who cannot see
Into the intricacies of my blood
Better watch they don’t put
They foot in they mouth,
Aspersion cast of race
Will not ricochet
But will sink into
The objection pores
O my every bone, for,
I’m a hybrid-dreamer
An ancestral believer
A blood- reveller
Who worship at the house of love.

Sunris

Di primo mattino
Vengono dalle piccole case
Aggrappate alla collina –
Vengono
Dalla grande casa e dal tugurio –
Vengono
A colmare come bruma questo mattino di Jour Ouvert
Per innalzare al sole questa città
Per dar corpo al loro garofano.

Simbolo della donna emancipata io vengo
Non mi importa se a qualcuno dispiace
Dal profondo dell’inconscio io vengo
Vengo a interpretare – Donna Maschera.

Questa maschera che indosso non è per nascondermi
Questa maschera che indosso è visionaria –
Una combinazione del sole veggente
Un gonnellino con tutti i miei nastri
Una piuma di ibis violetto
Un ramoscello e un serpente in pugno
Seguitemi in questo pellegrinaggio
In questi bagordi che paion sacrilegio.

Ma chi non vede
Nelle spire del mio sangue
Badi invece a non burlarmi,
Calunnia diffusa sulla razza
Non rimbalzerà
Ma affonderà
Nel rifiuto di tutti i miei pori
Di tutte le mie membra, poiché;

Io sono una sognatrice ibrida
Una credente ancestrale
Una gaudente nel sangue
Che adora nella casa dell’amore.

(traduzione di Laura Cantelmo)

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA NATURA MORTA di Anna Ventura, Francesca Diano, Giorgio Linguaglossa, Annalisa Comes, Antonio Sagredo, Laura Cantelmo, Giuseppina Di Leo, Ivan Pozzoni, Ambra Simeone, 

rene magritte les deux mysteres 1966

rene magritte les deux mysteres 1966

Ut pictura poesis. E Leonardo ha scritto: «La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura muta». Ogni natura morta ci parla, parla di noi, che siamo fuori quadro. Essa è assenza che attende la presenza umana, o meglio, è una presenza umana che è scomparsa, ed è rimasta l’assenza. E l’assenza ci parla con il proprio apparire, il proprio essere là.

Magritte elective affinities 1933

Magritte elective affinities 1933

Anna Ventura

Natura morta con insetto

Dalla vetrata aperta, una mosca entrò, perentoria,
quando la signora appese al muro
della sala da pranzo
il quadro appena acquistato
in un’asta di Montecatini. Quel quadro
era un simbolo di gioia,
per lei, donna fortunata
e consapevole di esserlo.
Sulla felicità delle sue scelte
nessuno avrebbe osato dubitare Eppure
in quel quadro
c’era qualcosa che stonava:
forse l’opulenza eccessiva
delle uve, l’arancione forte
di una fetta di melone, il rosso acceso
di una granata aperta. La mosca
ronzava intorno al quadro. La padrona di casa
volle scacciarla, agitando un panno
inumidito, ma quella
era più tenace di lei:
all’improvviso entrò nel quadro,
si attaccò a un acino d’uva,
e lì rimase. Non ci fu verso
di allontanarla. Ma la signora
non poteva- ne andava della sua reputazione-
farsi beffare da un insetto. Chiamò un pittore
di buona fama e gli fece dipingere una mosca
proprio lì, su quell’acino d’uva
dove l’intrusa giocava a rimpiattino.
Il giorno dopo,
l’insetto dipinto era scomparso.
L’acino d’uva, liscio, tondo, viola,
l’aveva nascosto
nel folto delle foglie di vite che,
maestose,l’assediavano dal basso.
La mosca viva ronzava per la stanza.

Anna Ventura

Anna Ventura

 

 

 

 

 

 

 

Club

Un sospetto di neoclassico fascista
sfiora le squallide rotondità
di poltrone, angoli, tende
senza colore.
Passa il cameriere basso,
con tre tazze fumanti sul vassoio.
La sala di lettura: deserta,
un uomo solo, nascosto dal giornale.
Corridoi lunghi, pavimento screziato,
archi.
Ripassa il cameriere,
con le tre tazze vuote.
La stanza del bridge è piccola,
colorata di verde e rosso-i tavoli-,
tenue fumo ristagna
tra gli occhi fissi.
“Siamo noi. Siamo arrivati.”
Morti?
No, vivi di una propria vita.
Rossa è la tentazione socialista,
azzurro
il fascino discreto della monarchia.
Ripassa il cameriere, ossequioso,
con quattro tazze colme.
La stanza proibita
È all’angolo,
dopo l’ultimo corridoio.
Bordello?
No, si gioca d’azzardo.
La porta è chiusa, peccato!
E il vetro ha un’ombra di liberty.
Il cameriere è vivo:
fa parte del copione,
e ci crede.

(da Tu quoque” Antologia Poesie (1974-2013) EdiLet 2014

De Chirico la metafisica

De Chirico la metafisica

Francesca Diano

Natura morta veronese

Otto pesche ed un vaso –
Di ceramica azzurra
Opaca ed all’interno traslucida
Di biancore cinereo –
Otto pesche sparse sul tavolo
Privo di gambe e confini
Soltanto un piano che linea
Ombrosa ha come sua fine.
Trasmutante il colore
Avvolge la forma nella sua eternità.
Invisibili due bambine
Nascoste dall’ombra
Sottratte alla visione

francesca diano

 

 

 

 

 

 

 

 

Donna nuda con fiore

La Madre siede
Composta nell’azzurro
Velato di fili
Il corpo solido di materia
Scolpisce lo spazio
Lo colma di peso
Pesanti le cosce il ventre
Nudo che è cupola sciamana
Seni robusti venati di marmoree
Correnti promettono mondi
Sommersi da un fiore
Che la mano porge.
Congela in sé il flusso
Di particelle raccolte
In atomi e molecole
E morule e organi
Infinitamente diversi
Nella ripetizione del modello
Eidetico utero cosmico
Matrice d’universi fecondati.

opera di Giuseppe Pedota

pianeta bianco di Giuseppe Pedota anni Novanta

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorgio Linguaglossa

Atropo

Colei che non si volge è qui:
Atropo. Indossa un vestito nero
che le fascia il corpo come un guanto.
Suoi attributi sono gomitoli e forbici
con le quali taglia il filo della vita.
Osserva una sfera di cristallo
e legge su un rotolo misteriosi geroglifici:
il destino degli umani.
È la più vecchia delle sorelle Cloto e Lachesi.
Guarda sempre in avanti, così ha decretato Zeus.
Ha una gorgiera di ferro che le impedisce il respiro
e non può voltarsi né a destra né a sinistra né indietro.
È sempre in affanno.
Ruota in eterno tra le sue mani la sfera di cristallo
legge il rotolo di pergamena
e col gomitolo avvolge la sfera
che ruota attorno al proprio asse magnificamente.
Ma lei, la megera, non sa
né quando né come né perché
taglierà il filo del gomitolo.
La vecchia pazza gioca con le forbici
e il gomitolo. E ride, ride.

 

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

Apro la prima porta a sinistra

… Apro la prima porta a sinistra:
ci sono tre donne sedute intorno ad un tavolo:
stanno per parlare ma non parlano
sembrano in ascolto ma non ascoltano,
indossano vestiti bianchi, hanno il plettro
e una chitarra azzurra,
ciascuna guarda davanti a sé ma ognuna
in direzione diversa,
ogni direzione è una dimensione;
il loro volto non ha volto, e guardano
con un solo occhio; «che cosa guardano
– ci chiediamo noi – se non il vuoto?»;
non possono uscire dal solco tracciato dal fonografo
non possono uscire dalla foto scattata dal fotografo:
traducono la traccia magnetica in onda sonora,
possono cantare soltanto ripetendo il medesimo ritornello
come gli uccelli sugli alberi:
«ciò che noi siamo voi mai sarete
e ciò che siete noi mai saremo».
La prima, Lachesi, canta le cose che furono,
la seconda, Cloto, canta le cose presenti
e la terza, Atropo, canta le cose che saranno;
cantano le tre signore un coro discorde
che neanche Zeus, loro padre, può appianare.
Cantano? È questo il destino del canto?
sì, è questo, e il loro canto è nemico della morte.
Ogni canto è nemico della morte?
Ogni canto è amico della morte.
Lachesi ha il volto rivolto al passato
Cloto ha il volto rivolto al presente
soltanto Atropo ha il volto rivolto al futuro
ma Atropo, la terza tra le donne, è cieca
e non può vedere ciò che taglia
e taglia con robuste cesoie il filo della vita
che non vuole cessare. E canta.

 

acrilico su tela, anni Sessanta, di Giuseppe Pedota

acrilico su tela, anni Sessanta, di Giuseppe Pedota

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Annalisa Comes

Natura morta e partenze

Parte di questo mondo se ne va.
Se n’è già andata una manciata d’anni,
una famiglia con quattro rampe di scale e una torre
a via Mantova.
Se ne sono già andati lontano lontano,
senza che faccia la minima differenza,
un gatto e un padre.
Se ne sono andate via brezze invernali, estive e piogge
in gocce leggere.

Un vestito blu troppo stretto, il cappello di paglia, il vaso di violette
ch’era ai piedi del nostro letto.

 

annalisa comes

annalisa comes

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamento in domestica natura morta

Foglie di vite e
grappoli di uccelli.
Sull’orlo delle pagine :
l’orlo della tovaglia,
le posate,
beccano senza sosta mani
e unghie.

Allora, ecco, posso ringraziare questi lavori domestici,
per il sapone che lava piume e
scaglie,
e il vino che arrossa il fondo dei bicchieri,
brocche da impugnare e tazze e tazzine.

E per le storie che ho detto e per quelle che ho ascoltato,
– grembiule e alfabeto dei miei giorni-.
E per la pelle liscia delle patate
che fanno il nido, qui,
dopo vetri e ringhiere,
qui,
docilmente.

ardengo soffici donna seduta con finestra

ardengo soffici donna seduta con finestra

Antonio Sagredo

I ricordi beati dei poeti

sulla Montagna dei Passeri
dove mai sono stato
né mai ho pestato un’ala
io vidi le vostre dita
intrecciarsi come fiocchi invernali,
carezze crollavano come chicchi di sinistre stelle!

Se ne andavano in slitta i due poeti
sapevano le destinazioni egiziane:
il riposo in un’algida fossa mozartiana,
la Marina sul molo dei Nodi scorsoi.

Cantavano con avanzi di grida e parole la propria epoca,
conteggiavano dal passato il martirio dei loro giorni luciferi.

La corda e la trave smaniavano per un collo
che non soffriva ancora – che ancora non si offriva!
L’esilio dantesco come un deterrente sognava
un requiem, un trionfo d’ossa, una fine comune.

Una nera carrozza notturna brillava di neri stivali,
non più cortese si fermò sotto un fanale d’orange
in Via della Mortalità dell’Arte:
c’era posto soltanto per milioni di poeti…

il primo – ucciso per asfissia ovvero mancanza d’aria – il cigno
il secondo – ucciso dagli stenti – il prigioniero d’assonanze
il terzo….
ecc. ecc.

ma il Tempo si ritrasse come un verme….

oggi Basquiat Jean-Michel è evirato dai colori

non c’è scampo
per i suoni, e la parola!

Roma, 25 maggio 2014 Continua a leggere

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