Giorgio Linguaglossa
Nota a margine sulle istallazioni ipoveritative di Gianni Godi
Il 17 aprile 2019 sono andato a visitare la installazione ipoveritativa di Gianni Godi al Macro di Roma, in via Rebbio Emilia e sono entrato all’interno di un cubo cilindrico luminescente denominato dall’artista «Viaggio cilindrico nella materia». Alle pareti c’erano i manifesti della video-poesia o poesia volumetrica di Gianni Godi in bianco e nero. Sotto ai piedi uno specchio, sopra la mia testa un altro specchio. Due specchi che specchiavano il vuoto di sotto e di su. Una esperienza fun, ipoveritativa, surrazionale. Poi Gianni proiettava su uno schermo questo e altri video da lui prodotti. Ho trascorso il tempo a ridere di gusto. Commentavo con Gianni che trovato i suoi video divertenti e inesplicabili, un mix di truismo e di magia. E dicevo che oggi si deve accettare un certo tipo di arte che prende lo spunto dalla «superficie» del reale, che oggi sembra coincidere con il reale mediatico, si fabbricano quelle che Maurizio Ferraris chiama le «postverità» o, più esattamente, le «ipoverità», secondo i cui assunti «non esistono fatti ma solo interpretazioni», cioè un’arte che assume come incontrovertibile che le parole e le immagini siano libere rispetto alle cose, che le interpretazioni possano essere infinite e che l’arte diventa sempre più leggera, fino a diventare evanescente, perdere gravità fino a che le cose scompaiono dall’orizzonte degli eventi percepiti. Secondo il filosofo italiano, partendo da questo assunto si va a finire dritti in un «liberalismo ontologico poco impegnativo».1
Questo tipo di impostazione finisce necessariamente in quella che il filosofo Ferraris chiama «dipendenza rappresentazionale», ovvero «ipoverità», verità di secondo ordine, verità di seconda rappresentazione. Di questo passo, si finisce dritti nell’«addio alla verità».2 Le istallazioni di Gianni Godi, accettano una visione non veritativa del discorso artistico, quest’ultimo non corrisponderebbe più ad un referente che non sia se stesso. Ed entriamo a vele spiegate nella liberalizzazione della ontologia che diventa, di fatto, una epistemologia. Con la scomparsa della ontologia estetica nell’epistemologia si celebra anche il decesso del tradizionale discorso artistico che conservava un valore veritativo critico ed entriamo in un nuovo demanio secondo il quale l’istallazione cessa di contenere un valore veritativo tout court.
In tal senso, le istallazioni di Gianni Godi sono il proseguimento e la conclusione di quella parte della cultura artistica del secondo novecento che è approdata ad una pratica di non verità del discorso artistico, ed esattamente, al concetto di «ipoverità».
Scrive un filosofo del nostro tempo, Maurizio Ferraris: «Così, la postverità (potremmo dire la “post verità”, la verità che si posta) è diventata la massima produzione dell’Occidente. Quando si dice che oggi si producono balle in quantità industriale, la frase fatta nasconde una verità profonda: davvero la produzione di bugie ha preso il posto delle merci».3
Direi che il principio fondamentale di questo realismo post-veritativo è: la forma-artistica come produzione di ipoverità, di iperverità e di post-verità.
1 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 122
2 Ibidem p. 122
3 Ibidem pp. 115,116
Scrive un filosofo italiano di oggi, Massimo Donà:
«Ciò che rende il linguaggio “segno del mondo” e il mondo “disponibile alla parola” è dunque quello stesso per cui il mondo è non-mondo e il linguaggio è non-linguaggio-atopon in cui il linguaggio si toglie e lascia essere il mondo, ma in cui, allo stesso modo, anche il mondo dissolve il proprio silenzio e si fa parola.
Solo in questo luogo-non-luogo può dunque abitare la condizione di possibilità del rapporto parola-mondo.»1
Il linguaggio, anche quello della poesia, è un linguaggio che si toglie. Ogni volta, in ogni istante di tempo, il linguaggio è Altro, non è più se stesso; il luogo del linguaggio è il non-luogo. Il luogo del linguaggio è fuori dell’io, coincide e de-incide l’io nel quale provvisoriamente si trova. La voce è la presenza del linguaggio, è Figura del presente. La impossibilità del linguaggio ad ospitare tutto il dolore del mondo coincide e de-incide la sua stessa possibilità di essere.
Si può scrivere in distici soltanto se si avverte il distico come una presenza subito seguito da una assenza, come una voce subito seguita da una non-voce.
Lo spazio che segue e precede il distico è il nulla del bianco della pagina che de-istituisce la presenza del distico.
L’antitesi della scrittura (il distico) e il bianco della non-scrittura, ripropone figurativamente e semanticamente l’antitesi e l’antinomia tra l’essere e il nulla.
Il distico istituisce visivamente il nulla.
Si tratta di una percezione singolarissima. Può scrivere in distici soltanto chi ha questa percezione singolarissima.
1 Massimo Donà, L’aporia del fondamento, Mimesis, 2008, p. 521
Due poesie inedite di Giorgio Linguaglossa
Disse che aggiustava le ombre
La bellissima Dama attraversa il Ponte di Rialto,
crinolina, paillette e ventaglio.
Avenaius si presentò con due doberman, al guinzaglio,
mi disse che avrebbe patteggiato la pena con il rito abbreviato,
che trattava con le ombre, del passato
e del futuro,
farfugliò qualcosa di indistinto in quella sua lingua di eptaedri,
disse che aggiustava le ombre, e gli ombrelli.
«È questo il mio mestiere».
In quel frangente uno scroscio di tormenta si abbattè sul ponte.
«La felicità sono i suoi fogli vuoti».
«Le sue parole, caro Signor poeta, sono ponti interrotti
i ponti delle parole che nessuno
sa dove condurranno».
Poi, per soprammercato, aggiunse delle frasi sconnesse,
del tipo:
«Ella accoppia sublime e immondizie
sigizie di correaltà, apparenta
Storia ed eoni, platonismi e crudeltà.
Storialità…»
.
inserisco qui una mia poesia, fatta con gli scampoli e gli scarti di altre mie poesie, frutto di spazzatura della spazzatura, quindi spazzatura di seconda mano. Non ho alcuna pretesa di fare il Bello, come tanti letterati illustri intendono, né di fare il Brutto. Assemblo semplicemente degli scarti in rigorosi distici. Scarti di scarti di altre mie poesie già fatte di scarti. Non voglio apparire né rivoluzionario né conservatore, né innovativo o altro di che… Non intendo provocare né apparire ingegnoso.
Giocatori di golf impugnano il bastone da golf
Un prato verde. Persone in tweed fumo di Londra
camminano in fila,
si tengono stretti alle spalle di chi precede.
« …….»
Avenarius suona il campanello di casa Cogito,
ha litigato con il Signor Retro.
Il Signor Google fuma un sigaro di Sesto Empirico
e il filosofo va su tutte le furie.
Persone in casacca gialla e pantaloni bleu giocano a golf,
giocano a golf.
Una pallina bianca rotola di qua e di là.
Un valletto percuote il gong.
Una folla tra la ghiaia, il prato verde e lo specchio.
Un pappagallo verde. Un orologio giallo.
Hockey in casacche striate, pantaloni bleu.
Palline bianche che rotolano sul tappeto verde
di qua e di là.
Giocatori di golf impugnano il bastone da golf.
27, 28 ottobre 2018. Dialoghi e Commenti su La Memoria, il Tempo, lo Spazio, l’Oblio della Memoria, la Postverità, Ipoverità, Iperverità, de-materializzazione, la Poesia, l’Inconscio – Poesie di Mario M. Gabriele, Francesca Dono, Mauro Pierno, Gino Rago, La storica domanda di Mandel’štam: «con chi parla il poeta?». Rispondo: «con la Memoria»
Giorgio Linguaglossa
Intorno al 1919 Osip Mandel’štam scrive un saggio Sull’Interlocutore e punta la sua attenzione critica sul problema ignorato dai simbolisti: «Con chi parla il poeta?». Punto cruciale della nuova poesia acmeista era, nel pensiero del poeta russo, di ripristinare un corretto rapporto con l’«interlocutore», anzi, il presupposto filosofico sul quale si basava il suo concetto di poesia acmeista era quello di individuare un «nuovo» rapporto con il «pubblico» e con l’«interlocutore». La «nuova poesia» avrebbe dovuto identificare un nuovo pubblico e un nuovo concetto di «interlocutore». Era una posizione strategica e una posizione filosofica.
Oggi mi sembra che questo sia il problema centrale per la poesia italiana: Con chi parla la poesia di Bacchini? Con chi parla la poesia di Attilio Bertolucci? La poesia di Bertolucci, penso a La camera da letto, richiede una grande lentezza. La poesia paragiornalistica che verrà dopo Satura di Montale richiede invece una grande velocità. Come mai questo fenomeno? Che cosa è cambiato nella poesia italiana? Con chi parla la poesia post-montaliana (post Satura, del 1971)? Quale è l’«interlocutore» della «nuova poesia»?
Io penso che la poesia del presente e del futuro debba avere al centro della propria ricerca la questione della memoria e dell’oblio della memoria. E riproporrei la storica domanda di Mandel’štam: «con chi parla il poeta?». Rispondo: «con la Memoria».
La Signora Miniver sembrava un’opera d’arte.
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Mario M. Gabriele, dalla raccolta di prossima pubblicazione Registro di bordo
La Signora Miniver sembrava un’opera d’arte.
Risalimmo le scale fino alla mansarda
per vedere La Bella Elena di Offenbach
-Portami fuori da questo luogo – disse Catherine.
Le ricordai I canti dell’esperienza e dell’infermità.
Uno chiese un calice d’oro per l’altare
senza aver mai incontrato le carmelitane.
A Vladivostock pagammo in sogno 30 kopejki
per passare il Golden Bridge.
Un avvoltoio si posò nella steppa
scegliendo il meglio della rappresaglia.
– Presto- disse Cristian,
-bisognerà rivedere i passepartout -.
E non eravamo ancora certi se ricaricare gli orologi,
dare il veleno ai topi.
Paulin si fece avanti tenendo tra le mani
un biglietto per Okinawa.
Le condizioni anomale del tempo toccarono le rose
tranne la Primavera di Botticelli.
.
Mauro Pierno
un tempo, quale tempo,
se la figurazione sfugge
se oltre la siepe un confine spinge
se nella mano
un vortice appare di consolanti nubi
che non dovrai schiarire
che non dovrai riscrivere
mai.
un cielo sereno,
profondamente sereno e sgombro di nuvole.
Un antefatto.
Inquietante.)
.
Francesca Dono
Non conosco la donna che cammina.
Neanche gli altri spinti solo da un invisibile risacca.
Sono tutti qui. Al mercato rionale dei vestiti incrociati. Una folla vagante. Fedra raccoglie quello che trova nel pantano. In un minuto qualunque.
L’autunno sale alle bocche spogliate
anche quest’anno. A dispetto dei sospiri più fitti. Sound di
onde a digiuno. Un déjà-vu palpitante. Nero crostaceo del freddo.
Appendix
(Lacera et misera bestia non orare pro nobis .Tuos utero feroce. In abbundantia disordinem ordinatus pescis )
.
Gino Rago
Versi da alcune meditazioni sul Quadridimensionalismo
Su La Quarta Dimensione
“La madeleine*. Il selciato sconnesso.
Il tintinnio di una posata.
Le chiavi di casa perdute in un prato.
Diventano in noi la resurrezione del passato?
Fanno riapparire il tempo nello spazio?
[…]
Il passato si ripete nella materia grazie alla memoria.
Il tempo perduto esce dalla profondità delle quattro dimensioni.
Perché l’uomo è spaziotempo.
Perché al profondo, nel lungo e nel largo
soltanto l’uomo lega ciò che è stato.
Il tempo perduto. Il tempo passato.
Gli infiniti punti dello spazio e gli infiniti istanti del tempo
possono vibrare insieme solo nella Memoria.
E il presente è la scheggia di tempo che ricorda il passato.
La morte qui non c’entra. […]”
Mario M Gabriele
Un giorno ho chiesto a uno psichiatra, amico di vecchia data, se l’uomo è in grado di vivere senza la memoria. È possibile, mi disse, solo se è una sua libera scelta o se è un paziente affetto da Alzheimer. Il ricordo può essere positivo, se gli elementi che lo determinano si correlano al piacere della vita, o negativo se i dati ad esso correlati, sono dolorosi e incancellabili e quindi di sradicamento dall’archivio della memoria.”Il cervello, scrive Sergio della Sala su “Micromega” n7 -2010 – pag. 37 ha una doppia funzione, anche secondo Umberto Veronesi, che si lascia attrarre dall’idea del cervello double face.”
Nota è la sua intuizione nell’affermare che “siamo largamente imperfetti con le nostre debolezze e le nostre difficoltà, con un cervello che ha un emisfero cognitivo, razionale, logico, matematico, e l’altro emisfero che elabora sentimenti, emozioni, fantasie”.
Su questi indirizzi operativi il cervello conserva o abbandona la memoria secondo il rapporto che essa ci propone.
Ma c’è anche un altro punto di vista: quello di Edoardo Boncinelli, che in fatto di funzionalità della mente e del suo operare con la memoria ne spiega la ragione osservando che “la mente è tutto ciò che accade nella nostra testa. C’è anche una periferia che noi chiamiamo cuore, perché molte delle nostre emozioni le sentiamo nei vasi che passano vicino al cuore”. Da qui l’accettazione o il rifiuto di ciò che domina la nostra vita con il ricordo.
Scrive Barbara Spinelli su “Il Corriere della sera” che Il Novecento è stato il secolo ammalato di amnesia: Non a caso, Claudio Magris citando il libro della Spinelli: Il sonno della memoria, rileva che” tutto il tema del volume ruota intorno al sonno della ragione e sottolinea il valore razionale, oggettivo e non elegiaco-sentimentale della memoria. Come il sonno della ragione, anche quello della memoria può generare mostri” Continua a leggere →
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Con tag 27 28 ottobre 2018, Alfonso Cataldi, Annalisa Arci, Antonio Riccardi, Attilio Bertolucci, Carlo Augusto Viano, de-materializzazione, Dialoghi e Commenti su La Memoria, Donatella Costantina Giancaspero, giorgio linguaglossa, Il tempo, iperverità, ipoverità, L'Inconscio, L'oblio della memoria, la Poesia, la Postverità, Lo spazio, Lucio Mayoor Tosi, Mario M. Gabriele, maurizio ferraris, Montale, nuova ontologia estetica, Osip Mandel'stam, Petr Král, Sull’interlocutore