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Donatella Bisutti,  Antologia, Sciamano (Poesie 1985-2020) Delta 3 edizioni, gennaio 2021, pp. 278 € 20, Dalla storicità forte alla storicità debole di oggi, La poesia italiana tra la fine della prima e l’inizio della seconda Repubblica, Nota ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, Prose poetiche da Inganno ottico del 1985

Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

Di recente, parlando della poesia dei poeti venuti dopo Composita solvantur di Fortini (1994) ho  indicato le generazioni venute dopo-Fortini come i titolari di una «minore consapevolezza storica e stilistica» del novecento e della tradizione. Un interlocutore mi ha chiesto che cosa volessi significare dichiarando Fortini come «l’ultimo poeta storico» del novecento. Sì, è vero, non sono stato esauriente con quella mia frase, cercherò di spiegarmi: dirò che la poesia che è venuta dopo l’ultima opera di Fortini è in qualche modo «minore» in quanto non più saldata alla tradizione del novecento. È questo il punto. Non volevo essere diseducato nei confronti dei poeti venuti dopo il 1994, afferrare questo nodo ci consente di acquisire consapevolezza storica della «debole storicità» delle generazioni che sono venute dopo il 1994. Ci sono ovviamente anch’io tra coloro che hanno sostato a lungo in una «condizione di debole storicità», anch’io, nato nel 1949, mi trovo coinvolto a pieno titolo in questa condizione di «debolezza ontologica», come tutti, nessuno escluso. Spero così di avere escluso dalle mie parole qualsiasi intento diminutorio.

Il problema una volta posto sul tavolo di dissezione, bisogna vivisezionarlo, osservarlo con attenzione prima di accingersi ad una diagnosi e una prognosi. Noi le nostre diagnosi e prognosi le abbiamo fatte con la «nuova ontologia estetica», una piattaforma che segna un momento di ripresa di consapevolezza, pur nell’ambito di una condizione di «debolezza ontologica» della nostra condizione attuale.  Quale sia l’orizzonte degli eventi di questa condizione di «debolezza ontologica» lo possiamo intuire da questa Antologia di Donatella Bisutti che raccoglie le poesie del fulminante esordio della poetessa, Inganno ottico (1985) dal 1985 al 1999 e un folto gruppo di inediti che vanno dal 1985 al 2020, dal titolo, Sciamano.

Lo statuto di fine della poiesis

Lo spazio espressivo di questa itinerario poetico è indicativo di questo statuto di fine della poiesis . La poesia italiana a cavallo tra i due millenni un giorno sarà studiata come una tipica epoca di transizione, e le poche opere che rimarranno verranno ricondotte nella trama di quella crisi auto immunitaria della debole democrazia italiana che ha il suo contrappunto nel letterario nella disgregazione della forma-poesia. Questo risulta chiaro con il senno di poi, a distanza di quattro lustri dagli anni ottanta quando fa la sua comparsa la raccolta d’esordio di Donatella Bisutti, Inganno ottico del 1985. La distanza che intercorre tra l’opera di esordio e la raccolta inedita che compare in questo volume, Sciamano, può essere interpretata come la narrazione della destabilizzazione e  della crisi identitaria dell’io poetico, che fa da contralto alla crisi identitaria della democrazia parlamentare italiana che è sfociata nella seconda repubblica, con la susseguente de-politicizzazione che ne è seguita ed è ancora in corso.

In questi decenni è divenuto sempre più chiaro che il pensiero poetico e filosofico non ha più alcun oggetto se non l’erranza della metafisica, l’eclissarsi della metafisica, con annesso e connesso il bagaglio degli strumenti retorici ed ermeneutici che quella metafisica portava con sé. Ciò ha comportato, per i poeti più vigili, una presa di consapevolezza che quella metafisica non era più utilizzabile ed  ha costretto ad andare al fondo della crisi. È il caso di Donatella Bisutti, sempre oscillante tra il sacro e il profano, tra il poetico e il prosastico, costretta ad adottare un linguaggio sempre più profano e profanato dalla civiltà della sovrapproduzione di merci e dell’informazione militante. La poetessa milanese ha raccolto quegli «stracci» che il novecento ci ha lasciato in dono, in eredità, con la consapevolezza che si tratta, appunto, di stracci, di relitti e che è con questi relitti che ha edificato la sua poiesis.

I classici dell’ottocento e del novecento ci appaiono sempre più lontani, estranei, perdono la loro aura di modelli, di costrittività, di esemplarità. Sono pensati come un relittuario di presenze-assenze, di simulacri, di ordini di valori conchiusi, lontani, inaccessibili, un ordine di valori de-valutati, appartenenti ad un passato già passato che è inutile perlustrare, ripercorrere, indagare, che forse è più utile porre tra parentesi, dismetterlo. La Bisutti comprende questa problematica, la affronta con il pensiero che occorre una rinegoziazione di un passato che non si consegna se non nella forma di una latenza, di un venir meno.

Donatella Bisutti

La questione del linguaggio.

Un tempo si pensava che porre la questione del linguaggio fosse una cosa che riguardasse l’attivismo di ciascun autore, che il linguaggio era un corpo, erano dei «materiali» nei quali si poteva entrare a piacimento con gli strumenti chirurgici offerti gratis dalla nuova scolastica che era data dallo sperimentalismo, intendo qui con il termine sperimentalismo anche tantissima parte di ciò che veniva volgarizzato anche dalle posizioni conservatrici: l’orfismo con le sue adiacenze, riflesso speculare di una poiesis  positivizzata. Quando invece il linguaggio è una pre-condizione, una pre-supposizione che postula se stesso. Un paradosso. Una pre-condizione che postula il nulla prima di esso è una condizione nient’affatto raccomandabile, ed anche spiacevole, si resta senza corrimani, punti d’appoggio, riferimenti. È che bisogna entrare in un altro ordine di idee: il fatto che non si può pensare di scrivere poesia se non sulla pre-comprensione della crisi che avvolge il linguaggio e il soggetto del linguaggio, che la crisi del soggetto lirico è la crisi del suo linguaggio, che non c’è un soggetto lirico prima, e poi il suo linguaggio, equivoco nel quale sono caduti molti poeti di questi ultimi decenni.

Come ha scritto Gino Rago in un suo recente intervento sull’Ombra: “La poesia italiana ha perduto, per ragioni storiche, lo spazio espressivo integrale consolidato della forma-poesia tradizionale, ha perduto fiducia nelle credenziali di un «modello» o «canone»”. Precisazione pertinente e inequivocabile. La perdita di esemplarità del «modello» era già evidente nell’opera di esordio della Bisutti, Inganno ottico (1985) che era tutta concentrata sulla crisi dell’io. Alla fine degli anni novanta quella crisi non è più un «inganno ottico» ma si rivelerà in tutta la sua portata: un problema ontologico,  assiologico, di opzione di quale linguaggio adottare e di un nuovo modello di anthropos prima ancora che di poesia. La Bisutti porrà nei testi ultimi di Sciamano (2020) il binomio Silenzio-Assoluto, di qui la sua poesia della interrogazione.

Della Antologia della Bisutti mi vorrei soffermare su alcune prose dell’opera d’esordio che mi sembrano significative della crisi di cui abbiamo discusso. A rileggere queste prose della poetessa milanese comprendiamo ciò che negli anni ottanta non era ancora ben visibile: il linguaggio poetico stava diventando uno spazio polivalente, interscambiabile, sostanzialmente narrativo, e quindi opaco, nell’ambito del quale non si dava più alcuna esperienza epifanica, e che  non restava che narrare la caotica dimensione degli spazi interscambiabili dei linguaggi neutri e neutralizzati, narrare il rumore (o il silenzio) che sta dentro e dietro la parola rumorosa e tra le parole come  il solo modo per iscrivere le tracce  della soggettività nel linguaggio. L’opera d’esordio di Donatella Bisutti è uno dei primissimi reperti di questo processo epocale che poi malauguratamente sfocerà, deteriorandosi, nel minimalismo degli anni ottanta e novanta e nel privatismo esasperato di tanta poesia di oggi. Ecco come si esprime Donatella Bisutti rispondendo ad alcune domande di Michele Bordoni: « fin da bambina, e moltissimi anni prima di scoprire la meravigliosa Trilogia della conoscenza  di Julian Blaga in cui si spiega perché il Mistero deve essere affermato come un dogma, e di leggere e tradurre Edmond Jabès che con il suo sterminato Livre des questions testimonia della necessità di porre domande piuttosto che attendersi risposte, io istintivamente non volevo che venisse svelato il mistero. Sentivo il bisogno, la necessità del mistero. Nei miei giochi infantili, in cui si facevano “magie”, non volevo scoprire che queste magie erano solo trucchi, anche quando sarebbe stato facile farlo, volevo serbare intatta la loro potenzialità fantastica. Non volevo essere furba, volevo essere ingenua. La furbizia non è una caratteristica della Via. Non è nemmeno una scorciatoia. Ulisse nei miei versi è un eroe della domanda, non un maestro dell’inganno.» (Intervista, 2021)

Donatella Bisutti, da Inganno ottico (1985)

Inganno ottico

Se fissi un punto, quello soltanto, e su di esso ti concentri intensamente, ciò che lo circonda, fosse pure un orizzonte sterminato, diventerà semplice cornice di quel punto. Se continui a fissarlo concentrando su di esso tutta la forza del tuo sguardo, insensibilmente anche la cornice intorno sparirà e quel punto solo rimarrà davanti ai tuoi occhi, sempre più luminoso anche se su di esso non cade alcuna luce. Sarai preso allora da amore sempre più intenso per quel punto, che è unico, finché sarai capace di vedere il mondo intero contenuto in esso. Allora sarai pronto per l’ultima ineffabile rivelazione perché il tuo sguardo si farà confuso e non riuscirai più a fissarlo: non vedrai più nulla di nitido davanti a te, non vedrai più nulla.

In coperta (da un quadro di Hopper)

Due uomini in coperta, uno avvolto in un plaid – l’altro chino in avanti, col cannocchiale. Il mare: rigide increspature che si allontanano. L’uomo col cannocchiale potrà scoprire solo un punto di fuga più remoto: non c’è quindi differenza fra lui e l’altro che sdraiato si abbandona a questa sottrazione operata sul mondo circostante. Cosi la realtà e il tempo si allontanano da noi in una corsa senza fine: il loro espandersi è un sottrarsi, mentre la nostra imbarcazione si avvicina alla meta. Continua a leggere

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Donatella Bisutti: Un itinerario attraverso la mia poesia: Relazione tenuta al Laboratorio di Poesia L’Ombra delle Parole, Roma, Libreria L’Altracittà l’8 marzo 2017

Laboratorio di poesia 8 marzo 2017

Laboratorio di Poesia L’Ombra delle Parole, Roma, Libreria L’Altracittà l’8 marzo 2017, in primo piano, Donatella Bisutti

Donatella Bisutti è nata e vive a Milano. È giornalista professionista. Ha collaborato in particolare alla collana I grandi di tutti i tempi (Mondadori) con volumi su Hoghart Dickens e De Foe e ha tenuto per otto anni una rubrica di poesia sulla rivista Millelibri (Giorgio Mondadori editore). Nel 1984 ha vinto il Premio internazionale Eugenio Montale per l’inedito con il volume Inganno Ottico (Società di poesia Guanda,1985). Nel 1990 è stata presidente della Association Européenne pour la Diffusion de la Poésie a Bruxelles. Di poesia ha poi pubblicato Penetrali (ed.Boetti & C 1989), Violenza (Dialogolibri, 1999), La notte nel suo chiuso sangue (ed. bilingue, Editions Unes, Draguignan, 2000), La vibrazione delle cose (ed. bilingue, SIAL, Madrid, 2002), Piccolo bestiario fantastico,(viennepierre edizioni , Milano 2002), Colui che viene (Interlinea, Novara 2005, con prefazione di Mario Luzi). È in via di pubblicazione a New York l’antologia bilingue The Game tradotta da Emanuel di Pasquale e Adeodato Piazza Nicolai (Gradiva Publications, New York). La sua guida alla poesia per i ragazzi L’Albero delle parole, è stata costantemente ripubblicata e ampliata dal 1979 e attualmente edita nella collana Feltrinelli Kids (2002). Il saggio La Poesia salva la vita pubblicato nei Saggi Mondadori nel 1992 è negli Oscar Mondadori dal 1998. Nel 1997 ha pubblicato presso Bompiani il romanzo Voglio avere gli occhi azzurri. Fra le traduzioni il volume La memoria e la mano di Edmond Jabès (Lo Specchio Mondadori 1992), La caduta dei tempi di Bernard Noel (Guanda 1997) e Estratti del corpo sempre di Bernard Noel (Lo Specchio Mondadori 2001).Il suo testo poetico “L’Amor Rosa” è stato rappresentato come balletto al Festival di Asti con musica del compositore Marlaena Kessick. Ha curato per Scheiwiller l’edizione postuma delle poesie di Fernanda Romagnoli, dal titolo Il Tredicesimo invitato e altre poesie (2003). È nel comitato di redazione della rivista «Poesia» di Crocetti per cui cura la rubrica «Poesia Italiana nel Mondo», nella redazione delle riviste «Smerilliana» e «Electron Libre» (Rabat, Marocco), tiene una rubrica di attualità civile, «Il vaso di Pandora», sulla rivista «Odissea» e una rubrica di interviste «La cultura e il mondo di oggi» sulla rivista di Renato Zero «Icaro». Collabora a diversi giornali e riviste, tra cui l’Avvenire, Letture e Studi Cattolici, Fonopoli, Leggendaria, La Clessidra, Semicerchio. È membro dell’Associazione Culturale Les Fioretti a Saorge in Francia. Tiene corsi di scrittura creativa per adulti, corsi di aggiornamento per insegnanti anche a livello universitario e laboratori di poesia per le scuole. Ha ideato e dirige la collana di poesia autografata “A mano libera” per le edizioni Archivi del ‘900 in cui sono apparsi finora testi di Luzi , Spaziani e Adonis. È tra i soci fondatori di “Milanocosa”.

Donatella Bisutti 1

Donatella Bisutti

Donatella Bisutti

AMBIGUITA’/ ENIGMATICITÀ/IMPOSSIBILITA’ DELLA CONOSCENZA

La mia poesia si muove in diverse direzioni, temi esistenziali che comprendono:

poesie d’amore
poesia ispirata alla natura, agli animali, agli oggetti
poesia civile
poesia mistica

ma dietro c’è una visione comune: la poesia come mezzo per raggiungere una zona psichica profonda dove conscio e inconscio si possono incontrare. Questa è soprattutto la zona dell’inconscio collettivo junghiano e quindi dei simboli: è qui che il significato di una poesia può diventare universale.

Il mio metodo di lavoro consiste nello scrivere solo quando mi viene la cosiddetta “ispirazione” cioè un incontenibile spinta interiore verso la scrittura, e nel non forzarla mai: è la condizione necessaria per raggiungere questa zona profonda. Successivamente, dopo un intervallo di tempo anche molto lungo,  lavoro sul testo per portarlo a una possibile perfezione. In una poesia come Oedipica l’inconscio viene affrontato di petto. Ma anche qui il linguaggio è fortemente simbolico:

Oedipica

Ancora oggi voglio un uomo diverso da te:
non credi all’ondeggiare dello Spirito
sulla punta della fiamma, ad ogni soffio
che l’inclina
come una foglia di luce, più salda
delle ombre,
più
testarda.

Invecchiando – più frivolo, più
infantile.
Ormai privo di doveri, giochi.
I tuoi occhi azzurri
che vedono meno bene
ritornano a stupirsi,
interrogano.

A desso non so cosa fare con te.
Non ti odio più.
Ti accarezzo la mano come a quel figlio maschio
che non ho avuto.
Forse sono diventata un po’ tua madre.
Ma siamo stati mai negli anni
semplicemente e solo
padre e figlia?
Oppure inevitabile
quell’affollato palcoscenico
quella patetica tragedia?

La fiamma è qui concretamente quella di una  candela (e si riferisce in realtà a una circostanza reale, la morte di mia madre), ma è anche uno dei simboli più forti dello Spirito, che si contrappone all’Ombra che, per parte sua, è un altro archetipo.  La fiamma secondo  varie tradizioni esoteriche simboleggia lo Spirito divino, la fiamma verticale della candela che tende all’al di là è uno dei maggiori simboli della trascendenza  Ma simboleggia anche l’anima. Anche la speranza. È d’altra parte anche  la fiamma dell’eros, o la fiamma del rogo che brucia le streghe. È dunque qui un simbolo fortissimo, posto subito all’inizio, doppio e ambiguo: Dio e Diavolo insieme. Così l’opposizione edipica  si configura  anche come opposizione fra spirituale  e il terreno. La seconda strofa rappresenta questo spazio del terreno.

Laboratorio 1bis febbraio

Laboratorio di poesia dell’8 marzo 2017, da sx Giorgio Linguaglossa, Salvatore Martino, Gabriele Pepe

Laboratorio di Poesia L’Ombra delle Parole, Roma, Libreria L’Altracittà l’8 marzo 2017

La poesia si costruisce in particolare su una serie di opposizioni:

invecchiando/infantile: opposizione sottolineata anche dalla doppia in iniziale che collega le due parole;

e anche: frivolo/infantile; dovere/gioco ;stupirsi(passivo)/interrogare(attivo); odio/accarezzo ;figlio/madre ; padre/figlia; figlio/non avuto.

In particolare, è da osservare la doppia opposizione incrociata : figlio/madre e padre/figlia.

Inoltre,  sono frequenti gli accenti sdruccioli (sempre nella mia poesia) che imprimono un ritmo al tempo stesso rapido e come di sottrazione, di fuga.: spirito, frivolo, interrogano, inevitabile, palcoscenico

Ci sono poi suoni aspri, che richiedono uno sforzo di pronuncia: maschio madre accarezzo

C’è un ripetersi della sillaba ma:  che unisce  e ribatte l’unione maschio/madre, poi anche mano mai ma assonanze anagrammate: siamo stati mai; percussività: te /più; altre assonanze con la t e il ta: diventata stati e in generale una presenza molto tagliente della t: te ti avuto diventata stati semplicemente inevitabile affollato patetica

È tutto un linguaggio simbolico: la t tagliente indica la frattura, le sdrucciole e le altre gli altri suoni aspri indicano la difficoltà del rapporto.

Anche un verso come: “oppure inevitabile” è altamente percussivo.

Nel rapporto col padre l’immagine centrale è dunque il fuoco, che rappresenta  insieme lo spirito e l’amore, il sacrifico e la ribellione; mentre in quella della madre in Anniversario dei morti sarà la neve, che è simbolo di morte.

Questa simbologia (involontaria, scaturita direttamente dall’inconscio) è per me una riprova della validità  della poesia in questione.

Anniversario dei morti è tutta giocata sulla i:come una serie di singhiozzi. È una poesia che per molto tempo mi sconvolgeva leggere in pubblico.  Anche qui i ruoli si invertono e la madre diventa  la bambina. C’è l’evocazione di un corpo vivo le cui parti vengono nominate: braccia piedi labbra mano

Anche qui simboli: la falce delle labbra e la falce della morte.

Anniversario dei morti

Tu che con braccia severe
mi allontanavi
e mi atterrivi con storie di fantasmi
ora t’affacci timida da sopra il muro
per timore di essere scacciata.
Nevica
e i tuoi piedi freddi in una
vaga foschia lasciano impronte.
Inconsolata mi tendi
la mano, ché la speranza è anche dei morti.
Così madre bambina percorri i viali
tu che dominavi, incerta,
finalmente un sorriso
sulla chiusa falce delle labbra.
Ma nevica e la giornata
volge alla sua fine – nemmeno questa volta
apportando il perdono
o l’oblio.

Laboratorio di poesia 8 marzo 2017 G. Linguaglossa prospettiva

Laboratorio di Poesia L’Ombra delle Parole, Roma, Libreria L’Altracittà l’8 marzo 2017

Enigmaticità  degli oggetti

Un tema che mi ha sempre affascinato è quello degli oggetti e della loro enigmaticità. Gli oggetti, gli esseri inanimati, ma anche le piante, gli animali – non tanto per ritrovare in loro una dimensione antropologica, quanto al contrario per individuare attraverso di essi una zona altra rispetto alla nostra umanità, il loro margine enigmatico di realtà altra. Da questa realtà altra ci vengono dei segnali che la poesia deve cercare di decifrare.

Esempio: La sfera   (da Inganno ottico):

La sfera

La sfera ci insegna questo:avere
Il proprio centro in sé,
nel punto
da cui ogni altro punto
– galassia –
Si allontna.

Questa enigmaticità si ritrova nel Lo Sguardo del gatto (Rosa Alchemica):

Lo sguardo

Il gatto
apparve dal fondo del giardino
leccò un po’ dalla ciotola
poi sedette immobile
lo sguardo diritto fisso
le sue pupille nelle mie pupille
senza ringraziare né chiedere
solo guardare.
Ed io fui intera nelle sue pupille
interamente dentro quello sguardo
senza giudizio senza attesa
quietamente fui.

Ma questa realtà altra non credo che la poesia debba pretendere di raggiungerla: fondamentale per me la grande lezione di Jabès, che ho tradotto: quello che è importante è la domanda, non la risposta.
In questa direzione per esempio va la serie dedicata alla Luna (Divagazioni sulla lunaRosa Alchemica): “a che tu non m’afferri” e “si provarono in tanti a disegnarla”.
Tuttavia per me la poesia rappresenta soprattutto uno strumento di conoscenza. Conoscenza un po’ particolare: cfr. la Conoscenza in Inganno ottico:

Conoscenza

La conoscenza avviene per semplificazione. Non è un
aggiungere, ma un togliere, fino alla perfetta trasparenza.
Lasciare depositare in fondo al vaso i detriti, il pulviscolo
inutile che si è mescolato all’acqua trasportando il vaso da
una parte all’altra dell stanza, Anche vivere non è aggiun-
gere tempo al tempo accumulato, ma sottrarre l’ecceden-
za del tempo fino alla perfetta consumazione. Anche in
questo caso il pulviscolo inutile viene depositato in un
vaso.

C’è nella mia poesia un’influenza molto forte dello zen, che è stata notata per esempio dal critico Paolo Lagazzi il quale mi ha definito tempo fa l’unico poeta zen italiano. Nei miei testi si possono trovare molti riferimenti allo zen per esempio questo: il macrocosmo è contenuto nel microcosmo come in Briciola (Inganno ottico):

Briciola

Una briciola contiene il pane.
   Una goccia
      l’acqua della ciotola
.        Non
             viceversa.

Per me  è importante in ogni caso che la poesia colga una rispondenza fra microcosmo e  macrocosmo: ritengo che questa sia la nostra verità psichica. La mia poesia è ricerca, domanda, relatività: l’assoluto della poesia è non può essere che un assoluto relativo: anche in questo c’è una forte influenza zen.  Molto importante come dichiarazione di poetica è la poesia Eternità  (Rosa Alchemica), in cui si fa tra l’altro allusione all’aneddoto zen del coltello: il bravo macellaio è quello che non consuma mai la lama del suo coltello perché lo infila nell’impercettibile spazio vuoto fra l’osso e  la carne: è questo un invito alla passività attiva, cioè all’armonizzarsi con la direzione della vita, del divenire, senza farvi opposizione, ma trovando in esso gli spazi per la propria realizzazione.  Un adattamento che l’uomo deve avere nei confronti delle energie cosmiche. Ma il tema di questa  poesia,.oltre  a questa passività attiva, è proprio quello della relatività dell’assoluto: le faville sono altrettanto eterne, o non eterne, che le stelle, ma entrambe hanno nell’attimo una loro eternità, di diversa lunghezza secondo la nostra misura del tempo, ma di uguale valore rispetto all’assoluto: microcosmo e macrocosmo condividono  una stessa eternità  dell’attimo, che per me è quella stessa della poesia.

Eternità

Tu sarai il coltello che affonda
nei bui interstizi del cielo.
Io sarò la tua notte silenziosa
affinché tu penetri
negli interstizi del silenzio e accenda
un alfabeto di faville.

Aperto dal coltello il frutto del cocco
gocciola il suo denso latte.
Una stessa luna racchiude falce e frutto,
ma guarda alla docilità del coltello.

Una stessa docilità accomuna
la lingua della mite candela che divora il buio
e la favilla che si affida.
E’ il cielo che si spoglia per la luna
o è nuda la luna per il cielo?

Albero della mia nave
la tua punta squassata infilza il vento.
Nell’oscurità del legno il fuoco sale
fino alla fredda luce quieta delle stelle.
Non ricomporrai il filo
delle perle che la notte ha sparso,
a quella sempiterna, a quella chiara
luce ordinando il cosmo.
L’inquieto sciame ogni notte divora
il madido frutto della luna.

Sii legna e taglialegna.
dalla circoncisione del tronco
alto si leva lo sciame delle lettere.
Più vicino – per questo solo più ardente alfabeto
firmamento più effimero
di quello delle stelle.

                                          Sola
eternità è la docilità che si consuma.

Laboratorio 8 marzo 2017 Donatella Bisutti

Laboratorio di Poesia L’Ombra delle Parole, Roma, Libreria L’Altracittà l’8 marzo 2017, Donatella Bisutti

Da tutto questo, e da altri testi, si può concludere che attraverso la poesia io vado scoprendo e confermando una visione metafisica, esoterica, e anche mistica della realtà   che è poi quella in cui credo nella mia vita. Tutto il contrario del nichilismo, ma piuttosto qualcosa che si rifà, oltre che allo zen e allo yoga, alle varie correnti esoteriche  più o meno sotterranee che si sono avute anche in Occidente nel corso dei secoli: dai misteri di Eleusi all’ermetismo, al neoplatonismo , alla ricerca alchemica.

In questa poesia Eternità ci sono alcuni simboli archetipi che vengono alla superficie, del Maschile e del Femminile : la luna e il cielo/ l’albero e la nave: questo è anche un altro aspetto della mia ricerca: cercare di fare affiorare glia archetipi, i simboli nascosti profondamente nel nostro inconscio. Per questo sono molto affascinata dagli studi di Hillman: cerco di fare con la mia poesia l’esperienza della scoperta di una simbologia del profondo che  di solito mi è ignota e viene alla luce solo dopo , anche molto tempo dopo, la scrittura. Si tratta spesso di simboli che proprio non conoscevo affatto, come per Ireos (Inganno ottico):

Ireos

Intrepidi
finché il colpo luttuoso della spada
non penetri lo squarcio delle foglie.

Ho scoperto solo dopo per caso che l’ireos è per i giapponesi un simbolo della forza virile e questa è simboleggiata dalla spada.
Questo di scoprire che una certa immagine corrispondeva a un simbolo, magari di altre culture, a me sconosciuto, mi è successo diverse volte.
Io cerco sempre di perseguire questo tipo di scrittura ai limiti dell’inconscio e a volte la scrittura è stata un vero e proprio happening come nel caso di Ballata della nascita e della morte (Dal buio della terra)

Ballata della nascita e della morte

Separata da quel ventre
di umori e succhi
che fu la mia casa
e volendo dimenticare mi rifiuta
pezzetto di carne sanguinosa
piombo
nel precipizio oscuro della notte.

Ti capovolgi e ruoti
precipitando fra le stelle
perfori
la chiusa volta celeste
nel cunicolo del sangue e delle feci
pezzetto di carne sporca
ora puoi solo esplorare il buio
e perderti.

La notte non ha appigli
non sai se precipiti o sali
e le tue dita battono sul vetro
quando dal nero abisso d’acqua
affiori a respirare.

Tu non sei nulla.

Proiettata fuori da quel corpo
che ora ad altri si dà
il tuo solo legame è con ciò
che odi.

Ed ora questo grande corpo morto davanti a me
ha lasciato l’ormeggio
allontanandosi immenso
– quella parte di me che è morta.

Aprite questa bara
ancora non ho conosciuto il mondo.
Questo corpo che mi è stato caro
dovrà dunque disfarsi?

I morti

I morti uccidili di nuovo
strappali come male erbe
da dove stanno sospesi
e ci minacciano –
nel tempo sospesi come
vessilli spezzati
i morti ridenti
i morti dai denti lucenti
ci incalzano a nostra volta a morire
così i morti seppelliscono i morti.
Ma tu amore perdonali
e perdonando infilza il coltello
nelle loro gole di vento
strappa loro un grido
come le sirene notturne strappano gridi alla nebbia
e poi strappati gli occhi
guarda finalmente senz’occhi.

A questo proposito ho fatto anche l’esperienza dell’affioramento di quella che vorrei chiamare “memoria genetica”  prenatale come in Reticolato (Inganno ottico).

In foto: Steven Grieco Rathgeb e Vincenzo Mascolo

Una lettura  di Inganno ottico e oltre

La prosa iniziale, che dà il titolo al libro, può essere letta come un manifesto di poetica. Il suo tema è infatti un rovesciamento della visione che si produce per eccesso di concentrazione visiva sull’oggetto. Non è un ragionamento astratto, ma come sempre una mia personale esperienza: .la realtà appare come uno schermo: quello che consente di passare al di là di esso- al di là di questa realtà per trovarne un’altra, è un capovolgimento improvviso. Ma questo non ha niente a che fare per esempio con quello del dadaismo: capovolgimento della logica nell’assurdo. Qui non esiste un passaggio a una surrealtà, invece il rovesciamento della visione si identifica con il vuoto, il nulla. Questo nulla non è tuttavia quello del nichilismo. A questo proposito ci sono stati dei  fraintendimenti sulla mia poesia. Qui il nulla  è quello dello zen: un nulla colmo, una nozione positiva anche se non antropocentrica: una nozione che contiene senza volerla definire la complessità e ambiguità del reale e della vita senza inseguire spiegazioni razionali, senza ricondurla a parametri umani, ma piuttosto tentando di ricondurre l’uomo a parametri a lui esterni , se non quasi estranei, non necessariamente trascendenti, ma ignoti. Questo è qualcosa in cui io credo profondamente, la potrei forse definire una specie di metafisica preclusa. Raggiungere questo spazio è in fondo il tentativo che io faccio scrivendo poesia.

Inganno ottico

Se fissi un punto, quello soltanto, e su di esso ti concentri
intensamente, ciò che lo circonda, fosse pure un orizzonte
sterminato, diventerà semplice cornice di quel punto.
Se continui a fissarlo concentrando su di esso tutta la for-
za del tuo sguardo, insensibilmente anche la cornice intor-
no sparirà e quel punto solo rimarrà davanti ai tuoi occhi,
sempre più luminoso anche se su di esso non cade alcuna  luce.
Sarai preso allora da amore sempre più intenso per quel
punto, ch è unico, finché sarai capace di vedere il mondo
intero contenuto in esso.
Allora sarai pronto per l’ultima ineffabile rivelazione per-
ché il tuo sguardo si farà confuso e non riuscirai più a
fissarlo, non vedrai più nulla di nitido davanti a te, non
vedrai più nulla.

Questa impossibilità di arrivare alla conoscenza è detta ne Il punto  (Inganno ottico). Per la positività del vuoto si può leggere anche Gesti (Inganno ottico). Il vuoto è dunque positivo, e così l’allontanamento: anche l’allontanamento positivo della Sfera  (Inganno ottico).È questo il rifiuto di una ricerca consapevole e volontaria, di una progressione come comunemente si intende. Qui il capovolgimento  è solo un salto di percezione: cfr. Non ci chiede di avanzare  (Inganno ottico). Il modo di arrivare alla verità non solo metafisica ma anche della scrittura poetica è da un  lato quello della semplificazione e dall’altro  quello della passività: Conoscenza e Corpo e acqua (Inganno ottico):

Corpo e acqua

Più uno lotta contro le onde, più l’acqua gli invade la boc-
ca, gli occhi, se ne appropria, lo incorpora. L’acqua cessa di
essere un fuori, per penetrare dentro, diventare dentro. Ma
questa fusione è apparente: il corpo diventa totalmente
acqua solo per ricostituirsi corpo al termine di ogni ondata.
Mentre se si abbandona, l’acqua cessa di essere ostacolo
per divenire veicolo: gli scorre intorno, lo accarezza, lo
delimita in un disegno, ne fa un’isola che va galleggiando
con dolcezza nel giro infinito dei mari, trasportata dalle
correnti.

Questa idea della passività , o ottusità c’è anche in Su una stampa di Chahine (Inganno ottico) e in Eternità (Rosa Alchemica). Essa unisce l’idea di rischio a quella di vulnerabilità: La cascata (Dal buio della terra):

La cascata

Quello che persuade nella cascata è il coraggio
con cui affronta il vuoto.
Così è generata la bellezza:
nell’assoluta indifferenza dell’economia di sé.
Come tutto ciò che è pronto a perdersi, incute timore.

Al di là dei suoi velari
intravvediamo non più la misura del Tempo
ma la sua sostanza.

Il tema della luna che ricorre spesso rappresenta il femminile, quello di tutti noi in quanto zona inconscia, junghiana. A questa zona si riferisce anche Selbst (Rosa Alchemica):

Selbst

La stanza
la voglio monacale:
una precisa
porzione di infinito.
Ed io
dentro
a risuonare il vuoto.

Ricorre anche il tema della notte .Il mio tentativo è quello di collegare la zona dei significati alla zona inconscia, di operare dei collegamenti, dei passaggi profondamente intessuti nella trama del testo: Plenilunio (Dal buio della terra):. Anche di operare a livello psichico profondo provocando una reazione fra le parole, e anche una semplificazione estrema che però raggiunga insieme la massima profondità e la massima ambiguità.

Plenilunio

Questa è l’ora in cui
il diritto è rovescio
e chiaro ciò che di giorno nasconde
oscure
profondità.
Nere serpi opprimono la notte
gli occhi acceca il pallore del mondo.
Il silenzio scivola
sull’acqua calma.
Ora vivrò della dolcezza immateriale e paurosa
dei cespugli.
Vivrò delle pallide ombre della luna
della silenziosa attesa.

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