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POESIE SCELTE di František  Halas (1901-1949),  IL BAROCCO AUTUNNALE DELLA POESIA CECA, Traduzione di Angelo Maria Ripellino e Presentazione critica di Antonio Sagredo

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Presentazione critica di Antonio Sagredo

  Addensatore di tortili metafore, talvolta putrefatte e purulente, che brillano come armille… e se vuoi mettile dove vuoi… e il poeta  le preferisce intorno ai polsi, così che mani e dita siano preservate dalla consunzione, o intorno alle caviglie, così che i malleoli siano pronti a spiccare la danza! Taluni  sul capo, così che il cerebro risulti vivificante per chi lo mira; o sul cuore, così che il battito mai non cessi di brillare e di risonare come un fatuo fuoco!

Le parole che formano poesie di “lagnanze” e di doglianze stanno lì come i quattro angeli attaccaticci (che in Holan sono “quadricefali”) intorno al capezzale rabescato d’ombre e di specchi viola, e sottostanno a questo martirio metaforico e  settecentesco pazienti, poi che credono – nonostante una continua e sconfortante disillusione – alla loro risurrezione che è la colpa degli angeli adulti: “le tue ali nere quando perdi le bianche con l’infanzia” ….e le parole allora fanno da sfondo teatrale così che “la funebrità si apprende anche ai paesaggi” (A. M. Ripellino)*. Questa dilatazione spazial-teatrale oltre la quinta cartonesca, non segna, ma graffia una  geografia anche secentesca, come negli arazzi di nero-oro granito di certo gongorismo, che noi sappiamo tinto da metafisici presagi oscuri.

[* Segnati con asterisco sono i  commenti critici di A. M. Ripellino,  in František  Halas, Imagena, Einaudi 1971].

Non è tutto qui il mondo di cui si nutrono le parole halasiane, poi che se dovessimo pensare a rigogliosi giardini primaverili, non abbiamo scampo alcuno! (vedi i titoli di due poesie più in avanti)… noi saremo allora circuiti da fiori cimiteriali che anelano alla luce, e non sappiamo se invano, poi che ancora una volta ricadiamo nei meravigliosi labirinti acherontei. Il nero, il buio è ossessione halasiana.

È davvero uno strazio per il lettore non respirare aria diversa e salubre pure c’è “il benefico ossigeno del buio” (un palliativo o uno scherzo del poeta?!), ma questi, il lettore, è così attratto dalle immagini di strabiliante barocco, che non gli danno requie, ma gli donano regalie visionarie di rarissima bellezza (“cisterna di gemiti” ; “la tenebra tende le orecchie” o ossimori rivoltati come un guanto  quando si tratta di “ travolgere con una parola la valanga” ; o quando “il buio scartoccia granturco” ; e ancora riflessioni mnemoniche  come lo stupendo “Sono memoria dell’acqua / gelo” e la condanna con cui ogni poeta deve fare i conti: il fardello eterno è che  “Porti il tuo lutto manoscritto non finito” .

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  Soltanto quando dice di bambini il volto del poeta si irradia come quello di Hölderlin… “ Solo sulla testa dei bambini cade il rispetto delle luci/nella gorgiera della propria innocenza dormono quieti…””,  “Sono andato dai bimbi ad imparare/molte cose del cielo ancora sanno…”.

Non gli è secondo Holan quando scrive “ Ci sono i bambini… in verità solo loro…/Purezza di cuore, evidenza del miracolo/negato a noi adulti…

La gioia quindi non  è del tutto esclusa dal mondo annerito di Halas: ha lampi di luce che sono rari, ma brillano per questo ancora di più: tu li vedi da lontano, proprio tu che sei immerso in questa catacomba terrestre dove regna il tenebrore!, ma  l’orrore o il terrifico non regnano fine a se stessi, soltanto le parole-immagini rimandano ad essi, sono le fonti che poi si fanno reali consistenze; infatti a scorrere i titoli delle raccolte o quelli delle poesie già t’accorgi che genere di passaporto possiedi per entrare in quel mondo malubre che dell’Acheronte ha tutti gli splendori e i cantucci più sinistri.

P.e. nella raccolta Sepie (Seppia, 1927) i titoli delle poesie sono chiari: Non voglio la primavera, Quiete, Presso una tomba, Il silenzio, L’ombra, e così via; e nella raccolta: Kohout plaší smrt (Il gallo spaventa la morte, 1930) la musica non cambia: De profundis, Paesaggio velenoso, Autunno in primavera; nelle raccolte Tvař  (Il volto, 1931); Hořec (Genziana, 1933); Dokořán (Spalancato, 1936), lo studioso annota “una tenerezza ferita, una sensitiva mestizia l’angoscia per la fuggevolezza del tempo e per lo sfiorire”*;  Certo è che non di dileguano i termini che hanno a che fare con le atmosfere cimiteriali, che sono appannaggio di un neo-barocco egemone e recidivo che vede coinvolti i maggiori poeti cechi, come Vladimir Holan e Vitězslav Nezval (specie col suo poema surrealistico Il becchino assoluto, da me tradotto tantissimi anni fa e lo stesso cantore di Praga Jaroslav Seifert, e tant’altri).

Halas “è il più barocco tra i lirici boemi”* di quel periodo… è poeta autunnale… e comprendete allora perché alla fine della sua vita Ripellino intitolò la sua raccolta Autunnale barocco; questi conobbe e frequentò il poeta, e così ce lo descrive:”  Lo ricordo negli ultimi mesi, quando ormai andava da stregoni e da semplicisti in cerca di guarigione: ricordo i suoi trasognati occhi cerulei. L’alta fronte con un organetto di rughe. Dopo il colpo di stato del febbraio del 1948, mentre lo stalinismo già volpeggiava negli arcani casamenti di Kafka, Halas deluso e spaurito del baratro in cui il comunismo veniva precipitando, ripeteva agli amici < Ho ingannato la gente >. Si spense il 27 ottobre 1949 a Praga ”.*

Quell’ “alta fronte con un organetto di rughe” veniva sempre messa in risalto dal disegnatore caricaturista Adolf Hoffmeister, quando ritraeva il poeta. Il poeta era nato a Brno nel 1901, da una famiglia operaia molto indigente. Lavorò come commesso in una libreria di Brno. Questo lavorò gli permise di conoscere alcuni poeti importanti, come Jiří Mahen, caposcuola dei poeti di Brno.

Halas occupa nella poesia ceca del secolo scorso un posto di primaria importanza, e per “il culto della parola” tra i primissimi in Europa. Per questo lo accosto a Mallarmè, Hugo Hofmansthal, Paul Valéry.

Quasi sicuramente la prima notizia in Italia che abbiamo di Halas si deve a Wolf Giusti che sulla Rivista di letterature slave pubblicò in italiano due poesie del poeta; la prima dal titolo Seppia (che da il titolo alla raccolta Sepie, 1927); e la seconda dal titolo Le paludi masuriane. – Nel 1942 invece Luigi Salvini traduce una poesia dal titolo Il Riconoscimento nell’antologia Il “Corallo” di San Venceslao.  Poi nel 1949 A. M. Ripellino sulla rivista Europa Nuova pubblica in italiano due poesie tratte dalla raccolta Il gallo spaventa la morte (1930), (per queste tre informazioni, di cui avevo perso memoria, ringrazio l’amico boemista Giuseppe Dierna)…..

František Halas con Vladimir Holan

František Halas con Vladimir Holan

…e finalmente nel 1950 viene da A. M. R. pubblicata a Roma una Storia della poesia ceca contemporanea, Le edizioni D’Argo, in 400 esemplari; possiedo gli esemplari nn. 310 e 311; all’interno di questo testo si trova “Halas e il culto della parola” che è il titolo del paragrafo alle pp. 58-65. Dedica questa sua opera  A Ela [sua consorte]  e agli amici del Gruppo 42, poi ringrazia critici, pittori, poeti… in tutto quindici autori (fra cui lo stesso Halas) e studiosi tra i più notevoli del panorama internazionale di allora; cito soltanto alcuni di rinomanza mondiale: Roman Jakobson, Vladimír Holan, František Hrubin, Jiří Kolař, Ludvík Kundera, Jaroslav Seifert, Karel Teige.

 Halas non disdegnò di far parte di movimenti artistici e correnti poetiche che animarono i primi anni del ‘900, a cominciare col Devětisil (è il nome di un fiore: il farfaraccio; che Majakovskij riferisce come “nove forze”, ma poi gli fu spiegato) e il Poetismo frequentato dai poeti, scrittori e artisti più importanti; alcuni di essi assursero a fama europea perché operarono con saggi e  traduzioni in lingua ceca dei maggiori poeti e artisti europei come Apollinaire e Cocteau, Breton, Max Ernst, ecc.; Karel Teige, p.e., il teorico del surrealismo ceco, fu uno dei primi a parlare di Majakovskij in  Europa!

Il Poetismo che inneggiava alla gioia della creazione e del progresso, “in realtà era d’una cupezza che sprofonda nella più nera disperazione”.*. Ne è testimonianza il poema Edison di V. Nezval.

Per chi voglia approfondire i rapporti tra i poeti-artisti-scrittori cechi e quelli del resto d’Europa rimando agli studi più recenti, esaurienti e puntigliosi, del boemista Giuseppe Dierna, oltre alla già citata Storia della poesia ceca contemporanea.

Halas, poi, a differenza di tanti altri poeti e artisti cechi non obbedì ai dettami dei poeti, p.e. in specie dei surrealisti francesi e da questi si distanziò, perché nello spirito ceco è nello stesso presente altamente la proprietà della ricezione per eventi culturali stranieri, come quella di una spiccatissima autonomia. Perciò tenne presente più l’eredità di un “antesignano dei poeti surrealisti cechi”  il maggior  poeta ceco, il romantico Karel Hynek Macha. E anche per questo fu anche un surrealista a modo suo “con una tecnica opposta a quella di Nezval ” * , (che non sto qui a spiegare); e pure fu un espressionista che si dedicò ai trionfi di figurazioni mortali in disfacimento, come con più competenza clinica operò il dottor  Gottfried Benn; ma è da George Trakl che trae linfa per quel lasciarsi andare, quasi alla deriva, intristito e illanguidito nello sfiorire dell’autunno.

Ma senza andare troppo fuori dalla Boemia (da questo fuori noi ricaviamo che ebbe rapporti simpatici con autori di un passato boemo – oltre che dai suoi contemporanei – che cantarono gli sfinimenti e gli sfasci mortali della vita… che se ne va sconfortata nei regni dell’ombra… questa anch’essa toccata dallo squallore di un corpo in disfacimento)… nel territorio boemo noi troviamo dunque l’humus ideale (in comune con altre figure boeme) per i suoi sollazzi ombrosi, tenebrosi, spazio dove il regna il silenziario indisturbato, dove la parola stessa sua incrina il culto che ha per essa… e il poeta è davvero negato allora al verticale, al sollevamento, a quell’elevarsi in alto, e mostra a tutto spiano la sua tendenza ad essere una creatura “orizzontale” *, come proprio dei defunti, e la poesia dal titolo Il cimitero ne è una conferma senza rimedio alcuno! “Solo in Naše Paní Božena Némcová [Nostra Signora Božena Némcová – celeberrima scrittrice dell’800] e in Ladění [Accordo] le parole… hanno un alone di luce non sfrangiata dal lutto, un lievito di fede” *.

František Halas

František Halas

Ma non pensate che il poeta si crogioli in questo nichilismo, in visioni funeree, in varie malubrità… egli sa bene che per vivificare la sua poesia deve in essa cambiare qualcosa (forse eliminare – almeno temporaneamente dal suo stile solito quegli inceppamenti, sconnessioni, antiche parole che fratturano il verso scomponendolo – retaggio cubistico -, per promuovere l’approccio a diverse tematiche) e difatti con la raccolta Staré ženy (Vecchie donne, 1935) si apre al mondo, come dire al prossimo sofferente e quindi canterà quelle donne: spose e madri che vivono il pesantissimo quotidiano e usa la tecnica della letania, che tra l’altro si avvale dell’anafora, così cara a Otokar Březina, poi a Nezval e altri; e mentre scrivo questa raccolta è qui davanti a me: è una edizione del 1947, che comprai a Praga nel 1973; è illustrata e fu pubblicata in 15 mila esemplari. Halas dedicò questa raccolta a un poeta e artista, Antonin Procházka e consorte; ed è una grande emozione toccare queste pagine. Ma non si può dire tutto, qui. Ma dirò della sua alta denuncia civile, del 1938, per alto tradimento dell’Europa occidentale, in specie della Francia (con cui in un passato prossimo c’era stata una specialissima intesa culturale!), nei confronti della sua terra nei versi de il Canto dell’angoscia… denuncia fu la svendita della sua patria al potere nazistico.

Halas compose altre raccolte di cui cito soltanto i titoli: Torso naděje (Torso di speranza, 1938), la prosa Já se tam vrátím (Io vi tornerò, 1939), Naše Paní Božena Némcová (Nostra Signora Božena Némcová, 1940), Ladění (Accordo, 1942), Znameni potopy (Il segnale dell’inizio, 1945),V řadě (In fila, 1948), la raccolta postuma A co? (Ebbene?, 1957).

(Antonio Sagredo)

Termino con alcuni suoi versi tratti da Znamení potopy (Il segnale del diluvio, 1945) :

È vero Voi vorreste
un granaio di grandi parole
e innanzi ad esso mucchi di corone

Vi piacerebbe meglio non vedere
il ripieno di morti che trabocca dalla trincea
e i gravitelli degli annegati

È vero Tutto si riduce a un giuoco
Col grembo Con le banconote
Buffoni Buffoni

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Poesie di František Halas
(le traduzioni dei versi di F. Halas sono di Angelo Maria Ripellino – in František Halas, Imagena, Einaudi 1971)
(dalla raccolta Sepie – Seppia, 1927)

Non voglio la primavera

Primavera agghindata stagione smeralda
spocchiosa primavera lunatica
tutti si affannano invano a cercare viole màmmole
non inghiottirò questa lusinga

Non voglio nemmeno sentire il chiacchierìo delle foglie
e non voglio bere ciò di cui nutri le gemme
solo questo mio autunno solo esso può cogliere
come sia rattrappito il lucignolo dello struggimento

.
La poesia

Migliaia di raggiri e imposture
trappola tesa nel buio
arte dello spionaggio
a cui ti abbandono da solo

seguendo le tue tracce e condannandoti
per i segreti svelati
punito soprattutto da te stesso
le tue liriche libro di lagnanze

Hai visto agonizzare la poesia per una parola andata a traverso
non morirà mai tuttavia
un giorno troverai le tue parole come il terno di una lotteria
e l’avrai vinta

Stretta è la rosa centifoglia dei poeti
ami soltanto quelli con lingua serpentina
di cui metà è querimonia di angeli
e metà assalto

Ultima Tule dove ti allontani
con dolcezza infinita per le cose che hai conosciuto
con voce tutta falsa congedandoti
dalla soave malsanía che ti ha perduto
(dalla raccolta Kohout plaší smrt – Il gallo spaventa la morte, 1930)

Il paesaggio da noi

Berlina è il cielo di questo paese
nel sonno irrompe un lémure impaziente
sui calvari senza croci il corallo dei sorbi si posa

Solo sulla testa dei bambini cade il rispetto delle luci
nella gorgiera della propria innocenza dormono quieti
vaga un viandante stringendo al cuore un àspide

Superbo un nero cavallo cammina per il firmamento
dalla criniera gli pendono colori morti
nere rose fatte di fulíggine

Una piccina rannicchiata tra le viole
le ali spiumate delle brutte spallucce si vergogna
spaventata dall’ombra del fumo

Principesse mutate in raganelle mangiano qui miosòtidi
Ombra di tigri le agghermiglia tra le canne
I bambini al tenue collo appendono velenosa ergotina di frumento

.
Versi

Malgrado la fortuna della vista
così cieco
malgrado il dono dell’udito
così sordo

Nel vento foglia nell’amore solo
nelle ragne uccello nella pioggia canto
nella rosa verme nella speranza dolo
nelle parole sangue nell’ugola pianto

Malgrado la fortuna della vista
così cieco
malgrado il dono dell’udito
così sordo

(dalla raccolta Tvař – Il volto, 1931)

.
Autunno

Cielo d’autunno da mille ali di uccelli vezzeggiato
con guazza di speranza inumidisci le nostre gole tese
gli occhi rivolti all’alto allarga con l’afflato
per nuove ahimè quanto apprensive attese

Osserva le oche spezzano contro la siepe le ali
quando grigie volano a mezzogiorno
immagine dell’anima che ha scorto per un attimo
la nota solo ai morti bellezza del ritorno

Scoppiate membrane di nebbie per albe immature
per la beltà che si aggira in sempre nuovi stupori
per gli alberi selvatici che non conobbero cure
e ancora acerbi serrarono le tenerezza dei fiori

(dalla raccolta Staré ženy –Vecchie donne, 1935)

*

Vecchie signore piene di buio e di trapasso
mani cadute nel grembo due morte cose incrociate
nel grembo nell’annoso palazzo della vita
o casa natía della vita casa natía fatiscente
il soppalco delle ginocchia è crollato soltanto lo squallore vi si annida
mie vecchie donne sonnecchianti sotto il mondo
grembi di vecchie donne
cisterna di gemiti e di lacrime infantili
sordine di singhiozzi maschili
voi grembi di vecchie donne
culle vuote
giacigli raggelati
sepolcri di attimi d’amore
incantesimi disincantati
custodie di misere ossa
nascondigli di gesti dimenticati
padiglioni schiantati
luoghi di roghi spulati
ospizi del rosario
acconti abbandonati dei futuri

voi grembi di vecchie donne
nessuna testa li allevia
strati di afflizioni vi si ammucchiano
delizia mutata in niente dagli anni
solo il palmo degli sfaceli vi sémina
voi grembi di vecchie donne
non reggerebbero più il peso dell’amore
un morente non vi esalerebbe l’ultimo fiato
e un lattante scoppierebbe in pianto
perché l’ossuta li assídera
voi grembi di vecchie donne
gèmina felicità delle gambe a malapena saldata
e la gloriosa incubatrice della vita è raggelata
voi grembi di vecchie donne

(dalla raccolta Dokoran – Spalancato, 1936)

František Halas

František Halas

Nella pioggia

La tibia di un ramo dalla tomba della notte sporge
la pioggia risuona quest’arpa di Mácha
mia amara lunare misericorde
mia corda di sangue purpurea
Ora in pesanti pezzi cade il buio
l’albero trema deserto di foglie
caduta è la rocca dei sogni e si erge un nudo muro
schiccherato dalla compassione

(dalla raccolta Naše Paní Božena Némcová – Nostra Signora Božena Némcová 1940)

.
Morte di nostra Signora

Sono spalancate le finestre e si sente la morte sbadigliare
L’anima è fuggita più leggera della luce su un foglietto
La guardia dei ceri raddrizza le lance vibratili

La favella nel cuore languisce. Silenti piangenti
Se ne vanno le lavatrici dei morti

Dorme defunta è gialla crivellata
E la stella Diana sul suo capo
Seminare vorrebbe un ovario di collera

(dalla raccolta postuma A co? – Ebbene, 1957)

.
Quando la bomba esploderà

Striscerà più lontano
solcando la melma
Si aprirà
Una conchiglia
Pallido sesso delle acque
Tutto comincerà di nuovo
tra l’apatía dei primi pesci
e le stelle
plàncton dei poeti antichi
si scrolleranno dal tedio
nel tempio delle galassie

(dalla raccolta Znameni potopy – Il segnale del diluvio, 1945)

*

Umide macchie crescono sui muri
nei buchi della fame nei rifugi della fame
si approssima il Diluvio

Con muffa di broccato
con ghiacciato lezzo dei cadaveri
con purulenza vaiolosa

la mia ingordigia disegno sui muri
sul volto dei poveri pongo una granfia

Ormai si approssima il Diluvio

Antonio Sagredo

Antonio Sagredo

Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Antonio Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove  risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza.

La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia:  Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984,(pseud. Baio della Porta):  Leone Tolstoj – le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A.   Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).

Ho curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema :Tumuli di  Josef Kostohryz , pubblicato in «L’ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi:  Edison (in L’ozio,…., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L’ozio», 1988) di Vitězlav Nezval;  (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).

Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudčenkova, di Zbyněk Hejda, Ladislav Novák, di Jiří Kolař, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar Březina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo),  trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.

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