Scrive Corrado Alvaro, in un tratto del romanzo L’età breve (1946): «Il poeta non capisce quello che dice ma dice prima di capire, e quella è la verità». Appartiene in effetti alle profondità millenarie del canone occidentale il topos del poeta cieco e veggente, e il concetto di numinosità della parola (luminosa e illuminante, sia pure tenebrosa). La parola, quindi, come lampada, come fiaccola di costruzione e civiltà. C’è un presupposto di retroterra (filosofico e linguistico) che presiede allo sviluppo della poesia italiana del ‘900: la svalutazione e, poi, la perdita del registro profetico-sapienziale. Viene smarrito lo statuto “alto” di credibilità e sensibilità che la rappresentava su un piano di consistenza e riconoscibilità dei valori, dei contenuti, degli stili. C’era un terreno comune su cui confrontarsi, appunto un “canone”. Adorno nel 1966 dichiara addirittura il luogo a non procedere della poesia: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie». La poesia non è più possibile, se non – aggiunge Paul Celan – attraverso un “linguaggio spezzato” testimone della scissione metafisica prodotta dal male assoluto (gli eccidi del ‘900).
Viene meno, insomma, il “sistema delle evidenze”: in futuro stenteranno a ricostruire la nostra epoca perché noi stessi non abbiamo più un “linguaggio comune”. Che cosa accade in poesia dopo il ’45? E, soprattutto: dopo gli anni ’60? Per orientarsi può essere utile il volume (Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana, 1945-2010, EdiLet, 2011, pp. 412, Euro 18) con cui Giorgio Linguaglossa affronta e tenta di arginare la complessità dei problemi sollevati dal tema in oggetto, inquadrandoli nell’ottica della storia civile, per cui l’analisi e la sintesi della società letteraria italiana vengono collocate entro uno scenario più vasto, mosso, arioso, e il saggio – nutritissimo, sfaccettato – di storia e critica letteraria si legge, al contempo, come un romanzo appassionante sul nostro Paese, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. C’è, ovviamente, la provvisorietà dei discorsi tipica del critico militante. Ed è un tentativo di ricostruzione tanto più difficile e delicato, dal momento che (insieme con il terreno comune di confronto) sembrano venuti meno i criteri di storicizzazione della letteratura. In base a quali criteri, appunto, storicizzare la contemporaneità? Qual è la “linea egemonica” del secondo ‘900?
Linguaglossa sottolinea anzitutto che nulla è neutro: le scelte rivelano rapporti di potere; ma soprattutto le esclusioni (anche eccellenti) degli isolati, dei periferici, dei non integrabili (ad es. Flaiano, Ripellino, Lorenzo Calogero):
«(…) le istituzioni stilistiche egemoni del Novecento appaiono nudamente quali sono: involucri ideologico-stilistici, tralicci ideocratici che proteggono, sotto il loro tegumento, visioni del mondo conservatrici (…) come mai poeti di tutto rispetto come Lorenzo Calogero, Alfredo De Palchi, Helle Busacca, Bartolo Cattafi, Franco Fortini, Angelo Maria Ripellino sono entrati così presto nel dimenticatoio? Quali sono le ragioni politico-estetiche che determinano amnesie così macroscopiche?» (Linguaglossa, op. cit, p. 11)
Ci si scontra qui con i problemi stessi – a livello di metodologia – della storicizzazione tout court. In che conto si tiene, storicizzando la poesia italiana del secondo ‘900, la dialettica fra quadro e cornice? Il rapporto fra centro e periferia? La differenza tra monumento e documento? Ai “cadaveri eccellenti” accidentalmente o volutamente esclusi corrispondono infatti, a mo’ di contraltari, i “monumenti intoccabili” della storia istituzionale. In gioco c’è da sempre, come sempre, la presupposizione del “nome” acquisito. Il pregiudizio positivo o negativo. Sarebbe curioso procedere ad un esperimento: a chi darebbe la palma del valore letterario un critico letterario “ufficiale” (cioè sensibile ai rapporti di potere) se gli facessimo leggere un presunto inedito mediocre di autore celebre, e un inedito eccellente di autore sconosciuto? Posto che non la conoscesse, che cosa direbbe – lo stesso critico – dopo aver letto, ad esempio, questa “poesia”? Continua a leggere