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La fine del Progetto culturale egemonico-accademico di Le Parole e le Cose e la nascita della Nuova Ontologia Estetica. Commenti di Giuseppe Cornacchia, Mario M. Gabriele, Anna Ventura, Giuseppe Talìa, Giorgio Linguaglossa, Poesie di Nunzia Binetti, Sabino Caronia

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Giuseppe Cornacchia

Il poetico invece della poesia 2019

http://www.leparoleelecose.it/?p=35516
https://poesiafutura.wordpress.com/2019/05/01/il-poetico-invece-della-poesia-2019/
http://www.leparoleelecose.it/?p=34560

“Le Parole e Le Cose” versione 1 ha in effetti ricollocato la competenza specialistica in cima, a mo’ di classe col professore dietro la cattedra ed i banchetti in fila zitti ad ascoltare, travasando in rete parte della cultura scritta negli anni Dieci per la carta e da lì espulsa, devitalizzando di conseguenza la partecipazione della classe fino ad estinguerla. Ha in sostanza subito il mezzo più che cavalcarlo come fece “Nazione Indiana”, motivo per cui la vivacità si e’ trasferita sui social, anche per narcisismo ma essenzialmente come playground. La pretesa fondativa del tecnico competente abilitato a parlare rispetto all’onesto incompetente che deve solo ascoltare, oggi divenuta identità politica e sociale di massa, non ha aiutato ad indagare perché tanti competenti, seppur meglio equipaggiati degli incompetenti, sbaglino puntualmente le previsioni sul futuro esattamente come questi ultimi. Probabilmente il settarismo e la malafede bilanciano verso il basso la competenza, così come l’onesta’ bilancia verso l’alto l’incompetenza, facendo pari e patta nei fallimenti predittivi? Anche dal punto di vista teorico, il contributo vitalistico e’ stato qui marginale, anzi anti-vitalistico proprio nella visione di Guido Mazzoni e repressivo in quella di Gianluigi Simonetti. Nazione Indiana si chiuse sostanzialmente con la farsa a tavolino del New Italian Epic ed il miglior contributo teorico-letterario internettiano degli ultimi tempi arrivi dalla Nuova Ontologia Estetica di Giorgio Linguaglossa & sodali su L’”Ombra delle Parole”, un blog di vecchi che ha progressivamente affinato e reso presentabile la frustrazione mentre qui infuriavano Erinni e si proponevano come novità epigoni trentenni e quarantenni di epigoni cinquantenni e sessantenni, tutti ancora fermi al 1975 ed immersi nel rimpianto nostalgico. Siete stati pompieri ma la biblioteca in fiamme era forse vuota, i libri erano stati trafugati e portati altrove mentre qui si discuteva cenere?

Gif labbra occhi

Giorgio Linguaglossa

caro Giuseppe Cornacchia,

“Le parole e le cose” nasce come progetto culturale egemonico: impartire lezioni di letteratura e altro da una cattedra, dove ovviamente i cattedratici sono loro, i possessori della cultura «alta», i sacerdoti culturali, i quali si concedono al pubblico della rete internet per educarlo ed emanciparlo alla cultura d’élite. Impostazione tipica di una supernicchia culturale che intende la cultura come Verbo da non mettere in discussione e come Autenticità della lezione impartita agli sprovveduti utenti della rete. Le conseguenze di questo progetto sono state ovvie: l’esaurirsi di una esperienza fallimentare, quella supernicchia si è rivelata una scatola vuota dove non soltanto le previsioni sul «futuro» erano saccenti ed erronee, ma anche le diagnosi sul presente e il passato culturale erano stantie e accademiche, prive di alcuna capacità di elaborare una piattaforma di pensiero critico alternativo a quella elaborata nelle accademie e negli uffici stampa degli editori maggiori.

 L’unica volta che il blog si è trovato di fronte ad un intervento critico che non rientrava nei suoi schemi (un mio commento di alcuni anni fa nel quale sollevavo una domanda di metodologia critica), la discussione si è infilata subito in un tunnel di muro contro muro, il blog, nella persona della signora Claudia Crocco, si è dichiarato altezzosamente non disponibile a fornire alcuna spiegazione sulle questioni che avevo sollevato. La discussione che ne è seguita tra lo scrivente e gli avvocati d’ufficio della Crocco è andata a finire in un insulto scritto rivolto alla mia persona con conseguente mandato da parte mia al mio legale di fiducia per procedere a querela avverso le offese ricevute ai sensi dell’articolo del codice penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa.

Esempio probante della incapacità culturale del blog di sostenere una discussione di livello critico elevato quando si profilava un interlocutore capace di mostrare le contraddizioni e le debolezze della sua impostazione culturale arroccata su una dogmatica intangibilità e superiorità di principio.

In un’altra occasione, ho sollevato alcune problematiche circa la poesia di Mario Benedetti; anche quella volta il blog decise di chiudere unilateralmente la discussione che stava prendendo, a suo parere, una direzione che non aveva preventivato.

Questo per dire della incapacità culturale e non volontà da parte della direzione del blog a sostenere una discussione su una posizione di pari dignità intellettuale, sulla presupposizione del dogma della superiorità della cultura chiericale di cui i suoi detentori si ritenevano possessori esclusivi e intangibili.

La posizione dell’Ombra delle Parole è tutt’altra, è un luogo di ricerca letteraria e filosofica e di libero confronto intellettuale, e sicuramente la rivista si è sempre resa disponibile a fornire ampia delucidazione delle proprie posizioni a chiunque le abbia rivolto delle questioni o considerazioni.

Anna Ventura

8 maggio 2019 alle 16:40

Mi piace tanto, questa frase: ”Siete stati pompieri ma la biblioteca in fiamme era forse vuota “Mi fa pensare a questo nostro continuo correre dietro alle parole, come il criceto intorno alla sua ruota: un lavoro apparentemente inutile, eppure importantissimo. Non sottovalutiamo il dono della parola,che distingue l’uomo tra tutte le creature della terra. Come tutti i doni, la parola nasconde più di un pericolo, Perciò dobbiamo conoscerla a fondo, meditare sulle possibilità varie che offre; è un delta immenso, ma navigarci dentro può essere esaltante.

giF 1975

Ecco qui un sonetto in romanesco di

Sabino Caronia

 A Linguagro’, ma va a magna’ er sapone,
nun me scoccia’, nun me sta a rompe er cazzo,
è da ‘na vita che me faccio er mazzo
pe resta’ sempre er solito fregnone.

Passi pe quelli che nun so pippette,
pe Gino Rago, Steven ed Arfredo,
passi pe tutti, puro pe Sagredo,
ma che c’entreno mo ste suffraggette.

Fossi ‘n’omo, vabbè! ma ‘na sciacquetta
ha da venicce a smove li sbadijj
a furia de libbracci e paroloni!

Fili, fili, lavori la carzetta,
lassi perde de dà boni conzijj,
abbozzi, e nun ce scocci li cojjoni.

Giorgio Linguaglossa

7 maggio 2019 alle 12:20

Se leggiamo una poesia di Mario Gabriele ci rendiamo conto che si tratta di fraseologie, spezzoni di dialoghi intersoggettivi tra un mittente, un destinatario e un terzo (che è l’occhio del lettore). La parola aspetta sempre di essere validata (autenticata) dall’Altro; è questa autenticazione che rende adeguata la parola a se stessa, la rende significante, e non l’oggetto; o meglio, l’oggetto viene identificato per il mezzo dell’Altro che convalida e autentica la parola come proveniente da un soggetto e diretta ad un oggetto. La parola è un atto, e in quanto tale presuppone un soggetto, il quale a sua volta per essere validato deve presupporre l’autenticazione dell’Altro.

La poesia di Gabriele, la struttura frastica impiegata in realtà vive in una gabbia sintattica che rende manifesto come la comunicazione sia semplicemente una finzione, un allestimento del discorso tra interlocutori estranei ed estraniati e che da questa gabbia non sia possibile sortire fuori in nessun modo.

Il messaggio ritornerà dall’Altro al mittente locutore sì, ma in forma invertita, con un segno meno. E così via. Continua a leggere

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Antologia della nuova ontologia estetica, Poesie postate in diretta il 20 novembre 2018, di Donatella Costantina Giancaspero, Carlo Livia, Lucio Mayoor Tosi, Guido Galdini, Giuseppe Gallo, Edith Dzieduszycka, Marina Petrillo, Sabino Caronia, Gino Rago, Giuseppe Cornacchia, Mauro Pierno, Letizia Leone

Foto selfie Sophie-Marceau

Occorre risalire al di là dell’ispirazione verso quell’evento di parola, la cui soglia è custodita e sbarrata dalla Musa

Scrive Mario Gabriele (3 novembre 2018)

Seguiamo per un attimo questa prospettiva linguistica, fuori da ogni arretramento conservativo, e soffermiamoci sulla variabilità della materia poetica, che sembra essere la più attendibile in fatto di documentazione estetica. Si nota subito che la parola è entrata in una nuova ontologia espressiva, vista come un nuovo Essere all’interno di una modernità linguistica che diventa Progetto Culturale Emancipativo per il quale è necessario approfondire e razionalizzarsi su ciò che la modernità richiede. Occorre accertarsi che il segno della libertà linguistica sia sempre il risultato capitalistico proveniente da una start-up della forma rispetto al commercio obsoleto che ancora oggi si usa nel commercio della parola. Si tratta, come diceva Habermas di attualizzare un programma di intenti comuni, relativi ad una modernità culturale nella speranza che essa disegni la strada per una visione più allargata e profonda della realtà,che oggi è universalmente tecnica e scientifica, dove il Soggetto Metafisico è depotenziato dalla sua funzione estetica. Sembrerà quello che scrivo un radicalismo estetico contro ciò che ha santificato la Tradizione, ma non lo è se consideriamo la voce della poesia nei secoli come il lievito che ha fatto maturare e crescere la parola con le forme e i passaggi di staffetta linguistica da una corsa all’altra, da una corrente letteraria ad un’altra perché questo è il vero senso di fare poesia purché ci sia veramente l’accoglienza del lettore.

 Scrive Giorgio Agamben:

«Occorre risalire al di là dell’ispirazione verso quell’evento di parola, la cui soglia è custodita e sbarrata dalla Musa. Mentre i poeti, i rapsodi e, più in generale, ogni uomo virtuoso agisce per una Teia moira, un destino divino di cui non è in grado di dar conto, si tratta di fondare i discorsi e le azioni in un luogo più originario dell’ispirazione musaica e della sua mania… In questione è qui il luogo proprio della filosofia: esso coincide con quello della Musa, cioè con l’origine della parola – è, in questo senso, necessariamente proemiale. Situandosi in questo modo nell’evento originario del linguaggio, il filosofo riconduce l’uomo nel luogo del suo divenire umano, a partire dal quale soltanto egli può ricordarsi del tempo in cui non era ancora uomo. La filosofia scavalca il principio musaico in direzione della memoria, di Mnemosine come madre delle Muse e in questo modo libera l’uomo dalla Teia moira e rende possibile il pensiero».1]

Strilli Lucio Mayoor Tosi

Scrive Giorgio Linguaglossa:

Abbiamo qui esemplificate alcune modalità, modi, stili per, come lo definisce Agamben, quel situare il linguaggio nel suo «luogo originario», là dove il linguaggio affiora al primo apparire, affiora come garanzia di se medesimo e nient’altro.
Penso che quanto dice il filosofo sia importantissimo per la «nuova poesia», se soltanto i «poeti» avessero l’umiltà e l’intelligenza di comprendere la profonda vastità di quel concetto di istituire la poesia nel «luogo originario del linguaggio»… concetto pregno e denso di significato.
Rileggiamo la parola del filosofo:

«In questione è qui il luogo proprio della filosofia: esso coincide con quello della Musa, cioè con l’origine della parola – è, in questo senso, necessariamente proemiale. Situandosi in questo modo nell’evento originario del linguaggio, il filosofo riconduce l’uomo nel luogo del suo divenire umano, a partire dal quale soltanto egli può ricordarsi del tempo in cui non era ancora uomo. La filosofia scavalca il principio musaico in direzione della memoria, di Mnemosine come madre delle Muse e in questo modo libera l’uomo dalla Teia moira e rende possibile il pensiero.»

Ecco, io penso che il «luogo proprio» della poesia coincida anch’esso «con quello della Musa, cioè con l’origine della parola… Situandosi in questo modo nell’evento originario del linguaggio», ma mentre la filosofia «scavalca il principio musaico in direzione della memoria, di Mnemosine», la poesia invece dimora nel «principio musaico in direzione della memoria, di Mnemosine». La differenza tra la filosofia e la poesia, sta tutta qui. Da allora, dal tempo mitico di non più coincidenza tra l’evento musaico del linguaggio e il linguaggio poetico, scocca la «poesia» come tentativo di ripristinare quell’accordo musaico tra il linguaggio e il linguaggio poetico.

Ad esempio, nella poesia della Giancaspero è evidente che il «luogo» di cui si parla nella composizione sia il «luogo originario» nel quale ha origine la parola, nel quale è intervenuto un «evento» irripetibile che ha determinato, proprio per la sua irripetibilità, la ripetizione nel tempo eterno nel quale si «mantiene sospeso l’oggi», quel «punto» nel quale tutto si ripete e ritorna «sul medesimo punto interrogativo». La poesia giancasperiana è la ricerca di quel mitico «luogo originario» nel quale situare l’evento di parola, il «luogo» dell’heideggeriano «sage», il «dire originario». E la poesia diventa mito, luogo mitico, luogo irripetibile entro il quale avviene, paradossalmente, la ripetizione dell’irripetibile, quel luogo impossibile dove «La lancetta spezzata» ritorna integra.

1] G. Agamben, Creazione e anarchia, Neri Pozza, 2017 p. 50

Letizia Leone Il diavolo...

Letizia Leone da Viola norimberga (Progetto Cultura, 2018)

Donatella Costantina Giancaspero

Una febbre lieve

Una febbre lieve mantiene sospeso l’oggi.
I minuti oscillano sul medesimo punto interrogativo.

Di scorcio, una parete a quadri spalanca la finestra,
che dà ormai sul giorno fatto. Il punto cade giù, nel vuoto.

Tutto è rimandato, compresa la perturbazione da Nord-Ovest
e chi ascolta da un’altra direzione. Ma non sa la stanza
come si trascina fino alla porta, se la mano traccia il segno della resa.

Alle spalle, una campitura di rosso pompeiano
vigila il corpo contratto dentro un quadrante senza numeri.
La lancetta spezzata.

Un ritmo cieco batte a tentoni negli angoli.

.

Carlo Livia

La prigione celeste

Dalla finestra di Mozart vedo la donna nuda che beve lacrime divine in un cielo di astri divelti
e un vecchio bambino pazzo che trascina ridendo l’anima del Grande Assente.
A forza di dormire sull’orlo del precipizio, la mia anima si è mutata in sette serafini ciechi
che baciano in sogno l’infelice sposa dell’Ultradio.
Ho attraversato tutto l’universo, cercando quella fessura del tempo da cui affiora la morte
ma ho trovato solo lo splendore delle madonne silenziose votate al blu.
Tutti i tabernacoli sospesi in alto mare s’inclinano lottando contro un vento di frasi fatte
e versano in cielo una musica di carezze e desidèri di fanciulla,
tristi come la voce che mi sfiora in sogno
per dirmi che non è più qui.

Strilli Gabriele2Lucio Mayoor Tosi

Anche i lettori con mentalità distorta avrebbero diritto a una poesia
a loro familiare. Moderna, coi mobili a soffitto,

la ruota gravitazionale, i robot che fanno colazione a letto.
L’Arma dei Carabinieri.

Figurativamente, l’interno di un televisore. Tieni fermo il cane.
Si abbracciano le cose intorno. Il lento affermarsi della gratuità.

Un gruppo di pennelli dentro il loro vaso di vetro aspetta
l’arrivo del pascià. Il quale con lo sguardo giallo di un gatto nero

sta fissando la punta sopra di una mezza luna.
Ancora un graffio, un’unghia…

(May- nov 2018)

*

“Uno” è la goccia di luna licantropa che si nasconde
nel perfetto buio della notte di Halloween.

La notte che ti guarda dai vetri.
Uno sta piangendo forte.

Va capito. Aspettiamo che finisca; anche se,
in quanto vivi in una bolla gelatinosa d’aria,

abbiamo poteri limitati. Uscire da noi stessi
per dare soccorso, ad esempio.

Uno si lascia toccare le spalle dagli esseri onnipresenti
che abitano tutte le dimensioni dell’universo;

esseri che farebbero di tutto pur di darsi nelle forme
desiderate da chiunque. Due mani di vento, il soffio

di lunghe carezze; quelli che tornano a cercarti
travestiti da ricordi – segno che ti sono ormai vicini.

Tu sei fatto di ricordi. Non sei umano,
sei una scultura. Per questo dicevo prima di un palazzo.

E ci sono al mondo palazzi vuoti, disabitati. Alcuni
vere galere. E non hanno porte. Ma tanti altri sono abitati.

Dalle mie parti siamo folletti. E ora
che ci siamo divertiti. E ora che ci siamo divertiti.

(May ott. 2018)

Strilli Tranströmer 1Strilli Kral Lungo i marciapiedi truppe d'assenti

Guido Galdini

Un contributo ciclistico cultural politico:

era uscito dal gruppo nel 63
per tirare la volata al capitano

ma quando si è girato alle sue spalle
non era rimasto più nessuno

così è stato costretto
a vincere la tappa il tour il premio Nobel
la presidenza del consiglio si è
congratulata (a quei tempi ce n’era una).

*

da Il disordine delle stanze (1979-2011)

Francesco Guardi, che da vecchio dipingeva fiori, nell’antiquato

stile rocaille, da tempo fuori moda, ai più sconosciuto, fastidioso
a chi ne ricordava le pesanti leggerezze

lo sfaldarsi dei petali sotto il pennello, l’innominabile azzurro, memoria e allucinazione, i boccioli passiti, i pappagalli il vuoto:

cos’altro gli rimaneva da inventare e nascondersi come poteva altrimenti resistere,
se non acconsentire alla quiete dello sfacelo,
chiudersi al tempo, iridescente e cupo, scendere ai luoghi della stremata grazia, cogliendo il brivido, prima che sia tremore.

.

Giuseppe Gallo

Ai tempi di Internet

COLESTtab 10. Avvertimenti medici.
Nessun io, nemmeno un dio.

È inutile che cerchi divagando
dentro il garage. È partita per Marrakech.

Nel bagagliaio cianfrusaglie e riviste.
La linguaccia di Einstein. Uragani di aguglie.

Gli scarti dei lamenti e delle emicranie
nelle scatole rosse e bianche degli scaffali.

Gli effetti collaterali. I soffocamenti,
la dispersione dei fonemi tra i rossori e i formicolii sulla pelle.

Lilli ha nuovi fantasmi, nuovi inferni nella testa.
Agiografie di martiri, le croci inginocchiate.

Camule sul dorso di draghi
pelurie sradicate sulla guancia di destra e di sinistra.

Ai tempi di Internet
la lastra a raggi x per l’enfisema già antiquata.

LEGALON E
Non escono all’aperto neanche i gatti dei cani

Sui litorali i delfini, gli africani berberi insabbiati.
Deficienza dell’orientamento.

II robot nella sala d’attesa dello psicologo.
Gli schemi, gli ologrammi. Gli angeli spiumati.

Qui non si fanno favori né sconti alle emozioni.
Siamo entrati in questa sala per vedere il niente.

Era solo un precipizio di sentieri ininterrotti!
Autostrade che procedono all’infinito contorcendosi su se stesse.

In spirali anaformiche in dirottamenti periferici
craking e dissonanze, convergenze casuali.

Ai tempi di internet
i sorrisi della giostra defunta.

Lo specchio, una plastica, un fiore da incartare e poi scartare
Eutirox ® 50 microgrammi.

Delirare per una tazza d’azzurro.
Desiderio di ombre senza polvere addosso.

Ed il pensiero germina? Agonizza?
O c’è qualcosa antecedente che lo costringe ad essere?

“Brutta storia!”
“Non brutta, bruttissima!”

Ai tempi di internet obsolescenza programmata.
Lapidi per chi inarca cavalli e insegue automobili.

Forse resiste il gufo invisibile e oscuro
e l’illusione del fuoco per continuare a bruciare…

Strilli Carlo LiviaStrilli Busacca Vedo la vampaEdith Dzieduszycka

Alle porte del tempo sta bussando fremente
un altro inverno

un altro inverno o
l’Inverno?

di grisaglia lamé ingobbito sull’uscio avanza
prepotente

ha smembrato le foglie
fuggite qua e là intasando i tombini

ossa nere branditi i rami denudati
terrazzati gli alberi mikado gigantesco

tra roghi divoranti se la ride
Nerone, noi blaterando certi che il folle sia lui

perdiamo i capelli ci divora la fretta
l’oro nero scarseggia compensiamo con armi

sprofondiamo nel buio delle contraddizioni in cui
uno uguale uno non canta ma nitrisce

sull’uscio della mente sta bussando
l’Inverno ma nessuno che sembri essersene accorto

persa parola chiave
la Consapevolezza dentro cunicoli dove fischia il vento

smarrita nullificata a lei connessa
l’altra parola – Assurdo – incisa sulla cornice.

(novembre 2018)

.
Marina Petrillo

La luce in obliquo spegne l’ansimato giorno.
Vettore di assenza tra parole
infisse al filo spinato dell’intelletto.

Vacuo il ragionare su altra sponda
ove, solo a tratti, si intercetta
il nesso causale.

Canone inverso dell’apologo
sottratto al rumoroso tedio
dell’esatta misura.

Un cenno
e, ancora resta sospesa in arco
la comprensione, cubico assenso
evocato a schema logico.

Apostrofo, il suo doppio,
in raggio sovramentale.
Ad inciampo rovina
il peregrinante concetto.

Si dissipa in lampo l’ovvia
intuizione che, china,
scorge il calco di ciò che è stato
in smarrita poesia.

(Non sono mai esistita abbastanza)

Strilli Transtromer le posate d'argentoStrilli LeoneSabino Caronia

La bona nova

Se sa, l’amico se la lega ar dito
ma mo, dice, se so pacificati;

che casino, ma mo tutto è finito,
mille scuse e se so pure abbracciati!

Tra tante delusioni e fallimenti
sta bona nova proprio me consola;

me dispiaceva che, tra pene e stenti,
sta pora fija me restasse sola.

C’è chi dice che, prima de fa pace,
l’amico nostro j’ha fatto l’esame

pe’ vede’ se sta donna era verace.
Dice che ne lo scritto è annata male

però, va mormoranno quell’ infame,
che s’è sarvata co la prova orale.

.
Gino Rago

L’eco di Eeva-Liisa Manner

[la cicatrice del tempo nello specchio]

Cara Signora Manner,
Se non a Lei a chi altri confidare

che la flanella dell’infanzia era morbida
quando il Tempo di Newton non ci disturbava.

Dalla Finlandia un sibilo nel mio dormiveglia:
«La Poesia è l’eco che si ascolta quando la vita è muta».

E’ Lei ogni notte quell’eco.
[…]
Il mio amico di Istanbul in un verso ha scritto:
«La notte è la tomba di Dio e il giorno la cicatrice del dolore»

La cicatrice del dolore,
è quella di Ewa, la stessa cicatrice che vede nel suo specchio?

[…]
«Quale specchio?» Lei giustamente chiede,
«Lo specchio dove il tempo si incrina

e Greta Garbo assomiglia a Socrate…»
Non mi dà la risposta, che importa,

importante è che io ponga domande

Strilli Tranströmer 1Strilli Transtromer Ho sognato che avevoGiuseppe Cornacchia

Ho smesso da tempo ma ci provo, riorganizzando in distici una mia passata che forse sta a tono. Saluti e di nuovo buon lavoro con la NOE.

L’ardore risuscita i morti, galvanizza,
trasfigura merdine in condottieri,

piante rigogliose di floride radici;
l’argilla nella betoniera, il silicio,

il pietrisco inconsistente, il legamento,
l’acqua piovana in taniche assai coraggiose.

L’amore sventra, osservò Delacroix,
bisogna cogliere il suicida mentre cade

per rubargli la vita sulla tela.
Delacroix sventra, rimarcò Baudelaire.

“È la maitresse più esigente che conosca”
-l’arte- ammetteva, non voleva amanti.

Povero Warhol che se ne riempiva,
povero Bohr nel suo modulo astratto

e povero Einstein, veloce, troppo,
dovendo fare l’occhio a tante cose

mentre Cassano intossica pazienti
con intrugli da stregone (meccanicista!).
(da Cinquanta Poesie, 2015)

.

Mauro Pierno

Si incantano incompetenti.
Le ore sovrapposte a ridosso delle porte

intessono coperte patchwork. Nei ghirigori
della costruzione onirica ti sei addormentato

anche tu! Dopo aver saltellato un canguro si ripose nell’astuccio dei colori. Rideva.

Tutti ridevamo nel sonno profondo del letargo.
La storia era allora un fossile disperso.

 *

Nelle sorprese minime dei fiori malcelati
addosso, solo adesso, mi si sfilano i calzari.

E nell’odor dell’ombra a Pascoli somiglia
il lieto mio rider sordo, questo soffrire, a piedi anche scalzi.

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Antologia di poesia di 10 autori che si riconoscono  nel nuovo orientamento di ricerca denominato Nuova ontologia estetica, Carlo Livia, Lucio Mayoor Tosi, Giuseppe Gallo, Marina Petrillo, Sabino Caronia, Edith Dzieduszycka, Mauro Pierno, Giuseppe Cornacchia, Francesca Dono, Giorgio Linguaglossa, con una nota sullo «spazio espressivo integrale»: Confronto tra una poesia di Sandro Penna e una di Tomas Tranströmer

 

gif bella in reggiseno

Caro […] le idee sono gratis, chi vuole se le piglia, le idee esercitano seduzione, nascono, si diffondono, dilagano, chi pensa di arrestarle è un ingenuo, e anche uno sciocco…

Sandro Penna «chiude» la tradizione lirica del primo novecento, quella facente capo a Saba e al primo D’Annunzio di Primo vere (1880). Il suo spazio espressivo è fondato sulla tradizione melodica e sulla sintassi lineare, sfruttando di queste componenti le qualità melodiche ed eufoniche. È il tipico poeta che viene dopo una grande tradizione melodica, che vive e prospera sulla immediatezza melodica ed eufonica di questa tradizione portandola al suo livello più compiuto.
Lo schema metrico è fondato sugli endecasillabi, due strofe di cinque versi, con assonanze dissonanti (veduto-sentito) e opposizioni concordate (l’azzurro e il bianco).

Una poesia Sandro Penna

La vita… è ricordarsi di un risveglio…

La vita… è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.

(da Poesie, a cura di C. Garboli, Garzanti, Milano, 1989)

Più che parlare di «spazio espressivo integrale» io qui parlerei di una omogeneizzazione stilistica che proviene da una lunga e felice tradizione melodica.

Tenterò di spiegare il nuovo «spazio espressivo integrale» nella poesia di Tomas Tranströmer. Quando parlo di «spazio espressivo integrale», intendo una costruzione poetica che «apre» ad uno sviluppo stilistico, cioè ad una forma-poesia fondata sulla eterogeneità lessicale, pluristilistica, multiprospettica, multitemporale e multispaziale; intendo un nuovo tipo di poesia che è stata inaugurata in Europa, come sappiamo, da Tomas Tranströmer con 17 poesie (1954) una forma non più lineare melodica ma fondata sulla profondità spaziale e temporale del costrutto, in cui le immagini sono collegate in modo da enuclearsi l’una dall’altra. Leggiamo una strofa di Tranströmer:

Il risveglio è un salto col paracadute dal sogno.
Libero dal turbine soffocante il viaggiatore
sprofonda verso lo spazio verde del mattino.

Tranströmer non scrive: «La vita è un ricordarsi di un risveglio», ma salta la perifrasi e va direttamente al «risveglio». Scrive: «Il risveglio è un salto col paracadute dal sogno». Qui siamo all’interno di una costruzione multiprospettica: l’equivalenza introdotta dalla copula «è» introduce non una identità ma una dissimiglianza, una non-identità: è il «sogno» che viene ad occupare il posto centrale della composizione, il suo peso specifico all’interno della composizione è talmente forte da deformare la composizione stessa facendola sbilanciare verso la significazione dell’inconscio. Infatti, il secondo verso non si muove più lungo la linea della dorsale unilineare della melodia monodica (tipica di una certa tradizione cui appartiene Sandro Penna), ma introduce una complessificazione, il soggetto diventa «il viaggiatore» (anche questo attante dislocato a fine verso), il cui peso specifico viene molto accentuato dalla dislocazione a fine verso. Il risultato è che l’equilibrio dinamico e semantico (la significazione primaria e secondaria) del primo distico viene ad essere sbilanciato verso la fine verso. Il terzo verso introduce una formidabile amplificazione e intensificazione multi prospettica nel componimento, lo spazio della composizione si apre a ventaglio come a seguire il moto discendente del «viaggiatore» che si è lanciato dal paracadute, o che si è lasciato cadere dal e col «paracadute» nel vuoto dell’atmosfera.

Ma qui il poeta non nomina affatto il vuoto e l’atmosfera che si aprono davanti al volo del «paracadute», è sufficiente aver articolato la composizione intorno ai due attanti «pesanti» («sogno» e «viaggiatore»), sono essi ad aprire la composizione verso una pluralità di punti di vista spaziali, infatti il lettore vede con i propri occhi il discendere del «viaggiatore» che si getta col «paracadute» «dal sogno» verso le insondabili profondità dell’inconscio. Il «viaggiatore» non può che scendere in verticale: «sprofonda»… dove? «verso lo spazio verde del mattino». Qui, con una formidabile accelerazione Tranströmer indica il lento affiorare della coscienza che si riprende gli abiti del giorno e scaccia nell’oscurità i fantasmi del «sogno», ricaccia indietro il mondo multiprospettico e labirintico dell’inconscio. La parola che chiude la terzina è «mattino». Il «mattino» ricaccia indietro il mondo di fantasmi dell’inconscio e restituisce alla coscienza il dominio sull’io.

Da questa breve analisi si rende evidente che in questo caso lo «spazio espressivo integrale» della poesia trastromeriana non è più fondata sulla equivalenza del principio di identità («è») e sulla simiglianza dissimiglianza tra tutti gli attanti come nella poesia eufonica e melodica di Sandro Penna, in Tranströmer lo «spazio espressivo integrale» trova applicazione dal, se così possiamo dire, principio di multiprospettiva e di non-identità tra tutti gli attanti (sogno, viaggiatore, mattino) i quali obbediscono ad una diversa ed evidente filosofia della composizione. Con 17 poesie di Tranströmer la poesia europea è cambiata per sempre, penso che i lettori non possano che convenire.
Leggiamo quest’altra strofa:

Entrammo. Un’unica enorme sala,
silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era
come una pista da pattinaggio abbandonata.
Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.

Lascio ai lettori la lettura di questa strofa secondo i nuovi criteri ermeneutici della «nuova ontologia estetica», ovvero, secondo il nuovo concetto di «spazio espressivo integrale».

(Giorgio Linguaglossa)

Carlo Livia Aleph, Roma, 2017

Carlo Livia, Aleph, Roma, 2017; seduti: Antonio Sagredo, Sabino Caronia, Salvatore Martino

Carlo Livia

La prigione celeste

Dalla finestra di Mozart vedo la donna nuda che beve lacrime divine in un cielo di astri divelti

e un vecchio bambino pazzo che trascina ridendo l’anima del Grande Assente.

A forza di dormire sull’orlo del precipizio, la mia anima si è mutata in sette serafini ciechi

che baciano in sogno l’infelice sposa dell’Ultradio.

Ho attraversato tutto l’universo, cercando quella fessura del tempo da cui affiora la morte

ma ho trovato solo lo splendore delle madonne silenziose votate al blu.

Tutti i tabernacoli sospesi in alto mare s’inclinano lottando contro un vento di frasi fatte

e versano in cielo una musica di carezze e desidèri di fanciulla,

tristi come la voce che mi sfiora in sogno
per dirmi che non è più qui. Continua a leggere

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