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POESIE Scelte di Francesca Lo Bue da Il libro errante / El libro errante (2013) Commento di Giuliana Lucchini

Francesca Lo Bue è nata in Italia, provincia di PA.  Si è trasferita con la famiglia in Argentina dove è cresciuta e ha compiuto tutti gli studi fino alla laurea in Lettere e Filosofia. Con il suo saggio “Lirismo y Metafisica en Giacomo Leopardi” ha vinto una Borsa di Studio in Italia. Si è specializzata in Filologia Romanza presso ‘La Sapienza di Roma. Fra i suoi ultimi libri di poesia bilingue, “Non te ne sei mai andato” // “Nada se ha ido“, Ed. Progetto Cultura, 2009; “L’Emozione nella Parola” // “Por la palabra, la emociòn”, idem, 2003; “Moiras“, Scienze e Lettere, Bardi Ed., 2012.

Commento di Giuliana Lucchini

Ecco che cosa c’è, di nuovo-ed-antico, oggi in poesia. Linguaggio della ‘medietà’, cioè del parlato, senza forzature, che rifugge da elucubrazioni cerebrali di ricerca o di maniera – semplice, che tuttavia si esprime in modalità non quotidiane, vocabolario d’intreccio ricco di suggestioni e di abbagli.

Si tratta di due libri distinti, cartacei, due volumi che trasportano ciascuno la medesima lena di poesia, con l’ansia dell’andare. Due lingue della stessa origine latina. Alcune poesie stanno in un libro, altre nell’altro, ma in generale si confrontano, testo contro testo, formando la compagine compatta di un solo procedere del pensiero poetico nelle parole essenziali. Sembra che una voce scenda da un unico libro astratto, d’ispirazione divina, suggerisca all’orecchio. Come nella citazione di pag. 25: “già l’aura messaggiera erasi desta” (Torquato Tasso).

Poesia, già antica ora moderna, che una donna trascrive, prefica, dicitrice dell’inesprimibile.

Francesca Lo Bue: molti ormai la conoscono. Di matrice spagnola, la sua penna trasporta passione nel linguaggio poetico, sia che scriva in italiano o nella lingua spagnola che ne informa il carattere.

Un albero di silenzio radicato nelle ombre della terra,
frutto che acceca in fumo”(cft. “Passione”, pag. 25).

Un árbol de silencio
enraizado en las ombras de la tierra,
fruto que enseguece en humo” (“Pasión”, pag 16).

Destino involontario. Il sentimento delle parole è guida, conoscenza, fiamma del divenire. Dettato dell’inconscio.

Chi va in cerca di novità nella scrittura poetica in Italia, troverà nei testi di questi due libri qualcosa di insolito, rispetto ai movimenti poetici correnti. La poesia si imprime d’ emozione: qualunque sia la lingua, dà l’impronta del suo essere ‘anima’ dai misteriosi lineamenti individuali offerti alla compagine del mondo.

Nei versi di Francesca Lo Bue si ascolta qualcosa di diverso dal comune, sia per registri, alto, grave, musica di contrasti, trombe e corni a turbare l’orchestra, sia per aggettivazione ricorrente per scarti di ossimori, improvvisi scatti lessicali, ove il pensiero si fa inseguire ma non raggiungere. Il “libro errante” può non arrivare a una meta, sbagliare destinazione, ma sempre continua ad andare perché quello è il suo compito.

Portatore della lingua. Distillatore di alfabeti. Possono cambiare grammatica e sintassi – il lessico in divenire,  Italiano/Spagnolo – ma il ritmo è sempre quello, battente, fuggente.

“Le lettere, i vocaboli, gli spazi intersillabici, le pause, i punti, i punti a capo, il ritmo, l’incipit … tutto riporta un senso, un messaggio, una emozione: è forza di vita che anela un luogo nello spazio vuoto della pagina” – così è scritto nella “Prefazione” del libro in italiano. Resta costante il ritratto intimo dell’Essere unico, irripetibile, che non si lascia stringere nel pugno.

E la Regina fuggì nella notte dell’oceano
Fuggì verso la lontananza della storia”.
(cfr. “Il tuo volto multiplo”, pag. 24).

 

Francesca Lo Bue scrive in Italiano e traduce i suoi testi in Spagnolo, o viceversa. Un lavoro di qualità, di eccezione, il solo che possa realmente incontrarsi con il Vero di chi affida alla pagina suoni e significati. Nel dissidio fra reale e immaginario, si esalta il disegno ritmico, il gesto rapido delle parole, lo scatto sonoro, il movimento ‘abrupto’ della mente che inserisce alfabeti di passo, interviene sui tempi, inscrive esaltazioni e cedimenti d’immagine linguistica entro i limiti del dettato psichico. Si allarga nello spazio.
– Vai libro, vai parola, non ti fermare. Trova chi ti accolga e ti ascolti.
Libro destinato ad andare. Fiaccola del gioco olimpico, forza di rappresentazione estetica. Opposti di Bene e di Male bruciano nella sua mano ardente.

…“riapparirai nel tempo di tutti, col libro che scrivesti nell’aria, / coi tuoi occhi di profeta,/ con le tue mani di orefice” (cfr. “Il Rabdomante”, retro di copertina).

“… con el libro que escribiste por los aires,
con tus ojos de profeta,
con tus manos de orfebre” (El Rabdomante)

**

Alla ricerca del Luogo di pietra dove sostare, il Libro se ne va, percorre boschi e giardini, si avventura fra roseti, viandante o locomotore, cavaliere dell’aria, il vento in resta, per destinazione di secoli, verso l’avvenire.
La sua Vita si propone simile alla “stele di rosetta” dell’antichità egizia, inscritta in grafie e linguaggi diversi, o al “Lapis Niger” del Foro Romano che la copertina del libro in italiano illustra. La ricerca non avrà mai fine.

Cercare

Come fossi lo spirito della lampada
cerco il luogo del Nome e della cima innevata,
cerco nel gioco delle mani la scrittura fatale del tuo destino.
(pag.80, vv.1-3)

Buscar

Como si fuera el espíritu de la lámpara
busco el lugar del Nombre en la cima nevada,
busco en el juego de las manos la escritura fatal
de tu destino.

Francesca Lo Bue, IL LIBRO ERRANTE / EL LIBRO ERRANTE, Edizioni Nuova Cultura, 2013

L’OSPITE

Daniele, 6,17-21

Il mio ospite segreto,
padrone beffardo,
assente, immobile e illuso.
Lui ti porta alla notte,
alla madre,
alla tersa oscurità della piana sommersa,
al tuo sottosuolo arrogante.
Là, verso la grandezza dell’opera sconosciuta,
con tuo grido stizzito, la frenesia ridente,
e il gesto sornione dallo specchio.
Niente so,
aspetto ciò che appare.
Trascorre la vita nella forza del grido tenace
nella pena della parola già pronunziata,
nella sete silenziosa del non potere.
Sempre povero,
con una stella che si spegne con la luna,
e parla Daniele,
in un pozzo che brilla dei pellegrinaggi nella terra di Dio.

.
EL HUÉSPED

Daniel VI, 17-24

Mi huésped secreto,
mi dueño burlón.
Ausente inamovible, prudente e ilusionado.
Él te lleva a la noche, a la madre,
a la tersa oscuridad del llano sumergido,
a tu subsuelo arrogante…
Hacia la grandeza de la obra desconocida,
con el grito callado a cuestas,
al desvarío alerta,
al guiño de burla desde el espejo.
Nada sé,
espero lo que aparece.
Transcurre la vida
en la fuerza del grito perseverante,
con el agobio de la palabra ya pronunciada,
y la sed callada del no poder.
Y siempre pobre con una estrella dentro
que se apaga con la luna.
Y habla Daniel
en un pozo que brilla de las peregrinaciones en la
tierra de Dios.

A UNA DESAPARECIDA

A quelli che gridarono il nome
quando marciavano verso le porte dell’Orco,
eco che si disfece nei vetri dell’aria.
Lo scrisse la croce della colomba
nelle pagine del libro
che passava in quel marciapiede del Sud.

T’aspettavano.
Aspettava la storia la tua innocenza
…fiore dolce di luce di stelle!
E pagasti con l’innocenza offesa!
Fugacità candida che cammina instancabile,
la nostra storia di montagne e canali rumorosi!
Il tuo dolore immenso ha il gemito del mistero!
T’aspettava la Storia
per il suo progetto strano,
fra i pioppi millenari,
là, nel nostro tempo di vittime e umiliati
perché altri fossero e brillassero,
e noi gli esclusi e smarriti.
Ma sei, sei sempre un sì, segno azzurro,
col tuo gesto e il tuo nome,
col tuo viso disegnato nel pensiero che vibra,
nel pensiero come le brezze di colline addormentate.

.
A UNA DESAPARECIDA

A los que gritaron el nombre
cuando marchaban hacia las puertas del Orco,
eco que se deshizo en los vidrios del aire.
Lo escribió la cruz de la paloma
en las páginas del libro
que pasaba por aquella esquina de Sur.

Te aguardaban.
Aguardaba la historia tu inocencia,
¡flor dulce de luz de estrellas!
¡Y pagaste con la inocencia ofendida!
Fugacidad candorosa que recorre incasable
nuestra historia de montañas y acequias rumorosas.
¡Tu dolor inmenso, que tiene aliento de misterio!
Te esperaba la historia
para su proyecto extraño
entre los álamos milenarios,
allá en nuestro tiempo de victimas y humillados
para que otros fuesen y brillasen,
y nosotros los extraviados y excluidos.
Pero sos, sos siempre,
un si, señal y signo azul
con tu gesto y tu nombre,
con tu rostro diseñado en el pensamiento que vibra,
en el pensamiento como brisas de laderas adormecidas.

IL VOLTO DI ROMA

Fiume che scorre nel tuo viso scavato da passioni immobili,
perenne gioco della luna gialla nella terra di tutti.
Perenne gioco della gloria muta,
delle voci antiche nell’aria quieta.
Perenne scorre il fiume dei morti,
la canzone degli oblii nella terra delle pietre accasciate.
Perenne è la voce strappata a un nodo crocifisso,
istante di un’eternità sconosciuta che scorre nel tuo viso
scarno di passione.

Non dire, non negare!
Ironizzare da una altezza,
come da un cantuccio di pietra.
Ed è foglia secca che geme,
si commuove e cade.
Sempre s’affaccia un peccato nel passato delle voci,
che strizzava l’occhio e ti diceva
ti aspetto in un incrocio di ferro, nella nebbia del tempo.
Riapparirò negli atri di un’altra nebbia per scappare nelle
scalee del tempo.
Un ramo di ciliegio approda
nel linguaggio antico di tutti i giorni.

EL ROSTRO DE ROMA

Un río corre en tu rostro excavado de pasiones
inmóviles.
Perenne es el juego de la luna amarilla
en la tierra de todos.
Perenne juego de la gloria muda,
de las voces antiguas en el aire quieto.
Perenne corre el río de los muertos,
la canción del olvido
en la tierra de las piedras vencidas.
Perenne es la voz arrebatada a un nudo crucificado,
instante de una eternidad desconocida que corre
en tu rostro descarnado de pasión.

A cada hora, un pálpito y una alborada
a cada hora nubes huídas y allá un sol de bronce,
afán de vida que cae en la muerte,
a cada hora vivo y muero, en la vida del olvido,
entre las arenas del día viejo
entre las brisas del día nuevo.

È LUI

Mi hai ferito con una sillaba trasparente.
Il tuo Nome ha profumo di essenze.
Negli sprazzi puntuti del trascorrere ci sei,
negli interstizi languidi del fluire dimenticato.
Quando incerta e assorta cammino,
col dolore che silenzioso s’acquatta intorno,
ci sei,
mi scruti,
corri, come cavallo trepidante.

Voce,
mano avida nello specchio,
strappi un riflesso,
vento soave di verità.

.
ES ÉL

Me has herido con una sílaba transparente,
tu nombre tiene el perfume de esencias blancas.
Estás en los espacios puntiagudos del transcurrir,
entre sus pálidos intersticios.
Cuando solitaria y absorta camino,
con el dolor agazapado alrededor
tú estás,
me atisbas,
corres, como caballo alucinado.

Voz,
mano ávida en el espejo,
atrapas un reflejo,
viento suave de verdad.

L’IPOCRISIA

Il dolore dell’altro, tua occasione

Che faresti senza il mio lento claudicare?
La tua voce forte è la mia voce azzittita,
e nella mia carne aneliti di radici.
M’hai preso tutto,
giallo raggio spezzato senza brividi di pietà!
Ravvivo i tuoi impeti, il tuo labirinto ozioso.
Imparasti dalle mie ferite e dalle mie fatiche,
dal mio cielo infranto.
Costruisti fellonie impeccabili.
Angelo zoppicante,
chi ha bevuto le tue lagrime di brina delle notte?

Tempo,
porti esuli voci e il tenace fulmine.
Carne d’oblio,
carne di notte e solitudine,
a quando una luce ardita?

EL DOLOR DEL OTRO, TU OCASIÓN.

¿Qué harías sin mi morir paulatino, mi asombro?
Tu voz recia es mi voz callada,
y en mi carne anhelos de raíces.
Me quitaste todo,
¡amarillo rayo despedazado,
y sin pálpitos de piedad!
Avivo tu ímpetu, tu laberinto perezoso.
Aprendiste de mis grietas y fatigas,
de mi cielo trunco.
Te construiste felonías respetables.
Ángel claudicante ¿quién bebió
tus lágrimas de escarcha en la noche descolorida?

Tiempo oscuro,
traes voces exiliadas y el rayo tenaz.
Carne de olvido,
carne de noche y soledad,
¿cuándo una luz ardiente?

.
NON VOGLIONO I NOMI

Ti guardo e indovino.
Mi guardi, mi scruti,
conosci i miei gesti?
Ti guardo, ma c’è la mia pelle, il mio petto indurito!
Torno a guardarti,
il mio cuore come sigillato dai fili di piombo!
La mia breccia, i tuoi occhi insistenti.
Attonito alzi gli occhi?
Non posso risponderti!
Non posso uscire!
I miei chiavistelli sono sangue di melanconia.
Non potete parlare?
Quanti siete?
Tanti, legione torbida azzittita…
Uno è rimasto zitto, non capisce,
l’altro ha la faccia rossa di dolore…
Quell’altro cova furia…
E lui, con solitudine affamata!
Mi vuoi abbracciare ma guardi la luna.
Stanno quieti, scivolano appena nella pelle scavata.
Sognano, aspettano, piangono intirizziti dentro il muro
serrato di carne.
Non vogliono uscire!
Hanno paura dell’autunno crepitante,
del fiume,
della neve,
dei cipigli!
dei pantani, delle pietre infangate,
dei marciapiedi dissestati.
Vogliono stare lì, schierati come guerrieri,
ma dentro la pelle!
Avidi, sudici, ma dentro,
acquattati!
protetti negli interstizi della pelle,
nei suoi ardenti vicoli, turbinanti in fantasmagorie paludose!
Non vogliono uscire!
Non vogliono dare i nomi!
Non ce l’hanno lì dentro, stanno muti.
Non vogliono un nome nel sole accecante del meriggio.
Non vogliono i nomi nell’aria del mattino che dardeggia!

Un rostro di pietra senza ali, nella cisterna.

.
NO QUIEREN NOMBRES

Te miro y adivino,
me escrutas.
¿Conoces mis ademanes?
¡Te veo, pero mi piel, mi pecho están endurecidos!
Te vuelvo a mirar, mi corazón es como un
alambrado cobrizo;
mi brecha, tus ojos tenaces…
Me preguntas con un parpadeo seco…
¡No puedo responderte, no puedo salir!
¡Mi cerrojo es de sangre de melancolía!
¿No podéis hablar?
¿Cuántos sois?
Innumerables, turbia legión rabiosa,
uno está callado y no comprende…
el otro, con su enfebrecido rostro de dolor…
Aquél es furia agazapada…
¡y él… con su soledad hambrienta!
Me quieres abrazar, pero miras la luna.
Están quietos, resbalan apretujados en la piel.
Sueñan jadeantes en el umbral del muro de carne.
¡Y no quieren salir!
Tienen miedo del otoño crujiente,
del río,
de la nieve,
¡de la palidez de los cejijuntos!,
de las veredas trizadas.
Quieren estar ahí, juntos y guerreros.
¡dentro la piel!
¡Oscuros!, agazapados en resquicios de carne,
en sus ardientes callejas clausuradas, arremolinados
en fantasmagorías hoscas.
¡No quieren salir!
No quieren decir los nombres…
¡no los tienen ahí adentro, están mudos!
No quieren un nombre en el sol enceguecedor de la
canícula.
¡No quieren nombres!,
en el aire desnudo de la mañana que golpea.

Brocal de piedra, sin alas, el pozo.

giuliana-lucchini-alla-finestra-di-casaGiuliana Lucchini vive a Roma, ha insegnato Lingua e Letteratura Inglese, cattedra in Liceo Scientifico. Traduzioni di poesia, articoli, recensioni, saggi. I 154 Sonetti di Shakespeare (metro fisso, rima a schema hakespeariano), Edition SignathUr, Dozwil, 2012. Ha curato antologie. Ha curato la pubblicazione in Italia dei poeti James Cascaito (New York), Respite, 2009; e Ana Guillot (Buenos Aires), La Orilla Familiar/La Soglia Familiare, 2009. Fra i suoi ultimi libri, L’Ombra gestuale, 2011 (haiku);  Non morire mai, 2011 (raccontare emozioni); Donde hay música, 2012 (omaggio agli strumenti musicali); Amare,  2013 (approccio filosofico); Della perdita dell’ala, 2016 (semiserio);  Solas Luce,2016. Alcuni suoi libri di poesia si trovano acquisiti alla National Library of Congress di Washington e alla Public Library di New York..

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Giuliana Lucchini Della perdita dell’ala (2016) In cammino verso l’autenticità – con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa – Scrivere significa ritirarsi. Ma non nella tenda per scrivere, ma dalla scrittura stessa. Arenarsi lontano dal proprio linguaggio – Lasciare la parola. Essere poeta significa saper lasciare la parola

Giuliana Lucchini

Il 10 marzo 2017, Giuliana ci ha lasciati, era nata 27 maggio del 1929 a Fivizzano (MC) e viveva a Roma. Ha insegnato Lingua e Letteratura Inglese, cattedra in Liceo Scientifico. Traduzioni di poesia, articoli, recensioni, saggi. I 154 Sonetti di Shakespeare (metro fisso, rima a schema hakespeariano), Edition SignathUr, Dozwil, 2012. Ha curato antologie. Ha curato la pubblicazione in Italia dei poeti James Cascaito (New York), Respite, 2009; e Ana Guillot (Buenos Aires), La Orilla Familiar/La Soglia Familiare, 2009. Fra i suoi ultimi libri, L’Ombra gestuale, 2011 (haiku);  Non morire mai, 2011 (raccontare emozioni); Donde hay música, 2012 (omaggio agli strumenti musicali); Amare,  2013 (approccio filosofico); Della perdita dell’ala, 2016 (semiserio);  Solas Luce, 2016. Alcuni suoi libri di poesia si trovano acquisiti alla National Library of Congress di Washington e alla Public Library di New York..

giovanni testori Gli-angeli-nascosti-di-Luchino-Visconti-

Gli-angeli-nascosti-di-Luchino-Visconti sul set

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Per Derrida, «Scrivere significa ritirarsi. Ma non nella tenda per scrivere, ma dalla scrittura stessa. Arenarsi lontano dal proprio linguaggio, emanciparlo o sconcertarlo, lasciarlo procedere solo e privo di ogni scorta. Lasciare la parola. Essere poeta significa saper lasciare la parola. Lasciarla parlare da sola, il che essa può fare solo nello scritto». «Una poesia corre sempre il rischio di non avere senso e non avrebbe alcun valore senza questo rischio».

Scrive Giuliana Lucchini nella poesia posta in exergo al libro:

La Poesia ha perso l’ala
che la portava in alto a vivere di sola luce.
Ė rimasta fra noi mortali.

La poesia italiana dal dopoguerra ad oggi, per ragioni storico-culturali, ha sottovalutato e abbandonato la metafora quale via privilegiata al discorso poetico, l’ha trattata come una sorella bruttina e stupida da non mostrare in pubblico nelle occasioni pubbliche. Il risultato è stato che, senza rendercene conto, abbiamo sposato l’idea assurda che facendo guerra alla metafora si potesse scrivere poesia moderna. Così, privando il discorso poetico della metafora, scrivere poesia è diventata una cosa di estrema facilità, era (ed è) sufficiente mettere in linea (come nella prosa) delle parole, magari lambiccate o prosasticamente attrezzate, per fare poesia. A mio avviso, era (ed è) una via errata che ha finito per portare la poesia italiana in un vicolo cieco.
Basti pensare ad una cosa estremamente evidente: quando sorge il bisogno di una metafora? (lo chiedo ai poeti e ai critici), ma è semplice: la metafora sorge quando ci si trova dinanzi ad una «assenza», quando non abbiamo parole per indicare una «cosa» che altrimenti non potremmo nominare: una «cosa» non esiste se non abbiamo la corrispettiva parola che la indica; e questo che cos’è se non una metafora? La parola (al suo sorgere) è naturalmente una metafora, che poi l’uso di milioni di persone durante decine o centinaia di anni svigorisce e appanna fino a farla diventare parola normale, cioè consunta, consumata, e quindi insignificante. Senza la metafora non potremmo nominare ciò che linguisticamente non appare, ovvero, ciò che è «assente». Se ne deduce che Parola e Metafora vanno di pari passo. In Giuliana Lucchini la metafora per antonomasia è la figura dell’«angelo».

Dirò di più, la poesia di Giuliana Lucchini ha perduto l’Orizzonte, si muove in uno spazio tempo vuoto, a-prospettico. Scrive Nietzsche: «Noi lo abbiamo ucciso – voi e io!.. Chi ci ha dato la spugna per cancellare l’intero orizzonte?… Dove ci muoviamo? Non cadiamo forse continuamente?… Indietro, e di lato, e in avanti – da tutte le parti?».
Il movimento di queste poesie è, appunto, la «caduta» degli «angeli», esseri asessuati e privi di sangue, che non hanno alcuno dei connotati umani, non sanno nulla delle loro angosce e delle loro scarse gioie.

Per Derrida la figura del poeta è l’«uomo della parola e della scrittura» per eccellenza.
Egli è al tempo stesso il soggetto del libro, la sua sostanza, il suo padrone, e il suo oggetto, suo servitore e tema. Mentre il libro è articolato dalla voce del poeta, il poeta si trova ad essere modificato e letteralmente generato dallo stesso poema di egli cui è il padre, ma che producendosi si spezza e si piega su se stesso, diventando soggetto in sé e per sé: «la scrittura si scrive, ma insieme si immerge nella propria rappresentazione». In questa situazione, l’unica esperienza di libertà a cui il poeta può accedere, la sua «saggezza» consiste tutta nell’attraversare la sua passione, ovvero nel «tradurre in autonomia l’obbedienza alla legge della parola», nel non lasciarsi sopraffare, abbassare a semplice servitore del libro. Continua a leggere

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QUATTRO POESIE INEDITE di Giuliana Lucchini “lucente Geminide L’assurdo vivibile cadere” “o Vita, Vita” “Les mots d’amour..” “Ceppo dell’albero genealogico” SUL TEMA DELL’UTOPIA O DEL NON-LUOGO

Giuliana Lucchini non luogo

sciame di meteròidi cadenti dalla costellazione dei Gemelli sulla vasta conca di cielo sopra ‘Villa Tre Colli’ – lucente Geminide

 Giuliana Lucchini vive a Roma e si dedica alla poesia con testi, traduzioni, note critiche, recensioni, saggi. Ha tradotto tutti i sonetti di Shakespeare. Fra gli ultimi libri di poesia propria, L’Ombra gestuale (2011), Non morire mai (2011), Donde hay música (2012), Amare (2013).

L’assurdo vivibile cadere.

Sonorità eravamo, incontri – cocci?
due palle da biliardo
in cozzo fra loro. Chi vinse?
Chi di più resistette al gioco?

Ed ora ti accolgo
furente di raggi,
quando alle necessità del cuore
saetti in atmosfera, lucente Geminide :

o invadente Amore sempre ritrovato
mentre taciturno discendi ed elettrico,
visibile tra cirri, un dito alla bocca,
a violentare il tacere dei cieli.

13-14 dicembre 2014, notte

Giuliana Lucchini alla finestra di casa

Giuliana Lucchini alla finestra di casa

o Vita, Vita

.
Fissata sta la traccia, e lucida, due
rette parallele, direzione andata e ritorno.
Dall’inizio alla fine, sì, lo spazio e
il movimento dei tuoi occhi sono
il tempo oggettivo della verità
nella sfera calda della luce. Interprete
della bellezza durevole, fino a quando ..

Quando il sole nasce
ti alzi
quando il sole cala
ti corichi.

Cosa pensi cosa fai
dipende dal luogo in apparenza statico
dove ti trovi per il momento impressa
a respirare. Fausto o tetro. Gaio
accadere. “Vifitafa”.

“ – Sarò bellissima”.

Allora guardi e disponi, bambina,
organizzi le idee agli eventi, sul grande
specchio ballerina ti posizioni verticale,
intersechi il raggio dove tutto
alla terra si distende in una slitta.

Prima, ora, dopo : la sequenza
d’immagine trasporta
il flusso al cuore, cedevole d’eterno.
Un cuore ad alucce, foglio di libro strappato
in cui si legge dentro.

Che canta, che grida.

Dal lontano futuro all’inquieto passato che ritorna
sopra un punto fuggitivo, un punto solo,
del muovere infinito (♬♬ “Fuochi in mezzo al cielo”(1) )
infine tu, la mano alzata sei. Tu e solo tu,
distanza fra le forme di uno stesso corpo
che dura, fra ciò che è bello e ciò che è finito,
resti sempre la stessa, Vita, scrivi la pagina.

[ (1) canzone Paola Turci]

Giuliana Lucchini Andy Warhol's style - Marta B. fecit

Giuliana Lucchini Andy Warhol’s style – Marta Bochicchio fecit (fine 2014 – inizio 2015)

♬♬ “Les mots d’amour ..” (1)

.
Vive soltanto nella mente o
esiste l’altrove
nel luogo che non fu?

dove fluivano nell’aria ♬♬ “Les mots d’amour ..”

Entrare nella torre,
per scale contorte salire fino
ai merli – merli di muro, merli di piuma,
fischiano con il vento – la tramontana

salire sulle nevi, lassù ..

Invocava la sera il cielo dipinto –
il fiore del vaso in sé era e moriva,
così la luce finiva,

cuscino per la notte.

Molte erano le stanze, scenari,
dove parlare ad un sipario d’occhi,
i corridoi strade, luci di pavimenti rossi,

il sonno della tenebra.

Per ogni stanza uno strumento musicale,
per ogni strumento un orologio di segreteria,
cornice d’argento, metronomo nell’angolo,

le dita con ali la bocca nel pensiero ..

Notti,
concerti, silenzi – letti
l’affastellarsi in mente degli eventi

E tutto nel petto riposava
il tempo ritrovato
memoria di quello che fu,

prima che l’arpa di sopra lacerasse
le sue corde non più toccate
da te

(1) (Edith Piaf)

 Castello notturno

Castello notturno

Ceppo dell’albero genealogico

Pendeva dal ramo.
E la neve gli dipinse le braccia,
gli irrigidì di bianco la pelle, gli destinò
la trasparenza sottile del ghiaccio.

Lo guardavamo portare nel bianco
la nobile luce del lutto.

Lui che sembrava morto dentro il tuo cuore,
e adesso riappariva
sulla distesa degli altri viventi
terso davanti ai tuoi occhi.

Suonando un flauto traverso.

NEVE in piccolo

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA MUSICA O SUGLI STRUMENTI MUSICALI Anna Ventura, Antonio Sagredo, Giuliana Lucchini, Flavio Almerighi, Giuseppe Vetromile, Silvio Aman, Sandro Angelucci, Marisa Papa Ruggiero, Adam Vaccaro, 

 

musica rinascimento

Anna Ventura

Anna Ventura

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anna Ventura

Fitzcarraldo

Quando penso alla musica,
mi viene in mente quel bellissimo film,
Fitzcarraldo,
dove un uomo folle e affascinante
trascina una nave nella giungla
per lì ascoltare
la voce di Caruso.
Questo sì- ho pensato-
Vuol dire amare la musica!
O era la musica,
stanca di teatri e salotti,
che spingeva l’uomo e la barca,
l’altare e il suo sacerdote?

 

musica 

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo

Antonio Sagredo

Angeli neri hanno spento i candelabri,
il sole è impazzito per troppa luce:
è che la gioia ha trattenuto il canto
coi passi di una danza mai più moresca.

Ma non è l’angelo il sigillo di una spada
o lo scettro del fiore nel fondo della coppa:
è che il cuore ha troppo battuto la canzone
e invano la parola detta un nuovo dramma.

E quando il suono colpirà la tempia
vedrete la fornace negli occhi spaventati,
lo squillo sfonderà il corpo innamorato,
la mano, Filli, non fermerà il sangue!

Brno 2-3 agosto 1983

*

Giocherai la sorte nella fiamma, angelo,
nero balocco o marionetta,
che dai fili non azzarda un suo respiro,
ma condanna il moto ad uno specchio eterno.

Anche le lacrime hanno un’ombra da impiccare!

Brno 5-8 agosto 1983

*

Nella cripta i cappuccini
ignorano gli orologi atomici.

Neri e immortali
costano soltanto una corona.

La santa e il cavaliere
sono molto ospitali:
formano una strana croce
dopo ogni lunedì.

Più in là, nel refettorio,
cantando i monaci mangiano le offerte –
una nuova legge li offende,
poveretti, non han di che parlare!

Brno, 9 agosto 1983

*

Che martedì!
Spade intrecciate e mute
Sono la mia corona!

Il tempo sigilla come uno sciacallo
Le leggi di una donna – rigida nell’ambra!

Lacrime crollano come ghigni neri,
cesellati sono i contorni della pietra!

Brno, 10 agosto 1983

 

 

giuliana lucchini con la chitarra

giuliana lucchini con la chitarra

Giuliana Lucchini
LC Poesia, 2012

donde hay musica, Señora,
no puede haber cosa mala

(Miguel De Cervantes)

(omaggio agli strumenti musicali)

Altero
fra le sue braccia
immenso gli spinge
il fiato, gli forza le dita –

e salta e sbuffa, respiro alle corde,
e ride e morde,
corrente elettrica –

lo piega ad arco
e suda e si spoglia, brunito
corre, sospira grida

scivola si rialza – alla rocca si fuga
delle sue mani, creaturale riflette
la mente in danza intorno al suo dio

(o mano che formi la voce
che sali e respiri la luce, ti posi, porti
ostia, eucarestia)

così piange e canta
inno dei cieli
il corpo d’amore

per ascoltarlo devo
inerpicarmi su fino ai bastioni
fino ai merli

la tastiera turrita
dalla porta più bassa
del castello

 contrabbasso

contrabbasso

 

 

 

 

 

(contrabbasso)

 

Mio legno di betulla e di ambrosia
cullami, con tutti i colori che in te
vibrano confortami, rallegrami
mentre t’abbraccio e ti ascolto

tu che sai smuovere le montagne
e fai rivivere eriche di brughiera
in turbolenze d’Ellis * sopra il mio capo
con il tuo canto, voce di campana,

o con la mano negra il duolo
di Summertime. Intorno a te allacciata,
salsa e mango
in giro vorticoso destami

e l’avvoltoio
di pietra e d’oro, dal copricapo
del Faraone

* Ellis Bell (= Emily Brontë, ‘Wuthering Heights’)

 

E .. toccami toccami preghiera, oh Crux,
improvvìsati perno, batti, metronomo,
le dita morbide sopra la pelle del pensiero,
ogni battito un tremito,
entrami ritmo, irripetibile vocale,

goccia a goccia scioglimi
il labbro e tenue aprimi
il canto liquido,
tu l’infrangibile, per un mio sorso
dentro il tuo bicchiere

Giuliana Lucchini violoncellista

(violoncello)

Si viveva in armonia di strumenti,
su nella camera vicina al sole, d’angolo lasciata chiusa
su tre finestre di pietra. Un’arpa,
di cornice d’oro, un fortepiano per dita bambine,
una grande specchiera ballerina. E la chitarra
sul tetto

A conca il letto, di piazza tesa

Di tutti gli angeli musicanti
di legno decorato
che versano suoni dal paradiso dei vasi
stretti all’arca arenaria sulla parete,
la tramontana in treno intorno alle tube,
sia sole o pioggia o vento al davanzale,

sempre sentivamo alto
uno strumento solo

la voce
umana

 

Stradivari 1681

Stradivari 1681

 

flavio almerighi

flavio almerighi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Flavio Almerighi

Stradivari faceva violini

Stradivari faceva violini,
Vannucchi la rivoluzione
col fazzoletto rosso
senza sfumature al collo:

è noto come il legno cresciuto
nei boschi della glaciazione
disperda melodie più dolci,
la musica non si imprigiona

l’altro invece va via romantico
insieme alla rivolta,
e alla parlata onesta
dell’operaio col padrone.

Entrambi lasciati indietro
da storia e geografia,
essere provvisori è una cifra
esosa da pagare,

ma oggi abbelliscono stanze
le stesse,
dove soltanto la musica
esplode

canzonette

Ogni brano vive
dei propri dialetti in posa
come prima di partire,
chi ha mani grosse
non restituisce carezze
alle poche nubi
lasciate perdere
dall’ultima perturbazione

migra senza complimenti,
e passo passo la terra
deglutisce l’ultima tempesta

intanto grate, le foglie
comprimono i nervi
dandosi del tu,
l’umano vergognoso
riporta in soffitta i dischi
di canzonette rinnegate
dopo la maturità,

fessura duro gli occhi
sugli angoli della bocca,
accende la radio. Continua a leggere

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA NATURA MORTA di Steven Grieco, Antonella Zagaroli, Flavio Almerighi, Giuliana Lucchini, Silvana Baroni, Pasquale Vitagliano

Jeff Koons Ballon dog

Jeff Koons Ballon dog

 Ut pictura poesis. E Leonardo ha scritto: «La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura muta». Ogni natura morta ci parla, parla di noi, che siamo fuori quadro. Essa è assenza che attende la presenza umana, o meglio, è una presenza umana che è scomparsa, ed è rimasta l’assenza. E l’assenza ci parla con il proprio apparire, il proprio essere là.

 

 

 

Steven Grieco

Steven Grieco

Steven Grieco

a Bombay

Meravigliati, entrammo nella poesia
proprio quando questa si apriva:

una stanza in cui stava sul tavolo
un vaso di fiori freschi, divinità
inconsapevoli venute da un prato lontano;
il divano e i suoi cuscini vivaci,
una veena, che adesso compariva
sul tappeto;

l’aria leggera, piena del librarsi
di pensieri appena dischiusi: e l’attesa
di una presenza incantevole.

In questa estrema chiarezza, difficile
dire da dove il poeta osservava
la scena,
la sua attenzione in bilico
tra il freddo calcolo e il sogno

(trad. dall’inglese dell’autore)

*Nota: la veena è uno strumento a corde.

 

Still Life

 

Nei giorni estivi, quando gli alberi

persero le foglie, e le stanze
si moltiplicarono in altre stanze,
io ero sveglio

tu venisti in punta di piedi
ti sdraiasti accanto a me,
smarrita tra i miei fogli

Cercando il riverbero muto nelle parole,
non seppi coglierlo nel tuo silenzio iridato,
mentre giacevi sul lenzuolo rosso-scuro,
eri così assorta
sembrava dormissi

Provai tenerezza per il tuo corpo inquieto,
il sorriso coraggioso
quando io uscii nella notte

In questa devozione totale
sul viso mi spuntarono mille occhi

mentre tu dormivi,
tornavi
dentro la tua ombra in fiamme*

(trad. dell’autore)

 

foto di Steven Grieco

foto di Steven Grieco

*UNA NOTA

Quante volte ho intuito la profonda aderenza della vita al mito.
Un giorno scrivi una poesia in inglese, mesi dopo la traduci in italiano. In inglese la poesia è una poesia di addio, estrema poesia d’amore. Mentre lavori sulla traduzione – in piena libertà, così da permettere al significato di liberarsi dalle corrispondenze troppo rigide tra parole inglesi e parole italiane: mentre fai questo, ti rendi conto, stupito, che la poesia esprime una volta ancora la terribile storia di Orfeo. I segni sono infallibili – l’uomo che cammina avanti nell’oscurità (l’incertezza della sua vocazione poetica), la donna che lo segue (il suo muto tentativo di vincere l’impenetrabilità di lui), il mondo degli inferi, l’incendio (l’irrimediabile spaccarsi di un rapporto tra uomo e donna), e infine la separazione – lui va avanti e lei rimane dietro, avviluppata nelle fiamme della dimenticanza.
Eppure tu avevi in mente tutt’altra cosa, volevi solo dire di un rapporto fra due persone, come andò che quel vincolo così come era esistito fino ad allora si spezzò, probabilmente e soprattutto a causa della vocazione che nel poeta distrugge ogni calore umano. Quando avverti la presenza di questo doppio binario – da una parte la vita reale e vissuta, e dall’altra la potenzialità sfuggente, caleidoscopica del mito, che ne è l’ombra – non dubiti che in un altro tempo sia esistito o esisterà un senso del destino umano più grande di quello che normalmente avvertiamo. Tale senso si manifesta negli stampi infinitamente elastici e sempre cangianti della narrazione mitica: e in un attimo ci appare come totalità dell’esperienza umana.
Se ti puoi avvicinare ad esso: girarti di colpo, con un brivido riconoscere ciò che è assolutamente nuovo e profondamente strano – se puoi fare questo, allora saprai anche che il mito illumina volta dopo volta le nostre orme, il nostro stesso essere. Quale che sia, e ovunque realmente stia, questo nostro essere.

Antonella Zagaroli

Antonella Zagaroli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonella Zagaroli

“Tre rose”

Rosa aborigena

Una veste davanti al volto
impallidito. Fiore senza nome
alla donna ondeggiano i riccioli
sorride a chi si presenta a piedi nudi
per rispetto delle anime antenate.

Al centro del villaggio
sotto il tetto del dio
una valigia, due candele accese

 

Rosa antico

Seno di primi vagiti per la sconosciuta
nei giardini di tè, vaniglia e cannella

le gambe si riposano
sotto banani e bambù
sfiorano i corpi agli elefanti.

la scalata agli avi.

 

Rosa allo specchio

 

Profumo di isola sognata
abituo l’assenza ad ogni suo fruscio

le giunture si estendono senza traumi
la corolla ascende

discende

 

Flavio Almerighi

Flavio Almerighi

Flavio Almerighi

sull’amore sfinito

 

Piero si vede con dio
nei bicchieri di glengrant,
fuma fino al filtro
dentro una cabina senz’anima
e gettoniera sventrata,

magro scannato, niente impermeabile
la fede portata a stringere
da un orafo tornato al mare
per tracciare segni sulla schiuma,
la serranda chiusa come un uovo,

e lui dentro a fare nembo kid,
col buon senso di successi estivi
modellati sulle anche di due amiche
in spiaggia a farsi spine
per il solito di passaggio che,

piccolo com’è sembra lo zero,
aspetta un giorno
va via deluso, smarrito
nella natura morta
senza fine degli ombrelloni,

un po’ di brezza sospira
sull’amore sfinito

 

bagni Eden

qua non è più mare
solo vernice di barche
e mignotte slave

entrate in acqua
a vostro rischio,
nessuno vi salverà.

Turisti senza amore
tra le onde fangose
assaggiano brezza salata

qualcuno ha dimenticato
le scarpe sul molo

 

natura morta di Ilva Lucchini

natura morta di Ilva Lucchini

Giuliana Lucchini

Giuliana Lucchini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuliana Lucchini

Natura morta

 

Fra una finestra e l’altra
il suo profilo severo e di trequarti
la bella bocca di bacca rossa.

Fra il vero e il falso il colore della mela
e con il gelo di gota immobile, la
solitudine.

Guarda lontano. L’albero spoglio
di tutti i frutti cede al vassoio una dolcezza
che non sarà più scossa.

Natura morta natura viva,
fra l’una e l’altra neppure uno iato:
silente fiato.

Potenze Principati Dominazioni.
Un verso finito. Occhio fisso, la mutezza
del servizio.

Come hai potuto irrigidirti,
felicità – senza toccarti,
d’ali ti fai l’ombra leggera.

(inedito)

 

Giuliana Lucchini

Giuliana Lucchini

 

natura morta di Van Gogh 1887

natura morta di Van Gogh 1887

La lentezza della beltà.

Separarsi.

Spararsi. Un colpo e basta.
Con il fucile. Fra costole. Cadere.
Nella culla del letame.

Poi camminare. Camminare è bello.
E’ necessario.
Stormi di storni, il roteare.

Orecchio mozzo, fiato corto
il sangue a caglio fra sciarpe. Nessuno
che ti conosca. Andare.
Per la via nota, fuori campo.
Alla città di luce. Alla salita.
.. rue Lépic. Giungere al portone.
Aprire. Salire le scale fino al quarto piano.
Girare la chiave nella porta.
Entrare. Chiudere.
Disordine.

In ordine soltanto i quadri –
quadri appoggiati a terra, quadri alle pareti
quadri allineati. Nella stanza, di nebbia.
Arrivare al letto. Un’eternità.
Distendersi. Restare immobile. Pensare (a cosa ?)

Respirare.

Morire dopo quattro giorni. Continua a leggere

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TORNARE ALLA CORTE DI CESARE? – SUL TEMA DI ZBIGNIEV HERBERT: IL RITORNO DEL PROCONSOLE. Giuliana Lucchini, Antonio Sagredo, Inediti

pittura parietale stile pompeiano

pittura parietale stile pompeiano

 

Ipazia nel film agorà

Ipazia nel film agorà

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuliana Lucchini

Selene (canzone)

Fu quando Giove disse che dovevo scendere dal cielo
fu quando Giove disse che dovevo scendere dal cielo.
Aveva riempito i miei occhi del miele delle stelle
aveva riempito i miei occhi del miele delle stelle.
– il mio petto era di scrigno
– il mio scudo un cimiero

Vocazione universale l’incantazione dei miei occhi
dilagò negli occhi di tutti i guardanti.
Fu allora che mi amasti per sempre, Romano.
Sulla vetta del tuo pensiero splendevo come spada
e la freccia del tuo amore governavo :
per tutta la terra e le acque ti tenevo.

La notte m’era diadema dai mille scintillii
la notte m’era diadema dai mille scintillii.
Trascinavi la bocca a bere alla mia fonte.
Trascinavi la bocca a bere alla mia fonte.
– tu superbo bastardo, fecondo di natura
– tu di gambe cordato a cavalcarmi, guerriero.

Nei miei occhi trovasti il pozzo dei tuoi incantamenti.
Bevevi in me l’acqua dei tuoi martirii.
E fosti per mia luce sull’Urbe vittorioso.
Alzasti l’aquila imperiale a offuscare
tutti gli altri alti uccelli del volo al tuo ritorno.
Capriccio di virtù fino ai confini.

Ai tuoi comandi le Idi d’Aprile.
Amasti, fino ad odiare.

 

statua romana l'imperatore Claudio

statua romana l’imperatore Claudio

 

l'imperatore Commodo e la sorella nel film Il gladiatore

l’imperatore Commodo e la sorella nel film Il gladiatore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Sagredo

Ora io in te, senza un corpo,
muovo…

L’orrore vitreo di una circonferenza deforma
gli oggetti e una camera nuziale – le pareti
esterrefatte sono indegne per gli arazzi,
i merletti decidono qual è il tempo dei commiati.

Non odo più, né dono gli imbelli disinganni,
né i doveri della carne sono quei sigilli incompiuti
che io e te stampiamo uniti e circoncisi,
come se i nostri amplessi fossero digiuni di chimere.

Il tuo diniego fu gelido, come un chiodo della Croce!
La tua parola dannata, come un verso dei Cantici!
Con quale astuzia e fattura hai dissolto il mio potere
perché la mia carne sapesse i tuoi pilastri d’ossa?

(Vermicino, 17 novembre 2003)

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SUL TEMA DELL’ISOLA DEI MORTI  di Böcklin (Stige o Acheronte) – Poesie di Giuliana Lucchini, Salvatore Martino, Silvana Baroni, Gian Piero Stefanoni, Ivan Pozzoni, Ambra Simeone

arnold bocklin Toteninsel (L'isola dei morti)

arnold bocklin Toteninsel (L’isola dei morti)

La spiaggia di Levrechio sull’isola di Paxos si trova di fronte alla foce dell’Acheronte fiume che attraversa l’Epiro, regione nord-occidentale della Grecia, e si congiunge col mare nei pressi della cittadina di Parga. L’Acheronte è un affluente del lago Acherusia e nelle sue vicinanze sorgono le rovine del Necromanteio, l’unico oracolo della morte conosciuto in Grecia. Ma Acheronte (in greco Ἂχέρων, -οντος, in latino Ăchĕrōn, -ontis) è anche il nome di alcuni fiumi della mitologia greca, spesso associati al mondo degli Inferi. Secondo il mito sarebbe proprio un ramo del fiume Stige che scorre nel mondo sotterraneo dell’oltretomba, attraverso il quale Caronte traghettava nell’Ade le anime dei morti; suoi affluenti sarebbero i fiumi Piriflegetonte e Cocito. Il suo nome significa “fiume del dolore”. (nota di Francesco Aronne)

 

Isola dei morti, quarta versione

Isola dei morti, quarta versione

giuliana lucchini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuliana Lucchini

Ashes in the Museum

(a mia sorella Ilva)

 

Portammo
ceneri al museo, in una cripta d’argento,
raccolte dentro il cuore di una tela,

ceneri dalle rive d’Acheronte.

Nella trasparenza della luce
il velo sulla forma, il velo
che si stampò della bellezza

nella sua bara :

la tua creatura di cenere, Alma-Tadema*,
che si sbriciola tra le dita
appena implode al solco dello Stige.

Via della Croce sopra le spume,
struggente raffinatezza del deperibile
che la mano dell’artista eterna :

abbandona il peso, esce dal chiostro,
brilla di tutte le stagioni,
cammina da sola verso l’immateriale.
* (mostra al Chiostro del Bramante)
** “Sei nell’anima
e lì ti lascio per sempre ..” (canta Gianna Nannini)

 

opera di Dalì

opera di Dalì

 

 

 

 

 

 

 

 

salvatore martino col sigaro

Salvatore Martino

Sopra un quadro di Böcklin

Ritornato dal caotico inferno
e dalla solitudine
l’immagine appare
schiacciata contro il muro
affatto rettilineo il tracciato del cuore
privo di ossigeno il cervello

Dopo quaranta giorni nel deserto
a combattere l’assenza di me stesso
muta discende una preghiera

– Angelo atterrito
che abiti le caverne del mio fiato
tieni lontana
dall’orma del mio piede dall’approdo
la bianca figura dell’Isola dei morti
riportala nel gorgo della sua tela
con l’alito atroce della tua parola- Continua a leggere

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La Grande Bellezza di Roma – Poesie di Salvatore Martino, Annalisa Comes, Chiara Moimas, Gian Piero Stefanoni, Leopoldo Attolico, Loris Maria Marchetti, Franco Fresi, Giuliana Lucchini

Il Mangiaparole rivista n. 1 

Salvatore Martino

Elegia romana

da Commemorazione dei vivi (1979)
La giovane russa fu sconvolta

Aveva la bocca di cenere
un paradiso feroce tra le cosce

un’azzurra cadenza nello sguardo
e un elegante sistema di volute
coronava la testa

Se ti chiedessi di cominciare una storia
o soltanto ferirla nel ricordo?

Tremavano i gesti e le parole
il sesso gonfiava sotto i pantaloni
camminando di notte l’argine fluviale
che penetra come un fallo la città
domestica dal tramonto all’alba
straniera prima che calino le ombre

Confusi da eventi che sorprendono
raggelati da voci che mai ci chiamano

per nome contro occhi di luce minacciosi
e bozze fasciate da intestini che
assumono parvenze d’uomo
traffichiamo la notte
vendendola al prezzo stabilito
sotto glaciali stelle che raccontano
inverosimili storie di fanciulli
e di donne sgozzate
di agonie premature
casuali assassini nelle piazze
spietati suicidi di bambini

Galleggiano tra conati di merda
capelli e braccia gambe spolpate
ingorgano l’ultima pista a Fiumicino
attraccano gli sputi nell’isola sacra alle Vestali

Mia dolce tenera massacrata città!

Barcolli tra obelischi e rottami
in un quotidiano martirio
il pozzo dove anneghi la tua luna
è quello soffocante delle fogne

Ti saluta al mattino l’avvilente metafora
del piatto mostri inquieti s’aggirano tra
oleandri e rovine all’ombra delle cupole
e di torri sotto le pensiline nei bar nelle stazioni
all’angolo di equestri monumenti emergono
tra cespugli e latrine dagli antichi portoni
dai rispettati androni dei partiti

Gli angeli incorrotti ti salutano

Scendi Regina
Che sia dura la notte

Per coloro i cui passi risuonano
troppo nella veglia
viaggiatori del limbo

Che bisogna dormire!
Conformemente uniti nella lotta

Un’altra specie di individui ombra
assesta il culo sopra la poltrona
distrattamente ingrana le leve del comando
fatalmente coincise con la frode
e affiorano carogne di tigri dal letame
macilenti avvoltoi divorano le porte
Sebastiano e Metronia Paolo e Pinciana

Hanno fagocitato tutto il sangue
che mai ti percorreva le arterie
città trasognata
da un sogno irripetibile di gelo

Cominciato al crepuscolo il viaggio non ha fine

Vegliano in armi questa notte gli antichi
Imperatori hanno preso in affitto il lungotevere
dal ponte Palatino a ponte Milvio
e dai carri al galoppo ci guardano passare
in una interminabile sequenza di vittime soltanto
che ormai non c’è bisogno di carnefici

Irreale città
magicamente costruita da bizzarri architetti
distendi le tue case sopra il niente
Quando ti succhieranno le formiche
uscite inesorabili dai loro nascondigli
rompendo argini e finestre in una
tumultuosa metamorfosi di nuclei e di geni?
Lo stadio che le annunzia
è questa vischiosa marmellata?

Si è frantumata la paura l’alfabeto
è un mosaico sfibrato senza incastri
che vomita parole un blocco solo impasta
l’anima il piombo la speranza

pittura parietale romana

pittura parietale romana

La giovane russa fu sconvolta

Aveva tra le mani una guida eterna
e mappe e segni carte strategie itinerari
impossibili una lunga sequenza di divieti

Chiuso per restauro!

Voleva dire per sempre

 

 

 

 

annalisa comes

annalisa comes

 

 

 

 

 

Annalisa Comes

Breve storia di una guarigione per un ospite del Fatebenefratelli

 

Dopo aver osservato le stelle,
posò il bicchiere sul tavolo.

– Domani sarà una bella giornata –
dichiarò soddisfatto
passandosi la lingua sulle labbra.

Tutte le sere guardava dalla finestra,
tirava fuori il muso
dalla cornice bianca
giù,
lungo
le rive,
alla grande prua di marmo,
poi verso i rami contorti dei platani,
e di nuovo ai bastioni, alla piazza S. Bartolomeo –
gli occhiali sulla punta del naso.
Voleva prendere il largo – e navigare.

– La luna non ha alone – il vento è propizio -.
Pensava che avrebbe steso le vele
sul ponte, per prima cosa.

 

Roma_pittura parietale_ impero romano

pittura parietale stile pompeiano

Chiara Moimas

Roma
Ad imperitura memoria
scanalature smussate dai diluvi
e dalle brezze si ergono monche.
Secoli discordi si accalcano
sopra intonaci sgretolati dall’oblio.
Alloro con mirto Ignavia ha intrecciato
e discinta sullo scranno più alto
s’è assisa. Tu quoque
a perpetrare il tradimento sei giunto
da introvabili valli e da esposte riviere
avvinghiato alle ali di metallici sparvieri.
Ombreggia lo sguardo di barbarica
innocenza ma le mani ad immergere
ti appresti nel torbido dei forzieri.
Opaco l’oro e scalfita la corniola.
Eterno a sedurre rimane l’acceso tramonto.

 

Gian Piero Stefanoni

Ponte Cestio

“Non punirti più, non punirti più..”-
ti dici Roma tra l’odore del piscio
e una bellezza che non può più bastare.

Ma risalgono e avanzano, senza più ostacoli
gli animali fiutando la carne.

Nel nostro dare o non dare, il lamento degli stupri,
le voci lasciate a casa, prestate al sangue.

Anime vili, anime prave, ogni tanto qualcuno
non ce la fa e cede: gambe, braccia,
denti consegnate ai giornali.

Come giocare tra le mine e improvvisamente saltare.

 

 

leopoldo attolico

Leopoldo Attolico

Disamore? ( Roma docet )
La mia città indisponente
si difende così bene
che è un piacere attaccarla :
con un ghigno non cattivo
-cattivista
si può provare ad appenderla
-per gioco , al fatidico chiodo
come i guantoni di gran boxeur
grondanti inerzia esplosiva
ed onusta grandeur

Si noterà
-dentro una luce lasca
e un poco impertinente ,
che la nuova emozione
altro non è che la rappresentazione al bacio
di una specie di galateo d’antan rovesciato
dove tutto risplende per l’ultima volta

( e rieccoti ancora l’amore )
(da La realtà sofferta del comico , Aìsara 2009)

 

 

Loris Maria Marchetti_1

Loris Maria Marchetti

Caput mundi
Davvero qualche nume
indigete o acquisito
molto ti deve avere cara, Roma,
se pure tra lo scempio e l’immondizia
in cui ora marcisci
riesci a conservare quasi intatti
il tuo clima stupendo
e l’azzurro del cielo.

(da Le ire inferme, Edizioni dell’Orso, Alessandria 1989)

minotauro

La sera ci bruciavano i piedi...

La sera ci bruciavano i piedi
per le piaghe – quel San Pietro e Paolo
quasi deserto e allucinato
di sole – tanto vagammo per Roma
tutta nostra (e di pochi turisti
fradici di sudore): fu quello il giorno
che l’amammo per la prima volta.

(da Il laccio, il nodo, lo strale, Achille e la Tartaruga, Torino 2012)

Franco Fresi

A Roma

Per troppo amore alla mia terra
ritorno alle tue strade.
Avevamo piedi piccoli e suole pesanti
scomode sui sampietrini.
Delle mie vecchie orme mi farai riappropriare
anche se a lungo il tempo
il marmoreo profilo vulnera e tutto
di te dissimula.

Dovrebbe essere un obbligo venirci
da prìncipi o da mendicanti
da santi o da peccatori
in viaggio di superamento, abitarci
almeno per un poco, protési
i sensi al battito delle tue cento vite,
al canto dell’ape regina.
Quando nasce e quando muore
tra genuflesse operaie
sibilo impercettibile è il canto
di saluto alla vita o l’addio.
Resta in fondo al perfetto
esagono del cenotafio di cera
quel canto o sospiro, dicono,
fino alla terza delle quattro pasque.

Anche il tuo canto è flebile, Roma, accordo
di canute acque in piano alveo
eco d’antica voce
di nume condannato a non morire.

Giuliana lucchini

 

 

 

 

 

 

Giuliana Lucchini

Dall’oltre venire

alla mia bella nipote Marta

Il lutto non è mai finito fiore :
l’ira scolpita a caratteri di fuoco

sulle mura della città
ma in alto sul monumento

dove si posano fra la folla
imperturbati gli uccelli bianchi

in quattro si pettinano tutte insieme
caldamente ridendo accanto al pozzo

(capelli lunghi di vari colori
inclini fluttuano su baci d’aria –

la quadriglia alata se ne va con loro,
tace il terrazzo ai prodromi della sera):

le ragazze che hanno sorvolato l’oceano
per incrociare con ali di sole

l’eterna bellezza di Roma

(inedito)

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I PRIMI 5 SONETTI di WILLIAM SHAKESPEARE – TRADUZIONI A CONFRONTO di Giuliana Lucchini e Raffaello Utzeri

Shakespeare 31

From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty’s Rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory;
But thou, contracted to thine own bright eyes,
Feed’st thy light’s flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel.
Thou that art now the world’s fresh ornament
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, mak’st waste in niggarding.
Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world’s due, by the grave and thee.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAVersione di Raffaello Utzeri

I
Prole auguriamo alle creature belle,
la rosa di bellezza mai ne muoia;
ma quando il tempo la matura, e cade,
giovani eredi eternino il ricordo.
Tu, fidanzato ai tuoi stessi occhi splendidi,
bruci te stesso, esca della tua fiamma,
fai carestia nell’abbondanza, in danno
del tuo dolce te stesso assai crudele.
Sei il più gaio ornamento che ora ha il mondo,
l’unico araldo delle primavere;
però se fai morire in boccio il germe,
mio dolce avaro, il tuo risparmio è sperpero.
Pensa anche al mondo, o sarà tanto ingordo
da inghiottir ciò che è suo, con la tua fossa.

Giuliana Lucchini

Giuliana Lucchini

versione di Giuliana Lucchini

1
Da belle creature aneliamo discendenza,
Ché rosa di bellezza così mai non muoia,
Ma se col tempo si matura a decadenza,
Possa un tenero erede portarne memoria.
E tu votato agli occhi tuoi d’ogni beltà,
Luce ne nutri, di te fiamma sostanziale,
Recando penuria dove abbondanza sta,
Tu stesso tuo nemico, al dolce te esiziale.
Tu che ora sei del mondo il suo fresco ornamento,
E il solo araldo di primavera primizia,
Ancora nel boccio tumuli il tuo contento
E tenero avaro ti sprechi d’avarizia.
Pietà del mondo, altrimenti ingordigia è
Mangiarsi il dovuto, dalla tomba e da te.

*

shakespeare-image2

When forty winters shall besiege thy brow,
And dig deep trenches in thy beauty’s field,
Thy youth’s proud livery, so gaz’d on now,
Will be a totter’d weed of small worth held.
Then being ask’d, where all thy beauty lies,
Where all the treasure of thy lusty days;
To say within thine own deep-sunken eyes,
Were an all-eating shame, and thriftless praise.
How much more praise deserv’d thy beauty’s use
If thou could’st answer “This fair child of mine
Shall sum my count, and make my old excuse”,
Proving his beauty by succession thine.
This were to be new made when thou art old,
And see thy blood warm when thou feel’st it cold.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAversione di Raffaello Utzeri

II
Quando quaranta inverni alla tua fronte
faranno assedio e scaveranno a fondo
trincee nel campo della tua bellezza,
questa altera livrea di gioventù
ora tanto invidiata, avrà la stima
di una logora stoffa a basso prezzo.
Chiesto allora dov’è che si nasconde
tutto il tesoro dei tuoi giorni ardenti,
rispondere “nei miei occhi infossati”
che vergogna sarebbe, assurda lode!
Ma come se ne approverebbe l’uso
se tu potessi dire: “il mio bel figlio
salda il mio conto e la vecchiaia scusa”,
essendo erede della tua bellezza!
Sarebbe un tuo rinascere da vecchio,
scaldarti il sangue al sentirtelo freddo.

giuliana lucchini con chitarraversione di Giuliana Lucchini

2
Quando quaranta inverni alla fronte assediata
In campo di beltà scavino solchi a fondo,
La bella livrea di gioventù così ammirata
Sarà logora, veste di ben poco conto.
Richiesto dove sia tutta la tua beltà,
Dove tutto il tesoro del tuo tempo aitante,
Dire ‘negli occhi’ segnati in profondità
Sarebbe vanto inutile, onta divorante.
Quanto più vanto merita beltà che s’usa,
Potendo replicare ‘questo figlio bello
Mi salda il conto e che sia vecchio chiede scusa’,
Mostrando tua la sua beltà, retaggio in quello.
Sarà rifarsi nuovo se vecchio sarai,
Vederti in sangue caldo se freddo l’avrai.

*

shakespeare_23

Look in thy glass, and tell the face thou viewest
Now is the time that face should form another,
Whose fresh repair if now thou not renewest
Thou dost beguile the world, unbless some mother.
For where is she so fair whose uneared womb
Disdains the tillage of thy husbandry?
Or who is he so fond will be the tomb
Of his self-love to stop posterity?
Thou art thy mother’s glass, and she in thee
Calls back the lovely April of her prime;
So thou through windows of thine age shalt see,
Despite of wrinkles, this thy golden time.
But if thou live remembered not to be,
Die single, and thine image dies with thee.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAversione di Raffaello Utzeri

III
Guarda lo specchio e di’ al viso che vedi:
“ormai è tempo di formarne un altro”;
se non innesti adesso il tuo bel fiore,
rubi al mondo e sacrifichi una madre.
Chi mai, bella che sia, non si darebbe
vergine a questa tua virilità?
Sopporteresti di essere la tomba
del tuo amor proprio, per negarti ai posteri?
Tu sei lo specchio di tua madre, in te
lei rivive i bei tempi del suo aprile:
a spregio delle rughe anche tu avresti
giorni d’oro a finestra dell’età.
Ma se vivi per non lasciar memoria,
scapolo morirai con la tua immagine.

Giuliana lucchiniversione di Giuliana Lucchini

3
Guardati allo specchio e dì al viso che vi vedi
Ch’è tempo ora per quel viso di farne un altro,
Al cui fresco rinnovo se ora non provvedi,
Defraudi il mondo, sconsacri madre peraltro.
Dov’è una sì bella, il cui ventre non solcato
Disdegni il vomere di tua virilità?
O chi dell’amore di sé è così infatuato
Da farsi tomba, arrestare posterità?
Tu sei lo specchio di tua madre ed ella in te
Richiama il suo dolce aprile di prima data,
Così dai vetri degli anni vedrai in te,
Malgrado le rughe, questa tua età dorata.
Ma se vivi per non essere ricordato,
Muori celibe, al sembiante morire è dato.

*

shakespeare b4

Unthrifty loveliness, why dost thou spend
Upon thy self thy beauty’s legacy?
Nature’s bequest gives nothing, but doth lend,
And being frank she lends to those are free:
Then, beauteous niggard, why dost thou abuse
The bounteous largess given thee to give!
Profitless usurer, why dost thou use
So great a sum of sums, yet canst not live?
For having traffic with thy self alone,
Thou of thy self thy sweet self dost deceive:
Then how when nature calls thee to begone,
What acceptable audit canst thou leave?
Thy unused beauty must be tombed with thee,
Which, used, lives th’ executor to be.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAversione di Raffaello Utzeri

IV

Bellezza prodiga, perché mai spendi
il tuo bel patrimonio entro te stesso?
I doni di natura sono prestiti
che lei fa, generosa, ai generosi;
bell’avaro, perché dunque tu abusi
del beneficio avuto per donare?
Usuraio sbancato, perché accumuli
tante somme, se poi non hai da vivere?
Se, trafficando solo con te stesso,
privi te stesso del tuo dolce io,
quando ti scaccerà dal mondo la natura
che consuntivo esibirai per buono?
La tua bellezza, senza impiego, deve
seppellirsi con te. Bene investita,
vivrebbe per curarti il testamento.

Giuliana Lucchini

Giuliana Lucchini

versione di Giuliana Lucchini

4
Prodiga leggiadria, davvero perché spendere
Su te stesso il tuo patrimonio di beltà?
Natura non dà a lascito, ma presta a rendere,
È franca e presta a chi commercia in libertà.
Allora mio bell’avaro, perché tu abusi
Dei munifici doni dati a te per dare;
Usuraio senza profitti, perché tu usi
Gran somma di somme, incapace di sfamare?
Perché negoziando con te stesso soltanto
Ti privi da te stesso del tuo dolce te,
Se Natura ti chiama a dipartita intanto,
Qual resoconto accetto lascerai di te?
Non usata Bellezza in tomba con te andrà,
Che se usata tuo testamentario sarà.

*

shakespeare5

Those hours, that with gentle work did frame
The lovely gaze where every eye doth dwell,
Will play the tyrants to the very same
And that unfair which fairly doth excel;
For never-resting time leads summer on
To hideous winter, and confounds him there;
Sap checked with frost, and lusty leaves quite gone,
Beauty o’er-snowed and bareness every where:
Then were not summer’s distillation left,
A liquid prisoner pent in walls of glass,
Beauty’s effect with beauty were bereft,
Nor it, nor no remembrance what it was:
But flowers distill’d, though they with winter meet,
Leese but their show; their substance still lives
sweet.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAversione di Raffaello Utzeri

V
Le ore, che gentili ricamarono
quel bell’aspetto in cui ogni occhio indugia,
contro lui stesso fattesi tiranne
guasteranno ciò che ora eccelle in bello;
perché il tempo senza riposo spinge
l’estate in mischia con l’odioso inverno,
linfe in brina, turgide foglie andate,
bellezza congelata e nudo ovunque.
Se non restasse poi l’essenza estiva,
liquida prigioniera chiusa in vetro,
la bellezza sarebbe col suo effetto
persa, e il ricordo di ciò che essa fu.
Ma i fiori distillati, anche in inverno,
perso il colore, in dolci essenze vivono.

Giuliana lucchiniversione di Giuliana Lucchini

5
Le ore che formarono con gentil lavoro
La bella immagine dove ogni occhio dimora
Tiranne saranno verso la stessa, loro,
Togliendo bellezza a chi bellamente infiora.
Il Tempo che mai posa induce avanti estate
Verso l’inverno orrendo e la confonde là,
Linfa morsa dal gelo e foglie fresche, andate;
Bellezza sotto neve e ovunque aridità.
Se l’essenza d’estate non fosse lasciata
Liquida prigioniera in pareti di vetro,
Di sua beltà bellezza sarebbe privata,
Né lei né il suo ricordo resterebbe dietro.
Fiore distillato cede a inverno apparenza,
La sua sostanza vive dolce in una essenza.

 

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I SONETTI di WILLIAM SHAKESPEARE – PRESENTAZIONE di Giuliana Lucchini

1609, pubblicati a Londra la prima volta presso Thorpe in formato ‘in-quarto’, sono rimaste 13 copie dell’originale, conservate in Biblioteche di Gran Bretagna e Stati Uniti.
Poesia d’amore fine secolo XVI. Spontaneità e artificio. La naturalezza lirica del sentimento d’amore viene a inserirsi perfettamente entro lo schema pre-costituito del ‘sonetto’ di moda. Petrarca nella mente, i poeti vi si esibiscono intorno alla corte di Elisabetta I. L’amore per la persona, vera o presunta, si concentra in amore per l’arte poetica, ne diventa un solo obiettivo, con tutto il trasporto che l’emozione comporta, sia il sentimento autentico o d’invenzione, messo al tornio dell’arte retorica e dell’immaginazione letteraria a vari livelli di bravura, secondo la forza del poeta coinvolto.
Perché Shakespeare eccelle sugli altri poeti suoi contemporanei? Perché il suo grado di eccellenza si manifesta non solo in un’opera lirica, ma anche in quella drammatica, in cui il suo talento non è più paragonabile, in quanto sovrasta tutti gli altri del suo tempo. Il suo genio creativo è di qualità unica, non ripetibile.

 Shakespeare non  si limita a proseguire la traccia petrarchesca. Shakespeare inventa. Così la rigida forma del sonetto prenderà nome da lui (sonetto shakespeariano/sonetto inglese), per lo scarto inventivo sul sistema rimato con chiusura in distico finale, a soluzione dei 14 versi del testo fissati in pentapodia giambica : ABAB CDCD EFEF GG.
Amore sacro e amore profano: amore spirituale e, per la prima volta in un testo lirico, amore carnale. Il puro afflato celebrativo dello spirito desiderante muove pulsioni scrittorie contaminato da contingenze di realtà quotidiane.
L’opera, composta di 154 ‘sonetti’, si articola per segmenti e gruppi, di argomento e tono diversi. Indirizzata alla persona amata – per la prima volta in letteratura da uomo a uomo – vi si muovono, non per voce propria ma condotti a mano dell’autore, ‘personae’, personaggi reali, almeno tre in rappresentazione : l’amato, oggetto del verso sublime; un poeta rivale che dedica poesie alla stessa persona amata, suscitando gelosie; una misteriosa e sensuale ‘dark lady’ enigmatica traditrice, in virtù della quale si consacra il triangolo amoroso, con effetto di novità per il verso canonico ancora una volta in gestazione anticonvenzionale.

Ad essi si aggiungono i personaggi astratti, quasi tangibili, del Tempo, e della classica Musa, la Poesia. Natura e Morte non mancano, secondo l’immaginativa comune. Il non detto affiora. C’è tutto l’occorrente per una storia d’intrighi. Tale da rendere questo Canzoniere, lirico per natura, pronto ad affrontare anche le luci della ribalta del secolo XXI per un confronto drammatico. Secondo la profezia del sonetto 81, v. 11 : “And tongues to be, your being shall rehearse”.
Gli ultimi due sonetti (153-154) sono invece convenzionali e indipendenti dal contesto (sebbene vi si trovino passaggi ironici che lo connettono a chiusura del ciclo della ‘dark lady’). Vere esercitazioni di composizione poetica secondo canoni classici, le due variazioni, stile poetico-narrativo, possono essere state scritte in qualunque momento della vita del Poeta, a partire da sollecitazioni imitative di unepigramma greco del V secolo, ascritto a Marianus Scholasticus poeta bizantino, inserito nell’Antologia Palatina (in traduzione latina 1603, ma probabilmente tradotto prima in inglese da Ben Jonson – come sostengono gli studiosi).

shakespeare teatroSezione I.

La sequenza si presenta in struttura omogenea per stile e tema. Comprende il ciclo dei sonetti 1-17, d’argomento ‘matrimoniale’: il poeta in pratica esorta il giovinetto a sposarsi, perché la Bellezza eterna che in lui si raffigura possa, in contrasto con il Tempo distruggitore, rinnovarsi e vivere nella sua progenie. Tutto questo, impreziosito di riflessioni su natura e arte, verità e artefatto. Si celebra un mondo spirituale che esalta l’amore platonico del bello e benedice il santo riprodursi della creazione. Sebbene ossequioso, il sentimento d’amore è altruistico e fraterno fra uomini legati da rispetto e amicizia reciproca, con le dovute distanze di ceto, di censo, e d’età – il giovane appartenendo alla più alta nobiltà, bellissimo allo sguardo contemplativo del poeta: distanze sottolineate, nei più alti esiti, dall’uso letterario e aristocratico della seconda persona singolare, thou/thee (e conseguenti thy/thine) – eccezione fatta per il metaforico sonetto 5, che coinvolge il Tempo in modo diretto; e per i sonetti 13, 15, 16, 17, quando già affiora un più disinvolto coinvolgimento di relazione amichevole che permette al poeta di rivolgersi al nobile giovane con il più quotidiano, seppure reverente, uso del you (your/yours).

shakespeareCon la seconda più larga sezione dei sonetti, 18-126, inizia un rapporto interpersonale tra amato e amante, quasi metafisico, sviluppato in atteggiamento d’adorazione da parte dell’amante verso la Bellezza unica e totale – maschile/femminile (Master-Mistress) – che l’amato impersona (reso immortale nel sonetto 20 “A woman’s face, with Nature’s own hand painted”, v.1).
Il poeta prosegue nel tono deferente, con la dovuta devozione, mentre i termini del thou/you si interscambiano in testi susseguenti, a seconda dell’umore. È chiara una maggiore intimità fra poeta e destinatario. La bellezza, di cui l’occhio-pittore diventa lo specchio (son.24), è ancora il miraggio della contemplazione; mentre lo specchio come oggetto, di moda fra i nobili, presentato nel son. 3, si ripropone al son. 22 “My glass will not persuade me that I am old”, v.1, e al son. 77 “Thy glass will show you how the beauties wear”, v.1.
Un nutrito gruppo di sonetti coinvolge il tema della lontananza, in specie per un viaggio, che induce il poeta a riflettere su contrasti di carne e pensiero, conflitti fra occhio e cuore, ombra e sostanza, verità/illusione (son.43,44,46,47, 48, 50, 51, 52,53,54,56). (L’argomento sarà ripreso nei son. 98,113).

Shakespeare s_First_Folio_1623La pulsione emotiva del processo scrittorio porta il pensiero d’amore, platonico e altruistico per il bene dell’altro nella prima sezione, a trasformarsi gradualmente in sentimento ossessivo, al punto da fare vedere al poeta rappresentati in questo amore tutti i suoi altri amori (son.31“Thy bosom is endearèd with all hearts”, v.1), cui rinuncia offrendoli in somma all’amato, (son. 40 “Take all my loves, my love, yea, take them all”, v.1) in uno slancio che supera ogni gelosia. A una sola condizione però, che si escluda l’inganno (idem : “But yet be blamed, if thou thyself eceivest/ By wilful taste of what thyself refusest/ I do forgive thy robbery, gentle thief”, vv. 7-9), portando a concludere “.. yet we must not be foes” (idem : v.14). Problemi di fedeltà/infedeltà sono sviluppati nei son. 41-42. L’amore innocente, devoto alla Bellezza, si trasforma in possessività. L’infedeltà dell’amato, graziosamente accennata al son. 41 (“Those pretty wrongs that liberty commits”, v.1), è chiaramente annunciata come tradimento al son. 42 (“ That thou hast her it is not all my grief ”, v.1. Sospetto, gelosia, sottomissione appaiono ancora nei son. 57-58.

shakespeare b(Tale séguito di testi, ma specialmente il son.42, anticipando per argomento i sonetti della ‘dark lady’, sembra posizionato impropriamente nell’intera sequenza). Non mancano sonetti in cui una certa artificiosità di linguaggio denuncia un raffreddamento di rapporti, un distacco del coinvolgimento emotivo. Il poeta infine si autoaccusa, nei son. 110, 111, 112. Entro questo contesto si situano i sonetti più celebri : il son. 18 “Shall I compare thee to a summer’s day?”, v.1, inno alla bellezza del giovane – per la prima volta il Poeta vi ostenta il valore eternante della sua Poesia; il son. 33 “Full many a glorious morning have I seen”, v. 1 (tradotto anche da Ungaretti e Montale), descrittivo del sorgere del sole, metafora dell’amato (proseguirà nei son. 34 e 35); il son. 49 “Against that time, if ever that time come” v.1, in cui il poeta si fa piccolo di fronte all’amore; il son. 55 “Not marble not the gilded monuments”, v.1, orgogliosa affermazione della superiorità della Poesia sul Tempo; ripetuta nel son. 65 “Sine brass, nor stone, nor earth, nor boundless sea”, v.1; il son. 66 “Tired with all these, for restful death I cry”, v.1, quando il poeta dispera del bene terreno a causa della corruzione dei tempi; il son.116 “Let me not to the marriage of true minds”, v.1, inno all’Amore signore del Tempo, al passo di scoperte e invenzioni.

Il ‘poeta rivale’ fa la sua apparizione nel gruppo dei son. 78/86. Il nostro poeta ne parla mosso di gelosia, ma ostenta la superiorità dei versi propri (son. 81).
Shakespeare_1Il Tempo quale personaggio reale, signore della rovina, è falsariga di tutto il canzoniere, moltiplicazione rinascimentale barocca della Morte. Dopo la prima serie dei sonetti ‘matrimoniali’, in cui risalta nei son. 15-16, torna in scena nel gruppo dei son. 19, 22, 63-64, 123-124, 126. Per contro, il personaggio della Musa ispiratrice è accennato nei son. 21,32,38,78,82,85,100-101,103. La Poesia eternante si identifica nei versi stessi del Poeta mentre innalza il suo monumento alla Parola (son. 15-16/18-19, 54-55, 60, 63, 74,79, 81,107).

La sequenza dedicata alla ‘darl lady’, 127-152, è quasi omogenea nel suo svolgersi, come la prima sezione, uniformemente condotta nell’uso letterario del thou artificioso e nobilitante – e per ciò in contrasto espressivo quando la materia è trattata con ironia e ambiguità di livello basso (sonetti del ‘Will’, 135-136). Fanno eccezione i son. 127,130,138,144,145 (indiretti o con uso della terza persona singolare). Dopo la rivelazione del poeta di avere ‘due amori’ (son.144), esplode nei versi la passione carnale, argomento sempre escluso dalla pratica poetica. Dapprima a passo cauto, con ironia e gentilezza (vedasi il son. 127, e il son. 128, gentile quadretto in cui la ‘dark lady’ suona il virginale); poi gradualmente con violenza, sarcasmo, doppi sensi (osceni). Il poeta libera il suo linguaggio, quasi in una sceneggiatura teatrale. È in gioco la donna a formare il triangolo d’amore, un po’ amata, un po’ detestata, a causa di tresca con il ‘lovely boy’.
Shakespeare 3L’amore definitivamente non è più ‘cortese’. La fisicità prende il posto dell’astrazione platonica.
Nella medesima sequenza si inseriscono due intervalli di meditazione e ripiegamento, dibattiti fra Anima e Corpo (son. 129 “Th’expense of spirit in a waste of shame”, v.1; e 146 “Poor soul, the centre of my sinful earth”, v.1 ). Il mondo dei sensi e il mondo dello spirito sono messi a contrasto. Alcuni sonetti escono dal consueto. Il son. 99 “The forward violet thus did I chide”, v.1, stranamente composto di 15 versi, rientra in una formalità espressiva, comune fra i ‘sonneteers’, di esaurimento dei modelli d’imitazione petrarchesca. Interessante da considerare dal punto di vista metrico il son. 145 “Those lips that Love’s own hands did make”, v.1, lavorato in tetrapodia giambica, l’unico di tale metro in tutto il canzoniere. E il caso del son. 126 “O thou my lovely boy who in thy power”, v.1, in distici a rima baciata, mancante del distico finale (tuttavia ne conserva lo spazio bianco in parentesi), con il quale si è conclusa la sequenza del ‘lovely boy’.

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