Archivi tag: gabriella sica

EVENTI MITOMODERNISTI: CONTRO LA BARBARIE DEL BRUTTO – Il giorno 20 aprile al Teatro Filodrammatici a Milano, dalle ore 17.30 fino alle 24.00, Tomaso Kemeny e Giuseppe Conte propongono un incontro mitomodernista dal tema “Contro la pulsione di morte – Bellezza & Mito, Poetiche e Politiche del Desiderio” Con uno scritto di Tomaso Kemeny e sue poesie dimostrative con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Mitomodernismo Tomaso Kemeny in recita a Milano

Mitomodernismo Tomaso Kemeny in recita a Milano

Appunto di Tomaso Kemeny

.

Il giorno 20 aprile al Teatro Filodrammatici a Milano, dalle ore 17.30 fino alle 24.00, Tomaso Kemeny e Giuseppe Conte propongono un incontro mitomodernista dal tema “Contro la pulsione di morte – Bellezza & Mito, Poetiche e Politiche del Desiderio”, in cui interverranno personalità della poesia e della cultura italiana. La finalità di questo incontro si pone sulla scia dell’evento già avvenuto un anno fa nella medesima sede, il 9 gennaio 2015, promosso da Tomaso Kemeny, a conclusione dell’azione mitomodernista “Freccia della Poesia”, in cui i relatori (Schwarz, Pontiggia, Majorino, Kemeny, Cruciani) furono invitati a un dibattito intorno a “il valore, storico, metafisico-teorico della scrittura poetica e delle arti oggi, dal punto di vista della propria poetica ed esperienza, tenendo conto del trionfo del vuoto intellettuale che caratterizza il mondo globalizzato e del genocidio delle varie forme di bellezza naturali e architettoniche in atto e per valutare il significato di azioni poetiche”.
Il 6 dicembre 2014 la “Freccia della Poesia” aveva attraversato l’Italia da Napoli a Milano, al grido “Fight for Beauty”, per finire con un maxi reading (200 partecipanti), colorato e pacifico, in Galleria Vittorio Emanuele, laddove nel 1909 un happening futurista era al contrario finito “a botte”, con la famosa “Rissa in galleria” dipinta da Umberto Boccioni. Quest’azione sancì la felice fusione  del Grand tour poetico, fondato alla fine del 2014 da tre poeti nati negli anni Settanta (il comasco Pietro Berra, la romana Flaminia Cruciani e il barese Gianpaolo Mastropasqua), e il ventennale movimento mitomodernista animato da Tomaso Kemeny che venne nominato Capitano. La fusione del movimento e del Grand tour, ispirata dalla spinta verso orizzonti di bellezza comuni da costruire e inventare, portò all’attuazione di un programma serrato di eventi, articolato in tappe sull’intera penisola e aperto al confronto poetico sul territorio e alla promozione di incontri alla Casa della Poesia di Milano, fra cui ricordiamo “Scintille mitomoderniste” il 6 febbraio 2015. La prima tappa comasca del Tour fu il 21 marzo 2015, dal titolo “poesia e psiche”, nell’ex ospedale psichiatrico San Martino, all’ombra del monte di Brunate, di cui è originaria la famiglia di Alda Merini e dove ogni anno viene celebrata la poetessa che scrivendo sopravvisse all’inferno del manicomio. Il 29 aprile, in Campidoglio, la terza epifania del Grand tour aveva voluto ricordare la fondazione di Roma con una rinascita poetica. Mentre il 6 giugno, la carovana poetica aveva attraversato un pezzo di Sardegna, da Cagliari a Serri, seguendo il percorso raccontato dallo scrittore inglese D.H. Lawrence nel suo libro “Mare e Sardegna” del 1921, nell’ambito del festival Leggendo Metropolitano.
Non si possono dimenticare gli eventi, “Nelle terre del Cigno, storie di poeti e viaggiatori, a cura di Paola Pennecchi, Angelo Tonelli e Massimo Maggiari a San Rocco nel giugno del 2015, come anche il 13 dicembre “Mito, luci e ombre mitomoderniste” organizzato da Chicca Morone. O lo storico rituale e festoso sbarco degli Argonauti nel Golfo degli Dei a Lerici, che si rinnova ogni anno, diretto da Angelo Tonelli ed esportato da Massimo Maggiari a Charleston in South Carolina. A Torriglia, dal 2010, si tiene, inoltre, un Festival “Torriglia in arte” dal sapore mitomodernista, organizzato da Francesco Macciò, che si apre simbolicamente con un Komos (corteo di poesia musica e danza) guidato da Angelo Tonelli.
 .
L’ultima azione, “2016 Eroici Furori”, simbolica e pacifica, ha avuto la finalità di “rovesciare ‘Roma’ in ‘Amor’ per sollecitare lo spegnimento dei roghi che devastano la natura e le menti, per, invece, esaltare quella bellezza insurrezionale che apra alla gioia di vivere, di lottare, a quella giustizia profonda e cosmica che sola può rappresentare un’alternativa radicale all’Impero del Brutto”. La più recente azione, in ordine di tempo, con cui il Grand tour poetico e il Movimento mitomodernista hanno aperto la terza stagione di performance, lo scorso 13 febbraio in Campo De’ Fiori a Roma, dove Giordano Bruno fu arso vivo e dove è stato celebrato con il sacro fuoco della poesia quale eroe della libertà di pensiero. In questa occasione è stato acceso un rogo simbolico “per purificare simbolicamente il mondo degradato dalla ragione economica imposta dal Mercato”, dove è stata bruciata “l’immondizia insanguinata chiamata Denaro”.
Quest’anno Grand tour poetico e Movimento mitomodernista, come detto, sono ripartiti da Roma, come non mai al centro dell’attenzione internazionale, tra Giubileo della Misericordia, statue oscurate nei Musei Capitolini e minacce di attentati. Dal 6 all’8 marzo in occasione del Festival Internacional de Poesía “Benidorm & Costa Blanca”, in Spagna, il Grand tour poetico ha presentato il mitomodernismo attraverso la lettura di un testo di Tomaso Kemeny, implementando l’organico del Grand tour (già composto da Ottavio Rossani, Maurizio Soldini, Adriana Gloria Marigo, Gianpiero Neri, Gabriella Sica, Isabella Vincentini, Jacopo Ricciardi, Massimo Bubola, Laura Garavaglia, Vittorino Curci e altri) con delegati di tre continenti, aprendo a un percorso europeo che punta a raggiungere Parigi il prossimo novembre, per portare la voce pacificatrice della poesia a un anno dall’attentato al Bataclan in una grande azione mitomodernista coordinata al livello europeo.
 .
Direttivo del Grand Tour Poetico
Pietro Berra, Flaminia Cruciani, Gianpaolo Mastropasqua
.
Tomaso Kemeny

Tomaso Kemeny

Discorso del Capitano Tomaso Kemeny

Per il Festival Internacional de Poesía Benidorm & Costa Blanca

.

Mitomodernismo e Grand Tour Poetico: combattere per la bellezza.
In un’epoca, la nostra, in cui l’incertezza delle masse, derivante dalla percezione di non essere all’altezza di costruire un avvenire, in un’epoca sottratta alla speranza ma non alla paura, il singolo si concede al cinico desiderio di fruire dei doni irripetibili della vita, ripudiando ogni programma di emancipazione nella dimensione della libertà creativa.
Il mitomodernismo nutre le forze che non accettano il mondo così com’è, soggiogato all’Impero del Brutto globalizzato. Il mitomodernismo incoraggia, da una parte, la privata insurrezione contro noi stessi se cediamo al compromesso, alla massificazione, all’appiattimento all’utile immediato, e ,dall’altra, assume la “bellezza” come mito guida alla ribellione permanente ai poteri illegittimi del “brutto”, offensivi alla dignità dell’uomo.
La base teorica del mitomodernismo fu elaborata in anni quando la “bellezza” veniva ritenuta un disvalore reazionario, il mito giudicato come frutto di deliri primordiali e il “sublime” ridotto un cascame idealista. Il filosofo Stefano Zecchi, i poeti Giuseppe Conte e Tomaso Kemeny elaborarono la visione molteplice che porta alla rivolta permanente a un’epoca tendente al post-umano, dedita al culto dell’effimero in grado di oscurare le necessità di una bellezza insurrezionale nuova (dopo quella classica, rinascimentale, barocca, romantica, futurista, surrealista) in grado di dare forma al nostro tempo desimbolizzato, esiliato nei labirinti dell’insignificanza.
L’uomo, dopo avere prometeicamente soggiogato, in parte, la natura, oggi si trova servo di un’economia e di una tecnologia distruttive, che minacciano di morte la natura della nostra terra madre. In questa situazione drammatica, le forze del mitomodernismo nascono dalla necessità di una ribellione internazionale salvifica. Basta con le esibizioni intellettuali di ironia miranti a ridicolizzare ogni forma di superamento dell’utile immediato. Oltre a opere di filosofia, poesia ed estetica, il mitomodernismo vive per azioni tendenti a risvegliare dal sonno suicida le masse assopite in sogni di impossibile consumismo permanente. Basti ricordare come il primo ottobre del 1994, un commando poetico ligure, capitanato da Giuseppe Conte, un commando lombardo capitanato da Tomaso Kemeny occuparono pacificamente la Basilica di Santa Croce in Firenze per la rinascita morale ed estetica dell’Italia. Si riportano qui le parole d’ordine per il commando lombardo composte da Kemeny:
1. Affidarsi, senza riserve, alla potenza dell’immaginazione creatrice.
  1. Eleggere Santa Croce a centro cosmico della rinascita della bellezza, dell’etica e dell’arte.
  2. Affermare la verità della poesia e dell’arte con un gesto inconfutabile.
  3. Azzerare la corrotta vecchiaia del mondo.
  4. Sfidare l’arroganza delle spettacolarizzazioni plebee e televisive.
  5. Aprire il cuore del tempo dissacrato a un raggio di bellezza.
  6. Opporsi alla cecità delle forze che avvelenano l’aria, l’acqua, la terra, e l’anima.
  7. Dire addio ai vezzi dell’apparenza per affrontare gli abissi dell’essere.
  8. Ritornare al caos sublime per fare rigermogliare le figure del tempo.
Giorgio Linguaglossa con i mitomodernisti Roma Campo de' Fiori 13 febbraio 2016

Giorgio Linguaglossa con i mitomodernisti Roma Campo de’ Fiori 13 febbraio 2016

Tra le tante manifestazioni-azioni si ricorda l’occupazione della collina dell’infinito di Recanati, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. L’azione dei “mille” mitomodernisti, fra i quali si distinsero gli “sciamani” Angelo Tonelli e Massimo Maggiari e il poeta rivoluzionario transilvano Gèza Szocs (oggi Presidente del PEN maggiaro), fu consacrata alla “Unità dell’Italia nella Bellezza”.
Recentemente il movimento mitomodernista si è alleato al “Gran Tour Poetico” capitanato da Flaminia Cruciani, Gianpaolo Mastropasqua e Pietro Berra; la fusione fu concretizzata il 6 dicembre del 2014 nell’azione “La freccia della poesia”, che ha percorso in treno l’Italia portando la poesia e la musica nelle stazioni di Napoli, Roma, Firenze, Bologna e Milano dove l’azione si è conclusa nella Galleria Vittorio Emanule.
 Le forze del mitomodernismo erompono dal pensiero mitico in grado di trasfigurare e rigenerare la vita del singolo e la civiltà e nella ricerca di una bellezza nuova, dai molti volti, in opposizione al decostruzionismo nihilista dominante una civiltà soggiogata dall’Impero del Brutto.

.

Mitomodernismo Roberta Montisci

Mitomodernismo Roberta Montisci alla stazione Termini di Roma

Tomaso Kemeny L’abcd della bellezza. A: Sulla futura bellezza del mondo

.

   La sua “verità” il poeta lo può esprimere solo attraverso il mito;  infatti attraverso le figure del mito si riesce a tenere insieme come in una costellazione, luce e ombra, bello e brutto, ricordo e oblio, voce e silenzio.
   Monti, mari, fiumi, boschi, ruscelli, cascate, fiori (nonostante il diffuso inquinamento), nonché astri e costellazioni, corpi e volti umani ci permettono di distinguere diverse e specifiche manifestazioni della bellezza, manifestazioni la cui osservazione può permetterci di sciogliere indefiniti nodi problematici concernenti il senso della vita dell’universo.
   Si tratta di forme di bellezza in mutamento e formazione nel tempo secondo meravigliose metamorfosi che caratterizzano non solo la morfologia della bellezza naturale, ma anche dello sviluppo dell’arte letteraria, figurativa, musicale e di tutte le attività creative di cui l’uomo si dimostra capace.
   Il processo metamorfico, ma circolare, che caratterizza il nostro universo, fa presagire una evoluzione in grado di integrare nel presente il passato salvando il futuro dagli abissi dell’insignificanza. Si intende, come auspicabili, le trasformazioni della bellezza in grado di diffondere, nel tempo terrestre e storico, il prevalere delle etica del dono sull’etica del possesso.

.

Mitomodernismo Giordano Bruno arso vivo il 17 febbraio 1600

Mitomodernismo Giordano Bruno arso vivo il 17 febbraio 1600

B: La bellezza trionfa nel Rinascimento

.

   William Shakespeare in “As you like it” (1599) pone la bellezza, nella sua manifestazione fisica umana femminile, come prima nella gerarchia delle tentazioni-desideri “Beauty provoketh thieves sooner than gold”, “la bellezza tenta i ladri più dell’oro”, dialogo tra donne Atto 1, Scena III.
   Diciamocelo, la bellezza , un universale relativo, è di fondamento a tutte le civiltà. Lo riconosce Sigmund Freud quando osserva che il godimento della bellezza e in diversa misura inebriante, tanto che la civiltà non potrebbe farne a meno (S.Freud, Drei Abhanlungen zur Sexualtheorie, Vienna 1905). Essa, bellezza, come valore, varia in tempi e luoghi, si tratta  di un valore eterno, ma mutevole, un universale relativo.
   Sulle caratteristiche della bellezza femminile sono state versate cascate d’inchiostro nel rinascimento, in particolare a Firenze e a Venezia, basti ricordare, tra gli altri, Agnolo Firenzuola con il suo Dialogo sulla bellezza delle donne (firenze 1548) e Nicolò Campani Bellezze della donna (Venezia, 1566). E se il dominio del “brutto” nel ventesimo secolo ha fatto scrivere a George Bataille che “l’essenza dell’istinto sessuale è l’insozzamento della bellezza “ in La mort et la sensualité(Parigi,1957), l’estetica del sembiante femminile sta a cuore persino a una intellettuale come Simone de Beauvoir, quando in Le deuxième sexe”   (Parigi, 1947) scrive “occuparsi della propria bellezza, vestirsi con eleganza, è come un lavoro che consente alla donna di prendere possesso della propria persona”. Se è curioso ricordare come l’originale saggista Remy de Gourmont Physique de l’amour: essai sur l’istinct sexuel (1903, Parigi) affermi che “a rendere la donna più bella è il fatto degli organi sessuali invisibili”, Vernon e Margaret Coleman, inFace Values: How the Beauty Industry Affects You (San Francisco, 1981) ritengano necessario salvaguardare la “fragilità” della bellezza femminile con “il trucco: aiuta la donna a sentirsi meno vulnerabile”.
   Ma è Giordano Bruno nei suoi De gli eroici furori”, stampati a Londra nell’officina di John Charlewood (1585) e dedicati al poeta “cavalliero” Filippo Sidneo ovvero Philip Sidney, che motteggiando i sospiri senza fine, i tremori, le malinconie, gli infruttuosi corteggiamenti in versi dei poeti tardo petrarcheschi, esalta l’originario splendore divino impresso nei volti e corpi femminili celebrando quell’impeto carnale amoroso che, attraverso la bellezza dei corpi, porta all’unione con l’infinito, ottenendo “quel beneficio d’amore” che riscatta il destino umano dalla finitezza. L’eroismo erotico include la morte nella vita, come si legge nelle parole di un personaggio nel primo dialogo degli “eroici furori”:

.

Mirami, o bella, se vuoi darmi la morte
del tuo grazioso sguardo apri le porte

.

in analogia con l’invocazione del poeta-drammaturgo Ch. Marlowe, il cui Faust(in The Tragical History of Doctor Faustus,1589) implora Elena di farlo eterno con un bacio , “make me eternal with a kiss…” e precorre, intendo Bruno, il sintagma “profetico” di Cesare Pavese “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
   Per Bruno peccaminoso non è il godimento carnale dei corpi, ma l’inappetenza trascendentale di chi non riesce a superare i limiti umani attraverso l’eros. Attraverso il furore eroico si esalta l’impulso a oltrepassare il piano dei corpi per vivere l’unità originaria con il divino.

.

Mitomodernismo lettura ai filodrammatici

Mitomodernismo lettura ai filodrammatici

C: Quale grande follia ? Quis tantus furor? (Virgilio, Georgica, 39-29 a.C, Libro IV, .494.495)

.

   Euridice grida “Chi ha perduto me sventurata e te, Orfeo? Quale follia?” (“Quis et me miseram et te perdixit, Orpheus, quis tantus furor?”). Il sembiante bello è solo promessa di felicità, come osserva Stendhal(“La beautè n’est que le promesse de bonheur” in De l’amour,1822) si deteriora col tempo e si perde se non intessuta in altri valori epocali, promessa di felicità potrà venire mantenuta forse nella realizzazione di una concezione rivoluzionaria della bellezza. Come pensai alla morte di Andrè Breton (1966, 28 settembre), occasione in cui scrissi un poema(quando, 1968) dove ero sicuro che le lettere e e le arti ,nella prospettiva della Teoria Estetica (Torino, 1975) di Theodor Adorno, fossero castrate, dato che per il filosofo la bellezza nel contesto sociale dato non fosse che un falso valore d’uso teso a immettere il lavoro estetico nell’orizzonte delle merci contribuendo, in questo modo, a rafforzare l’ideologia dominante, riducendo le opere d’arte a livello delle pratiche gastronomiche e pornografiche. Dal mio poemetto 28 settembre 1966 (Milano, 1968) mi pare pertinente riportare un passo:

.

quando avrà un nome l’arresto del vortice
prodigioso
quando avrà sangue il mare d’argento
quando la morte saprà chi ha portato via nelle
sue ceste incestuose
allora nudo correrò nel vento
per sapere dove porta la via inesistente
per rispondere alla sfinge il nonsenso dell’esistenza
per tacere ai piccoli confessori di miserie
il mio contegno di erede di fallimenti
(ho scagliato nella forra la mia corona di ferro
e prigioniero di un orizzonte infernale
so che la mia vita è la più breve)
quando il colore dei tuoi occhi sarà il nulla
quando le grandi speranze saranno imbalsamate come cammelli
quando il rumore dei tuoi passi
romperà l’esilio dell’uccello di fuoco
quando l’aldiqua sarà una rosa disserrata a festa
e non ci sarà bisogno di ricordi per sentirci eterni
quando le parole avranno un eco nei cuori
quando la neve sarà un bosco in fiore
quando
quando gli occhi delle ragazze
porteranno in vasi di porcellana i loro fragili
fianchi
quando i bambini mentiranno per uccidere dio
quando la proprietà privata sarà un’orrida leggenda
quando coloro che fanno professione rivoluzionaria
sapranno salutare la bellezza

.

Mitomodernismo Silvio Raffo in azione

Silvio Raffo in azione

Al crollo dei regimi totalitari del ‘900 e al fallimento delle ideologie fondanti le speranze in un riscatto politico, tocca alle varie forme d’arte a rinnovare la percezione delle cose e delle azioni quotidiane guastate-corrotte dall’abitudine. E’ in gioco la vita reale, l’unica che abbiamo. In coloro che non sono insensibili all’energia eversiva diffusa sulla Terra dalla Bellezza, ogni giorno torna la smania di misurarsi con l’infinita circolarità del cosmo, nella prospettiva che tutto è ancora possibile, poiché tutto tende al ciclico. Ne consegue che quali che siano le condizioni imposte dal tempo storico, tutto ciò che finisce ricomincia secondo la meravigliosa trasfigurazione metamorfica dell’identico. E così anche la bellezza umiliata nell’effimero e nel decorativo tornerà un giorno a sfidare la volgarità dilagante e gli speculatori senza dignità, rinnovando lo splendore della ciclicità del mito. Così i poeti, artisti, filosofi devono uscire dalla scrittura per azioni simboliche, correndo il rischio del ridicolo, per svegliare i consumatori consumati quotidianamente.
   Ricorderò tre azioni simboliche tese alla rinascita morale ed estetica dell’Italia : la prima accadde il 29-30 aprile del 1988 a Riccione; fu un evento dal titolo “La nascita delle Grazie”; fummo in 6, Mario Baudino, Giuseppe Conte, Rosita Coppioli, Roberto Mussapi, Stefano Zecchi ed io a sostenere 19 tesi per la vita della Bellezza (Cf. Le avventure della bellezza,1988-2008, a cura di T.K., Arcipelago edizioni, Milano,2008). La seconda il 1° ottobre del 1994. Un commando di poeti ligure guidato da Giuseppe Conte e uno lombardo  da me capitanato occupò la Basilica di Santa Croce a Firenze per un’azione dimostrativa (Cf. L’occupazione simbolica di Santa Croce, produzione & cultura, rivista bimestrale del sindacato nazionale degli scrittori, Anno VIII, n.3-4, maggio-agosto 1994). La terza azione vede l’occupazione della colle dell’infinito a Recanati, con mille poeti, artisti e cittadini mitomodernisti al grido “Fight for beauty!” il 17 marzo del 2011, in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia(Cf. Recanati, l’Italia unita nella Bellezza,17marzo 1861 – 17 marzo 2011, a cura di T.K., Arcipelago Edizioni, dicembre 2011).
   Nel 1994 nacque il movimento internazionale mitomodernista anche per reazione alla progressiva sdrammatizzazione e tolleranza del “brutto”, contro tutto ciò che impedisce la realizzazione di quella giustizia suprema, miticamente promessa dal “nostos” e dalla “parusia,consistente del ritorno della Bellezza nel mondo. Se gli eventi più significativi e più grandi sono le idee, l’idea più grande è la bellezza che richiede-esige di portare a compimento lo splendore immanente nelle persone e nelle cose.

.

   Per evocare il mito platonico di Er e gli eroici furori di Giordano Bruno azioni future potrebbero fondarsi su tre ER : sulla lotta Eroica contro i commissari dell’utile personale immediato e contro tutto ciò che avversa il numinoso,  sulla lotta contro l’immoralità radicale assicurata dalle Bische delle Borse Valori. Sull’Erotico:se non c’è morale che valga per tutti i tempi e tutti i luoghi, l’amore vero vede l’uomo e la donna avvertiti come fine e non come mezzo. L’amore è da considerarsi non come letale incantesimo che pietrifica il corpo desiderato, trasfigurato baudelairemente in “un sogno di pietra”, ma come scintilla in grado di trasfigurare l’indifferenza all’assurdo quotidiano nello splendore meraviglioso  che aspira al bene collettivo. L’azione contro la demoralizzazione globale operata dall’Impero del Brutto, esige anche quella tensione ERetica che apra, al di là delle fedi istituzionalizzate, all’ascolto del sacro battito cardiaco della Terra Madre e del Cosmo.
grecia zeus artemisium

zeus artemisium

Ci sono almeno tre modi di raffigurare il rapporto della Bellezza col tempo: la bellezza come origine di un processo che dura “…finchè il Sole/ risplenderà sulle sciagure umane”(voce di Ugo Foscolo); come “una gioia per sempre la cui grazia aumenta, non finirà mai nel nulla”(voce di Keats). Come la prima parola composta di Finnegans Wake (vode di James Joyce), “riverrun”, che evoca un’idea di bellezza modernista che si manifesta nel “rhythmos”, termine che deriva da “rhein”, lo scorrere del fiume. Si tratta di una Bellezza che porta le stigmate del tempo, una Bellezza metamorfica che promette l’eterno ricominciamento lo “immer wieder” di marca poundiana.
   Amo una Bellezza sconvolgente, che mette in questione il nostro rapporto con la vita e il mondo; il suo appello è l’origine di quella energia desiderante che ci spinge ad esprimerci al meglio di noi stessi. Essa apre nel tempo metamorficamente secondo un ritmo in grado di unire presente e passato, salvando il futuro dagli abissi dell’insignificanza.
   Piacendo senza interesse, la Bellezza è in grado di fare rifiorire etica del dono, quella che nega l’amore come possesso, etica senza la quale muore la libertà del desiderio e che si oppone all’imbarbarimento nell’insignificanza ripetitiva.

.

   Oggi la distanza necessaria alla contemplazione-creazione è resa domestica-anestetica dai monitor dei computer, dai display dei cellulari. Il pulsare dell’immenso cosmico in ogni granello di sabbia (vedi William Blake) viene perduto in immagini a due dimensioni che usurpano il “vuoto” necessario all’immaginazione. La stessa contemplazione notturna dei cieli, l’interrogare l’indicibilità dell’infinito tende a venire meno così come la cosmografia interiore che permise a qualcuno di pensare “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Potrei evocare innumerevoli tipi di “brutto”, ma preferisco, telegraficamente, dire che la bellezza è ciò che al mondo più manca.

.

Roy Lichtenstein Masterpiece

Roy Lichtenstein Masterpiece

C: (last but not least) Della libertà

.

   La morfologia specifica del discorso poetico esige l’assoluta manifestazione del pensiero creativo ispirato. Al di là delle categorie di “conformismo” e di “anticonformismo”, di “consenso” e di “dissenso”, di “destra” e di “sinistra”, di “credente” e di “ateo” il poeta ,come tale, è sempre vigile nell’ascolto delle Muse. Il poeta ha come materiale a disposizione parole stuprate dall’uso e dalla comunicazione sociale; quindi deve trovare il coraggio di affrontare l’esilio imposto alle Muse e di attraversare il deserto in cui sono confinate. I lampi dell’immaginazione potranno essergli da guida per il ritrovamento delle Muse. E quando il suo canto si libera dall’evidenza del lavoro poetico, in quei rari momenti è festa grande e si assiste alla fusione del cielo e della terra, alla fusione del presente desertificato con l’oasi di un possibile futuro.
   Se il poeta riesce a transumanare la propria voce, allora può guidare il lettore attraverso il proprio deserto epocale interiore. Al ritorno dal deserto gli uomini sapranno superare l’amore di sé impregnato di condizionamenti storico-culturali e con speranza e timore sapranno accostare il destino etico-sociale e cosmico di uomini liberati.
   E essenziale che tutti i paesi, epoca e lingua abbia almeno un poeta perché la collettività non perda la percezione di un’identità di assoluta dignità e perché la lingua madre, massacrata quotidianamente, rinasca in quella bellezza formante che fonda lo splendore civile.
   Oggi, la vita dominata da necessità tecnologico-burocratico-finanziarie assegna un ruolo titanico al poeta come a colui colui che con la sua energia immaginativa permetta ai cittadini di sentire a quale distanza si trovino dalla felicità e che li orienti a cogliere la bellezza nuova che li renda consapevoli di chi siamo e chi vorremmo essere, in che mondo viviamo e in che mondo vorremmo vivere.

.

Mitomodernismo, Ottavio Rossani in azione

Ottavio Rossani in azione

Parole della Musa

.

La marea delle ore in gabbia sfida
in vortici
sempre più intensi
i disegni della natura
e il futuro si smarrisce in incubi virtuali.
Tu hai un unico dovere,
quello di sempre, non lo scordare:
porta le parole a sprigionare
il canto della terra che ruota
in un sogno di bellezza immortale.

.

Celebro la poesia

.

Celebro la poesia
che alle altre non somiglia:
scorre nelle vene azzurre dell’aria
per tingere di desiderio i cieli
e di gemme e di fiori incorona
la mai sazia d’amore.
Lei sola sfida il terrore senile
dell’avventura e accende il tramonto
a sospendere la lacrima stellata
della notte sovrana. Celebro lei,
la poesia che nel sangue germoglia
e ogni cosa decrepita muta
nella rosa di luce
che il mondo risveglia.

.

Preghiera

.

Vieni tu che sei incorporeo e sei tutti i corpi
Vieni gloria inespressa di tutte le cose
Non abbandonare la terra alla desolazione
sii la porta di tutte le nostre aurore
Sulla montagna calva dell’orgoglio ti disprezzo
Sono la chiave universale delle rivolte
Ma nella tela di ragno della sfrontatezza il mio cuore
Martella un salmo al tuo splendore
Per noi che dissipiamo la bellezza della natura
Per noi torrenziali nelle oscenità periferiche delle notti
Fai sbocciare i petali neri della musica oltraggiosa
Della santità incessante.

.

foto Ghada Abdel Razek arab actress

Ghada Abdel Razek arab actress

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa: Sulla Bellezza

.

«l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza» (303).
.
 La produzione dell’arte produce un «oggetto» soltanto quando questo «oggetto» può essere recepito dall’uomo in quanto «oggetto».
.
Scrive a tal proposito Marx: «la musica stimola soltanto il senso musicale dell’uomo, e per l’orecchio non musicale, la più bella musica non ha alcun senso (non) è un oggetto, in quanto il mio oggetto può essere soltanto la conferma di una mia forza essenziale, e dunque può essere per me solo com’è la mia forza essenziale, e dunque può essere per me solo com’è la mia forza essenziale quale facoltà soggettiva per sé, andando il significato di un oggetto per me… tanto lontano quanto va il mio senso». (328-329)
Già Marx aveva anticipato l’impostazione della teoria della ricezione quando nella Introduzione ai «lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica», scrive che la produzione crea non solo un determinato oggetto per il soggetto, ma anche un soggetto per quell’oggetto: «L’oggetto artistico – e allo stesso modo ogni altro prodotto – crea un pubblico sensibile all’arte e in grado di godere della bellezza».
Questa conclusione di Marx suggerisce che – fermo restando lo specifico del «consumo» della letteratura – la produzione resta il momento fondamentale che contribuisce in modo essenziale a determinare il genere, il contenuto e il risultato del consumo. Marx sottolinea però che anche la produzione viene determinata, per converso, dal consumo: «Il prodotto si afferma e diviene prodotto solo nel consumo […]».
.
 Il Bello non può essere disconnesso dal nesso fondamentale dell’alienazione di ogni attività umana. Ritorniamo quindi al pensiero marxiano contenuto in proposito nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Per Marx il nesso ontologico fondamentale è costituito dalla alienazione. Il rapporto che lega l’uomo all’«industria» non può essere esaminato oggettivamente se non facciamo riferimento al concetto di alienazione che investe ogni prodotto dell’attività umana produttiva, e quindi anche del prodotto cosiddetto artistico in quanto rientrante anch’esso nell’attività umana produttiva
.
«L’alienazione, nella sua essenza, implica che ogni sfera mi imponga una norma diversa e antitetica, una la morale, un’altra l’economia politica, perché ciascuna è una determinata alienazione dell’uomo e fissa una particolare cerchia dell’attività sostanziale estraniata e si comporta come estranea rispetto all’altra estraneazione». (338)
.
Il processo di disumanizzazione e alienazione dell’arte
.
Giorgio Linguaglossa Lucia Gaddo Letizia Leone Salvatore Martino Gezim Hajdari 2015 Bibl Rispoli

da dx Giorgio Linguaglossa Lucia Gaddo Letizia Leone Salvatore Martino e, a sx Gezim Hajdari Roma presentazione del libro “Delta del tuo fiume” aprile 2015 Bibl Rispoli

«Tanto più praticamente la scienza della natura è penetrata, mediante l’industria, nella vita umana e l’ha riformata e ha preparato l’emancipazione umana dell’uomo, quanto più essa immediatamente ha dovuto completarne la disumanizzazione. La industria è il reale rapporto storico della natura, e quindi della scienza naturale, con l’uomo. Se, quindi, essa è intesa come rivelazione essoterica delle forze essenziali dell’uomo, anche la umanità della natura o la naturalità dell’uomo è intesa. E dunque le scienze naturali perderanno il loro indirizzo astrattamente materiale, o piuttosto idealistico, e diventeranno la base della scienza umana, così come sono già divenute – sebbene in figura di alienazione – la base della vita umana effettiva; e dire che v’è una base per la vita e un’altra per la scienza, questo è fin da principio una menzogna. La natura che nasce nella storia umana – nell’atto del nascere della società umana – è la natura reale dell’uomo, dunque la natura come diventa attraverso l’industria – anche se in forma alienata – è la vera natura antropologica». (Manoscritti economico-filosofici. 330-331)
.
Nel pensiero marxiano critico (e quindi anche l’arte in quanto produzione rientrante nel concetto di produzione alienata) sia la filosofia che le scienze naturali sono considerate dal punto di vista dell’alienazione quale nesso fondamentale di ogni attività produttiva; sia l’umanizzazione della natura sia la disumanizzazione operate tramite l’industria attecchiscono (in quanto alienate) anche alla sfera (separata) dell’arte.
.
foto Riparte il Chiambretti Night con Eto'o... e una sexy Ainett Torna il programma di Piero Chiambretti che ospita il calciatore Samuel Eto'o

Riparte il Chiambretti Night con Eto’o… e una sexy Ainett Torna il programma di Piero Chiambretti che ospita il calciatore Samuel Eto’o

Il pensiero marxiano sull’arte posteriore a Marx
.
Il pensiero marxiano posteriore a Marx non è mai stato capace di indagare la problematica dell’arte dal punto di vista dell’alienazione e dell’estraneazione che attecchisce il piano dell’arte in quanto attività produttiva. E questa macroscopica lacuna favorisce ancora oggi gli indirizzi positivistici che pensano l’arte in sé, come un assoluto astrattamente slegato dal nesso concreto che lo lega all’industria.
L’«industria» è la causa della crescente complessità della società umana (in quanto crea nuovi bisogni mentre soddisfa i vecchi). «La produzione di nuovi bisogni è la prima azione storica» scrive Marx. In tal senso, anche il bisogno di arte è una «azione storica» e come tale storicamente condizionata e determinata. Come ha scritto Adorno (Teoria estetica), nelle società di massa anche il bisogno di arte non è poi così certo come può apparire, anzi, per il filosofo tedesco il bisogno di arte sembra essere stato abolito, o comunque sostituito con l’arte di massa, ovvero, con il kitsch.
In questo orizzonte problematico anche il «bisogno» del «Bello» non è un fatto così scontato come potrebbe apparire a prima vista, anch’esso soggiace alla alienazione fondamentale che attecchisce la produzione del «Bello». Secondo Adorno, nelle condizioni attuali delle società di massa, il «Bello» si muta in Kitsch. Detto in altri termini, l’umanizzazione dell’arte sventolata in buona fede da ardenti apologeti da tanti pulpiti si muterebbe nella disumanizzazione reale dell’attività produttiva alla quale essa soggiace.
.
Ritengo che la difficoltà di speculare su di una estetica critica dipenda dalla assenza di un pensiero critico che ponga al centro dell’Estetica i concetti di alienazione (Entfremdung) e di estraneazione (Entäusserung).
E qui si pone il paradosso della posizione estetica: come è possibile che una situazione alienata come quella dell’opera d’arte possa condurre, attraverso l’estraneazione (Entäusserung) propria della attività artistica, ad una messa in risalto di quella alienazione (Entfremdung) che dà piacere al fruitore? Che produce piacere? Il paradosso della sfera dell’arte, in nuce, è tutto qui.
.
Per dirla con Valéry, l’arte che non pensa se stessa in rapporto all’industria «è più ottusa e meno libera».
.
citazioni tratte da K. Marx Manoscritti economico-filosofici del 1844 Einaudi 2004

 

2 commenti

Archiviato in Crisi della poesia, critica dell'estetica, poetica, Senza categoria

POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELL’ADDIO (Parte IV) Sabino Caronia, Gabriella Sica,Paolo Polvani, Lidia Are Caverni, Marzia Spinelli, Cristina Sparagana, Stelvio Di Spigno

Albrecht Durer ex-libris 1516

Albrecht Durer ex-libris 1516

«Il tema dell’addio. L’addio è una piccola morte. Ogni addio ci avvicina alla morte, si lascia dietro la vita e ci accorcia la vita che ci sta davanti. Forse il senso della vita è una sommatoria di addii. E forse il senso ultimo dell’esistenza è un grande, lungo, interminabile addio».

 

sabino caronia

 

 

 

 

 

 

Sabino Caronia

Adieu

Altera ti ricordo, altera e bella
passare, così passano le stelle.
Sì, ti ricordo, lo ricordo ancora
quel tuo strano, dolcissimo sorriso.

Ma a che serve un ricordo, a cosa giova
la lontana memoria di un sorriso?
Anche i ricordi non sono che mani
che non si toccano, e ogni cosa muore.

 

a Luca Canali

E se pure di noi resta qualcosa,
oltre un nome ed un’ombra senza peso,
tu Catullo, dottissimo poeta,
d’edera cinto il giovinetto crine,
nella valle d’Eliso sorridente
vienigli incontro e tendigli la mano.

 

Gabriella Sica

Gabriella Sica

gabriella sica Le lacrime delle cose

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gabriella Sica

2
Non altro che il tuo lento sparire
alla mia mente, polvere d’amore
al volgere pacificato delle stagioni
come verso l’Ade scivola il tempo
e al prato degli asfodeli quieti
al soffrire dei morti per la morte.

3
Separarsi è l’aprirsi di una crepa
nel terribile sentiero dei morti
è lo spirito che sporca i bei giorni
e rompe come ascia il cielo vasto
è spiluccare i dolci chicchi rubini
dischiusi nel lungo solco nero.

aprile 2004

Da Le lacrime delle cose (2009)

 

Paolo Polvani, 2013 Murge

Paolo Polvani, 2013 Murge

Patrizio Dimitri 3

 

 

 

 

 

Paolo Polvani

Assaggiare il vuoto

Accade che un giorno spalanchi la finestra e senza
consultare l’orizzonte, decidi
di assaggiare il vuoto, di sperimentare
le conseguenze delle leggi gravitazionali.

E io che cosa avrei dovuto più inventare, non basta
saper sorridere, ascoltare non è una condizione sufficiente.
Ci sono congiunture e adesso la cosa mi appare nella sua evidenza.

Spalancare la finestra e dire sì al vuoto, alla sua bocca aperta,
alla fame di te che manifesta. Erano già in riserva le lacrime
e il muro bianco d’ospedale esaurita ogni possibilità.

La bellezza non è un lasciapassare. Volevi essere accolta
hai scelto il vuoto di un cortile, lo spazio
bianco di un lenzuolo.

.

A Pino che se ne va

Così sei morto. Sul pavimento il cacciavite
aspetta le tue mani sporche di grasso e i colpi di tosse
del motore.

E’ nella stanza accanto, dice qualcuno.

Se fosse vero ci daresti un segno: una pinza
che cade, uno sportello che si chiude, una valvola
col minimo rotolio che l’accompagna.
Un colpo sulla scocca.

Ma tu sei morto e tutti ti voltano le spalle, anche i tuoi figli
non ti riconoscono, non riconoscono il tuo silenzio.

Tu continui a guardarli rigirando un sorriso
stranito tra le mani, impacciato
davanti a tanta incomprensione.

La vita ti ha condotto fin qui e adesso
non sta bene che continuiamo a parlarti

sei sceso senza domandare
sei sceso con la faccia buona
quasi chiedendo scusa

e non c’è niente da ridere
niente da ridere.

 

lidia are caverni l'anno del lupo

lidia are caverni

lidia are caverni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lidia Are Caverni

Avresti voluto un bacile per detergere
mani dopo l’abbandono si era consumato
il sacrificio del sole la spada tratta che toglie
via la luce del giorno aprendosi alla sera
al fresco bagliore che confonde voli il lieto
sconfinare della finestra dove non penetri
ombra proveniente dai sogni dall’esalazione
incerta di notti chine per i miei respiri
lo snodarsi lento delle attese a dipanare
gli intrighi dei capelli meduse ormai relitte
sulle spiagge di mari dove i corpi si confondono
persi di ebbrezza.

*

Per non smarrire il pezzetto di cielo
vuoto ormai di voli andranno presto
altrove i rondoni nella continua ricerca
nel mirto ti confondi nascosto nell’ultimo
fiore il cuore si stringe che non vedi
gabbiano altero che cacci pulcini fra
le tegole del tetto come fossi aquila
roteante sulle cime che tutte attendono
a sovrastare il mare il guizzare lieto
dei pesci nei fondali trasparenti dove
le ghiaie si consumano per non tacere
le parole masticate a metà già colorate
d’ombra dove non mi trovi.

(inediti, da Brividi di tempo 2007)

 

 

Marzia Spinelli

Marzia Spinelli

marzia spinelli cop

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marzia Spinelli

Come addii

Non hanno fine le parole degli addii,
le vorremmo perfette come sembravano le cose.
Parlavano ai giorni,
sapendo quanto imperfetto l’avvenire.
Parlano ancora
sciupate in un via vai frenetico,
teso l’orecchio all’oblio. Continua a leggere

1 Commento

Archiviato in antologia di poesia contemporanea, poesia italiana contemporanea

POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELL’ADDIO (Parte III) Gabriella Sica, Lucia Gaddo, Flavio Almerighi, Patrizio Dimitri, Meeten Nasr, Loris Maria Marchetti, Giuseppe Panetta

cornelius escher la colomba

cornelius escher la colomba

cornelius escher stelle

cornelius escher stelle

«Il tema dell’addio. L’addio è una piccola morte. Ogni addio ci avvicina alla morte, si lascia dietro la vita e ci accorcia la vita che ci sta davanti. Forse il senso della vita è una sommatoria di addii. E forse il senso ultimo dell’esistenza è un grande, lungo, interminabile addio».

gabriella sica

gabriella sica

gabriella sica Poesie familiari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gabriella Sica

Un’inflessibile ben oliata corda lega
il primo piano al piano di sottoterra
su cui scivola un elegante ascensore
tutto in legno senza porte da dover aprire.

Cosa scende o sale di noi sul filo teso
della stessa arca? Questa storia che continua
tra il luminoso eden e l’erebo stretto e buio
l’unica via per cui in silenzio andiamo

su e giù fino al nodo scorsoio estremo,
la vena d’oro di una miniera sepolta
dove andare a ritroso nell’esosa morte.

Ma da solo si apre al pianterreno dove
noi due chiusi usciamo in via Bertoloni
all’aperto così che non si sente l’arresto.

26 luglio 2005

Da Le lacrime delle cose (2009)

Lucia Gaddo Zanovello

Lucia Gaddo Zanovello

 

labirinto

labirinto

 

 

 

 

 

 

Lucia Gaddo

Torna implume

Rincorre l’ala stretta della malinconia un sorso di te
sopra questo prato rinverdito da tanto, senza ch’io sapessi
le molli tonalità dell’alba.
Certo il succo di questo dolore distillato alla corte delle rinunce
mi divora il senno
e non potrà la mano del desiderio riaprire i cassetti chiusi dalle ore inabili
affastellate ora nella luce del tramonto, alla latitudine del vento.
Nulla attendo dal cuore attento dei fanciulli
che cimano il presente diroccato coi subbugli.
Sulla stagione aperta dall’avemaria tanti voli planano, arditi nei disegni
ma l’ebetudine antica che dimora nei tratti di quel viso
dilaga nel rovello d’oggi che macina lacrime combuste
nella mola vanesia della fronte.
Regge il drago dell’onnipotenza fra i denti
aspre remore ancora
– incuneati contrafforti fra gli astati muri dell’anima –.
Rovistano i camini il dritto del disegno, che da quaggiú dispare.

Il tempo mostra la faccia arancio della buccia
che non tiene dentro al frutto tutto il succo.
Avvizzisce tremulo il parlare delle genti sopra il molo.
Non s’ode dagli ormeggi l’eco dei fermenti
che addensano fluenti alla boa del fare inutile.
Alla somma summa dei saperi
bussa incompleto l’ordine degli addendi.
Tace la cifra ignota che manca
– l’umida canzone rinchiusa nei grani del rosario delle dita –.
Torna implume l’anima, alla fine del viaggio
sulla terra inospitale dei viventi,
torna molle il cuore
percosso duramente dagli eventi avversi, nei torrenti sguardi
lungo il corso alpino dei tornanti
dentro un cielo di rannuvoli segmenti
e fra le tenere umane giovani sementi.

(12.7.2011 inedito)

 

Lascito

Poi questa immensità possibile chiuderà le braccia
come la notte che viene sui progetti irrisolti
che non avranno domani.

Sarà di rapina
come voce inattesa alle spalle
un rapido sguardo di sorpresa

– e in un nitore improvviso
tutto questo che è tolto –

alla partenza del grande viaggio,
il cui biglietto è già in mano

manca solo il molo d’imbarco
il numero della banchina e l’ora.

Vorrei solo si sapesse
che del mio meglio non ho fatto,
che molto più avrei voluto
avere amato.

(12.4.’14 inedito)

flavio almerighi

flavio almerighi

flavio almerighi

 

Flavio Almerighi

Di tutti i ricordi che ti ho dato

Di tutti i ricordi che ti ho dato
terrei per noi quell’eroe di guerra,
Onestini mi sembra si chiamasse,
morto di spagnola nel Ventuno,
la sua edicola dimenticata accesa
incubava tuorli di passero,
tu li vedevi vivi, curiosa salivi
a osservare i becchi aperti e muti
nel via vai infinito della fame
del bisogno di mettere piume
avere voce e diventare cattivi.

Al tuo ritorno erano già partiti.

 

tutto risolto

L’ultima volta ero piuttosto a soqquadro,
avevo idea del vento, i ricci sulle guance,
l’inedito del mare caricato ventre a terra
sopra un himalaya d’emozioni, la rabbia
sotto il mare agitato si alzava dal fondo
senza desiderio e senza arrivare in alto
dove le gambe solitamente nuotano
attingendo talento convulso dalla cecità,
non c’è tempo ce n’è mai, abbiamo da fare
le braccia alzate sul mento, rompere vetri,
figli perfetti della guerra fredda pronti
a farci sbranare da grandinate d’occhi,
nemmeno si trovava una stanza appartata
dove prenderci e passare inosservati,
seguire l’altalena di orari arrivati tardi
e qualcosa d’indefinito, amore non c’è Dio
dove andavamo noi credendoci
piccoli souvenir dimenticati nel mondo
e mangiati dal tempo, ora sì fai bene tu
intoccabile nel filo spinato di un sorriso
a ritornare estranei, tutto risolto.

 

patrizio dimitri

patrizio dimitri

 

Stefano Di Stasio, Addio

Patrizio Dimitri

La riparazione

Non hanno più nome
i nostri oggetti
sono carcasse trasparenti
soprammobili del vuoto
lesionati da gesti irreparabili.
Siamo abitanti remoti
silenziosi nella casa
tra noi rimane traccia
di una perduta simmetria.
Ora la crepa avanza
cede la struttura
collaudata del ricordo
il meccanismo lucido
dei rari ordigni elettrici.
La funzione compromessa
delle tubature innesca
la mia esigua attitudine
alla riparazione. Continua a leggere

7 commenti

Archiviato in antologia di poesia contemporanea