
Mitomodernismo Tomaso Kemeny in recita a Milano
Appunto di Tomaso Kemeny
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Il giorno 20 aprile al Teatro Filodrammatici a Milano, dalle ore 17.30 fino alle 24.00, Tomaso Kemeny e Giuseppe Conte propongono un incontro mitomodernista dal tema “Contro la pulsione di morte – Bellezza & Mito, Poetiche e Politiche del Desiderio”, in cui interverranno personalità della poesia e della cultura italiana. La finalità di questo incontro si pone sulla scia dell’evento già avvenuto un anno fa nella medesima sede, il 9 gennaio 2015, promosso da Tomaso Kemeny, a conclusione dell’azione mitomodernista “Freccia della Poesia”, in cui i relatori (Schwarz, Pontiggia, Majorino, Kemeny, Cruciani) furono invitati a un dibattito intorno a “il valore, storico, metafisico-teorico della scrittura poetica e delle arti oggi, dal punto di vista della propria poetica ed esperienza, tenendo conto del trionfo del vuoto intellettuale che caratterizza il mondo globalizzato e del genocidio delle varie forme di bellezza naturali e architettoniche in atto e per valutare il significato di azioni poetiche”.
Il 6 dicembre 2014 la “Freccia della Poesia” aveva attraversato l’Italia da Napoli a Milano, al grido “Fight for Beauty”, per finire con un maxi reading (200 partecipanti), colorato e pacifico, in Galleria Vittorio Emanuele, laddove nel 1909 un happening futurista era al contrario finito “a botte”, con la famosa “Rissa in galleria” dipinta da Umberto Boccioni. Quest’azione sancì la felice fusione del Grand tour poetico, fondato alla fine del 2014 da tre poeti nati negli anni Settanta (il comasco Pietro Berra, la romana Flaminia Cruciani e il barese Gianpaolo Mastropasqua), e il ventennale movimento mitomodernista animato da Tomaso Kemeny che venne nominato Capitano. La fusione del movimento e del Grand tour, ispirata dalla spinta verso orizzonti di bellezza comuni da costruire e inventare, portò all’attuazione di un programma serrato di eventi, articolato in tappe sull’intera penisola e aperto al confronto poetico sul territorio e alla promozione di incontri alla Casa della Poesia di Milano, fra cui ricordiamo “Scintille mitomoderniste” il 6 febbraio 2015. La prima tappa comasca del Tour fu il 21 marzo 2015, dal titolo “poesia e psiche”, nell’ex ospedale psichiatrico San Martino, all’ombra del monte di Brunate, di cui è originaria la famiglia di Alda Merini e dove ogni anno viene celebrata la poetessa che scrivendo sopravvisse all’inferno del manicomio. Il 29 aprile, in Campidoglio, la terza epifania del Grand tour aveva voluto ricordare la fondazione di Roma con una rinascita poetica. Mentre il 6 giugno, la carovana poetica aveva attraversato un pezzo di Sardegna, da Cagliari a Serri, seguendo il percorso raccontato dallo scrittore inglese D.H. Lawrence nel suo libro “Mare e Sardegna” del 1921, nell’ambito del festival Leggendo Metropolitano.
Non si possono dimenticare gli eventi, “Nelle terre del Cigno, storie di poeti e viaggiatori, a cura di Paola Pennecchi, Angelo Tonelli e Massimo Maggiari a San Rocco nel giugno del 2015, come anche il 13 dicembre “Mito, luci e ombre mitomoderniste” organizzato da Chicca Morone. O lo storico rituale e festoso sbarco degli Argonauti nel Golfo degli Dei a Lerici, che si rinnova ogni anno, diretto da Angelo Tonelli ed esportato da Massimo Maggiari a Charleston in South Carolina. A Torriglia, dal 2010, si tiene, inoltre, un Festival “Torriglia in arte” dal sapore mitomodernista, organizzato da Francesco Macciò, che si apre simbolicamente con un Komos (corteo di poesia musica e danza) guidato da Angelo Tonelli.
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L’ultima azione, “2016 Eroici Furori”, simbolica e pacifica, ha avuto la finalità di “rovesciare ‘Roma’ in ‘Amor’ per sollecitare lo spegnimento dei roghi che devastano la natura e le menti, per, invece, esaltare quella bellezza insurrezionale che apra alla gioia di vivere, di lottare, a quella giustizia profonda e cosmica che sola può rappresentare un’alternativa radicale all’Impero del Brutto”. La più recente azione, in ordine di tempo, con cui il Grand tour poetico e il Movimento mitomodernista hanno aperto la terza stagione di performance, lo scorso 13 febbraio in Campo De’ Fiori a Roma, dove Giordano Bruno fu arso vivo e dove è stato celebrato con il sacro fuoco della poesia quale eroe della libertà di pensiero. In questa occasione è stato acceso un rogo simbolico “per purificare simbolicamente il mondo degradato dalla ragione economica imposta dal Mercato”, dove è stata bruciata “l’immondizia insanguinata chiamata Denaro”.
Quest’anno Grand tour poetico e Movimento mitomodernista, come detto, sono ripartiti da Roma, come non mai al centro dell’attenzione internazionale, tra Giubileo della Misericordia, statue oscurate nei Musei Capitolini e minacce di attentati. Dal 6 all’8 marzo in occasione del Festival Internacional de Poesía “Benidorm & Costa Blanca”, in Spagna, il Grand tour poetico ha presentato il mitomodernismo attraverso la lettura di un testo di Tomaso Kemeny, implementando l’organico del Grand tour (già composto da Ottavio Rossani, Maurizio Soldini, Adriana Gloria Marigo, Gianpiero Neri, Gabriella Sica, Isabella Vincentini, Jacopo Ricciardi, Massimo Bubola, Laura Garavaglia, Vittorino Curci e altri) con delegati di tre continenti, aprendo a un percorso europeo che punta a raggiungere Parigi il prossimo novembre, per portare la voce pacificatrice della poesia a un anno dall’attentato al Bataclan in una grande azione mitomodernista coordinata al livello europeo.
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Direttivo del Grand Tour Poetico
Pietro Berra, Flaminia Cruciani, Gianpaolo Mastropasqua
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Tomaso Kemeny
Discorso del Capitano Tomaso Kemeny
Per il Festival Internacional de Poesía Benidorm & Costa Blanca
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Mitomodernismo e Grand Tour Poetico: combattere per la bellezza.
In un’epoca, la nostra, in cui l’incertezza delle masse, derivante dalla percezione di non essere all’altezza di costruire un avvenire, in un’epoca sottratta alla speranza ma non alla paura, il singolo si concede al cinico desiderio di fruire dei doni irripetibili della vita, ripudiando ogni programma di emancipazione nella dimensione della libertà creativa.
Il mitomodernismo nutre le forze che non accettano il mondo così com’è, soggiogato all’Impero del Brutto globalizzato. Il mitomodernismo incoraggia, da una parte, la privata insurrezione contro noi stessi se cediamo al compromesso, alla massificazione, all’appiattimento all’utile immediato, e ,dall’altra, assume la “bellezza” come mito guida alla ribellione permanente ai poteri illegittimi del “brutto”, offensivi alla dignità dell’uomo.
La base teorica del mitomodernismo fu elaborata in anni quando la “bellezza” veniva ritenuta un disvalore reazionario, il mito giudicato come frutto di deliri primordiali e il “sublime” ridotto un cascame idealista. Il filosofo Stefano Zecchi, i poeti Giuseppe Conte e Tomaso Kemeny elaborarono la visione molteplice che porta alla rivolta permanente a un’epoca tendente al post-umano, dedita al culto dell’effimero in grado di oscurare le necessità di una bellezza insurrezionale nuova (dopo quella classica, rinascimentale, barocca, romantica, futurista, surrealista) in grado di dare forma al nostro tempo desimbolizzato, esiliato nei labirinti dell’insignificanza.
L’uomo, dopo avere prometeicamente soggiogato, in parte, la natura, oggi si trova servo di un’economia e di una tecnologia distruttive, che minacciano di morte la natura della nostra terra madre. In questa situazione drammatica, le forze del mitomodernismo nascono dalla necessità di una ribellione internazionale salvifica. Basta con le esibizioni intellettuali di ironia miranti a ridicolizzare ogni forma di superamento dell’utile immediato. Oltre a opere di filosofia, poesia ed estetica, il mitomodernismo vive per azioni tendenti a risvegliare dal sonno suicida le masse assopite in sogni di impossibile consumismo permanente. Basti ricordare come il primo ottobre del 1994, un commando poetico ligure, capitanato da Giuseppe Conte, un commando lombardo capitanato da Tomaso Kemeny occuparono pacificamente la Basilica di Santa Croce in Firenze per la rinascita morale ed estetica dell’Italia. Si riportano qui le parole d’ordine per il commando lombardo composte da Kemeny:
1. Affidarsi, senza riserve, alla potenza dell’immaginazione creatrice.
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Eleggere Santa Croce a centro cosmico della rinascita della bellezza, dell’etica e dell’arte.
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Affermare la verità della poesia e dell’arte con un gesto inconfutabile.
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Azzerare la corrotta vecchiaia del mondo.
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Sfidare l’arroganza delle spettacolarizzazioni plebee e televisive.
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Aprire il cuore del tempo dissacrato a un raggio di bellezza.
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Opporsi alla cecità delle forze che avvelenano l’aria, l’acqua, la terra, e l’anima.
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Dire addio ai vezzi dell’apparenza per affrontare gli abissi dell’essere.
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Ritornare al caos sublime per fare rigermogliare le figure del tempo.

Giorgio Linguaglossa con i mitomodernisti Roma Campo de’ Fiori 13 febbraio 2016
Tra le tante manifestazioni-azioni si ricorda l’occupazione della collina dell’infinito di Recanati, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. L’azione dei “mille” mitomodernisti, fra i quali si distinsero gli “sciamani” Angelo Tonelli e Massimo Maggiari e il poeta rivoluzionario transilvano Gèza Szocs (oggi Presidente del PEN maggiaro), fu consacrata alla “Unità dell’Italia nella Bellezza”.
Recentemente il movimento mitomodernista si è alleato al “Gran Tour Poetico” capitanato da Flaminia Cruciani, Gianpaolo Mastropasqua e Pietro Berra; la fusione fu concretizzata il 6 dicembre del 2014 nell’azione “La freccia della poesia”, che ha percorso in treno l’Italia portando la poesia e la musica nelle stazioni di Napoli, Roma, Firenze, Bologna e Milano dove l’azione si è conclusa nella Galleria Vittorio Emanule.
Le forze del mitomodernismo erompono dal pensiero mitico in grado di trasfigurare e rigenerare la vita del singolo e la civiltà e nella ricerca di una bellezza nuova, dai molti volti, in opposizione al decostruzionismo nihilista dominante una civiltà soggiogata dall’Impero del Brutto.
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Mitomodernismo Roberta Montisci alla stazione Termini di Roma
Tomaso Kemeny L’abcd della bellezza. A: Sulla futura bellezza del mondo
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La sua “verità” il poeta lo può esprimere solo attraverso il mito; infatti attraverso le figure del mito si riesce a tenere insieme come in una costellazione, luce e ombra, bello e brutto, ricordo e oblio, voce e silenzio.
Monti, mari, fiumi, boschi, ruscelli, cascate, fiori (nonostante il diffuso inquinamento), nonché astri e costellazioni, corpi e volti umani ci permettono di distinguere diverse e specifiche manifestazioni della bellezza, manifestazioni la cui osservazione può permetterci di sciogliere indefiniti nodi problematici concernenti il senso della vita dell’universo.
Si tratta di forme di bellezza in mutamento e formazione nel tempo secondo meravigliose metamorfosi che caratterizzano non solo la morfologia della bellezza naturale, ma anche dello sviluppo dell’arte letteraria, figurativa, musicale e di tutte le attività creative di cui l’uomo si dimostra capace.
Il processo metamorfico, ma circolare, che caratterizza il nostro universo, fa presagire una evoluzione in grado di integrare nel presente il passato salvando il futuro dagli abissi dell’insignificanza. Si intende, come auspicabili, le trasformazioni della bellezza in grado di diffondere, nel tempo terrestre e storico, il prevalere delle etica del dono sull’etica del possesso.
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Mitomodernismo Giordano Bruno arso vivo il 17 febbraio 1600
B: La bellezza trionfa nel Rinascimento
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William Shakespeare in “As you like it” (1599) pone la bellezza, nella sua manifestazione fisica umana femminile, come prima nella gerarchia delle tentazioni-desideri “Beauty provoketh thieves sooner than gold”, “la bellezza tenta i ladri più dell’oro”, dialogo tra donne Atto 1, Scena III.
Diciamocelo, la bellezza , un universale relativo, è di fondamento a tutte le civiltà. Lo riconosce Sigmund Freud quando osserva che il godimento della bellezza e in diversa misura inebriante, tanto che la civiltà non potrebbe farne a meno (S.Freud, Drei Abhanlungen zur Sexualtheorie, Vienna 1905). Essa, bellezza, come valore, varia in tempi e luoghi, si tratta di un valore eterno, ma mutevole, un universale relativo.
Sulle caratteristiche della bellezza femminile sono state versate cascate d’inchiostro nel rinascimento, in particolare a Firenze e a Venezia, basti ricordare, tra gli altri, Agnolo Firenzuola con il suo Dialogo sulla bellezza delle donne (firenze 1548) e Nicolò Campani Bellezze della donna (Venezia, 1566). E se il dominio del “brutto” nel ventesimo secolo ha fatto scrivere a George Bataille che “l’essenza dell’istinto sessuale è l’insozzamento della bellezza “ in La mort et la sensualité(Parigi,1957), l’estetica del sembiante femminile sta a cuore persino a una intellettuale come Simone de Beauvoir, quando in Le deuxième sexe” (Parigi, 1947) scrive “occuparsi della propria bellezza, vestirsi con eleganza, è come un lavoro che consente alla donna di prendere possesso della propria persona”. Se è curioso ricordare come l’originale saggista Remy de Gourmont Physique de l’amour: essai sur l’istinct sexuel (1903, Parigi) affermi che “a rendere la donna più bella è il fatto degli organi sessuali invisibili”, Vernon e Margaret Coleman, inFace Values: How the Beauty Industry Affects You (San Francisco, 1981) ritengano necessario salvaguardare la “fragilità” della bellezza femminile con “il trucco: aiuta la donna a sentirsi meno vulnerabile”.
Ma è Giordano Bruno nei suoi De gli eroici furori”, stampati a Londra nell’officina di John Charlewood (1585) e dedicati al poeta “cavalliero” Filippo Sidneo ovvero Philip Sidney, che motteggiando i sospiri senza fine, i tremori, le malinconie, gli infruttuosi corteggiamenti in versi dei poeti tardo petrarcheschi, esalta l’originario splendore divino impresso nei volti e corpi femminili celebrando quell’impeto carnale amoroso che, attraverso la bellezza dei corpi, porta all’unione con l’infinito, ottenendo “quel beneficio d’amore” che riscatta il destino umano dalla finitezza. L’eroismo erotico include la morte nella vita, come si legge nelle parole di un personaggio nel primo dialogo degli “eroici furori”:
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Mirami, o bella, se vuoi darmi la morte
del tuo grazioso sguardo apri le porte
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in analogia con l’invocazione del poeta-drammaturgo Ch. Marlowe, il cui Faust(in The Tragical History of Doctor Faustus,1589) implora Elena di farlo eterno con un bacio , “make me eternal with a kiss…” e precorre, intendo Bruno, il sintagma “profetico” di Cesare Pavese “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
Per Bruno peccaminoso non è il godimento carnale dei corpi, ma l’inappetenza trascendentale di chi non riesce a superare i limiti umani attraverso l’eros. Attraverso il furore eroico si esalta l’impulso a oltrepassare il piano dei corpi per vivere l’unità originaria con il divino.
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Mitomodernismo lettura ai filodrammatici
C: Quale grande follia ? Quis tantus furor? (Virgilio, Georgica, 39-29 a.C, Libro IV, .494.495)
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Euridice grida “Chi ha perduto me sventurata e te, Orfeo? Quale follia?” (“Quis et me miseram et te perdixit, Orpheus, quis tantus furor?”). Il sembiante bello è solo promessa di felicità, come osserva Stendhal(“La beautè n’est que le promesse de bonheur” in De l’amour,1822) si deteriora col tempo e si perde se non intessuta in altri valori epocali, promessa di felicità potrà venire mantenuta forse nella realizzazione di una concezione rivoluzionaria della bellezza. Come pensai alla morte di Andrè Breton (1966, 28 settembre), occasione in cui scrissi un poema(quando, 1968) dove ero sicuro che le lettere e e le arti ,nella prospettiva della Teoria Estetica (Torino, 1975) di Theodor Adorno, fossero castrate, dato che per il filosofo la bellezza nel contesto sociale dato non fosse che un falso valore d’uso teso a immettere il lavoro estetico nell’orizzonte delle merci contribuendo, in questo modo, a rafforzare l’ideologia dominante, riducendo le opere d’arte a livello delle pratiche gastronomiche e pornografiche. Dal mio poemetto 28 settembre 1966 (Milano, 1968) mi pare pertinente riportare un passo:
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quando avrà un nome l’arresto del vortice
prodigioso
quando avrà sangue il mare d’argento
quando la morte saprà chi ha portato via nelle
sue ceste incestuose
allora nudo correrò nel vento
per sapere dove porta la via inesistente
per rispondere alla sfinge il nonsenso dell’esistenza
per tacere ai piccoli confessori di miserie
il mio contegno di erede di fallimenti
(ho scagliato nella forra la mia corona di ferro
e prigioniero di un orizzonte infernale
so che la mia vita è la più breve)
quando il colore dei tuoi occhi sarà il nulla
quando le grandi speranze saranno imbalsamate come cammelli
quando il rumore dei tuoi passi
romperà l’esilio dell’uccello di fuoco
quando l’aldiqua sarà una rosa disserrata a festa
e non ci sarà bisogno di ricordi per sentirci eterni
quando le parole avranno un eco nei cuori
quando la neve sarà un bosco in fiore
quando
quando gli occhi delle ragazze
porteranno in vasi di porcellana i loro fragili
fianchi
quando i bambini mentiranno per uccidere dio
quando la proprietà privata sarà un’orrida leggenda
quando coloro che fanno professione rivoluzionaria
sapranno salutare la bellezza
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Silvio Raffo in azione
Al crollo dei regimi totalitari del ‘900 e al fallimento delle ideologie fondanti le speranze in un riscatto politico, tocca alle varie forme d’arte a rinnovare la percezione delle cose e delle azioni quotidiane guastate-corrotte dall’abitudine. E’ in gioco la vita reale, l’unica che abbiamo. In coloro che non sono insensibili all’energia eversiva diffusa sulla Terra dalla Bellezza, ogni giorno torna la smania di misurarsi con l’infinita circolarità del cosmo, nella prospettiva che tutto è ancora possibile, poiché tutto tende al ciclico. Ne consegue che quali che siano le condizioni imposte dal tempo storico, tutto ciò che finisce ricomincia secondo la meravigliosa trasfigurazione metamorfica dell’identico. E così anche la bellezza umiliata nell’effimero e nel decorativo tornerà un giorno a sfidare la volgarità dilagante e gli speculatori senza dignità, rinnovando lo splendore della ciclicità del mito. Così i poeti, artisti, filosofi devono uscire dalla scrittura per azioni simboliche, correndo il rischio del ridicolo, per svegliare i consumatori consumati quotidianamente.
Ricorderò tre azioni simboliche tese alla rinascita morale ed estetica dell’Italia : la prima accadde il 29-30 aprile del 1988 a Riccione; fu un evento dal titolo “La nascita delle Grazie”; fummo in 6, Mario Baudino, Giuseppe Conte, Rosita Coppioli, Roberto Mussapi, Stefano Zecchi ed io a sostenere 19 tesi per la vita della Bellezza (Cf. Le avventure della bellezza,1988-2008, a cura di T.K., Arcipelago edizioni, Milano,2008). La seconda il 1° ottobre del 1994. Un commando di poeti ligure guidato da Giuseppe Conte e uno lombardo da me capitanato occupò la Basilica di Santa Croce a Firenze per un’azione dimostrativa (Cf. L’occupazione simbolica di Santa Croce, produzione & cultura, rivista bimestrale del sindacato nazionale degli scrittori, Anno VIII, n.3-4, maggio-agosto 1994). La terza azione vede l’occupazione della colle dell’infinito a Recanati, con mille poeti, artisti e cittadini mitomodernisti al grido “Fight for beauty!” il 17 marzo del 2011, in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia(Cf. Recanati, l’Italia unita nella Bellezza,17marzo 1861 – 17 marzo 2011, a cura di T.K., Arcipelago Edizioni, dicembre 2011).
Nel 1994 nacque il movimento internazionale mitomodernista anche per reazione alla progressiva sdrammatizzazione e tolleranza del “brutto”, contro tutto ciò che impedisce la realizzazione di quella giustizia suprema, miticamente promessa dal “nostos” e dalla “parusia,consistente del ritorno della Bellezza nel mondo. Se gli eventi più significativi e più grandi sono le idee, l’idea più grande è la bellezza che richiede-esige di portare a compimento lo splendore immanente nelle persone e nelle cose.
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Per evocare il mito platonico di Er e gli eroici furori di Giordano Bruno azioni future potrebbero fondarsi su tre ER : sulla lotta Eroica contro i commissari dell’utile personale immediato e contro tutto ciò che avversa il numinoso, sulla lotta contro l’immoralità radicale assicurata dalle Bische delle Borse Valori. Sull’Erotico:se non c’è morale che valga per tutti i tempi e tutti i luoghi, l’amore vero vede l’uomo e la donna avvertiti come fine e non come mezzo. L’amore è da considerarsi non come letale incantesimo che pietrifica il corpo desiderato, trasfigurato baudelairemente in “un sogno di pietra”, ma come scintilla in grado di trasfigurare l’indifferenza all’assurdo quotidiano nello splendore meraviglioso che aspira al bene collettivo. L’azione contro la demoralizzazione globale operata dall’Impero del Brutto, esige anche quella tensione ERetica che apra, al di là delle fedi istituzionalizzate, all’ascolto del sacro battito cardiaco della Terra Madre e del Cosmo.

zeus artemisium
Ci sono almeno tre modi di raffigurare il rapporto della Bellezza col tempo: la bellezza come origine di un processo che dura “…finchè il Sole/ risplenderà sulle sciagure umane”(voce di Ugo Foscolo); come “una gioia per sempre la cui grazia aumenta, non finirà mai nel nulla”(voce di Keats). Come la prima parola composta di Finnegans Wake (vode di James Joyce), “riverrun”, che evoca un’idea di bellezza modernista che si manifesta nel “rhythmos”, termine che deriva da “rhein”, lo scorrere del fiume. Si tratta di una Bellezza che porta le stigmate del tempo, una Bellezza metamorfica che promette l’eterno ricominciamento lo “immer wieder” di marca poundiana.
Amo una Bellezza sconvolgente, che mette in questione il nostro rapporto con la vita e il mondo; il suo appello è l’origine di quella energia desiderante che ci spinge ad esprimerci al meglio di noi stessi. Essa apre nel tempo metamorficamente secondo un ritmo in grado di unire presente e passato, salvando il futuro dagli abissi dell’insignificanza.
Piacendo senza interesse, la Bellezza è in grado di fare rifiorire etica del dono, quella che nega l’amore come possesso, etica senza la quale muore la libertà del desiderio e che si oppone all’imbarbarimento nell’insignificanza ripetitiva.
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Oggi la distanza necessaria alla contemplazione-creazione è resa domestica-anestetica dai monitor dei computer, dai display dei cellulari. Il pulsare dell’immenso cosmico in ogni granello di sabbia (vedi William Blake) viene perduto in immagini a due dimensioni che usurpano il “vuoto” necessario all’immaginazione. La stessa contemplazione notturna dei cieli, l’interrogare l’indicibilità dell’infinito tende a venire meno così come la cosmografia interiore che permise a qualcuno di pensare “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Potrei evocare innumerevoli tipi di “brutto”, ma preferisco, telegraficamente, dire che la bellezza è ciò che al mondo più manca.
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Roy Lichtenstein Masterpiece
C: (last but not least) Della libertà
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La morfologia specifica del discorso poetico esige l’assoluta manifestazione del pensiero creativo ispirato. Al di là delle categorie di “conformismo” e di “anticonformismo”, di “consenso” e di “dissenso”, di “destra” e di “sinistra”, di “credente” e di “ateo” il poeta ,come tale, è sempre vigile nell’ascolto delle Muse. Il poeta ha come materiale a disposizione parole stuprate dall’uso e dalla comunicazione sociale; quindi deve trovare il coraggio di affrontare l’esilio imposto alle Muse e di attraversare il deserto in cui sono confinate. I lampi dell’immaginazione potranno essergli da guida per il ritrovamento delle Muse. E quando il suo canto si libera dall’evidenza del lavoro poetico, in quei rari momenti è festa grande e si assiste alla fusione del cielo e della terra, alla fusione del presente desertificato con l’oasi di un possibile futuro.
Se il poeta riesce a transumanare la propria voce, allora può guidare il lettore attraverso il proprio deserto epocale interiore. Al ritorno dal deserto gli uomini sapranno superare l’amore di sé impregnato di condizionamenti storico-culturali e con speranza e timore sapranno accostare il destino etico-sociale e cosmico di uomini liberati.
E essenziale che tutti i paesi, epoca e lingua abbia almeno un poeta perché la collettività non perda la percezione di un’identità di assoluta dignità e perché la lingua madre, massacrata quotidianamente, rinasca in quella bellezza formante che fonda lo splendore civile.
Oggi, la vita dominata da necessità tecnologico-burocratico-finanziarie assegna un ruolo titanico al poeta come a colui colui che con la sua energia immaginativa permetta ai cittadini di sentire a quale distanza si trovino dalla felicità e che li orienti a cogliere la bellezza nuova che li renda consapevoli di chi siamo e chi vorremmo essere, in che mondo viviamo e in che mondo vorremmo vivere.
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Ottavio Rossani in azione
Parole della Musa
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La marea delle ore in gabbia sfida
in vortici
sempre più intensi
i disegni della natura
e il futuro si smarrisce in incubi virtuali.
Tu hai un unico dovere,
quello di sempre, non lo scordare:
porta le parole a sprigionare
il canto della terra che ruota
in un sogno di bellezza immortale.
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Celebro la poesia
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Celebro la poesia
che alle altre non somiglia:
scorre nelle vene azzurre dell’aria
per tingere di desiderio i cieli
e di gemme e di fiori incorona
la mai sazia d’amore.
Lei sola sfida il terrore senile
dell’avventura e accende il tramonto
a sospendere la lacrima stellata
della notte sovrana. Celebro lei,
la poesia che nel sangue germoglia
e ogni cosa decrepita muta
nella rosa di luce
che il mondo risveglia.
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Preghiera
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Vieni tu che sei incorporeo e sei tutti i corpi
Vieni gloria inespressa di tutte le cose
Non abbandonare la terra alla desolazione
sii la porta di tutte le nostre aurore
Sulla montagna calva dell’orgoglio ti disprezzo
Sono la chiave universale delle rivolte
Ma nella tela di ragno della sfrontatezza il mio cuore
Martella un salmo al tuo splendore
Per noi che dissipiamo la bellezza della natura
Per noi torrenziali nelle oscenità periferiche delle notti
Fai sbocciare i petali neri della musica oltraggiosa
Della santità incessante.
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Ghada Abdel Razek arab actress
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa: Sulla Bellezza
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«l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza» (303).
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La produzione dell’arte produce un «oggetto» soltanto quando questo «oggetto» può essere recepito dall’uomo in quanto «oggetto».
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Scrive a tal proposito Marx: «la musica stimola soltanto il senso musicale dell’uomo, e per l’orecchio non musicale, la più bella musica non ha alcun senso (non) è un oggetto, in quanto il mio oggetto può essere soltanto la conferma di una mia forza essenziale, e dunque può essere per me solo com’è la mia forza essenziale, e dunque può essere per me solo com’è la mia forza essenziale quale facoltà soggettiva per sé, andando il significato di un oggetto per me… tanto lontano quanto va il mio senso». (328-329)
Già Marx aveva anticipato l’impostazione della teoria della ricezione quando nella Introduzione ai «lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica», scrive che la produzione crea non solo un determinato oggetto per il soggetto, ma anche un soggetto per quell’oggetto: «L’oggetto artistico – e allo stesso modo ogni altro prodotto – crea un pubblico sensibile all’arte e in grado di godere della bellezza».
Questa conclusione di Marx suggerisce che – fermo restando lo specifico del «consumo» della letteratura – la produzione resta il momento fondamentale che contribuisce in modo essenziale a determinare il genere, il contenuto e il risultato del consumo. Marx sottolinea però che anche la produzione viene determinata, per converso, dal consumo: «Il prodotto si afferma e diviene prodotto solo nel consumo […]».
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Il Bello non può essere disconnesso dal nesso fondamentale dell’alienazione di ogni attività umana. Ritorniamo quindi al pensiero marxiano contenuto in proposito nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Per Marx il nesso ontologico fondamentale è costituito dalla alienazione. Il rapporto che lega l’uomo all’«industria» non può essere esaminato oggettivamente se non facciamo riferimento al concetto di alienazione che investe ogni prodotto dell’attività umana produttiva, e quindi anche del prodotto cosiddetto artistico in quanto rientrante anch’esso nell’attività umana produttiva
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«L’alienazione, nella sua essenza, implica che ogni sfera mi imponga una norma diversa e antitetica, una la morale, un’altra l’economia politica, perché ciascuna è una determinata alienazione dell’uomo e fissa una particolare cerchia dell’attività sostanziale estraniata e si comporta come estranea rispetto all’altra estraneazione». (338)
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Il processo di disumanizzazione e alienazione dell’arte
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da dx Giorgio Linguaglossa Lucia Gaddo Letizia Leone Salvatore Martino e, a sx Gezim Hajdari Roma presentazione del libro “Delta del tuo fiume” aprile 2015 Bibl Rispoli
«Tanto più praticamente la scienza della natura è penetrata, mediante l’industria, nella vita umana e l’ha riformata e ha preparato l’emancipazione umana dell’uomo, quanto più essa immediatamente ha dovuto completarne la disumanizzazione. La industria è il reale rapporto storico della natura, e quindi della scienza naturale, con l’uomo. Se, quindi, essa è intesa come rivelazione essoterica delle forze essenziali dell’uomo, anche la umanità della natura o la naturalità dell’uomo è intesa. E dunque le scienze naturali perderanno il loro indirizzo astrattamente materiale, o piuttosto idealistico, e diventeranno la base della scienza umana, così come sono già divenute – sebbene in figura di alienazione – la base della vita umana effettiva; e dire che v’è una base per la vita e un’altra per la scienza, questo è fin da principio una menzogna. La natura che nasce nella storia umana – nell’atto del nascere della società umana – è la natura reale dell’uomo, dunque la natura come diventa attraverso l’industria – anche se in forma alienata – è la vera natura antropologica». (Manoscritti economico-filosofici. 330-331)
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Nel pensiero marxiano critico (e quindi anche l’arte in quanto produzione rientrante nel concetto di produzione alienata) sia la filosofia che le scienze naturali sono considerate dal punto di vista dell’alienazione quale nesso fondamentale di ogni attività produttiva; sia l’umanizzazione della natura sia la disumanizzazione operate tramite l’industria attecchiscono (in quanto alienate) anche alla sfera (separata) dell’arte.
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Riparte il Chiambretti Night con Eto’o… e una sexy Ainett Torna il programma di Piero Chiambretti che ospita il calciatore Samuel Eto’o
Il pensiero marxiano sull’arte posteriore a Marx
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Il pensiero marxiano posteriore a Marx non è mai stato capace di indagare la problematica dell’arte dal punto di vista dell’alienazione e dell’estraneazione che attecchisce il piano dell’arte in quanto attività produttiva. E questa macroscopica lacuna favorisce ancora oggi gli indirizzi positivistici che pensano l’arte in sé, come un assoluto astrattamente slegato dal nesso concreto che lo lega all’industria.
L’«industria» è la causa della crescente complessità della società umana (in quanto crea nuovi bisogni mentre soddisfa i vecchi). «La produzione di nuovi bisogni è la prima azione storica» scrive Marx. In tal senso, anche il bisogno di arte è una «azione storica» e come tale storicamente condizionata e determinata. Come ha scritto Adorno (Teoria estetica), nelle società di massa anche il bisogno di arte non è poi così certo come può apparire, anzi, per il filosofo tedesco il bisogno di arte sembra essere stato abolito, o comunque sostituito con l’arte di massa, ovvero, con il kitsch.
In questo orizzonte problematico anche il «bisogno» del «Bello» non è un fatto così scontato come potrebbe apparire a prima vista, anch’esso soggiace alla alienazione fondamentale che attecchisce la produzione del «Bello». Secondo Adorno, nelle condizioni attuali delle società di massa, il «Bello» si muta in Kitsch. Detto in altri termini, l’umanizzazione dell’arte sventolata in buona fede da ardenti apologeti da tanti pulpiti si muterebbe nella disumanizzazione reale dell’attività produttiva alla quale essa soggiace.
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Ritengo che la difficoltà di speculare su di una estetica critica dipenda dalla assenza di un pensiero critico che ponga al centro dell’Estetica i concetti di alienazione (Entfremdung) e di estraneazione (Entäusserung).
E qui si pone il paradosso della posizione estetica: come è possibile che una situazione alienata come quella dell’opera d’arte possa condurre, attraverso l’estraneazione (Entäusserung) propria della attività artistica, ad una messa in risalto di quella alienazione (Entfremdung) che dà piacere al fruitore? Che produce piacere? Il paradosso della sfera dell’arte, in nuce, è tutto qui.
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Per dirla con Valéry, l’arte che non pensa se stessa in rapporto all’industria «è più ottusa e meno libera».
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citazioni tratte da K. Marx Manoscritti economico-filosofici del 1844 Einaudi 2004