L’Antologia Poetry kitchen in vetrina in una libreria di Peschici
.
Vetrina della Libreria di Peschici con la copia della Antologia Poetry kitchen
.
Gino Rago
Madame Colasson
Una torta Sacher + biscotti Wafer Saiwa + una porzione di Camembert, paté de foies gras e una bottiglia di Bourbon annata 1997
Brigitte Bardot
Un violino + la somma dei quadrati sui due cateti di un triangolo isoscele + uno Spritz alla albicocca
Francesco Paolo Intini
NEGATIVO
Che vuol dire? La Sindone fa un balzo alla notizia.
-Pericolo scampato di riportarmi a una vita da Dio.
La vita eccitata da un tocco di virus è un via vai di smentite e conferme
E il risultato finale
Ricade in un pascolo di umanissimo non sense
Il politichese fu inventato prima o dopo il poetichese?
Già vedo l’intervallo: -Tityretupatulaerecubans
Ci vorrà tempo per mungerle e ricavarne un po’ di ricotta
Perché caricarle di colpe e sparare alla gola del vicino?
Non si perde energia tra uno schizzo e l’altro del 2022.
Vuoi sapere che fine ha fatto il Covid?
È queste gazze decisamente Blu,
lontane da ogni peccato commesso nel nome del Rosso.
E più in là dell’hula-hoop un giro di valzer in crociera
O forse d’incrociatore o addirittura di portaerei.
.
[Francesco Paolo Intini]
POSITIVO
infin ch’arriva\ colá dove la via\ e dove il tanto affaticar fu vòlto:\abisso orrido,immenso,\ ov’ei precipitando, il tutto obblia.
(G. Leopardi. Canto di un pastore errante dell’Asia. VV 32-36)
Fu così che venne fuori Ottobre Rosso. Bastava fare uguale
che l’avrebbe spuntata sull’argento, senza ferire il Polo
Alle esternazioni si disse non c’è rimedio e tu vedrai le cornacchie battere il ciglio
e farlo a pezzi e dopo essersene nutriti rimetterlo in moto.
Circolarità del cielo, al gusto d’ arancia e ghiaccio secco.
Un osso di Agatocle funzionava da sterno nel petto di Benito
Un frammento di cuore pulsò per ore sul campanile di Milano
Antenne colorate e uno, mille trapezi senza nervi di protezione
La fuga mi ha portato a sfiorare i siluri
Il danno è stato un orco che ha portato gli scatoli di tonno al tiro a segno.
Ebbi in sorte un gruzzolo per Buenos Aires
Dove mi sarei imparentato con le scimmie alberomorfe
E sostenere la lotta per sollevare il morale dell’ Antartide
E stringere la mano al re Pinguino.
La regina Maud non era contenta di tutti quei ghiacciai persi
Dei Sioux e l’immagine di Toro seduto in un’ igloo che si scioglieva
L’argenteria di famiglia dispersa nei Caraibi.
Al merluzzo la parola atlantica
Ai sottomarini che sbuffano e rampognano gli squali
Al vichingo che non sa quel che fa nella mano di bella
Conviene accostare e mostrare il lato peggiore dell’oceano
Riempire di pece lo stomaco, fare di tutto per stuccare il silenzio
E rimpinzarlo di fumo e mostrargli il lato Nord, il Caterpillar nella pancia
Come si avvita una stella a un missile e farlo partire.
La ferita senza rimedio nel fianco.
Oh la coscienza buttata ai porci!
Ancorare nel San Lorenzo con i denti intatti e la spinta del venditore di sandali
Con la disciplina del salmone che indovina la bocca del grizzly
È stato un immane delirio seguire CANOSCENZA e spingere il pulsante del Saturno
Da qui alle colonne d’Ercole non è nemmeno un endecasillabo
Il mare s’è seccato di ragionare e zampillare lampade Davy dal fondo oceanico
Sporchi di lava e fango.
Dov’è finito il neurone ad Est di Capo verde?
Cosa è alla portata di Eric il Rosso?
La voglia di menare le mani e navigare con la cravatta di re e figlio prediletto tra talamo e ipotalamo, mentre il vulcano esplode e una manta colossale sbatte contro le torri gemelle.
Chi osa chiedere un verso santo, immune dal peccato d’invidia
Un trafiletto di messale, un lingotto di settenari e rime baciate
Un trigesimo, un anniversario ripulito da ostriche infette?
Non reggemmo l’assalto del polpo assassino
E tornammo ad ordinare alla carte sull’isola di Sant’Elena
Un refugium peccatorum per aver salvato il mondo dal mal francese
Il sancta santorum dell’olfatto
Un tendone di circo credo con le costellazioni nella gabbia dei leoni
E le scimmie a suonare e Marte ad esporre cartelli di funghi velenosi
e mari tempestosi riservati alle raccolte punti di storione
E gli elefanti a rimescolare le bolle, i santi impietositi,
le guerre e battere il tamburo dei sargassi
i treponemi scandalizzati per i nostri pettegolezzi
Un mostrare traiettorie di postriboli vuoti
Nel bel mezzo dell’ Orsa un raduno di pervertiti e menagramo.
Affondò Atlantide e facemmo rapporto alla compagnia delle Indie
per il grano che mancò all’appello e glu..glu…
per il tiranno che ordinò gli omogeneizzati di vitello
e giocò sul cavalluccio del nipotino col winchester di legno
l’orsacchiotto vinto al baraccone
Glu…glu…
Giorgio Linguaglossa
Come appare evidente in queste ultime composizioni kitchen o kitsch ogni elemento di senso sembra essersi dileguato dall’orizzonte dei significati, Intini impersona il ruolo di un anarco sindacalista che prende sul serio quello che nessuno dei suoi contemporanei prende sul serio: che il Reale appare nel suo deserto, ovvero, che appare il deserto del reale come ossessione, fobia, fantasma, spauracchio, terrore… le parole sono come attratte da un Grande Attrattore, un Grande Vuoto. Mi spiego: il Grande Altro si è convertito in un Grande Vuoto. Un buco grande, un Grande Attrattore, deglutisce tutte le cose e tutte le parole, i nostri sentimenti, le nostre identificazioni, le nostre proiezioni. Di conseguenza, gli oggetti (con le loro parole al seguito) non sono più al loro posto ma si presentano fuori-posto, fuori-luogo; ma il posto è vuoto veramente e questa scoperta è talmente insopportabile che il vuoto assorbe e consuma, letteralmente, ogni parola e ogni oggetto. Una sorta di buco nero (black hole) è in azione al Centro del nostro sistema Simbolico che fa collassare tutta la costruzione edilizia e manifatturiera della realtà. Il Buco del Reale liquefa letteralmente ogni oggetto e ogni parola. Il collasso dell’ordine Simbolico è l’ultimo fenomeno di un Reale che ostinatamente si rifiuta a consegnarsi agli uomini.
Lucio Mayoor Tosi
In diretta su Alfa Centauri.
Boschi e casette, confezioni di ribes, molti silenzi;
prati che si allontanano, nonni sulla porta; mamme
danzano a piedi nudi, spose attente al vestito giocano
con bambini imbarazzati. Non manca il cane dei vicini.
Il bosco sottratto, Arcangeli registri bollette scadute.
Riposo. La vita inutile. Bella vedetta, spalline, aquilotti,
zeri con faccina. Povera me. A Capri con la mamma.
Silvia ha il vaiolo. Questo scrive, l’altro si mangia
le parole
Olga rimane, abbiamo fatto tanta strada.
– Lista dei cocktail, lista delle pizze, liste
abat-jour, tutte le notti.
*
Chiamò se stesso per potersi catturare.
Grazie. Ma dimenticò il titolo del libro.
Il grande sonno, R. Chandler. Musica per ottoni.
– Un titolo che valga il prezzo di copertina.
I grandi romanzi. Grandi romanzi. Romanzi.
Alberi senza trasporto.
Giorgio Linguaglossa
«Le cose si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato» (Adorno, teoria estetica). Anche le parole si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato, le parole irrigidite, raffreddate, iperbarizzate sono quei molluschi dell’aria, quelle meduse dell’atmosfera in rapporto alle quali non possiamo fare altro che disabitarle, abbandonarle, lasciarle cadere; le parole già reificate, una volta costrette e costipate nello spazio neutro della nuova reificazione della scrittura poetica, cessano di parlare, restano mute, non abitano più alcun condominio di parole e se ne vanno ramengo nell’universo silenzioso e rumoroso. Nella poesia di Lucio Mayoor Tosi c’è il Bellosguardo, le pubblicità del Mulino Bianco, c’è la cornice della Buitoni con il quadretto idillico e agreste delle mucche e dei pastorelli felici, cose di un’altra galassia, di un altro pianeta: «Boschi e casette, confezioni di ribes, molti silenzi». Oramai qui, sul pianeta Terra, non c’è più niente altro da fare che andare a fare yoga, andare per prati con l’acchiappafarfalle o seguire i seminari di teologia e jogging nei parchi, fare antirime agrituristiche alla Umberto Piersanti o dedicarsi alla flat-tax al 15% o al 23% delle parole superficiarie e sublimatorie di Franco Arminio, il novello Tagore della poesia italiana. In un mondo talmente irrigidito bene ci stanno i video di Gianni Godi con gli avatar irrigiditi che perorano parole in rigor mortis.
Lucio Mayoor Tosi
Vivere nella realtà è mortificante. Starò più attento al consumo delle risorse pubbliche. Il mondo incantato di cui scrivo è ben piantato nella mia mente. Non so dove altri piantino il loro. Il mio lavoro adesso consiste nell’inscatolare parole. Le parole mi arrivano col contagocce, e per collaborazione. Non do consolazione, se tento un insegnamento, subito ne rido. Piuttosto bravo nel lasciar perdere. Poeta, se poeta, occidentale.
Slavoj Žižek
«Nell’arte di oggi il Reale NON ritorna anzitutto in guisa di scioccanti e brutali intrusioni di oggetti escrementizi, cadaveri mutilati, merda ecc. Questi oggetti, sono, sicuramente, fuori posto – ma perché possano esserlo, il posto (vuoto) deve essere già là, e questo posto è restituito dall’arte ‘minimalista’ a cominciare da Malevič. In questo risiede la complicità tra le due opposte icone del modernismo più estremo, il “Quadrato nero su superficie bianca” di Kazimir Malevič e l’esibizione di Marcel Duchamp di oggetti ready-made come di opere d’arte. La nozione che è implicita nell’elevazione da parte di Malevič di un oggetto comune e quotidiano ad opera d’arte afferma che l’essere opera d’arte non è una proprietà inerente ad un oggetto; è invece l’artista stesso che appropriandosi dello (o piuttosto di OGNI) oggetto e sistemandolo in un posto determinato lo rende opera d’arte, ma del “dove”. E quello che la disposizione minimalista di Malevič fa è semplicemente di restituire – di isolare – questo luogo come tale, lo spazio vuoto (o cornice) che ha la proto-magica proprietà di trasformare qualsiasi oggetto che si trovi nel suo raggio in opera d’arte. In breve non esiste Duchamp senza Malevič: solo dopo che l’esercizio dell’arte isola il posto/cornice in quanto tale, svuotato di tutto il suo contenuto, si può indulgere nella procedura ready-made. Prima di Malevič, un originale sarebbe rimasto solo un originale, anche se esibito nella più rinomata galleria.
L’appropriazione di oggetti escrementizi fuori posto è strettamente correlata all’apparizione del posto privo di oggetto, dello spazio vuoto in quanto tale. Di conseguenza, il Reale nell’arte contemporanea ha tre dimensioni, che in qualche modo ripetono la triade di Immaginario-Simbolico-Reale all’interno del Reale. Il Reale è innanzitutto l’anamorfico scolorimento, l’anamorfica distorsione dell’immagine diretta della realtà – come un’immagine distorta, come una pura apparenza che “soggettivizza” la realtà oggettiva. Quindi, il Reale è come lo spazio vuoto, come una struttura, una costruzione che non è mai qui, direttametne esperita, ma che può essere solo retroattivamente costruita e presupposta come tale – il Reale come costruzione simbolica. Infine, il Reale è l’osceno. Quest’ultimo Reale, se isolato, è un mero feticcio la cui presenza affascinante e accattivamnte maschera il Reale strutturale nella stessa maniera in cui, nell’antisemitismo nazista, l’ebreo come l’Oggetto escrementizio è Il Reale che maschera l’insopportabile Reale “strutturale” dell’antagonismo sociale. – Queste tre dimensioni del reale risultano dai tre modi in cui è possibile acquisire una distanza rispettto alla realtà ordinaria: sottomettendo questa realtà alla distorsione anamorfica; introducendovi un oggetto che in essa non trova collocazione; sottraendo/cancellando tutto il contenuto (gli oggetti) della realtà, in modo che tutto ciò che rimane è lo stesso spazio vuoto in cui questi oggetti sono collocati.»1
1 S. Žižek, The Matrix, Mimesis, Milano-Udine), 2010 pp. 28-29
Jacopo Ricciardi
Mi pare questa descrizione perfettamente calzante per descrivere il quid della Poetry Kitchen. Ma questa descrizione nelle intenzione di Zizek descrive perfettamente il quadrato nero di M. e di seguito Duchamp, opere di 110 anni fa. Allora dove sta il nuovo, ossia dove la Poetry Kitchen fa qualcosa di ulteriore rispetto a quanto detto da Zizek, riferendomi anche alle affermazioni precedenti della Colasson che sostiene che la PK è qualcosa di completamente diverso rispetto alla tradizione (se in arte sono intanto esistiti Paolini, Denominicis e Boetti)? La mia provocazione non sta in questa mia domanda quanto piuttosto nel mio tentare una risposta: la poesia italiana è attualmente indietro di un secolo sull’arte italiana? Possibile? Continua a leggere
Penso che l’Evento non sia assimilabile ad un regesto di norme o ad un’assiologia, non ha a che fare con alcun valore e con nessuna etica. È prima dell’etica, anzi è ciò che fonda il principio dell’etica, l’ontologia. Inoltre, non approda ad alcun risultato, e non ha alcun effetto come invece si immagina il senso comune, se non come potere nullificante. La nientificazione [la Nichtung di Heidegger] opera all’interno, nel fondamento dell’essere, e agisce indipendentemente dalle possibilità dell’EsserCi di intercettare la sua presenza. Si tratta di una forza soverchiante e, in quanto tale, è invisibile, perché ci contiene al suo interno.
L’Evento è l’esito di un incontro con un segno. (g.l.)
.
L’ultimo stadio della nuova fenomenologia estetica: La pop-poesia
.
I due testi proposti sono esemplificativi di un modo di essere della nuova fenomenologia estetica come pop-poesia, poesia del pop. Si badi: non riattualizzazione del pop ma sua ritualizzazione, messa in scena di un rituale, di un rito senza mito e senza, ovviamente, alcun dio. Con il che finisce per essere non una modalità fra le tante del fare poesia, ma l’unica pratica che nel mondo amministrato non ricerca un senso là dove senso non v’è e che si colloca in una dimensione post-metafisica.
In tale ordine di discorso, la pop-poesia si riconnette anche a quello che è stato da sempre lo spirito più profondo della pratica poetica: la libertà assoluta e sbrigliata soprattutto dal referente, da qualsiasi referente, parente stretto della ratio complessiva del sistema amministrato.
La pop-poesia vuole essere la rivitalizzazione dello spirito decostruttivo che, nella poesia italiana del novecento si è annebbiato. La poesia si è costituita in questi ultimi decenni come una attività istituzionale e decorativa, si è posta come costruzione di un edificio veritativo.
La poesia che vuole mettere in evidenza le contraddizioni o le condizioni di un essere nel mondo, finisce inesorabilmente nel Kitsch.
La pop-poesia non redige alcun senso del mondo e nessun orientamento in esso, non è compito dei poeti dare orientamenti ma semmai di svelare il non orientamento complessivo del mondo.
Non è compito della pop-poesia commerciare o negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in relazione con alcunché, la pop-poesia non si pone neanche come una risorsa o come un contenuto veritativo o non veritativo. La pop-poesia può essere considerata una pratica, né più né meno, un facere.
Così è se vi piace.
.
Mario M. Gabriele
Inedito di da altervista il blog di Mario Gabriele
Andando per vicoli e miracoli
ritrovammo l’albergo e il trolley.
Non si dà nulla per certo, neanche prendere contatti
con il gobbo di Notre Dame per suonare le campane.
Bisognava partire.
Tu non vuoi più le carezze?
Il fatto è che se ci mettiamo a seguire Ketty
non leggeremo Autoritratto in uno specchio convesso.
I Simpson si riconoscono per il colore giallo.
Giulia ne ha fatto una raccolta di figurine acriliche.
Tutto rotola e va in basso. Sale e scende.
Linee nere e linee rosse.Si cerca il punto originario.
Cerca di distrarti! Prova a chiamare
le cugine di Sioux City.
Ti suoneranno l’Hukulele
ricordandoti C’era una volta l’America.
Oh bab, baobab, invocò il nigeriano
alla fermata del Pickup.
Controlla tutto e bene nel trolley.
Vedi se c’è anche questa sera il Roipnol.
Giorgio Linguaglossa
Proprio nel momento in cui l’erede di Giovanni Agnelli, il topastro John Elkann, ha liquidato il direttore di “Repubblica”, Carlo Verdelli, sostituendolo con un fedelissimo moderato pony express del moderatismo, Maurizio Molinari, e comprato l’asset per un pugno di dollari, possiamo comprendere come il capitale internazionale disdegni le testate giornalistiche «diverse» e comunque «critiche» del sistema-Capitale. Il problema è che si preannuncia in Italia, in Europa e nel mondo occidentale un acutizzarsi della crisi e dello scontro in atto tra i ricchissimi e il nuovo proletariato internazionale che ama visceralmente i Bolsonaro, i Trump, i Salvini, le Meloni, gli Orban, i Putin, i Di Battista… Le democrazie liberali sono a rischio di sopravvivenza, questo è chiarissimo anche in Italia dove l’accoppiata fascista-leghista Salvini-Meloni lancia accuse incandescenti e bugiarde contro un governo parlamentare che sta affrontando la crisi più grave del novecento e del post-novecento.
In questa situazione, alla poesia viene sottratto il terreno da sotto i piedi, le parole diventano sempre più difficili, scottano, non possono più essere maneggiate, i poetini e le poetine alla Mariangela Gualtieri e alla Franco Arminio vengono citati sulle pagine della stampa e dei media per le loro poesiouole sul Covid19 e sull’ambaradam dello sciocchezzaio, mentre un poeta laureato di Milano discetta sulla fine della «società letteraria» d’un tempo, e altri autopoeti parlano di «Bellezza» e altre amenità consustanziali allo stupidario di massa di oggi.
In questa situazione, che cosa può scrivere un poeta che vive nel paese più a rischio democratico d’Europa come l’Italia? Può solo scrivere con sconcertante umiltà:
«Tutto rotola e va in basso»
per concludere:
Controlla tutto e bene nel trolley.
Vedi se c’è anche questa sera il Roipnol.