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Poesie di Zbigniew Herbert, Letizia Leone, Raymond Carver,  Alfonso Cataldi, Carlo Bordini, Fritz Hertz, (Francesca Dono), Lidia Popa, Luciana Vasile, – Riflessioni di Giorgio Linguaglossa, Gaio Valerio Pedini – La Poesia dei poeti esistenzialisti della nuova ontologia estetica

Gif Labbra rossettoGif we were born to die

 

Due poesie di Zbigniew Herbert (1924-1998)
da L’epilogo della tempesta, Adelphi, a cura di Francesca Fornari, 2016

Un cuore piccolo

il proiettile che ho sparato
durante la grande guerra
ha fatto il giro del globo
e mi ha colpito alle spalle

nel momento meno opportuno
quand’ero ormai sicuro
di aver dimenticato tutto
le sue – le mie colpe

eppure come gli altri
volevo cancellare dalla memoria
i volti dell’odio

la storia mi confortava
io combattevo la violenza
e il Libro diceva
– era lui Caino

tanti anni paziente
tanti anni inutilmente
ho pulito con l’acqua della pietà
la fuliggine il sangue le offese
perché la nobile bellezza
il fascino dell’esistenza
e forse persino il bene
dimorassero in me
eppure come tutti
desideravo tornare
alla baia dell’infanzia
al paese dell’innocenza

il proiettile che ho sparato
da un piccolo calibro
nonostante le leggi di gravitazione
ha fatto il giro del globo
e mi ha colpito alle spalle
come volesse dirmi
che niente e nessuno
sarà perdonato

e così adesso siedo solitario
sul tronco di un albero tagliato
nel centro stesso
della battaglia dimenticata

io ragno grigio intesso
riflessioni amare

su una memoria troppo grande
su un cuore troppo piccolo

Preghiera

Padre degli dèi e tu Hermes mio patrono
ho dimenticato di chiedervi – e adesso è ormai tardi –
un dono grande
e così imbarazzante come una preghiera
per pelle liscia capelli folti palpebre a mandorla

che accada
che tutta la mia vita
entri per intero
nel cofanetto dei ricordi
della contessa Popescu
su cui è raffigurato un pastore
che al limitare di un querceto
soffia dallo zufolo
un’aria perlata

e il disordine dentro un gemello
il vecchio orologio paterno
un anello senza la pietra
un binocolo marinaio ripiegabile
lettere essiccate
una scritta dorata su una tazza
che invita alle terme
di Marienbad
una barra di ceralacca
un fazzoletto di batista
segno della resa di una fortezza
un po’ di muffa
un po’ di nebbia

Padre degli dèi e tu Hermes mio patrono
ho dimenticato di chiedervi
mattini pomeriggi sere frivole e senza senso
poca anima
poca coscienza
una testa leggera

e un passo danzante

  

Giorgio Linguaglossa  25 maggio 2018 alle 7:53

Non è Aristotele che nel De memoria sostiene che gli umani sono: «coloro che percepiscono il tempo, gli unici, fra gli animali, a ricordare, e ciò per mezzo di cui ricordando è ciò per mezzo di cui essi percepiscono [il tempo]»?. Dunque, possiamo dire che la Memoria sarebbe una funzione della coscienza del tempo. Anzi, dopo Heidegger si dovrebbe parlare di una funzione della temporalità nel suo rapporto con l’esserci, la nostra esistenza si situerebbe negli interstizi tra le temporalità dell’esserci. La temporalità immaginaria e quella empirica. Meister Eckhart ci ha parlato del «vuoto» quale esperienza interiore essenziale per accedere alla dimensione spirituale, ovvero, fare «vuoto» come distacco dai propri contenuti personali per poter accedere ad una dimensione più vera e profonda.

È da qui che ha inizio la riflessione poetica dei poeti nuovi dei poeti esistenzialisti della nuova ontologia estetica, dal punto di congiunzione tra temporalità e memoria. Quel punto opaco, insondabile dove hanno avuto luogo gli eventi significativi, paradossalmente opachi, quei momenti di lacerazione dell’esistenza che noi percepiamo distintamente attraverso la lente della memoria. Ma che cosa sia quella lacerazione e che rapporti abbia con la memoria, è davvero un mistero.

Bene illustrano questa condizione spirituale i tropi adottati dalla nuova ontologia estetica, in particolare i concetti di disfania e di diafania, in una certa misura, concetti gemelli che indicano il «guardare attraverso» della diafania e il «guardare tra» della disfania. La parola poetica si situerebbe dunque «tra» due manifestazioni (Phanes è il dio della manifestazione visibile, la luce,) e «attraverso» esse. È in questo guardare obliquo, in diagonale che si situa il discorso poetico della «nuova ontologia estetica», dove il tempo dello sguardo indica la temporalità dell’esserci.

La metafora è il non identico sotto l’aspetto dell’identità.

I grandi poeti lavorano incessantemente per tutta la vita attorno ad alcune poche metafore, ma per giungere alle metafore fondamentali occorre un pensiero poetico che speculi intorno alle cose fondamentali, ecco perché soltanto il pensiero mitico riesce ad esprimersi in metafore, perché nel mito la contraddizione e la metafora sono di casa e tra di esse non c’è antinomia e una medesima legge del logos le governa. In questa a quartina di Zbigniew Herbert è rappresenta una metafora fondamentale:

il proiettile che ho sparato
durante la grande guerra
ha fatto il giro del globo
e mi ha colpito alle spalle

perché istituisce una contraddizione assoluta che soltanto la metafora assoluta può racchiudere, dove l’assurdo della denotazione collima con il rigore del pensiero intuitivo. Nella metafora viene immediatamente ad evidenza intuitiva l’eterogeneo e il contraddittorio che permea l’esistenza quotidiana degli uomini. «Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi», scrive Adorno in Dialettica negativa, assunto che viene invalidato dal pensiero della communis opinio ma che è inverato dall’esperienza della metafora nella poesia, dove essa si rivela essere un concentrato di impossibilità drasticamente verosimile ed immediatamente intuitiva.

T.W. Adorno, Dialettica negativa, Verlag, 1966, trad. it. Einaudi di Carlo Alberto Donolo, 1970 p. 42

alfonso_cataldi

Alfonso Cataldi

 Alfonso Cataldi   25 maggio 2018 alle 10:23

Sinestesie

Eravamo tra i minimi discorsi nel bar di via Carfagna
quando l’altro mio alter ego prende il largo.
S’inalbera ed esce, sbattendo la porta.
Così un gruppo di tedeschi litigioso

si siede al tavolino
in pieno centro urbano
e continua la nostra discussione.

Giacomo sveglia l’intero vicinato strillando
«il pezzo-schizo» di Jannacci
davanti lo skyline che muta
intorno a Porta Nuova:

“Giacomo ha fame. Paninutto!!”

Una mamma mette in pausa l’ultimo tutorial pubblicato su Donna Moderna.
Si domanda se ha una faccia in più
oppure in meno
l’origami
strapazzato tra le dita.

Il maestro Robert J. Lang dice di ritenere la questione troppo ingenua
la ripiega nello stipo dietro gli accadimenti di giornata
da stivare in poco spazio
tra i satelliti
del punto-vita. Continua a leggere

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Ryszard Krynicki. Sette Poesie e una Dichiarazione – Traduzione di Francesca Fornari, Presentazione di Giorgio Linguaglossa

bello angelo androgino

.

Presentazione di Giorgio Linguaglossa

Tra i massimi poeti polacchi contemporanei, Ryszard Krynicki nasce il 24 giugno del 1943 nel lager austriaco di Wimberg, a Sankt Valentin. Ha ottenuto diversi premi letterari, tra cui il premio internazionale Kościelski (1976), è anche traduttore dal tedesco di Brecht, Nelly Sachs, Paul Celan. Il volume Punkt magnetyczny (Il punto magnetico, 1996, da cui sono tratte le poesie qui pubblicate “Abitiamo attraverso la pelle”, “Rue de Poitiers”, “Per non ferire nessuno e nulla, Dio”) contiene un’ampia scelta di versi delle sue raccolte precedenti, tra cui Akt urodzenia (Atto di nascita, 1969), Organizm zbiorowy (Organismo collettivo, 1975), Nasze życie rośnie (La nostra vita cresce, 1978), la sua ultima raccolta è Kamień, szron (Il sasso, la brina, 2004). Nel 1988 Krynicki ha fondato la casa editrice a5, che pubblica poesia contemporanea, tra cui Herbert e Szymborska.
Gli esordi di Krynicki nel 1968 sono legati al movimento di Nowa Fala (Nuova Ondata), composto da poeti dello spessore di Zagajewski, Karasek, Barańczak, Kornhauser, accomunati da uno sguardo lucido e critico sul regime e dalla volontà di rispecchiarne, nella maniera più fedele, il grigiore e la disperazione quotidiani.

Nella sua poesia si riscontra la presenza di un tono quasi oracolare innestato su di un lessico sobrio, spoglio, schietto, a volte sarcastico, a volte umorale. I tratti sopra segmentali entrano con pieno diritto nella poesia occupando un posto d’onore. Esponente di spicco della generazione della Nowa Fala, Krynicki ha un timbro, una voce individuale. La sua voce si esprime bene nei momenti in cui prende posizione con interrogativi incalzanti e alti, quando può prendere posizione nei confronti del regime e della storia.

Sue poesie sono reperibili nell’antologia “Almanacco dello specchio 2007”, Mondadori.

*

Sette poesie di Ryszard Krynicki

Il poeta è pudico.
Lo è perché parla di sé, anche se in minima parte, immette nella poesia un moto, l’emozione di un istante vissuto proprio così, lì o altrove, ma comunque vissuto.
Almeno lo dovrebbe.
C’è chi immagina e racconta; ci inonda di versi profondi, ridondanti e colti che però non hanno vita.
Ci si può difendere da versi così? Mah!
Se piacciono, sono pur sempre poesia: falsa, copiata sbirciando componimenti di altri, ma di base una certa sensibilità c’è.
Io ho un sistema: scelgo un momento mio della giornata, butto i pensieri e leggo a voce alta, fingendomi l’autore e poi mi interrogo.
Posso dire di essere stato onesta nella lettura? Ho interpretato bene il suo pensiero? E come ne esce il suono? Scivolano le parole, o si arrotolano su se stesse?
Ecco, rispondendo a tutto questo ottengo delle prime risposte che saranno convalidate o smentite da poesie successive.
Non ho mai provato a leggere le poesie in altre lingue che la mia. Deve essere una esperienza esaltante.
Purtroppo mi difetta la pronuncia di molti idiomi, quindi è una esperienza che non farò mai.
Accetto senza riserve, quindi, il dire di questo autore. La semplicità dello scritto (e la bravura del traduttore: non scordiamoli mai) ne fa un testo prezioso.

z11576026Q,Ryszard-Krynicki

Effetto di estraniamento

Preferisco leggere i miei versi in una lingua straniera:
occupato a rigirare cautamente in bocca
i sassolini della pronuncia corretta

sento meno la spudoratezza della mia confessione.

da “Abitiamo attraverso la pelle” di Ryszard Krynicki (Interlinea, 2012)

Mieszkamy przez skórę
za blisko, żeby się jeszcze zbliżyć: ta rozłąka,
przez mężczyzn, których ci przypominam, trwa,
poprzez mężczyzn, którzy wcześniej cię przemierzali,
[obcojęzyczny
dworzec tekstu, przez kobiety,
których nie zdobyłem na tyle, żeby o nich zapomnieć;
[tylko
ten pierworodny lęk, to po nim się poznajemy jak po
ojczystym języku
na nieznanym dworcu; najbliżsi więc
najdalsi, kochani nienawistni,
dwa obce szczepy, które przyjęły się na tym samym
[pniu, na
ściętym pniu spojrzenia, przerwanej rozmowy; oszczep
przeszył dwa zwierzęta, zwierzęta oddechu, który
utkwił nam w gardłach; oszczep? oddech? choćbyś go
zaszczepił, nie spodziewaj się drzewa
innego niż bezsenność; mieszkamy przez skórę za
[daleko,

*

Abitiamo attraverso la pelle,
troppo vicini per avvicinarci di più: questa separazione,
attraverso gli uomini che ti ricordo, dura,
attraverso gli uomini che prima ti hanno percorso,
[stazione,
in lingua straniera, di un testo, attraverso le donne
che non ho sedotto tanto da dimenticarmi di loro; solo
questo terrore primordiale, è da quello che ci
[riconosciamo come
dalla lingua madre
in una stazione sconosciuta; i più vicini e dunque
i più lontani, amati pieni di odio,
due innesti estranei, che si sono inseriti sullo stesso
[tronco, sul
tronco reciso dello sguardo, di una conversazione
[interrotta; la lancia
ha trafitto i due animali, gli animali del respiro, che
ci si è conficcato nelle gole; la lancia? il respiro? se
[anche
lo innestassi, non ti aspettare un albero
diverso dall’insonnia; abitiamo attraverso la pelle
[troppo lontano


by mówić o rozłące; trwało to między nami jak zbyt
[długa podróż,
kiedy pociąg się spóźnia i ty musisz sama
czekać na bezludnej stacji
z przygodnym nieznajomym; trwało to między nami?
[to bliskie
oddalenie, ten ból pierworodny i oddech
uproszczony do tchu; tak i wzrok był pomiędzy nami:
[mieszkamy
przez skórę spojrzenia

*

per parlare di una separazione; tra noi è durata come
[un viaggio troppo lungo,
quando il treno ritarda e tu da sola devi
aspettare nella stazione deserta
con uno sconosciuto a caso; tra noi è durata questa
[lontananza
vicina, questo dolore primordiale e il respiro
ridotto a un alito; e così c’era anche lo sguardo tra
[di noi: abitiamo
attraverso la pelle dello sguardo

(1967)

*

Niente cambia
ogni giorno attendi che ti assegnino l’appartamento
ti alzi il mondo esiste ancora
torni dal lavoro il mondo ancora esiste
leggi nel giornale
che i cinesi hanno scoperto un osso che può
rivoluzionare la scienza
e demolire la teoria di Darwin
vai a letto ti addormenti
senza ascoltare fino alla fine l’ultimo notiziario
dormi non sogni nulla
ti alzi le tue ossa non rivoluzioneranno la scienza
ti rechi a lavoro lungo la via dell’Armata Rossa
il mondo esiste ancora niente è cambiato
sul lato sinistro della via
dipende dalla direzione in cui ti muovi
insieme al paese intero
sul lato di sinistro della via
sul lato di estrema sinistra della via
sul lato sinistroide della via
sul lato levitante della via
vedi uno slogan lo scopo più alto della strada è l’uomo
sul lato etc. destro lo slogan lo scopo più alto
più in basso non riesci a leggere
più in basso cadono gocce di pioggia aerei petali di neve
niente è cambiato
le macchine imprimono nell’asfalto
la misteriosa lettera &
il tempo scorre nell’immobilità come corrente elettrica

e il tuo bambino tornando dall’asilo sa già
che lo scopo più alto è

etc.

(Traduzione di Francesca Fornari)

La lingua, questa escrescenza carnosa

Al Signor Zbigniew Herbert                                                      

                                                                            e al signor Cogito


la lingua, questa escrescenza carnosa che cresce nella ferita,
nell’aperta ferita della bocca, della bocca che si ciba di  falsa verità,
la lingua, questo cuore scoperto che batte sull’esterno, questa   nuda lama,
che è un’arma indifesa, questo bavaglio che soffoca
le fallite rivolte delle parole, questa bestia che ogni giorno familiarizza
con i denti umani, questa cosa disumana, che cresce in noi e ci
sormonta, questa bestia nutrita con la carne avvelenata del corpo,
questa bandiera rossa, che ingoiamo e sputiamo col sangue, questo
bìfido che ci accerchia, questa verace menzogna che abbaglia,
questo fanciullo, che imparando il vero, veracemente mentisce
1975

da: “Organismo collettivo” traduzione di Paolo Statuti

 

Fobia dell’altezza

Il potere soffre di fobia dell’altezza: più in alto si arrampica,
più ha paura di scen­dere sulla terra.
*

La verità?

Cos’è la verità?
Dove ha sede?
Dove la sua amministrazione?
Dov’è il con­si­glio direttivo?
Dove sono i suoi giuristi?
Dov’è la sua scorta?
Dove la sua sezione per la promozione?
Dove quella del marketing?
Com’è la sua audience?
Com’è la forza di impatto?
Com’è la sua tutela mediatica?
Si vende bene?
E’ già quo­tata in borsa?
Che valore hanno le sue azioni?

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