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Mariella Colonna, Poesia inedita – Sotto il tendone del Teatro di strada – Allegoria della condizione infernale dell’uomo sulla terra… con un Commento di Mariella Colonna e un Appunto di Giorgio Linguaglossa

 

Commedia eroicomica in versi prosastici sulla trama di una [di Giorgio Linguaglossa] poesia.

Siamo in un tendone di un «Teatro di strada» dove si sta allestendo un «Grande spettacolo» dal titolo misterioso: Il bacio è la tomba di Dio,  con la partecipazione del primo attore, Mario Gabriele,  e di il Signor K., Madame Hanska e  Anonymous (creazioni artistiche di Giorgio Linguaglossa), e Miss Evelyn (creazione artistica di Mario Gabriele). E ancora, in prima persona intervengono gli attori: Giorgio Linguaglossa, Gino Rago, Elena, Ecuba di Troia, Odette, (personaggio scaturito dalla fantasia di Mariella Colonna);  e personaggi vari di altre poesie. Dimenticavo, c’è anche «una Galleria con quadri animati»; e un Signor K2, e, infine, addirittura un K3! Sembra un manicomio ambulante! Ci sono delle Signore che litigano tra di loro, si colpiscono con le borsette… E c’è nientemeno Dio che interviene di qua e di là per tentare di comporre gli innumerevoli dissidi che nel frattempo si moltiplicano come funghi. Siamo nel bel mezzo del paradosso e della peritropè (capovolgimento), di una realtà surrazionale, al di là del reale e del non reale: siamo nel multireale multiprospettico proprio della dimensione psichica, nella dimensione della «nuova ontologia estetica».

Oserei dire, con Andrea Emo, che «nel paradosso è sempre e finalmente l’unica verità; ma nel paradosso, e perciò nella Verità, possiamo soltanto credere. Il linguaggio, il Verbo del Paradosso, è il mito; soltanto il mito sa esprimere il paradosso».1 Infatti, la valorizzazione e la trasmutazione del quotidiano in mito, implica il rivolgimento del linguaggio in linguaggio mitico, come espressione di un «reale» profondamente paradossale e sovra-razionale.

1 Cfr. A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, a cura di Massimo Donà e Romano Gasparotti, Marsilio Editori, Venezia 1989, p. 34

(Giorgio Linguaglossa)

Gif volti

Gif, Roy Lichtenstein

[Interpretazione del testo e regia di Mariella Colonna.]

Sotto il tendone del Teatro di strada, aperto a nord a sud
ad est e ad ovest, il signor K [personaggio della poesia
di Giorgio Linguaglossa] grida e la voce si diffonde
nelle quattro direzioni dello spazio:

“Venite, venite tutti a vedere
il più grande spettacolo del mondo
dal titolo insuperabile: Il bacio è la tomba di Dio!
Avete mai sentito una cosa del genere??
Vi presento me stesso, il signor Kappa,
il sommo… prestigiatore, il mago portentoso
capace di cambiare i destini degli uomini
e dei popoli!

Alla modesta cifra della vostra anima
(che non vale niente)
posso fare di voi il contrario di quello che siete,
poveri incapaci e depressi abitanti
di questo miserabile pianeta avviati alla catastrofe!
Ascoltatemi dunque!
(si rivolge ai suoi scherani)
“Suvvia, date fiato alle trombe! Inizi lo spettacolo!”

“Un momento…alt!”
“E voi chi siete?”
“Sono il signor K!”
“Ah, questa poi…
il signor K(appa) sono io!”
“Siamo due Signor K, io sono famoso ormai
per essere passato dalle poesie di Mario Gabriele
in quella di Giorgio Linguaglossa intitolata ‘Il corvo entra dalla finestra’…
“per corteggiare una dama, miss. Evelyn…”.

“Ma che state dicendo? Di che diavolo parlate?
Rivolgendosi al pubblico: “Non sa che io
sono tanto più famoso di lui…”
“È la verità. Piuttosto voi…”
“Tacete! Fate un silenzio di pietra quando parlate con me…
State a sentire: vedete quella torre?”
“Sì, la vedo…”
“Ma no, non quella che vedete! Quella che non vedete!”
“Va bene, credo di aver capito.”
“C’è scritta una frase bizzarra.”
“Ma non riesco a leggerla bene. Non ho con me gli occhiali.”
“Vi ho detto che non dovete ‘vederla!’
E neppure leggerla, non avete bisogno degli occhiali,
vi basti immaginare.”
“L’imagination au pouvoir!”
“Così va meglio, però.
Prima di tutto ditemi perché avete interrotto l’inizio
dello spettacolo?”
“Volevo che lei, signor Kappa,
ci spiegasse il senso di tutto questo baccano…”
“Questo mai, se lo facessi, addio suspence…
c’è un incredibile evento che vi inchioderà sulle sedie,
cari signori! Ma adesso
continui lei, signor K2, che dice di essere il mio doppio!
Da quale parte del mondo viene?”

“Vede, signor Kappa, io e lei siamo due personaggi complicati:
io vengo non dalla mia terra, ma da due poesie.
La prima l’ho scritta io che sono un poeta e mi chiamo
Mario Gabriele; nella mia poesia ho creato Evelyn:
lei si è presa una sbandata per me e io per lei.
Ma, per attrarla e farmi desiderare, mi sono recato
con il nome d’arte di Signor K nella poesia-opera d’arte
di Giorgio Linguaglossa!
Una Galleria con quadri animati
che hanno molto movimentato l’Incontro con miss Evelyn.
Quando ho scelto di identificarmi con il signor K,
ero all’oscuro della sua identità, signor Kappa.”
“Lei dunque sa meglio di me chi sono?”
Se è per questo anche lei sa meglio di me
chi sono e chi è il signor K n.3, che poi è il primo!”

“Va bene, allora basta! Non mi confonda le idee
con altre spiegazioni, tenga pure il mio nome,
ma, mi raccomando, coll’aggiunta del 2 , lei è il signor K2!
E sappia che… chi porta il mio nome porta dentro di sé
qualcosa di me”.
“Essere K2 aumenterà il mio fascino agli occhi di Evelyn.
D’altra parte, anche la mia Evelyn è ambigua,
adesso è un’elegante signora Liberty… ma, Gi Elle dice che ha
un passato da megera e prosseneta: si guadagnava da vivere con le carte etc…”.
“Ma sì, la conosco bene anche io, il patto è concluso: vede,
con la musica-luce verde-rossa rivolta ora al suo volto ora al mio…
Diamo inizio allo spettacolo!” Continua a leggere

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Il ritorno di Odisseo – L’oblio della memoria – Odisseo è un cialtrone, un disertore della guerra di Troia – Una poesia inedita di Giorgio Linguaglossa. La rilettura del mito dal punto di vista della nuova ontologia estetica – Interventi di Gino Rago e Carlo Livia con una poesia di Marina Cvetaeva e Paul Celan

Foto Man Ray stilleven

La Cosa è l’irrappresentabile, ciò che resta fuori della rappresentazione, l’inconscio è il luogo della non nominazione se non come catacresi

(opere grafiche di Lucio Mayoor Tosi)

Noi, reduci del Novecento, sappiamo che il canto delle sirene conteneva una «verità»

che non abbiamo voluto udire, quella «verità» che Odisseo non ha voluto che i suoi marinai ascoltassero. E quel «non-detto», quella «parola non ascoltata», ci perseguita ancora oggi, si ripresenta con il suo volto di spettro e ci chiede udienza, chiede di essere ascoltata, di essere compresa.

Chi è Odisseo per noi reduci del Novecento? Che cosa rappresenta?

Per Marco Revelli ne I demoni del potere il Canto XII è quello centrale dell’Odissea. «Il gioco di Ulisse con le Sirene si risolve, nell’epoca del trionfo della tecnica, in una serie di atti mancati».

Il «secolo breve», il Novecento, è il secolo della distruzione di massa, il secolo, come i nazisti dicevano con un eufemismo, della «soluzione finale». Il Novecento ci ha insegnato che molto più temibile del loro «canto» è il «silenzio» delle sirene. Per noi, reduci del Novecento il «viaggio di Ulisse» ha cessato di produrre senso, conserva zone di indicibilità, di non narrabilità. La frattura di civiltà, il vuoto di senso è ancora una volta Auschwitz. Auschwtiz si può verificare ancora una volta, si può ripetere. La IV guerra mondiale, la guerra nucleare, si può verificare in qualsiasi momento.

Oggi il capitalismo globale ci ha «gettati» in un paesaggio spaesante. Noi che viviamo nella Pars Occidentale della produzione capitalistica, dobbiamo ritenerci «fortunati», viviamo nel mondo del benessere, della democrazia e della ricchezza. Loro, gli esclusi dal mondo del benessere, sono i reietti.  Noi oggi non abbiamo un linguaggio adeguato, ci mancano le parole adeguate per rappresentare la nostra condizione di «fortunati».

Franz Kafka, in un raccontino paradossale del 1917 scrisse: «Le sirene possiedono un’arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio». Ulisse non si accorge del silenzio delle sirene, è ossessionato soltanto dal loro «canto». Per Kafka, se qualcuno raramente si salva dal canto delle sirene, nessuno si potrà mai salvare dal loro silenzio. Ma l’esperienza del Novecento ci ha insegnato che pari insidiosa nequizia è nascosta nel «silenzio» delle sirene, molto più temibile del loro «canto», temibile in quanto invisibile.

Ascoltiamo le parole di Primo Levi, un sopravvissuto ad Auschwitz, lui che ha ascoltato il canto delle sirene naziste, dei torturatori nazisti. Per resistere a quel «canto» Primo Levi si è tappato le orecchie con le ballate di Schiller. È stato questo lo stratagemma che gli ha dato la forza di restare in piedi per ore durante gli appelli mattutini da parte delle SS. Ed è sopravvissuto.

[…] Quando il tempo è dolore non si può far nulla di meglio che farlo passare, e ogni poesia diventa una formula magica. […] Le ballate di Schiller divennero le mie poesie dell’appello; grazie a loro riuscivo a stare in piedi per ore senza svenire, perché c’era sempre un altro verso da recitare, e quando un verso non ti veniva in mente, potevi pensarci, anziché pensare alla tua debolezza. […]

Tutt’intorno urla ripugnanti, angoscianti, che non accennavano a finire. Gli uomini che ci avevano fatto scendere dal vagone col loro «fuori, fuori», e che ora ci spingevano in avanti, erano come cani rabbiosi e ululanti. […] Quel tono carico d’odio, che scaccia […] e inchioda […] intendeva unicamente intimorire e stordire. […]

Nella mia poesia, Il ritorno di Odisseo,   non v’è traccia del canto delle sirene, per Odisseo si è trattato di un evento senza importanza, che ha già dimenticato. Nella mia poesia Odisseo è preda dell’Oblio della memoria, non ricorda nulla di ciò che è accaduto, nulla della guerra di Troia.

Si gode gli ozi di Ogigia.
Che fretta c’è?
Per tornare dalla vecchia Penelope,
c’è tempo.

Odisseo non è più ai nostri occhi un eroe, è un «cialtrone», un «fuggiasco», un «disertore» che comanda una ciurma di altri «disertori», di «straccioni», di «naufraghi». Odisseo è un abile manipolatore di parole, colui che racconta gli eventi in modo poetico e mirabolante per gabbare gli ingenui ascoltatori. I suoi marinai

Sono fuggiaschi, disertori della guerra di Troia.
Omero non lo dice ma lo deduciamo noi
dalla lettura degli eventi.

Anche Omero è colpito dall’anatema di aver detto delle menzogne, di averci dato il ritratto di un uomo «astuto» inventando il racconto del cavallo di Troia, in realtà Odisseo è un miserabile «disertore» che ama la bella vita e gli ozi dell’isola di Ogigia. Anche Omero quindi è colpevole di aver detto delle menzogne e neanche lui può essere considerato degno di fede. Il discorso poetico è già diventato menzogna. Continua a leggere

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Gino Rago, UNA POESIA, Alla bellezza tutto si perdona Commenti di Letizia Leone, Mariella Colonna e Giorgio Linguaglossa – Video musicato e cantato da Eleonora Anselmo, composizione video Paolo Cenni, musica di Vieri Tosatti Einsamkeiten, 1969

Grecia eroi-di-Troia

Gino Rago nato a Montegiordano (CS) il 2. 2. 1950, residente a Trebisacce (CS) dove, per più di 30 anni è stato docente di Chimica, vive e opera fra la Calabria e Roma, ove si è laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989),Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005). Sue poesie sono presenti nelle Antologie curate da Giorgio Linguaglossa Poeti del Sud (EdiLazio, 2015) Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016). È membro della redazione dell’Ombra delle Parole.   Email:  ragogino@libero.it

Onto Rago

Gino Rago, grafiche di Lucio Mayoor Tosi

 Gino Rago

Alla bellezza tutto si perdona

Chi saprà dire a Ecuba
la nuda verità su Elena di Sparta.
Menzogne. Calunnie. Soltanto maldicenze
la fuga, il rapimento, gli amplessi
della spartana sul mare verso Troia?
Prima fra le prime accanto a Menelao.
Venerata da Paride al pari di una dea.

Perdonata in patria da servi e da padroni.
La colpa cancellata,
il rispetto e l’onore riaffermati:
festa per Elena presso gli Spartani,
le donne vinte invece vegliano i cadaveri.
Noi siamo qui per Ecuba.

La sposa che mai accetterà gli scorni
di quelle dee beffarde, gelose
delle fattezze carnali di fanciulle
contese dai guerrieri a suon di lame.
La madre che tutto perde nell’inganno.
Lutti. Lamenti. Pugni battuti sulla terra.
Le bende strappate.
I ramoscelli sacri nelle fiamme.
La freccia lancinante, il dardo vero
a insanguinare il cuore
della Regina d’Ilio in mezzo al fuoco?

È un’idea soltanto. La stessa
da quando a corte Elena le rubò il trono:
vinca la cenere, periscano gli eroi.

Alla bellezza tutto si perdona.

Onto Giorgio Linguaglossa.verde

Giorgio Linguaglossa

Nota critica di Giorgio Linguaglossa

Trovo straordinaria questa poesia di Gino Rago.
Il poeta di Trebisacce ormai fa poesia «mitica», non mitopoietica, mitica nel senso che ci parla del mito eterno che sta alla base del pensiero «mitico» dell’Occidente. Il mito della guerra di tremila anni fa, della guerra di Troia e delle guerre di oggi. Tutte atroci. Tutte menzogne. Dire che “Alla bellezza tutto si perdona” è un modo per stigmatizzare Omero per averci detto una menzogna sulla guerra decennale di Troia. E alzare il dito di accusa sulla falsa coscienza degli achei, di Sparta, di Tebe e delle altre città greche alleate contro Troia le quali, dopo i dieci anni di lutti e stragi, accolgono Elena,, la causa scatenante della guerra, come una eroina, mentendo a se stessi, raccontandoci una verità che non è la verità. Continua a leggere

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Gino Rago UNA POESIA INEDITA Le sonagliere dei mirti vanno verso il porto – con due commenti  di Chiara Catapano e Mariella Colonna

grecia La contesa per il tripode tra Apollo ed Eracle in una tavola tratta dall’opera Choix des vases peintes du Musée d’antiquités de Leide. 1854. Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs

La contesa per il tripode tra Apollo ed Eracle in una tavola tratta dall’opera Choix des vases peintes du Musée d’antiquités de Leide. 1854. Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs

Gino Rago nato a Montegiordano (CS) il 2. 2. 1950, residente a Trebisacce (CS) dove, per più di 30 anni è stato docente di Chimica, vive e opera fra la Calabria e Roma, ove si è laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005). Sue poesie sono presenti nelle Antologie curate da Giorgio Linguaglossa Poeti del Sud (EdiLazio, 2015) e Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016)   Email:  ragogino@libero.it

 

 Commento di Chiara Catapano

Come onde pesantemente sullo scafo della vita: commento trasversale ai versi di Gino Rago “Noi siamo qui per Ecuba”

Noi non siamo qui per Menelao.
Né siamo qui per Elena

 È con una negazione che s’apre il lungo canto dei vinti di Gino Rago: negazione che è la sorte stessa dei vinti, orrido aperto sotto la loro memoria. Per Ecuba noi siamo qui, non c’importa delle vergini, non ci interessano le schiave adolescenti per il nostro letto:

Noi siamo qui per Ecuba,
la sposa ormai prona al suo destino

Siamo qui in forze, e neppure Elena che scatenò la guerra ora ci riguarda quanto la regina della città perduta. Menelao non degna d’uno sguardo la moglie-bottino: anch’egli è lì per Ecuba. “La casa dell’amore si sfarina”, per tutti. C’è la casa concreta dei Troiani, c’è quella lontana cui fare ritorno per i Greci: ma ogni cosa muore in guerra, perché ciò che tiene in vita, in guerra, è la guerra stessa. Simone Weil ha chiamato l’Iliade Il poema della forza: “Si tratti di servitù o di guerra, sempre, tra gli uomini, le sventure intollerabili durano per via del loro stesso peso, e così dall’esterno sembrano facili da sopportare. Durano perché privano delle risorse necessarie a uscirne. Nondimeno, l’anima segreta della guerra brama la liberazione; ma la liberazione stessa le appare sotto una forma tragica, estrema, sotto la forma della distruzione.” Eccolo il destino cui Ecuba si sottomette, ecco il peso che sorregge le vite di vincitori e vinti. Nessuna fine più moderata, continua la Weil, sarebbe tollerabile perché ancora più esposte alla memoria del tragico rimarrebbero le nude spoglie degli uomini, i resti intollerabili di vincitori e vinti. Tombe scoperchiate. Più tollerabile che siano i morti tra noi, così possiamo continuare ad amare.

Tutti noi dal nostro osservatorio fatto di millenni e di distanze siamo qui per Ecuba: dimenticato il canto dissennato di Cassandra, risuonino infine le sonagliere di mirto. Abbiamo bisogno d’una schiava, d’un bottino illustre, della tenerezza della vecchiaia per tenerci in vita. Non ci commuove tanto neppure il grido ultimo di Astianatte, non seguiremo Andromaca in Epiro.

Ogni verso nel canto Noi siamo qui per Ecuba trascina dentro una morte infinita. Gino Rago forza il mito per intesservi intorno un destino di ineludibile atrocità. Mai la schiava si libererà – non diventerà la nera cagna di Ecate, non avrà la sua tomba in fronte all’Ellesponto – : prosegue il viaggio, sonagliere di mirto ne scandiscono i passi. E il mirto purifica – purifica dalle azioni commesse e subite. Purifica ad un livello altro, l’uomo resta e pasce il suo destino.

Sono versi che non assolvono e non lasciano scampo, a nessuno di noi, dentro la nostra trincea fatta di millenni e distanze. Nessuna immunità, nessun vaccino, nessun oblio.

grecia scena di un banchetto

scena di un banchetto

    Commento di Mariella Colonna

 Il risuonare delle sonagliere e il rumore delicato delle fronde di mirto mosse dal vento sono il preludio musicale con cui Gino Rago ha voluto presentare l’episodio finale delle vicende di Ilio e ricorda ai greci la vittoria, ai troiani la sconfitta. Il Poeta si china sugli sconfitti a cui vanno la sua mente e il suo cuore.

Il ciclo di Troia si conclude con il dramma dei personaggi che abbiamo imparato ad amare grazie alla forza primordiale e senza tempo che il mitico cantore di Troia ha loro conferito. Ettore, il più forte dei guerrieri troiani, sconfitto per vendetta e torturato da Achille, è umiliato anche da morto, il suo corpo straziato non viene restituito alla Madre che ha perso ormai tutti i suoi figli, non può ricevere onorata sepoltura insieme alle sue armi, non può essere pianto, è preda degli uccelli. Ormai siamo dentro il cerchio sacro della tragedia che il Poeta sembra tracciare con una mano invisibile, ispirato dallo scudo di Ettore in cui riposerà la vittima più vittima di tutti gli altri caduti in guerra: il piccolo Astianatte gettato, su consiglio di Ulisse, dalle mura di Troia e ricomposto da amorevoli mani dentro lo scudo del padre morto da eroe.    Invisibili ma più che mai presenti sono i tanti morti che pesano sul cuore di Ecuba a cui viene a mancare la parola, insieme ai vivi che hanno perduto la propria ragione di vita: Andromaca.Né più moglie né madre. Ecuba è immersa nel silenzio, ma i suoi pensieri gridano: ella è in parte distrutta, senza vita, eppure fieramente la sua anima di Regina resiste ad ogni possibile oltraggio, ma ecco che, appena giunge come schiava all’Isola del suo peggiore nemico, un Poeta le fa un omaggio imprevisto: Sei bella. Sei bella come una Regina / con quei capelli tutti inghirlandati. / Slegali. Trema tutta la terra / se ti vanno a sfiorare / le caviglie alate…

Quel Poeta è senz’altro Gino Rago. Un’idea grande, la sua, d’inserire la propria presenza, a millenni di distanza e in contemporanea sul piano dell’essere, nell’evento mitico di cui narra… E certo lo fa per sottolineare e accompagnare il momento in cui la grande Regina vinta, che ha perduto il marito Priamo, i numerosi figli, il prediletto nipote, la sua Troia, approda schiava ad Itaca; il Poeta che la canta oggi era, è presente allora e si esprime verso di lei come un amante nei confronti dell’amata…eppure Ecuba è anziana, lacerata dal dolore, affranta, non parla più che a gesti. Ci si può innamorare di una donna avanti negli anni e sconfitta dal dolore, che esiste soltanto nell’immaginazione o nella memoria? Il Poeta non pone limiti all’amore, lo sente al di là e al di sopra di tutto: l’amore è ontologicamente vincente rispetto alle armi, quindi Ecuba è sconfitta soltanto dalle armi, ma è vittoriosa nell’amore. Che cosa contano gli anni di fronte al fatto che ella dimostra più coraggio di tutti gli eroi messi insieme, che da schiava si muove e parla ancora come una Regina, che porta nella mente e nel cuore tutti i suoi morti, gli affetti, i valori di una città che per ben dieci anni ha resistito all’assalto dei greci ed è stata sconfitta soltanto da una trovata astuta  del nemico?

C’è un’antologia di poesia contemporanea di Giorgio Linguaglossa che ha un titolo suggestivo, Com’è finita la guerra di Troia non ricordo. Forse anche per questo Giorgio non ricorda: la guerra di Troia non è mai finita con la vittoria dei greci perché una donna troiana coraggiosa ha amato ed è stata amata più della famosa Elena e perché un troiano figlio della dea Venere si è messo sulle spalle il vecchio padre, ha preso per mano il figlioletto Ascanio ed è partito per mare, con i compagni rimasti in vita, sulle navi sopravvissute all’incendio: e, dopo molteplici tribolazioni e un lunghissimo viaggio, ha fondato Roma. Questo secondo la leggenda e la leggenda, sappiamo, contiene sempre un elemento di verità. La guerra di Troia è simbolo di tutte le guerre in cui necessariamente alla gioiosa vittoria dei vincitori si affianca la desolazione dei vinti: in questa poesia di  Gino Rago che grazie alla memoria senza tempo ci raccoglie tutti nell’Isola di Ulisse, Ecuba, l’anziana Regina, è così bella nell’essere che non si può collocare tra i vinti, ma tra coloro a cui la sorte ha offerto una possibilità di riscatto. La sua dimora non è più la reggia di Troia, ma una casa semplice che immaginiamo bianca sullo sfondo del mare, sopra un’altura, tra profumi di erbe selvagge, in mezzo ad un’armonia di suoni, diversa, ma non meno attraente delle sonagliere dei mirti: qui ci sembra di sentire al vivo i “campani” delle capre condotte al pascolo sul prato di smeraldo (notare la raffinatezza del prezioso colore in un ambiente di pastori a cui fa riscontro l’azzurro che circonda Itaca) e su tutta l’isola sembrano rimbalzare e avvolgerci questi suoni così evocativi da superare qualunque musica, soprattutto se li associamo al rumore del mare e del vento che si diverte a sconvolgere, qua e là, gli arbusti della macchia mediterranea. Ecuba dialoga con il pastore e rammenta che fu la capra Altea a dare latte a Zeus ancora in fasce. L’antica Regina, vissuta in mezzo allo sfarzo e agli onori dovuti al rango, sa adattarsi ad una vita semplice, a contatto con la natura, si è perfino abituata al suo padrone, ne indovina i pensieri e le emozioni: porta in sé un tesoro inestimabile di memorie ed è simbolo di tutte le donne, troiane o di qualunque luogo e tempo, che hanno dovuto subire la violenza ma, dentro, non si sono lasciate piegare dai violenti.

In mezzo alla vivida natura, al sole e al mare Ecuba è colpita da un venticello marino che rappresenta l’elemento di chiusura e apertura del cerchio sacro in cui si muove, insieme a tutti noi, la vicenda della Regina ridotta in schiavitù: ella ricorda  che, a Troia, non scorre più lo Scamandro, che le due fonti si sono essiccate, non risuonano gioiosamente come una volta, la sua città i cari morti sono lontani, ma lei ne stringe i corpi e li fa rivivere nel suo grembo, nel suo cuore. Anche noi, se vogliamo entrare nella dimensione poetica del personaggio, siamo invitati ad entrare nel cuore di Ecuba e nella mente-anima del Poeta dove tutto avviene senza… avvenire, o meglio è anche se non è più e dove l’immaginazione di Omero, in cui sopravvivono gloriosamente frammenti di storia, è fatta rivivere dalla potenza evocativa della Nuova poesia.

Versi incisi nel marmo della Nuova Cattedrale poetica dove tutti possono ritrovare il senso del sacro o almeno diventare custodi del limen entro il quale ciò che avviene acquista un significato più profondo, più umano in senso universale e quindi condivisibile da tutti in ogni momento o luogo della terra.

Qui la quadrimensionalità  si apre a nuove dimensioni dell’essere e del linguaggio. Grazie a Giorgio Linguaglossa che ha aperto questa nuova stagione poetica e a Gino Rago: egli ci ha offerto lo spunto per tornare alla poesia omerica e a tutti i poeti che credono davvero nella Poesia non come esercizio letterario, ma come una forza che abbraccia tutto l’essere e ci aiuta a comprendere perché siamo su questa terra, mater dolorosa: non è possibile spiegarlo soltanto a parole, bisogna viverlo per capire e, per viverlo, bisogna essere aperti all’amore. L’amore è un’apertura infinita, è assumere in sé il dono della Vita e il suo mistero.

                (Roma, gennaio 2017)

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Gino Rago
Le sonagliere dei mirti vanno verso il porto

Ettore senza scudo quasi a cibare i corvi.
Astianatte nella Pietas di braccia senza carne.
Andromaca. Né più moglie né madre.
Ecuba ora perde la parola. Non emette
un’onda la sua voce. Le rimane solo il gesto.
Il linguaggio dei segni volge sulle schiave
e a sé soltanto dice: «Nella terra di quali uomini
sono giunta? Sono selvaggi, senza giustizia,
o nella mente serbano e nei gesti
anche un esile rispetto degli dèi?».

Nell’Isola di Ulisse un poeta scioglie il canto
per la forestiera giunta come schiava:
« Sei bella. Sei bella come una Regina
con quei capelli tutti inghirlandati.
Slegali. Trema tutta la terra
se ti vanno a sfiorare
le caviglie alate…». Un pastore (o un dio
greco) a Ecuba offre una ricotta calda.
Non guerrieri più all’orizzonte ma capre.
Soltanto capre sul prato di smeraldo.
«Ogni campano cerca la sua capra, ogni capra
il suo campano. Duecento strumenti
antichi come il pane. L’Isola è una cassa
di risonanza fra l’altopiano e il mare».
Ecuba fa sue le parole del pastore.
(Rammenta che fu la capra Altea
a dare latte a Zeus ancora in fasce).
Ma un refolo salmastro tormenta la sua chioma.
Muore lo Scamandro fra i due accampamenti.
Si essiccano le fonti. Non è più lieto il timbro
delle due sorgenti sotto Troia.
E’ troppo mesto il cuore in esilio.

Le sonagliere dei mirti vanno verso il porto.
Odisseo tace. Beve a una coppa. Scruta il ventilabro.
I flutti lo richiamano. Lo invitano alla sfida.
Ecuba osserva il suo padrone. Ne avverte i palpiti.
Ne conosce i fremiti. Ne indovina i piani.
Ma Ilio è perduta. La sua città la inonda di ricordi.
E nelle mani stringe le carni sempre vive dei suoi morti.

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Chiara Catapano nasce a Trieste nel 1975. Si laurea nell’ateneo tergestino in filologia bizantina. Vive per alcuni anni tra Vienna, Atene e Creta, approfondendo così i suoi studi sulla cultura e la lingua neogreca. Collaborazioni recenti: Fondazione Museo storico del Trentino: assieme al dott. Andrea Aveto dell’Università di Genova e allo scrittore Claudio Di Scalzo: riedizione dei “Discorsi militari” di Giovanni Boine, nell’ambito di uno studio sull’autore portorino. Per Thauma edizioni: ha curato l’edizione di “Per metà del cielo”, della poetessa slovena Miljana Cunta (trad. Michele Obit). Per l’Istitucio Alfons el Magnanim CECEL – Consejo Superior de Investigaciones Cientìficas, rivista “Anthropos” numero di febbraio 2015, l’articolo: “Sopra la rappresentazione transmoderna del sé”.

Con Giulio Perrone esce a giugno 2011 la sua prima raccolta “Apice stretto” in “Verso libero- antologia poetica a cinque voci” con prefazione di Letizia Leone. +A ottobre 2011 esce la sua raccolta “La fame” edita da Thauma Edizioni. A novembre 2013 pubblica la raccolta “La graziosa vita” (Thauma edizioni) dialogo sulla tomba di Giovanni Boine, uscita sotto l’eteronimo di Rina Rètis – opera dedicata allo scrittore portorino.

Ha collaborato fino al 2013 con l’associazione culturale “Thauma” di Pesaro, per la cui casa editrice è stata curatrice. Ha curato per il Comune di Bolzano, assieme alla regista Katia Assuntini un cortometraggio nell’ambito di un progetto d’integrazione delle giovani ragazze immigrate: in particolare ha coordinato il lavoro di traduzione per una giovane poetessa pakistana. Cortometraggio poetico basato sul poemetto inedito “Alìmono”, in collaborazione con gli artisti pugliesi Iula Marzulli, Marianna Fumai (RecMovie) e Gaetano Speranza: prima proiezione il 26 dicembre 2016 al Lecce Film Fest.

Collabora con la compagnia teatrale Fierascena, fondata dall’attrice e regista Elisa Menon. Sue poesie e prose poetiche sono apparse in riviste, siti e blog letterari- Catalogo della mostra personale di Jara Marzulli (http://www.jaramarzulli.it/Come bocca di pesce i pensieri”; “Di là dal bosco”, ed. Le voci della Luna, 2012; Le voci della Luna, rivista: n. 55 “L’inutile bellezza, il senso di colpa nella poesia di Maria Barbara Tosatti”, marzo 2013; n. 56 “L’artista primordiale, omaggio a Odysseas Elytis”, luglio 2013.

“A Topolò, questa dolce sera…”, e “Oggi a Udine è risorto un poeta”  apparsi sul sito ufficiale del poeta Gian Giacomo Menon, voluto e curato dal giornalista Cesare Sartori. http://www.giangiacomomenon.it/testimonianze/oggi-udine-e-risorto-un-poeta/ Intervista sul sito “World War IBridges”, 

http://www.worldwarone.it/2015/12/rediscovering-italian-intellectualsnew.html?m=1 “Giovanni Boine: la punta dell’iceberg”, nel blog di Alberto Cellotto, LibrobreveHa presentato nell’ambito del Festival Trieste Poesia” la raccolta “La graziosa vita”, presso lo storico caffè San Marco. Presentazione-intervista con Michele Obit, presso il Festival internazionale “Stazione Topolò”, luglio 2014.            

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Mariella Colonna

Mariella Colonna.  Sperimentate le forme plastiche e del colore (pittura, creta, disegno), come scrittrice ha esordito con la raccolta  di poesie Un sasso nell’acqua. Nel 1989 ha vinto il “Premio Italia RAI” con la commedia radiofonica Un contrabbasso in cerca d’amore, musica di Franco Petracchi (con Lucia Poli e Gastone Moschin). Radiodrammi trasmessi da RAI 1: La farfalla azzurra, Quindici parole per un coltello e Il tempo di una stella. Per il IV centenario Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina è stata coautrice del testo teatrale La follia di Giovanni (Premio Nazionale “Teatro Sacro a confronto” a Lucca), realizzato e trasmesso da RAI 3 nel 1986 come inchiesta televisiva (regia di Alfredo di Laura). Coautrice del testo e video Costellazioni, gioco dei racconti infiniti in parole e immagini (Ed.Armando/Ist.Luce) presentato, tra gli altri, da Mauro Laeng e Giampiero Gamaleri a Bologna nella Tavola Rotonda “Un nuova editoria per la civiltà del video” ha pubblicato, nella collana “Città immateriale ”Ed.Marcon, Fuga dal Paradiso. Immagine e comunicazione nella Città del futuro (corredato dalle sequenze dell’omonimo film di E.Pasculli), presentato nel 1991 a Bologna da Cesare Stevan e Sebastiano Maffettone nella tavola rotonda sul tema “Verso la città immateriale: nell’era telematica nuovi scenari per la comunicazione”. Nel 2008 ha pubblicato Guerrigliera del sole nella collana “I libri di Emil”, ediz. Odoya. Nell’ottobre 2010 ha pubblicato, con la casa editrice Albatros “Dove Dio ci nasconde”.  Nel febbraio 2011 ha pubblicato, presso la casa editrice. Guida di Napoli “Due cuori per una Regina” / una storia nella Storia, scritto insieme al marito Mario Colonna. Un suo racconto intitolato “Giallo colore dell’anima” è stato pubblicato di recente dall’editore  Giulio Perrone nell’Antologia “Ero una crepa nel muro”; nel 2013 ha pubblicato “L’innocenza del mare”, Europa edizioni; nel 2014 “Paradiso vuol dire giardino”, ed Simple; nel 2016 coautrice con il marito Mario di “Mary Mary, La vita in una favola.”

 

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