Jean Claude Izzo (1945-2000), scrittore, giornalista, drammaturgo e sceneggiatore è noto al pubblico soprattutto come creatore del cosiddetto «noir mediterraneo», con la “trilogia marsigliese” pubblicata a partire dal 1995: Casino totale, Chourmo (1996), Solea (1998), tutti aventi come protagonista e voce narrante il commissario Fabio Montale. Tuttavia il suo primo incontro con la scrittura nasce all’insegna della poesia (mai tradotta in Italia). Nel 1970 pubblica la sua prima raccolta Poèmes à haute voix (Poesie a voce alta), a cui seguiranno Terres de feu (Terre di fuoco, 1972), Etat de veille (Stato di veglia, 1974), Braises, brasiers, brûlures (Braci, bracieri e bruciature, illustrazioni di E. Damofli, 1975), Paysage de femme (Paesaggio di donna, 1975) e Le rèel au plus vif (Il reale al più vivo, 1976). Tornerà alla poesia ancora alla fine degli anni novanta con Loin de tous rivages (Lontano da ogni riva, illustrazioni di Jacques Ferrandez,1997) e L’Aride des jours (L’arido dei giorni, fotografie di Chaterine Bouretz-Izzo, 1999). Fra le numerose pubblicazioni si possono ricordare La Commune de Marseille (La comune di Marsiglia, 1971) nella rivista «Europe»; un testo teatrale per la liberazione di Angela Davis e i romanzi Clovis Hugues, un rouge du midi (Clovis Hugues, un rosso del Midi, 1978), Marinai perduti (1997) e Il sole dei morenti (1999). Giornalista e responsabile della rubrica cultura a «La Marseillaise», corrispondente ufficiale del giornale al Festival di Avignone, è stato poi redattore di «La Vie Mutualiste» (1980-85), animatore alla radio «Forum 92», e ha partecipato alla creazione della rivista poetica «la Revue Orione» con Bruno Bernardi.
dalla prefazione di Annalisa Comes
La voce di Jean-Claude Izzo arriva dal Mediterraneo. «Isola» di acque e terre dalle molteplici civiltà, culture, lingue, di contraddizioni, naufragi e sbarchi, di paure e sbarramenti, di accoglienze e passaggi. – purtroppo oggi ancor più dolorosamente evidenti, – di cui lo stesso poeta esplicita e rivendica, in modo inequivocabile, la sua appartenenza… L’opera poetica di Jean-Claude Izzo è pressoché sconosciuta in Italia… è ricordato soprattutto come giallista, l’inventore del noir mediterraneo – la cosiddetta «trilogia marsigliese» composta dai noir: Casino totale, Chourmo. Il cuore di Marsiglia, e Solea… Ma è con la poesia che Jean-Claude Izzo inizia e conclude il suo cammino e d’altronde, anche il nome del suo famoso poliziotto, Fabio Montale, è un omaggio alla poesia (e alle sue origini italiane) […] Non stupisce nei suoi versi ritrovare l’eco del randagio Rimbaud e di poeti quali Louis Brauquier (con il suo maestro, Emile Sicard, entrambi amrsigliesi), gabriel Audisio, Gérald Neveu, Alexandre Toursky, tutti relegati dall’esperienza di «Le Cahiers du Sud», la rivista fondata a Marsiglia nel 1925 da Jean Ballard (e a cui, negli anni Quaranta aveva collaborato anche Simone Weil con lo pseudonimo di Emile Novis). E ancora, geograficamente affini, scrittori come Jean Giono e Albert Camus […]
Il Mediterraneo, l’acqua «bianca» di sbarchi, nascite, esilio, tanto amato di Izzo e presente in quasi tutte le sue narrazioni, non è che uno scorcio di luce lontana in questa penultima raccolta di poesie. Il largo che ci dispiega il titolo, Lontano da ogni riva (Loin de tout rivage), è qui invece un orizzonte bruciante di terra, un deserto di pietre e rovine, pais dove spazioe tempo si coagulano nell’abbacinante aridità del Midi. Su questa terra di rovine, «in rovina, abbandonata ai rovi» dove non si ode «nessuna voce umana», anche i «vascelli» sono di pietra… e sembrano spingersi, perdendosi, fino alla vertigine della garrigue azzurra, specchio rovesciato, eco di un mare lontano. È la «vertigine di sapersi lontano da ogni riva», geografia dell’anima, questo tempo offerto alla memoria, che non può essere descritto, non cantato, solo, tastato in ruderi, rovine, cimiteri, oppure fiutato nelle essenze «violente» del timo, della resina, della santoreggia. Gli alberi sono pochi, manciate sparute di olivi, qualche pino, un cipresso, predominano invece rovi e sterpi, lo splendore effimero dei papaveri, e poi argilla e poi polveri, polvere.

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Braises
de la mémoire (1997)
Là.
Des ruines se lamentent dans un langage dèjà d’autrefois.
Païs.
Là, et les pierres, face au ciel, depuis hier, depuis toujours.
Présence. Absence.
Entre le tremblement de terre et la pétrification, l’aveugle éboulis des murs se répand sur nos mémoires.
Là.
Pierres à jamais…
Colonnes brisées, vestiges…
Pierres de boue recouvertes, livrées à l’oubli, aux fadarellos qui peuplent désormais la campagne.
Là, et les heures accumulées.
Et le silence.
Et le silence en feu aux abords de midi.
Blanches, les heures révèlent sur les pierres la profondeur du soleil.
Mortelle blancheur, jusqu’à l’immobilité.
Que sont devenus les mots, la langue, les hommes qui donnaient force aux mots par la beauté des moissons?
Et le silence hurlant dans le silence.
Braci
della memoria
Laggiù.
Rovine si lamentano in una lingua già d’altri tempi.
Païs.
Laggiù, e le pietre, di faccia al cielo, da ieri, da sempre.
Presenza. Assenza.
Fra il terremoto e la pietrificazione, la cieca frana dei muri si spande sulle nostre memorie.
Laggiù.
Pietre per sempre…
Colonne spezzate, vestigia…
Pietre di fango ricoperte, abbandonate all’oblio, ai fadarellos che popolano ormai la campagna.
Laggiù, e le ore accumulate.
E il silenzio.
E il silenzio infuocato vicino al meriggio.
Bianche, le ore rivelano sulle pietre la profondità del sole.
Bianchezza mortale, fino all’immobilità.
Che sono diventate le parole, la lingua, gli uomini che davano forza alle parole con la bellezza delle mietiture?
E il silenzio che urla nel silenzio.
II
Sur la garrigue bleue, en vertige, sur cette terre en ruine, livrée aux ronces, aucune voix humaine.
Ici gisent.
Violent désir de mettre alors mot sur pierre, de rebâtir un présent accessible. Un présent.
Il y a urgence à nous renaître.
Païs.
Et c’est déjà midi. L’heure où se rassemblent les instants épars.
En mon corps le sang remue et se débat contre le silence.
Hauts cyprès dressés dans le jour – barricades vertes – l’ésperance a cette profondeur.
L’immobilité devient révolte et cherche sa force.
Ici, là-bas, ailleurs, là où je suis né, sommeillent les heures qui, sous les pierres, aspirent à s’épanouir en un cri.
Je revendique les fureurs de l’heure à midi.
Que dit le sang dans mes veines?
Sang, qui sonne le tocsin aux clochers alentour et dont l’écho bat comme le vent sur les pierres.
Souffle au plus profond.
Sang, qui sonne le temps qui vient et qui ne sera que par un maintenant, ici.
II
Sulla garrigue azzurra, in vertigine, su questa terra in rovina, abbandonata ai rovi, nessuna voce umana.
Qui riposano.
Violento desiderio di mettere parola su pietra, di ricostruire un presente accessibile. Un presente.
Urgenza di rinascere.
Païs.
Ed è già mezzogiorno. L’ora in cui si radunano gli sparsi istanti.
Nel mio corpo il sangue si rimesta e si dibatte contro il silenzio.
Alti cipressi – barricate verdi – innalzate nel giorno la speranza a questa profondità.
L’immobilità diventa rivolta e cerca la sua forza.
Qui, laggiù, altrove, là dove sono nato, sono assopite le ore, che sotto le pietre, aspirano a sbocciare in un grido.
Rivendico i furori dell’ora a mezzogiorno.
Cosa dice il sangue nelle mie vene ?
Sangue, che suona a martello nei campanili vicini e la cui eco batte come il vento sulle pietre.
Respiro nel profondo.
Sangue, che suona l’approssimarsi del tempo che sarà qui solo per un momento.
III
Pierres.
Caresse lente de ma main.
Corps.
Un dialogue se noue:
… les ronces parcourent d’invisibles chemins parmi les corps offerts à l’attente de midi. Ailleurs l’amour… Ailleurs des carrés de terre labourée, ensemencée, tendent leur bonheur comme du linge lavé de frais. Ailleurs du linge sèche sur un fil d’horizon vert et bleu, et la vie, lentement, s’égoutte au soleil.
Ailleurs…
Pierre dénudée de sa boue.
Et le sang affolé s’épaissit à ce contact.
III
Pietre.
Carezza lenta della mia mano.
Corpo.
Si annoda un dialogo :
…i rovi percorrono invisibili sentieri tra i corpi offerti all’attesa del mezzogiorno. Altrove l’amore… Altrove, zolle di terra arata, seminata, stendono la loro felicità come biancheria appena lavata. Altrove biancheria si asciuga su un filo d’orizzonte verde e azzurro, e la vita, lentamente, sgocciola al sole.
Altrove…
Pietra snudata del suo fango.
E il sangue smarrito si raggruma al contatto.
IV
Midi, enfin.
Un poing s’élève.
Tous les feux du soleil se rassemblent en lui.
Brutal instant qui déchire les ronces.
Geste qui retrouve la mémoire.
Le soleil blanchit aux confins du regard. Dressé audessus des oliviers, il absorbe le ciel. L’olivier retient son délire. Le ciel n’ose plus frémir. Le pin éclate de sève et, au risque de périr, enlace l’heure. L’air alors devient plus lourd de mystère. La poussière vaincue retombe sur le sol qui la fait naître…
Là.
Fixement, je parcours le paysage au plein de son jour.
Des relents de mémoire aux essence violentes – thym, résine et sarriette mêlés – attisent la sève qui monte en moi.
Le soleil m’accueille dans un ressac de silence.
IV
Mezzogiorno, finalmente.
Si leva un pugno.
Tutti i fuochi del sole si radunano in lui.
Brutale istante che strappa i rovi.
Gesto che ritrova la memoria.
Il sole sbianca ai confini dello sguardo. Dritto sopra gli olivi, assorbe il cielo. L’olivo trattiene il suo delirio. Il cielo non osa più fremere. Il pino scoppia di linfa e, al rischio della morte, abbraccia l’ora. L’aria diventa più carica di mistero. La polvere vinta ricade al suolo che la fa nascere…
Laggiù.
Fisso, percorro il paesaggio nel pieno del suo giorno.
Tanfi di memoria dalle essenze violente – timo, resina e santoreggia confusi – risvegliano la linfa che sale in me.
Il sole mi accoglie in una risacca di silenzio.

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V
Midi, encore.
Pierres brûlées, à nouveau. L’ombre se meurt.
L’ombre, sous ma langue, ne sait plus les mots et dans ma bouche, la brûlure de ne plus savoir dire, ne plus savoir.
Le temps prend le corps de l’argile.
Le silence se tisse par transparence et épaisseur.
Pierres, et pierres. Ruines.
Mon pays, c’est l’histoire et toutes les histoires, et l’Histoire en ruines, pierres et cailloux, défile sous mes yeux.
Païs, saurai-je un jour où ton midi trouve son feu?
Et les heures au cadran, taillé de main d’hommes, me saluent de leur mépris.
V
Mezzogiorno, ancora.
Pietre bruciate, di nuovo. L’ombra muore.
L’ombra, sotto la mia lingua, non sa più le parole e nella mia bocca, la bruciatura di non saper dire, di non sapere più.
Il tempo prende il corpo dell’argilla.
Il silenzio si tesse di trasparenza e spessore.
Pietre, e pietre. Rovine.
Il mio paese, è la storia e tutte le storie, e la Storia in rovine, pietre e sassi, sfila sotto i miei occhi.
Païs, saprò un giorno dove il tuo mezzogorno si infuoca ?
E le ore sul quadrante, intagliato da mani di uomo, mi salutano con disprezzo.
VI
Terre.
Gisent les hommes dans les villages défaits. Cimetières.
Aux fenêtre des maisons tombent les pierres d’angle.
Larmes.
Larmes, et pierres sur pierres, les ruines s’érigent.
Cri – trou que font mes lèvres dans l’opacité bleue pour rompre le silence, pour rendre la parole à ces heures dans le plain-chant du soleil. Et les coquelicots enfin rendus à leur éphémère splendeur.
Terre.
Là.
VI
Terra.
Riposano gli uomini nei villaggi disfatti. Cimiteri.
Dalle finestre delle case cadono le pietre angolari.
Lacrime.
Lacrime, e pietre su pietre, si innalzano le rovine.
Grido – buco che fanno le mie labbra nell’opacità azzurra per spezzare il silenzio, per restituire la parola a queste ore nel canto piano del sole. E i papaveri restituiti al loro effimero splendore.
Terra.
Laggiù.

Jean-Claude Izzo