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Predrag Bjelošević,  Le » R Ž « Poesie scelte in traduzione francese, Editions »Kolja Micevic«, 2002 Commenti critici di Kolia Micevic, Philippe Tancelin, Giorgio Linguaglossa, traduction du serbe Ljiljana Huibner-Fuzellier, Raymond Fuzellier

Predrag Bjelosevic con fantoccio

Predrag Bjelošević

“La rencontre avec ce poète serbe grandement connu dans son pays recouvre un intérêt particulier dans la mesure où cette écriture s’inscrit au carrefour de la modernité poétique et d’un certain classicisme lyrique qui confèrent à chaque texte une dimension “nouvelliste” poétique à tendance philosophique sur le temps et comment habiter le temps depuis la ville-enfance. L’écriture est riche et très travaillée selon des fragmentations, ellipses, ressauts qui rythment la phrase”.

 (Philippe Tancelin)

 Il »R Ž« di Bjelošević non è un nome proprio, né le iniziali di qualcosa; né onomatopea, né allitterazione, né metafora, né… ed è tutto ciò.

Il » R Ž « di Bjelošević è l’unione paradossale di due lettere le quali, nelle parole composte da più di una sillaba (dr-zi, br-zi, come in italiano del resto: lar-go, spa-zio… e tante altre) sono sempre separate, si potrebbe dire opposte.

Per comprendere il » R Ž « di Bjelošević occorre pronunciare delicatamente, poiché esso è prima di tutto un suono: come il »rosso« dal quale si togliessero le vocali: r(o)ss (o). La sua pronuncia occupa tutta una gamma, che va dal tenero al duro, dal duro al tenero… Così si crea il »rzisme«, così il lettore diviene il »rziste«!

il » R Ž «potrebbe anche, penso, essere il »RZ«, io non so se Bjelošević sarebbe d’accordo con me. Vedo anche i bambini lì intorno, le piccole rz; ma le » R Ž «tuttavia non conoscono il plurale».

Il » R Ž «non si traduce. Esso fu tradotto prima della sua nascita. Etc.

Il »R Ž «, un breve bel titolo »uscito« da un famoso adagio nel quale le » R Ž « sarebbero piuttosto il »sono« che il »cogito«.

Il »R Ž «, un chiaro suono del corno alla entratura d’una raccolta di poesie del primo poeta serbo della Bosnia-Herzegovina che ha oltrepassato la frontiera della lingua francese all’incirca dal 1992.

(Kolia Micevic)

Pedrag Bjelošević

«poetry should be restored to its sources and to the beauty, wonder and magnificent feeling of awe occurring after poetry reading. I also agree that poetry should be separated from all sorts of banalisation and desecration for the sake of actuality through daily political subjects and a base poetic language close to the crowd».

Giorgio Linguaglossa

 Sia detto subito con chiarezza e a scanso di equivoci, Predrag Bjelošević è tutt’altro che un poeta giocoso, ironico, istrionico o derisorio come potrebbe, sviandoci, far pensare il titolo »R Ž «, forse iniziali di parole inesistenti o, forse, di parole del tutto usuali di uso domestico. Bjelošević è un poeta che ha una spiccata consapevolezza della desertificazione significazionista che attinge oggi il linguaggio poetico e della necessità che questo veicolo espressivo debba essere profondamente rifondato. Il poeta serbo sa che oggi il linguaggio poetico si situa in un non-luogo, in uno Zwischen, in un framezzo, distante dai linguaggi comunicazionali con i quali commerciamo abitualmente e che corre costantemente il rischio di una irriconoscibilità. Il poeta serbo ha abbandonato per sempre l’idea di una poesia mimetica del reale, sa che quella via non è più praticabile, la mimesis è quella che oggi impiega la belletristica letteraria, il telemarket e la videocrazia. La poesia non ha più la funzione di rappresentare un mondo e neanche di purificare la lingua della tribù, come si diceva una volta, semmai la poesia ha oggi il compito di dentrificare il fuori e di fuorificare il dentro, proprio in virtù di quel suo situarsi nel «fra», nel «framezzo», né di qua né di là, in un senza-tempo e in un senza-spazio, in una condizione precaria e instabile. Bjelošević non ha dubbio alcuno che la poesia più avveduta e rigorosa di oggi abbia perduto per sempre la funzione rappresentativa e rappresentazionale, e che sarebbe ipocrita e non avveduto pensare ancora nei termini della poesia elegiaca e minimalista che ancora imperversa in Occidente, quell’Occidente che un economista italiano ha brillantemente definito «civiltà signorile di massa». Bjelošević sa che viviamo in una società signorile di massa, e quindi fa poesia ultronea e post-elegiaca: nomina una situazione verosimile per poi virare all’istante nel paradosso e nel sovra reale; la sua poesia scantona tra questi due estremi con naturalezza e ingegno, sa che l’ultroneo e l’intimo sono le sole condizioni di possibilità che oggi ha il linguaggio poetico non convenzionale e non scontato. Il linguaggio poetico non ha alcuna possibilità di sopravvivenza se si consegna bendato alla deriva dei linguaggi comunicazionali e giornalistici, questo Bjelošević lo sa bene, ed opera di conseguenza, fa poesia esistenzialista ma nella maniera modernissima  della migliore poesia europea di oggi. Oggi forse la poesia non può non essere esistenzialista poiché ci troviamo nella condizione ontologica di disparizione della stessa praticabilità dell’esistenza. L’esistenza è diventata impraticabile. Così come del resto la poesia.

Predrag Bielosevic e Giorgio

Pedrag Bjelošević e Giorgio Linguaglossa, Banja Luka, 15 settembre 2019

 Disons-le immédiatement et clairement afin d’éviter tout malentendu, Pedrag Bjelošević est bien autre chose qu’un poète enjoué, ironique, théâtral ou dérisoire comme pourrait le faire penser le titre »R Ž«, peut-être initiales de paroles inexistantes ou, qui sait, de paroles absolument courantes et d’usage domestique. En effet Bjelošević est un poète qui possède une forte conscience de la désertification “significationiste” à laquelle puise aujourd’hui le langage poétique, et de la nécessité d’une profonde refondation de ce véhicule expressif. Le poète serbe sait que le langage poétique se situe aujourd’hui dans un non-lieu, un Zwischen, dans un entracte distant des langages de la communication à travers lesquels ils commercent habituellement et qui courent constamment le risque d’une méconnaissance. Le poète serbe a abandonné pour toujours l’idée d’une poésie mimétique du réel, il sait que cette route n’est plus praticable; la mimesis est ce qui emploie aujourd’hui l’embellissement littéraire, le télémarket et la vidéocratie. La poésie n’a plus la fonction de représenter un monde, ni de purifier la langue de la tribu, comme on disait autrefois; la poésie aujourd’hui a éventuellement le devoir de faire entrer l’extérieur et d’en extraire l’intérieur, exactement en vertu de sa position “entre”, ni ici ni là, dans une absence de temp et une absence d’espace, dans une condition précaire et instable. Bjelošević  n’a aucun doute sur le fait que la poésie actuelle plus avisée et rigoureuse a perdu pour toujours la fonction représentative et représentationnelle, et qu’il serait hypocrite et myope de penser à elle dans les  termes élégiaques et minimalistes qui sévissent encore en Occident, cet Occident qu’un économiste italien a brillamment défini “la société seigneuriale de masse”. Bjelošević sait que nous vivons dans une telle société, et fait par conséquent une poésie “qui va au-delà”: il révèle une situation vraisemblable pour virer immédiatement vers le paradoxe et le surréel; sa poésie tourne autour de ces deux extrêmes avec une habileté naturelle; il sait que “l’aller au-delà” et l’abnormal sont les seules conditions possibles aujourd’hui pour un langage poétique non conventionnel et non prévisible. Le langage poétique n’a aucune possibilité de survivre s’il se consigne aveugle à la dérive des langages communicationnels et journalistiques; Bjelošević le sait parfaitement et opère de façon cohérente: il écrit une poésie existentialiste, mais à la manière la plus moderne de la meilleure poésie européenne existante aujourd’hui. Aujourd’hui,  probablement, la poésie ne peut uniquement  qu’être existentialiste, car nous nous trouvons dans la condition ontologique de disparition de la possibilité même d’existence et survivance. L’existence est devenue impossible. Tout comme du reste la poésie.

(traduction par Edith Dzieduszycka)

Predrag-Bjelosevic 3

Predrag Bjelošević

Poesie scelte di Predrag Bjelošević

Ržismo*

Ržismo è il riconoscimento del senso
Nella cieca oggettivazione del non senso
Che conquista Tutto

Ržismo è
Sulle tracce dell’anima del non senso

Lui va inavvertitamente con il depilatore fluido
Della propria idea lungo i suoi peli neri
E li depila

Affinché il non senso diventi sopportabile
– Fratelli Ržisti

Cieco

Io non sono cieco
Vedo
Il buio
Nello specchio

L’aveugle

je ne suis pas aveugle
je vois
les ténèbres
dans le miroir

Ržisme

le Ržisme est une quête du sens
dans l’aveugle objectivation du non sens
qui envahit le Tout

le Ržisme sui
à la trace l’ame du non-sens

il va impercetiblement armé d’un rasoir liquide
pour être près du duvet noir de sa propre idée
et pour s’en défaire

pou que le non-sens puisse devenir plus supportable
– o mes Frères Ržistes

Rž è stato un uomo
Senza peli sulla lingua
Rž è stato un uomo coraggioso
Senza peli sulla lingua
Rž non aveva neanche la lingua
Lui aveva uno scivolo
Sul quale semplicemente volavano
Parole trasformate in oggetti
Nel mare aperto
O nelle fauci di un coccodrillo
Ugualmente
Il mare avrebbe ondeggiato
RžžžžRžžžžRžžžž
I coccodrilli si sarebbero infuriati
Rž rž Rž rž
Mentre lui stesso

Sarebbe rimasto ancora sulla riva
Come un faro
Con i segnali riempiti di piombo
Avrebbe esortato gli uccelli a un volo ragionevole
E Rž la poesia
Liberata
Dalla voce comune
E dall’emozione effimera

Rž il sognatore

Rž il sognatore
Non sa di sognare
I vostri sogni

Lui non c’entra
Con le visioni comuni
Di un domani migliore

Persino il passato
vede
stellato à la rž

Lui
Non è pronto
A sacrificarsi
PER
Lui
Non è così responsabile

Da essere sedotto
Anche nell’interesse
Della propria felicità

Perché lui è Rž
E non si cura di quelli che lo seguono
Né di quelli che gli hanno voltato le spalle
Bensì è conscio che ogni momento può
Farsi sentire anche in voi
Quando avete quasi perso ogni speranza

Nelle sembianze del bellissimo Rž sognatore
Che non sa di sognare
I sogni altrui

.

[Choix et traduction du serbe Ljiljana Huibner-Fuzellier, Raymond Fuzellier]
* Predrag Bjelošević è il fondatore del movimento Ržismo (Ržizam in orginale)
.

Dieu, cecitè

au sommet d’une voûte un aveugle est debout
tandis qu’il éclaire le ciel de ses yeux
il éteint en nous les étoiles

l’ombre qu’il projette
boit les ténèbres du lac
sous la maison

les poissons sont agités
plus haut que la face de l’eau
ils bondissent

pour s’arroger les ténèbres

l’âme morte
d’un pêcheur
s’éleve d’un haut-fond pris par la glace

c’est elle ce vent-là
qui secoue les cheveux de l’aveugle
et au long de la rive guide le gens indignes

.
Le mur

un certain temps on remonte le cours de la rivière
jusqu’à la source
mais la source on ne la reconnait pas
comme si la source était ailleurs

puis on se précipite en direction de l’aval
afin de rattraper le temps qu’on a perdu
et ainsi jusqu’à l’embouchure
mais on ne reconnait pas l’embouchure
comme si l’embouchure était ailleurs

on s’en retourne alors pensif à la maison
des jours durant on contemple la même bosse sur un mur
jusqu’à distinguer au beau milieu son proper visage
est-ce le mur qui nous révèle un secret
ou bien montre-t-il seulement qu’on ne saurait le deviner

28.12.1992

quand la bougie s’éteindra en un clin d’oeil
j’espère encore même si tout menace
que de nobles tènèbres m’accueilleront

ténèbres qui voient tout Déesses des métamorphoses,

aux petites mains de reve
et je serai comme jadis
bercé par la peur en personne

29.12.1992

je m’èveille et je ne crois pas
devant moi encore un
thé
d’herbe sèche et de lyrisme

je grignote la biscotte du réel
claquent des balles sur le toit
je sens une erreur totale
aucune voie vers un accord dans l’univers

nous giclons dans les ténèbres tels le sperme
nous nous transformons en un Rien doté de parole
et qui tressaille tout enfiévré

tandis qu’il boit le thé d’herbe du lyrisme

Predrag-Bjelosevic 2

Predrag Bjelošević

Cauchemar, realitè, revolte du poème

j’ai fait un cauchemar nocturne
des poèmes crachaient sur moi
ils me jetaient des cailloux me sifflaient
j’étais attaché nu sur un terrain de jeux
à ne pouvoir en quitter le centre dans aucune direction
autour étaient alignés comme une rangée d’arbres
des gardiens en armes

depuis le Sud on chantait des poèmes
depuis l’occident on hurlait de la poésie
depuis l’Orient telle la cloche d’une église
protestait la poésie

de mes yeux je les écoutais
déjà cerné par un tas d’ordures
déjà enseveli sous des piècettes d’argent

à cet instant les matraques ont entamé de longs monologues
à cet instant les fusils ont entamé une récitation de vers monotones
à cet instant en refrains sont apparus des avions supersoniques
pilonnant mes oreilles insupportablement

quand déjà le stade tout entire fut mis à sueur et à sang
le pompiers de service firent leur entrée
projetant des tous cotés de l’eau de l’eau de l’eau
qui dans l’instant éteignit le spectacle porté au blanc
la soif des lèvres sèches aussi

Dieu – combine vivifiante est la nuit
oh – cauchemar combien tu es réel

(1994)

Ténèbres, liberté

quand règnent les Ténèbres
nous vivons librement

privés d’ombres

comme un chant
privé de mots

comme un corps
privée de rêve

et nous t’augurons

o mon Dieu
à notre propre image

.

Le Maître de la lumière

Le Maître de la lumière
les Ténèbres
s’observe soi-même
mais la face des ténèbres
lui est invisible

la face des ténèbres
se cache dans l’oeil des ténèbres
l’oeil des ténèbres
dans l’âme des ténèbres

quand l’Âme des ténèbres commence
à parler
le jour se lève

quand rêve l’Âme des ténèbres
son ombre est en sentinelle
au-dessus de nous

la nuit

et elle frémit
illuminée par les étoiles

Le Maître de la lumière
remarque alors
des rides astrales
sur son front

mais les gens

les gens tout comme
sa face il ne les a
pas encore vus

Peur de la lumière

plus éclatantes
que la lumière
seules les tènèbres

la lumière des ténèbres
on l’augure

la lumière des ténèbres
on la craint

alors que blotti dans les ténèbres
tu regardes vers le Tout

muette étincelle
chantant au fond de soi

avec l’ardent concert du ciel
espérant que le chant
intérieur de l’âme

éclairera les ténèbres

et en lui le très illustre
frère Rfffch
consacré à l’éclat de l’Omniscience

.
En nous, hors de nous

pas de ténèbres
de ténèbres
il n’y a plus
hors de Nous

les ténèbres
Nous ont approchés
pointent incandescents
des squelettes de planètes

.
Un entracte, s’il vous plait

cette représentation s’éternise
on doit y placer un entracte

on devrait y placer un entracte
pour qu’au moins les acteurs se changent et se reposent

y placer un entracte on le doit
pour que dans le public aussi on souffle et qu’on rouvre les yeux

ou ne serait-ce qu’un seul oeil
serait-ce seulement pour une bouffée d’air pur

tant de ténèbres n’est guère instructif
– o Seigneur –

tant de ténèbres aveugle
on ne peut rester spectateur sans entracte

on n’est plus capable de démeler

qui joue le personnage positif  et qui le negatif

qui sont les amateurs et qui sont les professionnels
dans ce spectacle ténébreux

le metteur en scène est un pale élève de Mondrian
faisant sienne l’intensité de la monotonie

et ainsi même ce petit point lumineux égaré
dans les totals ténèbres de la scène

apparait noir

cette représentation s’éternise
on doit y placer un entracte

les ténèbres gagnent aussi le public
fauteuils qui grincent luste de cristal qui tinte

je sens l’obscurité des applaudissement extorqués
faire bientot valser les cheveux sur les têtes

.
Oui, jai eu le tort de penser

oui – j’ai eu le tort de penser
que mes ténèbres ne nuisent à personne
que mes ténèbres vivent pour elles seules
que mes ténèbres n’ont pas un soleil en réserve

oui – j’ai eu le tort de penser
que mes ténèbres ne font heureux que moi
que mes tènèbres ne sortent pas de moi
que mes ténèbres vivent une vie d’astres
seulement en moi
oui – j’ai eu le tort de penser

c’est peut-être pour cela aussi qu’on ne voyait rien
dans mon existance jusq’à une nuit semée d’étoiles
qui tombaient du ciel sur le front de mes petites ténèbres naives
pour qu’elles aussi éclairées par l’astre de l’univers
puissant librement voguer parmi les pensées
des dieux de permanence penchés au-dessus

oui – j’ai eu le tort de penser
que mes petites ténèbres s’arracheraient à moi
pour s’élancer à la rencontre des cieux

mais les Ténèbres du cosmos
ont entrepris de se mirer dans les miennes
malheur au visage du cosmos
à face de mes ténèbres
je plains les entrailles de sa mère

oui – j’ai eu le tort de penser

(Sofia, 1999)

Predrag njelosevic 1 Predrag Bjelošević (Banja Luka, 29 maggio 1953) è un poeta, drammaturgo e traduttore. Attualmente è direttore e direttore artistico del Teatro per bambini della Republika Srpska. La poesia di Predrag Bjelošević è oggetto di studio in diverse università slave in Europa, nonché nelle università di Berna e Amburgo come parte dello studio della poesia contemporanea dei popoli jugoslavi. Le poesie di Bjelošević sono presenti in molte antologie di poesia contemporanea serbe e bosniache, ha scritto poesie anche per bambini che sono state tradotte in molte lingue, tra cui in  italiano, francese, tedesco, polacco, russo , inglese, ceco, slovacco, ungherese, sloveno, macedone e bulgaro.

Ha conseguito un master in marionetta presso la National Academy of Motion Picture and Theatre Arts, Sofia, nel 1999. Su invito dell’Accademia slovena di letteratura e arte di Varna, gli è stato consegnato un opuscolo di adesione da un membro a pieno titolo dell’Accademia, che riunisce artisti di spicco dei paesi sloveni.

Bjelošević ha vinto numerosi premi e riconoscimenti. Il libro di poesie Gorka malt è stato premiato nel 1978. Riconoscimento della serata della poesia di Trebinje (Premio Dučić fino al 1974). Nel 1987 in occasione della pubblicazione del libro di poesie dall’Interspace, gli è stato assegnato un premio dall’Associazione degli scrittori per la Krajina bosniaca e nel 1996. Il sigillo del municipio di Sremskarlovac per Discorso, silenzio .

Per il libro di fiabe Walking senza testa,  lo stesso anno in cui è uscito, nel 2010, Bjelošević ha ricevuto il prestigioso premio per il miglior libro di fiabe serbo “Pavle Marković Adamov”. Nel 2013 ha ricevuto la Gran Fiction “Flying Feather” al Festival internazionale degli scrittori sloveni “Slovenian Embrace” a Varna ( Bulgaria ). Come parte della settima edizione dello stesso festival, a Bjelošević nel 2014  gli è stato assegnato un premio letterario, la prima e finora l’unica volta nel quale il premio è stato assegnato a uno scrittore della Republika Srpska .

Libri di poesie

Malto amaro, 1977.
Volto occipitale, 1979.
Il linguagio del silenzio, Selected Poems in Italian, 1982.
Grid and Dream, 1985.
Dall’Interspace, 1987.
Discorso, silenzio, 1995.
Water Shirt, Selected Poems 1996.
In Fear of Light, 2001.
Rye, canzoni selezionate in francese, 2002.
Shadow and Vault, 2005
» R Ž «, 2002

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4° Incontro Internazionale di Letteratura Banja Luka, Republika Srpska 13-17 sett. 2019, Ospite Giorgio Linguaglossa, Dichiarazione dell’ospite per il 4° Incontro internazionale di Banja Luka, La Grundstimmung della poesia nell’epoca della stagnazione dell’Europa

Banja Luka Linguaglossa Duska Vrhovac

Giorgio Linguaglossa e Duska Vrhovac

Associazione degli scrittori della Repubblica Serba

Date: 31st May 2019

Mr. Giorgio Linguaglossa

Subject: Invitation to the 4th International Literary Encounters – Banja Luka 14-16 sept. 2019

Dear Mr. Linguaglossa,

I have the honor of inviting you to our 4th International Literary encounters – Banja Luka 2019. The Encounters will be held within the framework of Banja Luka Book fair lasting from 13th to 17th September 2019.

The program of the Fourth International Literary Encounters assumes for writers to present their works in the cultural center Banski dvor, at the Book Fair, as well as in schools and colleges. It also gives the possibility for the writers to appear on major television and media companies from Republic of Srpska and Bosnia and Herzegovina.

During the Encounters, participants will have the opportunity to visit cultural monuments and national institutions of the Republic of Srpska. The reception by the Minister of Education and Culture of the Republic of Srpska will also be organized.

The Writers’ Association of the Republic of Srpska, as the organizer of the Encounters, will provide you with full board accommodation for four days in a four star hotel. The organizer will also pay to you the maximum amount of 250 Euros for your travel expenses. We suggest that you travel to Banja Luka via Belgrade. In case there is no plane flying on 13th you can reserve your ticket for 12th and we will book you the accommodation for that day as well. The return of the participants is planned for 17th September.

Mrs. Duska Vrhovac conveyed your wish to travel to Banja Luka.

Obligations of the participants of the Fourth International Literary Encounters – Banja Luka 2019 are to inform us about their arrival at least ten days after receiving this invitation as well as to email us five poems or one or two short stories in their native language and, if possible, translated into Serbian, a short biography, a good resolution photograph, a scanned copy of the passport, and full address with street and number.

In addition, we would kindly ask you to email us one poem about water, if you have one, since at the closing ceremony of the Encounters, all the participants are supposed to write their poem about water on a piece of paper and put it in a bottle which is, later on, thrown in the Vrbas river as a poetic message of peace to be carried to some distant sea or a lucky finder.

Dear Mr. Linguaglossa, your poems will be translated by Mrs. Duska Vrhovac from Belgrade.

While awaiting your positive response, we are confident that you will experience pleasant moments in Banja Luka, meet many interesting persons from the world of literature, and present your literary works in a remarkable way.

Sincerely,

Predrag Bjelosevic, President of the

Writers Association of Republic of Srpska


Dichiarazione di Giorgio Linguaglossa per il 4° Incontro internazionale di Banja Luka

La Grundstimmung della poesia nell’epoca della stagnazione dell’Europa

Non è per caso quello che avviene in Europa: la stagnazione economica e la stagnazione delle forme estetiche. C’è una corrispondenza speculare tra le due stagnazioni. E poi c’è una terza stagnazione, quella spirituale, e avrete chiaro e servito il menu.

Nel «nuovo» mondo di oggi «i maestri» delle generazioni dei Milosz, degli Herbert degli Eliot, sembrano scomparsi irrimediabilmente, la poesia è diventata una questione «privata», una questione privatistica da regolare con il codice civile e da perorare con un linguaggio polinomico, un linguaggio «interno» che accenna ad un «metalinguaggio» o «superlingua» qual è diventata la poesia che va di moda oggi. La questione «tradizione» oggi non fa più questione. I linguaggi poetici sono metalinguaggi, prodotto di proliferazione di altri polinomi di linguaggi. Oggi un critico di qualche serietà non avrebbe nulla da dire di questi linguaggi polinomici. Rispetto a tali linguaggi la poesia non deve cedere ai linguaggi mediatici.

Il nostro mondo non è «normale», e la poesia deve mostrare la abnorme anormalità del nostro mondo. È che noi proveniamo dalla lunghissima traversata nel deserto di ghiaccio del tardo novecento, dobbiamo resistere in tutti i modi al «riduttore» del minimalismo. Il minimalismo è lo stile del passato, si è trattato di un «riduttore», e niente più. La poesia può sopravvivere solo se si fa chiarezza: il minimalismo è stato un «riduttore» delle problematiche e deve essere abbandonato.

Mi viene il dubbio che la poesia degli autori giovani che hanno meno di sessanta anni sia qualcosa di geneticamente diverso da quella delle generazioni dei poeti sopra nominati. Temo che la tradizione del novecento si sia allontanata irrimediabilmente. Le parole nel frattempo si sono raffreddate, svuotate, e allora un giovane non può fare a meno che tentare di trovare delle scorciatoie, dei bypass, dei trucchi, come quello di adoperare il linguaggio dei linguaggi, il linguaggio mediatico e fare con quello qualcosa in poesia.

Io penso che accettare inconsapevolmente il «riduttore» del minimalismo, come fanno i giovani, sia una illusione e una trappola, e lo dico agli autori di oggi che scrivono poesia e che hanno meno di sessanta anni. Illusione perché la loro operazione si mantiene sulla superficie dei linguaggi, perché loro pensano ancora in termini di manutenzione e maneggiabilità dei linguaggi, pensano al linguaggio poetico come ad un articolo di giornale senza pensare che le parole, tutte le parole, abitano in una patria linguistica; ogni parola è prigioniera in una patria linguistica e di lì non si smuove neanche con la bomba atomica.
E allora, mi direte voi, che fare?

Rispondo: fare tesoro dell’esperienza stilistica della tradizione e rinnovarla radicalmente.

(Giorgio Linguaglossa)

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Ieri è morto lo scrittore Predrag Matvejevic (1932-2017). Ci scrive la collega di redazione Duska Vrhovac: Aveva 85 anni, era una grande personalità e un uomo buono. Lo conoscevo fin dagli anni settanta. Poi, per me, la morte è sempre una sorpresa, anche se solo la morte è certa. Matvejevic è stato membro della redazione de L’Ombra delle Parole che seguiva compatibilmente con le sue condizioni di salute già compromesse

pittura René Magritte La memoire

Salutiamo con commozione un grande scrittore dell’Europa già candidato al Nobel  che seguiva con attenzione il nostro lavoro di rinnovamento della poesia italiana.

Predrag Matvejevic‘ è nato a Mostar nel 1932: padre russo, madre croata della Bosnia-Erzegovina. Professore all’Università di Zagabria e poi alla Sorbona a Parigi, insegnava letterature slave all’Università La Sapienza di Roma e, nel 1999, ha tenuto lezioni all’università di Lovanio.

Viveva tra Parigi e L’Italia. Dopo la “caduta del muro”, si è opposto a tutti le moderne “democrature”, ossia, come egli stesso li definisce, i nuovi regimi instauratisi in alcuni paesi dell’est, che si dichiarano formalmente democratici senza che la società presenti una struttura effettivamente democratica. Nel gennaio del 2000 Predrag ha ricevuto un incarico dall’Alto Commisariato dell’Onu per i territori della ex-Jugoslavia.

Tra le sue опере: Breviario Mediterraneo (1987), Pour une poétique de l’événement (1979), Epistolario dell’Altra Europa (1992).

Nel suo lavoro si è sempre confrontato con il concetto aperto di identità etnica-culturale, soprattutto per indagare il rapporto e la storia dei popoli del Mediterraneo e tra di loro. Il lettore s’imbattè per la prima volta da studente  nel Breviario mediterraneo del croato Predrag Matvejevic (uscito nel 1987). Ora lo rilegge anche sporadicamente e «aforisticamente».

predrag-matvejevic-con-il-presidente-azelio-ciampi-1993

predrag-matvejevic-con-il-presidente-azelio-ciampi-1993

(Pubblicato su La Stampa  il 29/06/2013) 

Breviario Mediterraneo ricostruisce in modo narrativo la storia geopoetica del Mediterraneo e dei paesi che vi si affacciano: considerato dalla critica come un “saggio poetico”, un “poema in prosa”, un “diario di bordo” o un “romanzo sui luoghi”, infine una “gaia scienza” secondo lo stesso autore, questo “libro geniale, fulminante, inatteso” secondo Claudio Magris è tradotto in una ventina di lingue.

Se penso a un libro che mi ha accompagnato fedele in molti viaggi ed è stato generoso di sempre nuovi stimoli di riflessione e di immagini tratte dal susseguirsi delle civiltà marittime, fuse e sovrapposte nella stratificazione secolare degli eventi e delle lingue, questo è il Breviario mediterraneo di Predrag Matvejevic, impegnato intellettuale croato, nativo di Mostar, raffinato e cosmopolita, profondo e fulmineo come le sue pagine per me memorabili. Portolano letterario e diario di bordo, periplo e cronaca di viaggio, raccolta di appunti e narrazioni intessute come un avvincente midrash del mare e delle storie dei suoi porti e delle rotte delle sue navi, quest’opera sfugge quasi impertinente e riottosa ad ogni genere codificato tradizionale.

È, infatti, al tempo stesso una finestra spalancata sulle forme dei moli e delle banchine, sulle sagome delle chiese e sugli stili e sull’architettura delle case e dei fari delle coste e delle riviere, è un percorso affascinante attraverso le pagine dei portolani e gli itinerari delle carte nautiche ed infine è un sorprendente dizionario di gerghi, espressioni ed idiomi.

predrag-matvejevic-breviario-coverCome l’orologiaio catalano conosciuto da Matvejevic stesso ad Alessandria d’Egitto, e colto nella titanica impresa di compilare con puntiglio l’interminabile catalogo della celebre biblioteca distrutta dal califfo Omar, così la filologia del mare del Breviario si può affermare che assomigli a quello sforzo epico per il rigore scientifico e culturale e per l’audacia della passione del suo autore.

Mi piace ricordare quando conobbi e lessi questo libro per la prima volta nel 1987 da studente liceale sedicenne: una sorpresa per me del traduttore dal croato, caro amico familiare, ed ecco che negli anni le pagine del Breviario mediterraneo, accarezzate dai venti della Grecia e delle «isole dalmate verdi come smeraldi» della mia adolescenza e giovinezza, mi hanno accompagnato attraverso i mille viaggi simbolici dell’eterno nostos di Odisseo. E’ grazie a questo libro che le onde e le risacche, le rose dei venti, i cespugli e le bitte, i coralli e le saline, gli atlanti e le ceramiche, gli ex voto, le preghiere della sera e i nomi delle strade e degli angiporti, i colori delle carte nautiche e i viaggi avventurosi delle parole e delle loro trasformazioni da un popolo all’altro nel tumulto delle civiltà, il vino e l’olio, i sorrisi delle statue delle dee, i nomi dei santi, quelli dei pesci e degli uccelli marini, tutto questo, insomma, ha acquisito con il tempo e le sollecitazioni della vita e degli incontri che essa mi ha tanto offerto un aspetto nuovo ai miei occhi, a tal punto che per anni il libro di Matvejevic è stato, direi, un’esegesi itinerante, sorta di Talmud laico, eppure con continui afflati di un Divino sempre vicino, sempre presente, per il mio spirito vagante.

Conclude così l’autore il suo saggio-romanzo: «Sul Mediterraneo ho navigato con gli equipaggi e con compagni di viaggio; ho percorso i fiumi e le loro foci in solitudine». Il Mediterraneo di Predrag Matvejevic e anche quello reale non lasciano mai soli: mare delle tempeste dei conflitti, ma soprattutto mare dei cieli limpidissimi delle culture che si sono incontrate e si sono sovrapposte tra loro come un groviglio di alberi o una mescolanza di dialetti è vero che è chiuso tra le sue coste, ma forse è il mare più ricco e più libero del mondo.

Nel piccolo monastero di San Nicola nella cittadina dalmata di Traù a un passo da Spalato, per concludere, è conservato un superbo bassorilievo raffigurante il giovane dio greco Kairos, nume del momento propizio. Così per me la lettura anche sporadica, anche disordinata e aforistica del Breviario mediterraneo è sempre stata un’occasione puntuale di godimento e di bellezza: nella trama sapiente del suo tessuto narrativo ancora oggi i mille frammenti di questo unicum letterario (di simile mi viene in mente solo l’elegantissimo Danubio di Claudio Magris) mi si presentano fascinosi come la sinuosa Afrodite che emerge dalle acque e nitidi come i perfetti meccanismi di un astrolabio.

(Marco Martin)

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Pane Nostro

COSA DICE LA CRITICA ITALIANA

«Matvejevic’ rivela le sorprese del più comune degli alimenti. E ci guida in un viaggio curioso tra antropologia e storia…
Quello di Matvejevic’ è un viaggio, bello e sorprendente, alla ricerca della nostre radici, un saggio di antropologia, ma anche di letteratura, di storia, di linguistica…»
( Paolo Mauri, « La Repubblica», 11. 09. 2010)

«Le scintille del saggio-diario-autobibografia di Matvejevic’, intitolato PANE NOSTRO, sono le semi di un racconto
avvolgente, senza l’adipe dello storico o dell’erudito da cui apprendiamo tutto, o quasi…. Un racconto che scorre sottotraccia, nella narrazione ricca e fluida dove i punti di vista si intrecciano e si fondono … La simbologia di un alimento che è diventato non solo l’emblema dell’intera varietà degli alimenti, ma metafora del nutrimento spirituale.”
(Renato Minore, «Il Messaggero» 29.09. 2010)

“ Il nuovo libro di Matvejevic’ rappresenta insieme un omaggio poetico all’alimento più semplice inventato dall’uomo e un excursus tra mitologia, religione, storia, arte… Pagine coltissime e appassionate, una cavalcata che parte dalla prima informe focaccia nata all’alba della storia sulla cenere e la pietra.
(Sergio Frigo, “Il Gazzettino”, 22. 10. 2010)

“ Pane nostro è una opera ricchissima di riferimenti storici e letterari, di citazioni dalle quali la vicenda del nostro primo
alimento emerge in una sorprendente e poetica molteplicità di prospettive. Pane nostro è un’opera insolita che rivela
il desiderio forte di riassaporare anche moralmente la quieta umiltà di un alimento che ci collega direttamente con la terra e con l’elaborazione elementare e necessaria del suo frutto. Un libro che suggerisce, sottostante ma ben viva, la necessità di ritrovare un rapporto autentico con la realtà più semplice ed essenziale, in un tempo che sembra muoversi più verso il superfluo e lo spreco”.
(Maurizio Cucchi, “La Stampa”, 16. 10, 2010)

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“Solo a uno scrittore come Predrag Matvejevic’, che già ci regalò, ormai molti anni fa, quello storico, geniale, imprevedibile e fulmineo ‘Breviario Mediterraneo’, poteva farsi l’idea di scrivere una storia…del pane, intesa come metafora di saggezza e di speranza, sullo sfondo di percorsi umani a volte faticosi, a volte dolorosissimi…. Quella del pane, per come Matvejevic’ la narra in questo suo libro, è una grande storia, ricca di sapienza e di poesia, d’arte e di fede. Anche il sapore e il profumo del pane è legato ai ricordi.”
(Domenico Nunnari, “Gazzetta del Sud”, 23. 10. 2010)

«Se il ‘Breviario mediterraneo’ di Matvejevic’, pur affrontando contenuti storici e geopolitici, appariva come una cosmogonia immaginaria, ‘Pane nostro’ sembra invece una sorta di scavo archeologico sul tema del pane, un tentativo di restituzione di valori che stanno sotto, nascosti in profondità… E’ una preghiera laica alla ricerca di una piattaforma sulla quale fondare codici necessari per trasformare il presente diseguale e ingiusto.”
(Tommaso di Francesco: “Il Manifesto”, 07. 09.2010 )

“In questo lungo viaggio alla ricerca del pane, lo scrittore di Mostar racconta storie delle Storia, popoli e antiche saggezze, guerre, tradimenti e illuminazioni sacre… Proprio fra cielo e terra, da secoli ormai, il pane ha svolto una difficile mediazione. …Ci sono voluti venti’anni per scrivere PANE NOSTRO. Per dargli forma”.
( Alessandro Mezzena Lona, “Il Piccolo” 29. 08. 2010)

“L’archeologia, la glottologia, il folklore, le stesse religioni ci hanno lasciato una parte abbastanza ampia da consentire questa fantastica ed erudita cavalcata tra millenni, continenti e culture. Il ‘dacci oggi in nostro pane quotidiano’ del Vangelo e il
pane che ‘sapeva di sale’ dell’esilio di Dante”…
(“Il Foglio”, 20.10. 2010)

“È sinonimo di vita e di sostentamento. Il pane parla di sapienza e di poesia, di cultura e di culture, d’arte e di fede. Ed è anche protagonista del nuovo libro di Predrag Matvejevic’ – PANE NOSTRO, edito da Garzanti.”
(“La Repubblica” di Torino, 14. 12. 2010)

“L’autore di PANE NOSTRO lega passato e presente, nord e sud, con il filo di una riflessione che sa spaziare nel tempo, nello spazio e nei concetti creando una sorta di frastagliato amalgama, un senso di continuità e di consequenzialità… L’autore dello splendido BREVIARIO MEDITERRANEO dimostra una particolare abilità de ‘leggere’ la nostra realtà”.
( Lucia Aviani:“Il Messaggero Veneto”, 15. O4. 2011)

“La pagina di questo libro regge sulla ripetizione, su un ritmo sincopato ed ellittico… Un libro scritto mettendo a fuoco gli scambi e le mescolanze indotte dalle vie di mare. .. Quella di Matvejevic’ è stata una nobile presenza laica e illuminata nel decennio di orrori e di estremismi etnocomunitari che ha segnato la fine del suo Paese.”
(Piero del Giudice, Osservatorio –Balcani, 15. 10. 2010)

“Un libro intenso e davvero unico, un ‘parto’ così travagliato in cui il pane viene presentato come un simbolo e una considerazione sulle origini dell’uomo.”
( Ardea Stanisic, “La voce del popolo”, Fiume 13. 10. 2010)

estratti

«Dopo il ‘Breviario mediterraneo’, nel suo nuovo libro Matvejevic’ analizza un elemento base della storia mediterranea… Seguendo le vie del pane , come fa Matvejevic’, è evidente la relazione tra’mare nostrum’ e ‘pane nostrum’… In pochi avevano intrapreso un viaggio nella storia millenaria del pane. Matvejevic’ lo ha fattto nel suo ultimo libro, da poco edito da Garzanti: PANE NOSTRO.»
( Alessandro Leogrande, «Corriere del Mezzogiorno», 02.09. 2010)

“L’Universo comincia con il pane”, scrive Diogene Laerzio tramandando un detto antico di Pitagora: genealogia umile e intensa da cui muovono ora le pagine nomadi di Predrag Matvejevic’, una navigazione che non è quella del ‘Breviario Mediterraneo’, ma che ha erranze e approdi non molto diversi di quelli del suo celebre portolano. A ogni sosta, in ogni luogo, il pane sembra parlare di una differenza.
(Luigi Mascilli Migliorini , “24 ore”, 23. 03. 2011)

“Il giardino di pensieri sul pane di Matvejevic’ è senza dubbio une dei giardini più belli che un lettore odierno possa visitare. In questo giardino il lettore può procedere cavalcando oppure passeggiando, tra paesaggi storici, filosofici, antropologici, teologici. Non solo. Il lettore può assaggiare il sapore della storia dell’umanità, può provare la sua amarezza e la sua dolcezza, può immergersi nei deserti più lontani… E non rimarrà mai deluso, perché la bellezza di questo giardino è perfetta nella sua
trasparenza e semplicità”
(Ivana Gaspic , “Campi Immaginabili”, No 42-43, 2011)

“Intorno a questo mare miracoloso sorge anche la leggenda del pane. Il cibo più buono che possiamo trovare sulla nostra tavola, declinato in migliaia di forme e di sapori, memoria incancellabile di profumi legati alla casa e all’infanzia, a cui non vorremmo mai rinunciare…. Lo scrittore ne parla con amore inesauribile, in una meravigliosa navigazione che attraversa la storia”.
(Gianfranco Angelucci, La Voce di Romagna, 09.04. 2011)

“Pane. Prodotto atavico. Archetipico. In ultima analisi, l’anima del cibo. Carico di simbolismi. Rimane un mistero, scrive Predrag Matvejevic’ nel suo recente e bellissimo PANE NOSTRO.”
(“Corriere di Bologna”, 19.XI 2010)

“Ci sono tanti ‘forse’ nel libro di Predrag Matvejevic’, e anche per questo c’è tanta poesia per cui il dubbio, l’incertezza diventano elemento strutturale di un testo che è insieme scientifico e letterario, filologico, storico e antropologico. Torna qui il divagare del‘Breviario mediterraneo’: invece di seguire portolani andiamo dietro ai chicchi di grano”
(Salvatore Scalia: “La Sicilia”, 21. 11. 2010)

“ La lettura di questo libro è un viaggio alla scoperta del pane inteso come ‘la manna della terra, opera laica a immagine e somiglianza di quella caduta nella quarantena del deserto’(dalla Postfazione di Erri De Luca), un valore di cui oggi si è perso il senso, ma che è necessario riscoprire perché contiene ‘il valore aggiunto dei popoli” e fa parte della nostra storia.
(Lucia Truzzi: “REGNO”, 15. 03, 2011)

“Storia della fame e della abbondanza. Storia della povertà e della ricchezza. Storia di guerre e paci. Di libertà e di dipendenza. Da parassiti e di generosi. Storia dei nostri sensi, atrofizzati alla fragranza e al gusto di una pagnotta. ‘Pane nostro’ di Matvejevic’ è insomma una storia del uomo attraverso i percorsi e i simboli della spiga (Garzanti ed). Ma non possiamo raccontarlo, bensì solo invitare a leggerlo, a gustare le pagine.”
(Gino Dato : “La gazzetta del mezzogiorno”, 27. 09. 2010)

“Pane nostro è un titolo universale che parla di un libro universale, quello al quale Matvejevic’ ha dedicato venti’anni di ricerche… E’ un libro della vita.”
( Maurizio Bait : “Il Gazzettino di Udine”, 7. 11. 2010)

“ Dopo aver raccontato la grande epopea spirituale del Mediterraneo (nell’indimenticato ‘Breviario mediterraneo’), una Venezia ‘minima’ e laterale ( in “L’altra Venezia”), lo scrittore e filosofo Predrag Matvejevic’ nel suo nuovo lavoro ‘Pane nostro’ racconta magistralmente l’epopea del pane utilizzando la tradizione letteraria, storica e religiosa. Compone un affresco poetico fortemente ancorato nella cultura materiale e spirituale.”
(Andrea di Consoli : “Il tempo”, 08. 11. 2010)

“Un viaggio nel tempo e nello spazio alimentato da una straordinaria ricchezza di notizie e di riferimenti tanto a fare provare, a chi lo segue, la sensazione di essere come inghiottito da un fiume in piena. E non è certo per una costruzione erudita, davvero imponente, che l’autore attinge a tutte le fonti possibili… L’ottica è quella di fare parlare la realtà partendo dalla cultura materiale e, con i mille fili, tessere una vera e proprio narrazione. L’opera è per il lettore che vi si accosta, un saggio magistrale”.
(Giuliano Ligabue, “Confronti”, XI. 2010)

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“Predrag Matvejevic’ è uno degli intellettuale più attivi dell’ Est europeo, sempre pronto a rivendicare l’importanza
della ‘Culla dell’Europa’ – il Mediterraneo come base di partenza per una vera Europa dei popoli… ‘Pane nostro’ , un libro ampio, è un percorso circolare per raccontare il pane.”
(Elio Paiano : “Corriere – Lecce”, 27. X 2010)

“La letteratura di questa saga è appassionante… Con l’aiuto di queste pagine ci si insinua prima in uno stato d’animo, in una vita situata sempre un po’ sui margini di nuovi ‘aprodi’, e poi si riesce a comprendere a pieno l’esigenza di ripercorrere la nascita del pane, più antico della scrittura, la cui storia è una sincera ricerca di radici che affondano nel Mediterraneo.”
(Dorella Cianci: “Incroci”, giugno 2011)

“In pochi avevano intrapreso un viaggio nella storia millenaria del pane, prima di Matvejevic’.. Per secoli, il pane è stato l’unico contraltare alla carestia, alle epidemie, alla morte per inedia, l’unico elemento – comunitario – in grado idi separare la sopravivenza dal baratro della fame. Pertanto c’è stato anche uno straordinario simbolo in tutte le religioni.”
( Lo Straniero, ottobre 2010)

“La storia del pane si perde nella notte dei tempi, ci ricorda proprio Matvejevic’ in apertura di questo nuovo, enciclopedico lavoro. Un altro attesissimo ‘Breviario’, per citare il titolo del suo più famoso libro dedicato al Mediterraneo…Questo racconto è un inno alla vita, ai piaceri quotidiani che il pane regala, e proprio di queste gioie che l’autore ci offre.”
(Faboio Fiori : “Corriere Romagna”, novembre 2010)

“ Una saga del pane, alimento primario e intessuto di storia e antropologia quanto pochi altri, narrata da un famoso scrittore… Il pane quale fondamento della civiltà”.
( Massimiliano Panarari, “Il Venerdì di Repubblica”, 24. 09. 2010)

“ C’è qualche cosa di epico, di maestoso, di travolgente, d’inarrestabile, nello scorrere della narrazione di Matvejevic’. I mille disparati rivoli di esempi, citazioni, racconti che emergono in apparenza quasi dal caso, non sono destinati a disperdersi, ma al contrario a ingrossare un fiume sempre più impetuoso che trascina il lettore fino all’ultima pagina di un percorso indefinibile fra il rigore del saggio e l’avventura romanzesca… Coralità senza retorica, la maestosità dei canti epici delle genti slave dalle sue pagine si fa visibile.
(Guido Vitale, “Pagine ebraiche”, No. 10, 2010)

“Tutta la storia è traversata dal tema del pane o della mancanza del pane, o dall’intimo, profondo rapporto fra l’uomo il suo principale alimento. Matvejevic’ la ripercorre rapsodicamente perdendosi e ritrovandosi in mille storie, memorie, citazioni. Alcune di quelle si propongono al ricordo di tutti noi come l’indimenticato dantesco:’Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui.”
(Marino Freschi: “Il Mattino”, 27.09. 2010)

“Lo scrittore nato a Mostar di padre russo e di madre croata, grande osservatore dell’universo balcanico, ha negli occhi l’immagine del pane… Al pane, filo conduttore dell’umanità, alimento, gesto sacro, simbolo, Matvejevic’ ha dedicato il libro
PANE NOSTRO, esito di un lavoro durato vent’anni”.
(Marino Mastroluca, “L’Unità”, 5 – 10 2010)

“L’acqua, la farina – figlia della terra – e il fuoco: in un qualunque pezzo di pane c’è dentro tutto il cosmo. I nostri nonni raccontavano che Gesù scese dall’asinello per raccogliere una briciola di pane. E nelle pagine di Matvejevic’ troviamo la stessa antica sapienza mentre ci racconta la storia del pane, alimento e religione universale.”
(P. Peg. “La famiglia cristiana”, 5. 12. 2010)

“Quella del pane è una grande storia, ricca di sapienza e di poesia, d’arte e di fede. Abbraccia l’intera storia dell’umanità: in tutte le civiltà e in tutte le religioni è il sigillo di una conquista sapienziale… Predrag Matvejevic’ ha scritto un libro molto bello sul pane, PANE NOSTRO (Garzanti).
(Aldo Grasso, “Corriere della sera”, 18. 11. 2010)

“PANE NOSTRO È uno dei libri ì più affascinanti e eruditi del 2010… Il libro rincorre il pane dalle origini, una vicenda epica indagata nell’area del ‘mare nostrum’ produttore del ‘pane nostrum’… Addentrandosi in ‘questo libro si ha spesso la rassicurante sensazione di trovarsi dinanzi un romanzo con leggere incursioni nella liricità.”
(Dorella Cianci: “L’Attacco” , 22 gennaio 2011)

“ E’ soprattutto famoso il notevole Mediterraneo di Matvejevic’. Ora esce questo piacevolissimo saggio – frutto di vent’anni di lavoro – che racconta una storia luna cinquemila anni, quella del pane.”
( (P.C. , Quotidiano”, 18. 11. 2010)

“ Si tratta della saga di qualcosa che è più antico della scrittura e del libri, che è cultura universale, che è il simbolo religioso di pace, di comunione. “Matvejevic’ racconta il mistero del mondo e della vita rinchiuso in un chicco di grano… L’autore ha impegnato venti’anni per completare il lavoro dal quale è scaturito questo libro. Nulla è stato tralasciato: dalle ‘guerre sanguinose’ al grido di‘pane, pane’”
(“Il tempo”, 10.10. 2010)

“In un saggio che è un romanzo epopeico della più grande risorsa umana,’PANE NOSTRO’, lo scrittore Predrag Matvejevic’ racconta, come scrive Erri De Luca nella postfazione il grandioso vagabondaggio del grano, la lunga selezione e specializzazione trasmessa dalle generazioni. Un elemento vitale diventato simbolo.”
( Alessandro Censi, “Giornale di Brescia”, 4.09, 2010)

“La considerazione nasce spontaneamente. Leggenddo il ‘PANE NOSTRO’ mi sono accorta che essa viene indotta, quasi costretta dalla tecnica con cui è costruito questo ‘saggio d’amore’. E’ la tecnica del montaggio. Anima del montaggio è il taglio, l’ellissi. Nel ellissi giace il non detto, come il pezzetto di lievito, come il seme”…
(Silvia Schiavoni , “ Venezia Nuova, 22.06. 2011)

“E’ l’uomo che coltiva un sogno. L’uomo del dissenso – che ha pagato con l’esilio l’opposizione ai fabbricanti di odio e di morte da Belgrado a Sarajevo, e ha rischiato il carcere dopo il suo ritorno a Zagabria – l’uomo che sostiene necessità e utilità del dialogo mediterraneo, e dell’incontro politico e umano tra cristiani, musulmani e ebrei…ne ha fatto un saggio memorabile con ‘Breviario mediterraneo’. Ora lo fa con un libro-leggenda: PANE NOSTRO”.
( Sergio Buonadonna: “Messaggero veneto” 8. 09. 2010)

“Che per raccontare un passato tanto denso occorressero sapienza, studio, impegno e arte lo dimostrano le pagine di questa saga mediterranea sul pane. Difficile da incasellare in un unico genere ‘PANE NOSTRO’ – non è una enciclopedia né un saggio neppure un romanzo, ma tutti e tre insieme. Una poetica, più che una summa, sul cibo che ha accompagnato i destini dell’uomo.”
( Rossana Sisti , “Avvenire”, 2, 10. 2010)

“ Storia della fame e dell’ abbondanza, della povertà e della ricchezza. Storia di guerre e paci, Di violenze e amori. Di libertà e dipendenza. Storia della nostra pelle, che non trasmette più brividi al tocco rugoso di una crosta. Storia di nostri sensi. PANE NOSTRO di Predrag Matvejevic’ è insomma la storia dell’uomo attraverso i percorsi e i simboli della spiga (Garzanti ed.). Ma non possiamo raccontarlo bensì solo invitare a leggerlo.”
(Gino Dato: “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 27.09. 2010)

“Il pane è più antico della scrittura e del libro, ci ricorda Matvejevic’ in apertura del suo nuovo, enciclopedico lavoro; un altro attesissimo ‘breviario’, per citare il titolo del suo più famoso libro dedicato al Mediterraneo….. Il suo racconto restituisce pure i piaceri quotidiani che il pane regala. Ci ricorda in maniera magistrale nel suo nuovo libro PANE NOSTRO che “il paese dove siamo nati e dove siamo cresciuti ci ha donato il sapore dl suo pane.”
( Fabrio Fiori, “Corriere di Rimini e San Marino” , 06.12, 2010)

“P. Matvejevic’ ha scritto un gran poema sul pane. Il pane come la vita, come il mondo, dal tempo dei tempi. Ancora oggi…Non ha problemi stilistici, Matvejevic’ nel raccontare. C’è tutto e di tutto nel suo libro, tra antropologia, religione, storia. L’autore è un pozzo di saperi.
( Corrado Stojano : Corriere della Sera, Milano,12. I. 2011)

“Oggi il pane e il Mediterraneo sono al centro dei recenti avvenimenti . PANE NOSTRO di Matvejevic’, uscito recentemente in Italia nei tipi di Garzanti, sembra esser stato profetico”
(Gennaro d’Amato , “Il Manifesto 26.01.2011)

Nel libro PANE NOSTRO di Predrag Matvejevic valutiamo un dono di poesia, di arte, di fede e di antropologia, il frutto di vent’anni di lavoro, un dono di scrittura…
( Sebastiano Saglimbeni : “La Sicilia”, 28.05. 2011)

“ Al Mediterraneo, alla sua storia, ai suoi popoli, alle sue tensioni, alle sue speranze, Matvejevic’ ha dedicato tre libri di grande successo: ‘Breviario mediterraneo’ ( 11 edizioni da Garzanti, tradotto in 23 lingue), ‘Il Mediterraneo e l’Europa’ (Garzanti) e il recente, profetico, ‘Pane nostro’… Per la sua sensibilità culturale per il suo percorso di vita, Matvejevic’ è scrittore che più e meglio può cogliere il senso e le pulsioni delle rivolte che stanno scuotendo il Magreb e il Vicino oriente.”
( Umberto de Giovannangeli: “l’Unità”, 28. 2. 2O11)

“Una splendida saga sul pane dove si parla di Dio, degli uomini, della storia, delle guerre e della pace, della violenza e dell’amore….. Il pane divenuto sinonimo della comunita’, di esistenze collettive, il sigillo della cultura”.
( Giuliana Bagnasco: “Provincia” 10. 06. 2011)

Matvejevic’ trasforma il più umile dei prodotti in una grande metafora, un ponte tra civiltà diverse, cresciute su sponde opposte dello stesso mare, ma accomunate da un retroterra culturale simile.
(An. Macc. : “Il Messaggero”, Ancona 02.09 22011)

“Ciascuno troverà in queste pagine pane per la sua fame: sia esso anelito di fede o attesa di giustizia, sia stupore per il seme che cresce misteriosamente oppure curiosità di ripercorrere le infinite vie nel tempo e nello spazio di questo cibo che nasce dalla stanzialità del contadino, sia ancora desiderio di conoscere le feconda fantasia dell’uomo che ha saputo dare forme e consistenze sempre diverse a quell’unico alimento così da renderlo appetibile e accessibile nelle situazioni più disparate.”
(dalla Prefazione di Enzo Bianchi, autore di Il pane di ieri)

“Il pane è la manna della terra. Predrag Matvejevic’ narra il grandioso vagabondaggio del grano, la lunga selezione e specializzazione trasmessa dalle generazioni.
(Dalla Postfazione di Erri de Luca)

Opere pubblicate in Italia

  • Breviario mediterraneo (Garzanti, Milano 1991, 2016);
  • Epistolario dell’altra Europa (Garzanti, Milano 1992);
  • Sarajevo (Motta, Milano 1995);
  • Ex Jugoslavia. Diario di una guerra (Magma, Milano 1995);
  • ”Mondo Ex: Confessioni” (Garzanti, Milano 1996);
  • ”Golfo di Venezia” (Consorzio Venezia Nuova, Venezia 1997);
  • Tra asilo ed esilio (Meltemi, Roma 1998);
  • Il Mediterraneo e l’Europa (Garzanti, Milano 1998);
  • I signori della guerra (Garzanti, Milano 1999);
  • ”Isolario Mediterraneo” (Motta, Milano 2000);
  • ”Sul Danubio” (Le impronte degli uccelli, Roma 2001);
  • ”Compendio d’irriverenza” (Casagrande, Lugano 2001);
  • ”Lo specchio del Mare mediterraneo” (Congedo, Lecce 2002);
  • ”L’altra Venezia” (Garzanti, Milano 2003);
  • Un’Europa maledetta (Baldini e Castoldi, Milano 2005);
  • “Il ponte che unisce Oriente e Occidente”, in Se dici guerra umanitaria, a cura di Corrado Veneziano e Domenico Gallo (Besa, Lecce 2005)
  • prefazione al Meridiano Mondadori dedicato a Ivo Andrić: Andrić, Ivo, Opere, Milano, Mondadori.
  • R come Religioni, in Massimiliano Finazzer Flory (a cura di), Il gioco serio dell’arte, Milano, Rizzoli, 2008, ISBN 978-88-17-02237-8.
  • “Pane nostro”(Garzanti, Milano 2010);[4]

2 commenti

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LA POESIA COME PEGNO ALL’AUTENTICITA’. IL SEGNO BIBLICO DI DUŠKA VRHOVAC: IMMAGINI INNATE – PEGNO – UN ROMANZO BREVE DAL LIBRO ZALOG  – IMPEGNO (LJUBOSTINJA EDITORE; 2003 – TRADUZIONE DI ISABELLA MELONCELLI IN COLLABORAZIONE CON L’AUTRICE).

Commento di Letizia Leone: La poesia di Duška Vrhovac come pegno all’autenticità

Potrebbe apparire insolita la definizione di romanzo breve con la quale Duška Vrhovac, una delle voci più influenti della Serbia contemporanea, sigla il corpo poetico di questa composizione: un poemetto dalla struttura ossificata, una saga (“storia della famiglia con inclusi i veri nomi dei paesaggi e paesi, cognomi delle famiglie e i nomi veri delle persone”) costruita nondimeno sulle colonne rastremate del verso.

L’idea di monumentale e di epico che suscita la parola saga entra dunque in corto circuito con la forma adottata, con la serie verticale di fotogrammi di parole che bloccano un’immagine, una scena nel silenzio grafico della pagina bianca.

Calchi epici, “immagini innate” di un vincolo religioso (da re-ligo, ligare) con la natura, con la terra, il proprio paese e la propria gente. Questo modo di far brillare la parola in modo vistoso sull’orizzonte del verso, una parola esposta e quasi sempre isolata, crea un rallentamento, una dilatazione nel tempo di ricezione che pare accendere i riflettori su ogni singolo lessema amplificandone pienezza sonora e cognitiva.

Per la Vrhovac si tratta di rinominare il mondo per mezzo di un segno chiaro e abbagliante, accordato sui fremiti naturali degli elementi e impastato agli elementi stessi: argilla, aria, sassi, radici. Terra.

La canna
freme
boato d’acqua
invisibile
(…)
solchi
profondi
terra nera
promette.
L’argilla
dominata
(…)
Segni
leggibili
chiari
sicuri

Giorgio Linguaglossa Duska Vrhovac e Steven Grieco Roma giugno 2015

Giorgio Linguaglossa Duska Vrhovac, Steven Grieco e Rita Mellace Roma giugno 2015, Isola Tiberina

Una scrittura che nel suo andamento paratattico e nella semplicità dichiarativa assume i toni rivelativi della diegesi biblica. Sebbene il tempo remoto del paesaggio agrario, traslato in questi versi, sembra declamato dal futuro anteriore di un’immensa cloaca planetaria dove è stato consumato un ecocidio.

Si potrebbe dire con R. Barthes che se la scrittura è il corpo dello scrittore qui la poetessa “perde volontariamente ogni ricorso all’eleganza o all’ornamentazione, poiché queste due dimensioni introdurrebbero di nuovo nella scrittura il Tempo, cioè una potenza derivante, apportatrice di Storia.”

Qui la ricerca di una lingua che raggiunga “lo stato di una equazione pura, sottile come un’algebra davanti alla futilità dell’uomo” coincide con l’esigenza di smantellare l’aberrazione di un antropocentrismo che intrappola la mente umana da secoli.

In questa forte incidenza di una parola reintegrata nella sua “verginità” espressiva, la “Terra” è nozione amplificata che raccoglie molti sensi e li tiene intrecciati: terra è l’attestazione del contingente radicale, se volessimo evocare Heidegger, o la “terrestrità della poesia” nel riconsegnarsi a ciò da cui si proviene, alla memoria e alla pietas.

Terra come riserva di senso. Oppure testo/testamento stilato con un vocabolario essenziale che rifonda gli elementi nelle loro qualità primarie: “Quel che resta lo fondano i poeti” echeggia da lontano il grande Hölderlin. 

Nella risonanza biblica dei testi la  storia e  la memoria sono condensate nel vigore fonico dei nomi propri delle persone, in un appello fatto a voce alta alle stirpi antiche:

Tanasije e Milica
morte nella seminagione
e tuono sulla soglia di casa
Vida e Ćetoje
Obrad
Kristana
Cvijeta
Zdravka e Nemanja
i Mitrović
i Vrhovac
Zarić.
Paese Superiore
e Inferiore
paesaggi
delle vite precedenti
ammoniscono
scendono lenti
sulle spalle.

L’umanità che abita queste pagine luminose esorta, con una presenza muta e liturgica, a ritrovare il calore comunitario antico e i ritmi rigeneranti dei riti naturali:

Uomini
alti
omoni
e le donne
silenti
devote
belle
(…)

È la presenza dell’uomo in un’infanzia del mondo dove sono convocati come in un Libro sacro (quello della Poesia) tutti i “doni divini / in un ampio abbraccio”, la vita della natura con le acque gorgoglianti o lo scoppio del lampo, giardini, frutteti, ciliegie mature, noci, lucciole, api, miele, il cielo e gli angeli. I cicli, i riti, le stagioni, l’alternarsi del giorno e della notte nella pienezza della loro essenza, del loro senso cosmico e sacro.
Come riacquistare la sensibilità? Si chiese ad un certo punto del suo cammino
Elémire Zolla: “guardandoci attorno con esultanza. Soltanto a questo patto, sollevando una gleba odorosa, spiccando un frutto, contemplando le iridiscenze dei gioielli o di cascate, lo splendore d’un incarnato…forse si saprà sentire la presenza animatrice che ha plasmato e va plasmando queste materie…”.
Qui l’occhio della poesia sembra fotografare l’innocenza di cose, animali, uomini o paesaggi carichi della purezza della Grazia prima della Caduta.

Tesoro
animali
innumerevoli
come persone
(…)
senza custodi
sui pascoli
immensi.

Boschi
sconfinati
amici
e nemici
paesaggi
biblici.

Afferma George Steiner: «La condizione adamitica è caratterizzata dalla tautologia linguistica e da un presente durevole. Le cose erano come Adamo le aveva nominate e definite. La parola e il mondo erano una cosa sola… Fu la Caduta dell’Uomo ad aggiungere al linguaggio umano le sue ambiguità, le sue necessarie dissimulazioni…Di qui la necessità di rileggere, di richiamare al presente (rievocazione) quei testi dove il mistero di un inizio e le vestigia di un’evidenza smarrita – il “Io sono colui che sono” – sono correnti.»

E se “il male si è infiltrato nel nostro mondo attraverso la fessura capillare di una sola lettera errata” come suggerisce un’affascinante intuizione cabalistica, allora alla poesia spetta l’onere di un “impegno/pegno” della parola per i tempi a venire.
Non solo la nostalgia di una redenzione (provvisoria) racchiusa nell’energia del testo ma un impegno di onestà della parola, sembra dirci Duška Vrhovac.

Giorgio Linguaglossa, Carlo Bordini, Steven Grieco, Duska Vrhovac giugno 2015

Duska Vrhovac, Giorgio Linguaglossa, Carlo Bordini e Steven Grieco con Rita, Roma, 25 giugno 2015 p.za Del Drago Al Ponentino

«un breve romanzo in versi. Ma è la saga, storia della famiglia con inclusi i veri nomi dei paesaggi e paesi, cognomi delle famiglie e i nomi veri delle persone … e la mia aspirazione che ogni verso sia un immagine» .

(Duška Vrhovac)

I M P E G N O
(IMMAGINI INNATE)

I

La canna
freme
boato d’acqua
invisibile.
Passi
leggeri
sicuri
cauti.
Arriveranno
piene di significato
le Parole.

II

Uomini
alti
omoni
e le donne
silenti
devote
belle
estasiate
irreali
ognuna incinta
benedetta
avvolta dal mistero.

III

Tesoro
animali
innumerevoli
come persone
loquaci
fedeli
nutrite
fertili
senza custodi
sui pascoli
immensi.

IV

Boschi
sconfinati
amici
e nemici
paesaggi
biblici.
Selvaggina
invisibile
cacciatori
spietati
cercano cibo
soddisfano
la legge della natura.

V

Chiome fronzute
in altezza
al cielo
svettano.
Fiorite
rifugi
frutti
e riposo
promettono.

Duska Vrhovac Miami Airport 2.17. 08

Duska Vrhovac Miami Airport 2008

VI

Uccelli
dai nidi
dai rami
volano.
Tenere voci
strappano ragnatele
alla volta aleggiando.
Grandi
maligni
canterini
abitano le chiome.

VII

Campi
arati
solchi
profondi
terra nera
promette.
L’argilla
dominata
il mondo sotterraneo
la rovina
e la morte ricorda.

VIII

L’aria
azzurra
trasparente
di spuma marina
triste
intessuta.
Cosparsa di polline
di rugiada spruzzata.
Di luce lunare
solare
screziata.

IX

Segni
leggibili
chiari
sicuri
e gli altri
non svelati
impenetrabili
lontani
a incontri invisibili
imprevedibili
destinati.
X

Condensato
colloso
tangibile
balsamico
risveglio
sulla grande acqua
si estende
l’ozono
dono
dei doni.

XI

S’avvita
si espande
echeggia
ai cieli spiegata
la poesia
Bellezza della Lingua.

XII

L’albeggiare
vivace
lieto
strabico
burlone
inafferrabile
impensabile
il giorno annuncia.

XIII

Mezzogiorno
alto
inaccessibile
ombelico solare del giorno
freccia
nel non so dove scagliata
senza ritorno.

XIV

La sera
inebriante
struggente
scardinante
fuochi inceneriti
promesse
paure
e migrazioni
ricorda.

XV

Notte
misteriosa
addensata
a tutto sottrae il volto
le viscere sveglia
trasforma.
Concepisce
vitelli
e bimbi
inventa
fatti
e misfatti.

Duska Vrhovac

Duska Vrhovac

XVI

Mezzanotte
il pianto nasconde
muto
primario
insopportabile
e la poesia, giurata
perché non si consumi
non si dimentichi.

XVII

S’intersecano
ricordo
e dimenticanza
si diffonde
la morte
come benvenuto
impercettibile
inosservata.

XVIII

Si svegliano
ingannati dal sonno
prima dell’alba
prima del tocco del sole
per riflettersi nell’acqua
sommarsi
trovarsi.

XIX

I primi albori
vedono l’invisibile
sentono l’inaudibile
divinano
intuiscono
aprono le magie
soli con sé stessi
e con Dio
conversano.

XX

Vino
e latte
duplice comunione
ampi granai
profondi pozzi
acqua limpida
sorgenti
dalla Stella mattutina
e dalle viscere della terra
illuminati.

XXI

Accanto al fuoco
fra la notte e il giorno
di giorno di notte
sacrificio
e raccolto
riti
bevande
si bevono
in boccali d’oro.

XXII

Case
frutteti
cortili
tenere erbe
serpi mansuete
e mele
sulla via
rosse.

XXIII

Sull’erba
bimbi
gli occhi azzurri
i boccoli d’oro
le braccia aperte
sorridenti
imparano
a volarerrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr
e a cadere.

XXIV

Come api
ronzano
si posano sui fiori
dal rametto di corniolo
ornati
di miele
di pace
di desiderio
profumano.

XXV

Fra le case
il profumo dell’incenso
e del basilico
l’eco della campana
della chiesa
ala d’angelo
distesa.

XXVI

Variopinte
balsamiche
primaverili
erbe
desideri
e segreti
irrealizzati,
indicibili
coprono.

Duska Vrhovac Cop

XXVII

Nomi
significati
Kokori
Ljubatovci
acque
gorgoglianti
ombrate
vortici
segnati dalla cenere
strade
in tutte le direzioni.

XXVIII

Tanasije e Milica
morte nella seminagione
e tuono sulla soglia di casa
Vida e Ćetoje
Obrad
Kristana
Cvijeta
Zdravka e Nemanja
i Mitrović
i Vrhovac
Zarić.
Paese Superiore
e Inferiore
paesaggi
delle vite precedenti
ammoniscono
scendono lenti
sulle spalle.

XXIX

In giardino
nel frutteto
sotto la vite
sassi
resti di fondamenta
di case
in cui si trasformarono in angeli
Veljko e Ranko
e Ljuba
amata da Živko
amore divino
intramontabile
unico.

XXX

Dolovi
Strane
Kosta e Zorka
Vinka
Slavka
Gojko
Teodora
Savo
doni divini
in un ampio abbraccio.
Mileva
prima gioia
pagata con la vita.

XXXI

Una casa
sul monte
piena di bimbi
il sorriso
allontana il malocchio
mani
stese
al cielo
in lontananza
bilancino per l’acqua
e la strada lunga.

XXXII

Noci
pagnotta
ricca indigenza
fuso
fiaccole
lucciole
amore
da ogni maltempo protetto
esso che su tutto vigila
dimentica i nomi
e si trasforma in durata.

XXXIII

Teodora e Mladjan
Radivoje
Milja
Jagoda
Slobodan
Stojanka
Gospa
Gavro
Milan e Marica
Radojka
Kristina
volti angelici
more nella memoria
nomi
come pegno
come sopravvivenza.

XXXIV

I Rajić
Janko e Danica
Radmila
Nevenka
Milena
Vlado
Dobrina
Sava
Dobrivoje
raduni
canti
ciliegie mature
neri gelsi
bellezza
sotto le stelle
sotto il cuore
conservata.

Duska Vrhovac (1)

Duska Vrhovac

XXXV

Živko
figlio di Tane
la falce della luna
biondo
occhi profondi
luminosi
come alba commemorativa
rapito
ma materiale
figlio di Dio
discepolo del diavolo.

XXXVI

Ovunque si lascia
dietro una traccia
nella lacrima della fanciulla
nella forza del giovane
sulla soglia
e nella volta
la vita stessa
piena
generosa
ma condannata.

XXXVII

E Ljuba
di Janko
sogno del sogno
beniamina
di tutti gli angeli
abeti
cotogna
e lo scoppio del lampo
nell’alba estiva
farfalla irreale
estinta
fuggente realtà
e rudezza
inafferrabile e splendida
marchio d’amore
e di eternità.

XXXVIII

Immagini innate
pegno
radice
pozzo
dal cuore
della stessa Madre Terra
e dell’alito dello Spirito Santo.
La mia fronte
alta
e il mio occhio
azzurro
il pensiero
stellante.

XXXIX

Tutto ho visto
richiesta
la via
e la lontanza
il cielo
e gli angeli.
All’alba
un nuovo giorno
e una nuova notte
della luce imminente.

XL

Immagini innate
sui piedi
nel grembo
sui palmi
si stampano.
Custodisco la paola
e il nome
sicuro
riconoscibile segno.
Pegno
per ogni tempo.

giorgio ortona Letizia Leone,_2012,_olio_su_tavola,_59,8_x_35,6_cm

giorgio ortona, ritratto di Letizia Leone, 2012, olio su tavola, 59,8 x 35,6 cm

Letizia Leone è nata a Roma. Si è laureata in Lettere all’università  “La Sapienza” con una tesi sulla memorialistica trecentesca e ha successivamente conseguito il perfezionamento in Linguistica con il prof. Raffaele Simone. Agli studi umanistici  ha affiancato lo studio musicale. Ha insegnato materie letterarie e lavorato presso l’UNICEF organizzando corsi multidisciplinari di Educazione allo Sviluppo presso l’Università “La Sapienza”. Ha pubblicato: Pochi centimetri di luce, (2000); L’ora minerale, (2004); Carte Sanitarie, (2008);  La disgrazia elementare (2011); Confetti sporchi (2013); AA.VV. La fisica delle cose. Dieci riscritture da Lucrezio (a cura di G. Alfano), Perrone, 2011. Nel 2015 esce Rose e detriti testo teatrale (Fusibilialibri). Un suo racconto presente nell’antologia Sorridimi ancora a cura di Lidia Ravera, (Perrone 2007) è stato messo in scena nel 2009 nello spettacolo Le invisibili (regia di E. Giordano) al Teatro Valle di Roma. Ha curato numerose antologie tra le quali Rosso da camera (Versi erotici delle maggiori poetesse italiane), Perrone Editore, 2012. Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016), con il medesimo editore nel 2018 pubblica la silloge Viola norimberga. Sue poesie sono presenti nella Antologia di poesia contemporanea, How The Trojan War Ended I don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019.

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Duška Vrhovac DUE POESIE inedite “In città con Bukovski”, “Liberazione a via del Corso” e altre poesie tratte da “Quanto non sta nel fiato” (2015) traduzione di Isabella Meloncelli con un Commento di Giorgio Linguaglossa

 

cockail di immagini femminili

cockail di immagini femminili

Due poesie inedite di Duška Vrhovac

Commento di Giorgio Linguaglossa

Uno dei problemi comuni che la poesia e il romanzo europei hanno di fronte oggi è l’eccesso di realtà, l’iperrealtà, o di ciò che la maggioranza intende sia la «realtà» e il «realismo» che ne consegue. C’è in giro oggi in Eurolandia il timore dell’infezione della realtà, il timore di essere infettati dalla realtà, di non poterla raggiungere o di non volerla raggiungere, di non poter aggiungere nulla a quanto è stato già detto e scritto. Il romanzo e la poesia del Novecento sono ormai alle spalle, cos’altro resta da fare ad un poeta europeo di oggi che parla e scrive in una lingua di un piccolo popolo come Duska Vrhovac che scrive in serbo?. Il problema è tanto più grande quanto più la comunità dei parlanti di un poeta si restringe, e Duska Vrhovac è un poeta particolarmente sensibile a questa problematica, lei che appartiene ad un piccolo popolo guarda all’orizzonte europeo. Problematica ben viva in Europa tanto più in quanto oggi la poesia è chiamata a svolgere non più un ruolo di «supplenza», «specifico», diciamo, di «nicchia» entro le coordinate stilistiche delle letterature di appartenenza, quanto invece un «ruolo assente», «una funzione inesistente». Ed appunto questa, credo, è la sua funzione, che la poesia non corrisponde mai ad una espressione esistenziale immediata, ma è data sempre nella mediazione delle mediazioni. Voglio dire, e la Vrhovac lo dice con me, che anche una «funzione inesistente» ha, per paradosso, una sua legittimità ed un suo valore. Oggi in Europa accade che alla poesia non venga conferita alcuna funzione socialmente identificabile, ma questo, credo, è anche la sua forza. Anche i Dipartimenti di letteratura contemporanea se ne stanno alla larga dalla poesia. Accade che nell’epoca del disincanto e della stagnazione economica e spirituale oggi non si chieda più nulla ad un poeta. E il poeta, per contro, non chiede più nulla al lettore È questa la crisi, di ruolo e di identità, che un poeta europeo di oggi deve affrontare. Duska Vrhovac ne è consapevole, lei che si muove tra Belgrado e Roma, avverte come l’eco di una minaccia: che la più grave accusa che si muove oggi alla poesia è che essa sia una attività onanistica, turistica, olistica. Accusa non del tutto infondata a giudicare dalla poesia che viene prodotta oggi in Europa, poesia che ha il timbro e il sapore di una saponetta, con tutti gli ingredienti e i profumi eufuistici al loro posto. Ecco spiegata una poesia come quella che Duska Vrhovac scrive passeggiando per le strade di Roma: una poesia fintamente turistica, che narra degli «sconvolti turisti» che passeggiano a «via Del Corso». La composizione comincia in sordina, come una poesia simil turistica del tipo di quella che si scrive in Eurolandia; man mano che la poesia progredisce si cambia il colore, si alza il tono, si amplia l’orizzonte, si cambia discorso, si assume un lessico quasi sacrale. Da un minus ad un majus. Fino al peana finale che sembra quasi una partitura di parole per un coro, una sacra rappresentazione, l’incitamento a scrivere poesia perché non ancora tutto è perduto. C’è un’ultima possibilità, un’ultima tenzone da affrontare. Poesia virile, dunque, questa di Duska Vrhovac, che ha alle spalle non solo la tradizione della poesia serba, ma quella europea, rivissute in modo singolare. Ed è questo, forse, il vantaggio di un poeta serbo rispetto alla nostra disincantata e disillusa tradizione poetica del presente, dove va di moda una cultura dell’ironizzazione, dello scetticismo e del disincanto,Duska, invece, rilancia: «I poeti sono i miei soli veri fratelli». (D.V.)

Duska Vrhovac Miami Airport 2008

Duska Vrhovac Miami Airport 2008

Liberazione a via del Corso

Questo viola, come indurita goccia di dolore
fuggita dal pennello del pittore stanco,
cade sulle mie pupille annebbiate
e nella misteriosa veste del crepuscolo
avvolge Via Del Corso

Come mai qui, fra gli sconvolti turisti,
che, come la serpe la propria coda,
pescano se stessi sui resti dell’altrui storia,
vedo questi sodali di Kéri
dai visi con le tracce delle doglie
negli sguardi sguerci e agli angoli delle labbra?

Che siano diretti all’incontro segreto
con il Don Chisciotte di Farinelli
che in questi giorni mi sta alle costole
ripetendo all’infinito la stessa domanda:
come elevarsi in perpetuo e irreversibile volo
se come albero con le radici
con i tuoi fragili artigli sei incarnito nel suolo?

Passano degli Arabi, offrono meraviglie da poco
un gruppo di giovani emozionati con gli smartphone
fotografa una nota truccatrice
come passasse in persona Dante Alighieri.
Esaltata dal loro fervore
io dimentico il soffitto bucato
della mia casa belgradese
e leggera come il primo verso di un canto nascente
piano, recito a me stessa:

Salve a te Kéri László!
Salve Ezio Farinelli!
Questi esseri di sangue e carne
che portano i nostri nomi sono usurati
scompaiono, il che ci perseguita,
ma non siamo noi questi, amici miei,
noi siamo le nostre tele indistruttibili
e quei libri incombustibili e lettere, versi
come manciate di colori gettate sul viso del mondo.

Contro di noi nulla possono tutte le fabbriche del male
che lavorano non-stop
né i loro incendi o alluvioni
a scadenza infinita!
Con l’immagine e il verso, noi nonostante tutto
penetreremo tutti i bozzoli e le armature
come il guscio dell’uovo cosmico
da cui torneremo a rinascere.
Salve, a te Roma!

(Roma, 15 luglio 2015)

Duska Vrhovac Cop

In città con Bukowski

Tutt’intorno carne
ossa
sangue
collegati da nervi assottigliati.

In alto
nell’arco del cranio
un’energia
che un tempo fu mente.

Nel vuoto
del torace
fischia il respiro stentato
dell’anima consunta.

Incallite le dita
sui secchi rami delle mani
battono
battono, battono.

Manca la gola
manca la voce
mancate voi
manco io.

Andiamocene altrove, Charles
le discariche cittadine sono colme
i manicomi sono al completo
anche al cimitero si stenta a trovare un posto.

*

Credo che per comprendere una poesia come quella della balcanica Duska Vrhovac sia importante partire da questa sua affermazione:

«Io vengo dallo spazio “buio” dell’Europa dove ad ogni generazione è garantita almeno una guerra ogni 20-40 anni; tutto il resto è incerto. E quindi la cultura è agli estremi margini. Per questa ragione anche il rapporto con la cultura era migliore in quello stato marcio e ormai distrutto, inadeguato e chiamato “comunista”, di quanto non lo sia in questo stato democratico che si sta arrampicando sugli specchi per raggiungere gli standard europei che l’Europa ha già superato, distruggendo se stessa nel senso culturale e culturologico».

Ovviamente, qui ci troviamo di fronte ad una diversa prospettiva. Una vera e propria deangolazione prospettica (almeno dal nostro punto di vista italiano) La Vrhovac guarda alla poesia da questo particolarissimo punto di vista, fatto di negatività e di positività, consapevolezza di provenire da una storia di guerre che si sono succedute ad intervalli regolari di tempo, e consapevolezza che alla poesia debba essere richiesta una parola (non di conforto, certo) positiva, esortativa, parenetica. Sta qui, credo, in questo dualismo e in questo spettro la posizione di partenza della poesia della Vrhovac. Sarebbe errato andare a cercare nella poesia della Vrhovac ciò che non c’è, caro Antonio Sagredo, nella sua poesia non ci sono e non ci saranno mai i giochi di parole, le acrobazie millimetriche della poesia che si fa qui in Occidente, nel nostro mondo disincantato e fuggitivo (sfuggente, fitto di vuoto a perdere). Con le sue parole:

Non devo più andare da nessuna parte,
tutti i viaggi possono cessare,
le fughe, le ricerche, ogni cammino…

*

Il diavolo ha da tempo compiuto il suo lavoro

*

Non più solo la morte ha occhi vuoti.
Anche la nostra vita ha ora occhi vuoti.

*

A questa mia unica vita
piccola e personale
quando penso
di rado
potrebbe andare molto bene
sarebbe anzi bella:
un po’ di primavera
erba
fiori
amori
una casetta
dei figli
un marito
un amante
dei parenti
amici
un grammo di carriera
bagliori
un briciolo di talento
giochi di parole
un anno dopo l’altro
occhiali sempre più forti
e anche se
la morte è certa
questa è la vita
qui sono
qui sono stata
ho intessuto un nido
e gli uccellini poi
il canto festivo
ed è così umano
gradevole
caldo
che quasi ti viene da piangere.
Eppure
caro mio
a questa mia vita
piccola e personale
quando ci penso
e mi fermo a guardare
tolti gli occhiali
mi lascio un po’ trasportare
e copro gli occhi con le mani
non mi aiuta neppure la morte certa:
da quando l’uomo esiste
caparbio e abile
mente a se stesso.

*

Inatteso
come un segreto
o una vendetta
per tutta la notte qualcuno
ha martoriato la mia anima
fredda la mano
ruggine il palmo
gli occhi vuoti
non terreni
come se non intuisse
che non sono morta abbastanza:
non lo sono
e non penso
di aprire gli occhi umidi
anche se è buio
e non si vede
né quello che sono
né quello che non sono.

*

Quando gli occhi s’incontrano
e si fissano
dimmi allora
la parola
che ti è rimasta in gola.

Sarà
che sono sfuggita alla morte
come se ci fossimo
riconosciuti ancora.

*

Non sei venuto.
Lo testimoniano il pane
il vino e la voce fievole,
il tavolo su cui tutto freme
nel suo restare confuso
davanti alla porta chiusa,
mentre mi consumo io,
e non la candela.

*

Vorrei scriverti una lettera
comincio e ci rinuncio
tu sai bene da quando.
Mi sembra sempre
che io stessa abbia
una conoscenza incerta
e pallida di ciò che vorrei dirti.
Per cui non dice nulla
ovvero niente di quanto desidero
che tu sappia veramente.
Sulla carta la parola è dura
ma io vorrei che tu la sentissi
ammorbidita, avvolta nel respiro.
Sulla carta ho paura che tu
non mi riconosca affatto
e ancor più che tu comprenda
il mio non saperti dire nulla.

da Quanto non sta nel fiato, (2015)

Duska Vrhovac

Duska Vrhovac

Duška Vrhovac, poeta, scrittrice, giornalista e traduttrice è nata nel 1947 a Banja Luka (Bagnaluca), nell’attuale Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, e si è laureata in letterature comparate e teoria dell’opera letteraria presso la Facoltà di filologia di Belgrado, dove vive e lavora come scrittrice e giornalista indipendente, dopo aver lavorato per molti anni presso la Televisione di Belgrado (Radiotelevisione della Serbia).

Con 20 libri di poesia pubblicati, alcuni dei quali tradotti in 20 lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco, russo, arabo, cinese, rumeno, olandese, polacco, turco, macedone, armeno, albanese, sloveno, greco, ungherese, bulgaro, azero), è fra i più significativi autori contemporanei di Serbia e non solo. Presente in giornali, riviste letterarie, e antologie di valore assoluto, ha partecipato a numerosi incontri, festival e manifestazioni letterarie, in Serbia e all’estero.

È autrice di tre volumi di racconti per bambini e per la famiglia dal titolo Srećna kuća (La casa felice) e anche ha pubblicato sei libri in traduzione serba: due libri di prosa e quattro libri di poesia.

Membro, fra l’altro, dell’Associazione degli scrittori della Serbia, e dell’Associazione dei traduttori di letteratura della Serbia, è attuale vicepresidente per Europa del Movimento Poeti del Mondo e ambasciatore in Serbia. Ha ricevuto premi e riconoscimenti importanti per la poesia, tra cui:

Majska nagrada za poeziju – Maggio premio per la poesia – 1966, Yugoslavia;
Pesničko uspenije – Ascensione di Poesia – 2007, Serbia;
Premio Gensini – Sezione Poesia 2011, Italia;
Naji Naaman’s literary prize for complete works – Premio alla carriera – 2015, Libano e il Distintivo aureo assegnato dal massimo Ente per la Cultura e l’Istruzione della Repubblica di Serbia.

Ha pubblicato i seguenti libri di poesia:
San po san (Sogno dopo sogno), (Nova knjiga, Beograd 1986)
S dušom u telu (Con l’anima nel corpo), (Novo delo, Beograd 1987)
Godine bez leta (Anni senza estate) (Književne novine i Grafos, Beograd 1988)
Glas na pragu (Una voce alla soglia), (Grafos, Beograd 1990)
I Wear My Shadow Inside Me (Forest Books, London 1991)
S obe strane Drine (Sulle due rive della Drina), (Zadužbina Petar Kočić, Banja Luka 1995)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua), (Srempublik, Beograd 1996)
Blagoslov – stošest pesama o ljubavi (Benedizione, centosei poesie d’amore), (Metalograf, Trstenik 1996)
Knjiga koja govori (Il libro che racconta), (Dragoslav Simić, Beograd 1996)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua) edizione ampliata, (Srempublik, Beograd 1997)
Izabrane i nove pesme (Le poesie scelte e nuove), (Prosveta, Beograd 2002)
Zalog (Il pegno), (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Zalog (Il pegno), edizione bibliofilo (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Operacija na otvorenom srcu (L’ operazione a cuore aperto), (Alma, Beograd 2006)
Za sve je kriv pesnik (La colpa è di poeta), (elektronsko izdanje 2007)
Moja Desanka (Lа mia Desanka), (Udruženje za planiranje porodice i razvoj stanovništva Srbije, Beograd 2008)
Postoje ljudi (Ci sono persone), edizione dell’autore (Belgrado 2009)
Urođene slike / Immagini innati (edizione bilingue), (Smederevo, 2010)
Pesme 9×5=17 Poems (poesie scelte in 9 lingue), (Beograd 2011)
Savrseno ogledalo (Lo specchio perfetto), (Prosveta, Beograd 2013)
Quanto non sta nel fiato, poesie scelte, (FusibiliaLibri 2014)

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Venerdì 13 novembre 2015 alle ore 19.00, presso l’Ambasciata della Repubblica di Serbia in Roma via dei Monti Parioli, 20 Presentazione della Antologia di Duška Vrhovac Quanto non sta nel fiato. Farà gli onori di casa l’ambasciatore S.E. Sig.ra Ana Hrustanovic. Saranno presenti Duška Vrhovac, Ennio Cavalli, Giorgio Linguaglossa, Plinio Perilli, il curatore del volume Ugo Magnanti. Prevista la partecipazione di Dejana Peruničić, addetto culturale dell’Ambasciata INTERVISTA ALLA POETESSA SERBA DUŠKA VRHOVAC “ALLARGANDO I CONFINI LA SOCIETA’ MODERNA RESTRINGE LE PROSPETTIVE” a cura di Giorgio Linguaglossa con alcune Poesie di Duška Vrhovac, Traduzione dal serbo: Cvijeta Jakšić

Venerdì 13 novembre 2015 alle ore 19.00, presso l’Ambasciata della Repubblica di Serbia in Roma via dei Monti Parioli, 20 Presentazione della Antologia di Duška Vrhovac Quanto non sta nel fiato. Farà gli onori di casa l’ambasciatore S.E. Sig.ra Ana Hrustanovic. Saranno presenti Duška Vrhovac, Ennio Cavalli, Giorgio Linguaglossa, Plinio Perilli, il curatore del volume Ugo Magnanti. Prevista la partecipazione di Dejana Peruničić, addetto culturale dell’Ambasciata INTERVISTA ALLA POETESSA SERBA DUŠKA VRHOVAC “ALLARGANDO I CONFINI LA SOCIETA’ MODERNA RESTRINGE LE PROSPETTIVE” a cura di Giorgio Linguaglossa con alcune Poesie di Duška Vrhovac, Traduzione dal serbo: Isabella Meloncelli e Cvijeta Jakšić

Duska Vrhovac Typewriters

Duska Vrhovac Typewriters

Duška Vrhovac, poeta, scrittrice, giornalista e traduttrice è nata nel 1947 a Banja Luka (Bagnaluca), nell’attuale Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, e si è laureata in letterature comparate e teoria dell’opera letteraria presso la Facoltà di filologia di Belgrado, dove vive e lavora come scrittrice e giornalista indipendente, dopo aver lavorato per molti anni presso la Televisione di Belgrado (Radiotelevisione della Serbia).

Con 20 libri di poesia pubblicati, alcuni dei quali tradotti in 20 lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco, russo, arabo, cinese, rumeno, olandese, polacco, turco, macedone, armeno, albanese, sloveno, greco, ungherese, bulgaro, azero), è fra i più significativi autori contemporanei di Serbia e non solo. Presente in giornali, riviste letterarie, e antologie di valore assoluto, ha partecipato a numerosi incontri, festival e manifestazioni letterarie, in Serbia e all’estero.

È autrice di tre volumi di racconti per bambini e per la famiglia dal titolo Srećna kuća (La casa felice) e anche ha pubblicato sei libri in traduzione serba: due libri di prosa e quattro libri di poesia. Membro, fra l’altro, dell’Associazione degli scrittori della Serbia, e dell’Associazione dei traduttori di letteratura della Serbia, è attuale vicepresidente per Europa del Movimento Poeti del Mondo e ambasciatore in Serbia. Ha ricevuto premi e riconoscimenti importanti per la poesia, tra cui:

Majska nagrada za poeziju – Maggio premio per la poesia – 1966, Yugoslavia;
Pesničko uspenije – Ascensione di Poesia – 2007, Serbia;
Premio Gensini – Sezione Poesia 2011, Italia;
Naji Naaman’s literary prize for complete works – Premio alla carriera – 2015, Libano e il Distintivo aureo assegnato dal massimo Ente per la Cultura e l’Istruzione della Repubblica di Serbia.
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia:
San po san (Sogno dopo sogno), (Nova knjiga, Beograd 1986)
S dušom u telu (Con l’anima nel corpo), (Novo delo, Beograd 1987)
Godine bez leta (Anni senza estate) (Književne novine i Grafos, Beograd 1988)
Glas na pragu (Una voce alla soglia), (Grafos, Beograd 1990)
I Wear My Shadow Inside Me (Forest Books, London 1991)
S obe strane Drine (Sulle due rive della Drina), (Zadužbina Petar Kočić, Banja Luka 1995)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua), (Srempublik, Beograd 1996)
Blagoslov – stošest pesama o ljubavi (Benedizione, centosei poesie d’amore), (Metalograf, Trstenik 1996)
Knjiga koja govori (Il libro che racconta), (Dragoslav Simić, Beograd 1996)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua) edizione ampliata, (Srempublik, Beograd 1997)
Izabrane i nove pesme (Le poesie scelte e nuove), (Prosveta, Beograd 2002)
Zalog (Il pegno), (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Zalog (Il pegno), edizione bibliofilo (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Operacija na otvorenom srcu (L’ operazione a cuore aperto), (Alma, Beograd 2006)
Za sve je kriv pesnik (La colpa è di poeta), (elektronsko izdanje 2007)
Moja Desanka (Lа mia Desanka), (Udruženje za planiranje porodice i razvoj stanovništva Srbije, Beograd 2008)
Postoje ljudi (Ci sono persone), edizione dell’autore (Belgrado 2009)
Urođene slike / Immagini innati (edizione bilingue), (Smederevo, 2010)
Pesme 9×5=17 Poems (poesie scelte in 9 lingue), (Beograd 2011)
Savrseno ogledalo (Lo specchio perfetto), (Prosveta, Beograd 2013)
Quanto non sta nel fiato, poesie scelte, (FusibiliaLibri 2014)

Duska Vrhovac Allen Ginsberg Belgrado

Duska Vrhovac Allen Ginsberg Belgrado

1) Domanda: Cara Duška Vrhovac, riprendiamo il filo del discorso. Ti porrò alcune domande sulla tua poesia e, in generale, sulla poesia che si fa in Europa; credo che per un lettore italiano sia interessante il pensiero di una poetessa serba che ha vissuto a lungo in Italia. Qual è stata, a tuo avviso, l’influenza della rivoluzione mediatica sulla tua poesia? Intendo dire che nell’ultimo decennio del Novecento si è avvertita, almeno qui in Italia, una certa stanchezza di idee e di proposte, la poesia europea sembrerebbe essersi stabilizzata al livello della poesia del privato, del quotidiano, del corpo, della cronaca, della protesta, del ritorno all’elegia, insomma, sulla misura della Crisi della Ragione Poetica. Però, paradossalmente, proprio questa Crisi ha provocato in questi ultimi anni il risveglio della poesia e una nuova fioritura di poesia. In tal senso, sarei propenso ad inquadrare anche la tua Antologia “Quanto non sta nel fiato” edito in Italia da Fusibilialibri nel 2015. Che poi è lo stesso discorso che tu porti avanti con la tua poesia quando scrivi:

Gli esegeti dei movimenti d’arte odierni,
di quelli poetici in particolare,
hanno già detto che la poesia è tutto,
performance, gioco per gioco,
e multimedialità da gradire molto.
La poesia è di per sé già tentativo
che l’uomo, di cui tutto è stato detto,
abbia lui stesso a dire qualcosa,
di sé naturalmente.
Non è forse questo il tempo ideale per la poesia?

Duska Vrhovac Sobe strane Drine (Sulle due rive della Drina), (Zadužbina Petar Kočić, Banja Luka 1995)

Duska Vrhovac Sobe strane Drine (Sulle due rive della Drina), (Zadužbina Petar Kočić, Banja Luka 1995)

Risposta: ALLARGANDO I CONFINI LA SOCIETA’ MODERNA RESTRINGE LE PROSPETTIVE

Il mondo è globalizzato ed il diavolo ha già fatto la maggior parte del suo lavoro, questo è sicuro. Ma è anche sicuro che da quando il mondo è mondo il bene sopprime il male e dopo la pioggia comunque viene il sole. Per quanto sembri out, è quello che, malgrado tutti gli evidenti motivi di pessimismo, continua a spronare l’ottimismo insito, benché ce ne siano pochi di motivi. La cosa peggiore sta sicuramente nel fatto che la nostra società moderna purtroppo restringe le prospettive mentre sta allargando i confini. Paradossale, ma è proprio così.

La comunicazione oggi, in qualsiasi settore si svolga, per essere visibile ed efficiente richiede la provocazione. Vuol dire che sono passati i tempi del lento e quieto rialzare della coscienza e che per qualsiasi tipo di successo ci vuole un’azione veloce ed efficace i cui effetti saranno immediati. È però difficilissimo evitarne le conseguenze negative nella cultura, nell’arte, nella letteratura ed in particolare nella poesia, a proposito della quale si parla degli stessi problemi nelle varie parti del mondo. Sta morendo oppure si trova sul punto zero e cerca un nuovo inizio? È sprofondata indecentemente in basso invece di salire sempre più in alto? Come liberare la poesia (da che cosa)?

In sostanza, tutte le risposte si potrebbero ridurre in poche frasi. Come sempre, la poesia anche oggi nasce in date circostanze, nella realtà politica, ideologica, sociale e culturale del proprio tempo ed è soggetta a tutte le sue malattie. Perciò, possiamo dire che la crisi della scrittura non esiste da nessuna parte e che il problema è piuttosto l’iperproduzione e la mancanza di criteri di valore, che già da un bel po’ vengono stabiliti dai più idonei (politicamente) e dai più abili (nel senso del commercio e marketing). Inoltre, la possibilità di pubblicare è molto grande, il che favorisce l’iperproduzione e la selezione negativa, ammesso che una selezione che non sia negativa esista.

Non è neanche vero che oggi la poesia non sia letta, anche se è vero che i libri di poesia si vendono molto meno di quelli di narrativa e degli opuscoli che spiegano come diventare ricco, come essere felice, come scegliere quello/a giusto/a, come curarsi in modo veloce ed economico da malattie incurabili, e così via. Ma anche qui tutto è abbastanza chiaro, una pubblicità imponente ed un buon marketing riescono a vendere un cattivo libro di qualsiasi genere. Perché allora non vendere anche un libro di poesia? Si trascura che, comunque, un testo poetico richiede un maggiore impegno di tutti i partecipanti: scrittori, curatori, editori, marketing e, infine, l’utente. E questi sono i tempi della velocità (fast food, viaggi veloci, relazioni sbrigative, arricchimenti veloci, consumi veloci, e persino veloci arrivi ad un vuoto che poi viene riempito dalle stesse cose che l’hanno causato, dalla “merce” priva di spirito). Allora, come “imporre” la poesia? Unicamente istituendo criteri di valore, facendo una pubblicità buona ed imponente, essendo disponibili e – inevitabilmente – investendo. Il solo problema è che gli investimenti in spiritualità, e la buona poesia è necessariamente spiritualità, oggi più che mai comportano il grande rischio di non vedere mai un ritorno. Ed è un rischio che nessuno più vuole. Arriviamo così alla questione dell’atteggiamento della società e dello stato verso la cultura e verso l’arte in genere, quindi anche verso la poesia, la vera regina di tute le arti, per quanto sembri patetico dirlo. Quale Paese oggi ha una strategia culturale? I Paesi che ci tengono alla cultura ed all’arte tengono conto del futuro culturale della propria nazione, della lingua, della società in genere, hanno una strategia culturale.

Io vengo dallo spazio “buio” dell’Europa dove ad ogni generazione è garantita almeno una guerra ogni 20-40 anni; tutto il resto è incerto. E quindi la cultura è agli estremi margini. Per questa ragione anche il rapporto con la cultura era migliore in quello stato marcio e ormai distrutto, inadeguato e chiamato “comunista”, di quanto non lo sia in questo stato democratico che si sta arrampicando sugli specchi per raggiungere gli standard europei che l’Europa ha già superato, distruggendo se stessa nel senso culturale e culturologico.

Duska Vrhovac Alaetin Tahir, Fazıl Hüsnü Dağlarca Struga, Macedonia 1986

Duska Vrhovac Alaetin Tahir, Fazıl Hüsnü Dağlarca Struga, Macedonia 1986

2) Domanda: Quale è stato, a tuo avviso, il ruolo che il modernismo europeo (da Mandel’stam ed Eliot passando per Auden, Milosz, Rozewicz, Herbert, Vasko Popa, Kikuo Takano fino ai giorni nostri) ha avuto sulla tua poesia?

3) Domanda: Qual è la tua opinione sulle poetiche dello sperimentalismo che dagli anni Sessanta e Settanta ha invaso la poesia europea? Voglio dire: è stata una esperienza utile quella dello sperimentalismo europeo per la tua poesia?

4) Domanda: Piccolo popolo quello serbo, poesia grande?

Duska Vrhovac I Wear My Shadow Inside Me, Forest Books, Londra, 1991.Risposta: POPOLI PICCOLI E POESIA GRANDE

Isidora Sekulić (1877-1958), una delle donne più sagge nella storia della letteratura serba, romanziera, saggista, traduttrice, poliglotta, per educazione professoressa di matematica, scriveva delle sorti dei popoli piccoli e delle lingue piccole. Nel 1932 ha scritto anche quanto segue:

“Nei popoli piccoli, dal regnante al pastore – cantante, su ogni punto trema e si spezza qualcosa che sta tra due equilibri, uno che si perde e l’altro che si viene a creare. Nei piccoli popoli è in atto quello che la storia dell’arte chiama Rinascimento e che invece le scienze naturali chiamano molto meglio: elementi degli eventi. I popoli piccoli, infatti, sono materiale più cosmico che europeo, il quale per volontà divina può entrare in un attimo in nuovi eventi, diventare nuovo mondo; ovviamente, per volontà divina può anche essere sospinto più in profondità tra gli elementi. È un gioco sul filo di lama, è un risplendere e spegnersi in una goccia di rugiada. È la poesia del popolo piccolo, dappertutto e quindi anche nella pittura.” (Isidora Sekulić, Balkan, Plavi jahač, Beograd, 2003).

Forse tutti quelli che in qualsiasi modo si occupano dei Balcani, ed  in particolare quelli che studiano la poesia di questi territori, dovrebbero prima leggere questo saggio di Isidora. Voglio credere che leggerlo faciliterebbe la comprensione di alcune cose e renderebbe possibile cognizioni più profonde. Una di queste cognizioni probabilmente sarebbe che spesso nell’intimo di questi artisti, nel loro carattere, c’è qualcosa che tende al surreale, all’incredibile, nonché qualcosa di profondamente atavistico. Per questo motivo molti di loro credono che niente succeda per caso ma che oltre al visibile ed al comprensibile ci sono sempre significati e sequenze di eventi più profondi. Neanch’io sono un’eccezione. Quindi espongo qui un dato apparentemente poco importante sul mio popolo piccolo (che una volta era più grande ed aveva una cultura maggiore, cosa che oggi si può intuire e provare nella lingua e nella scrittura, più ricchi e più perfetti di quanto non lo sia la nostra odierna cultura). I serbi sono un popolo molto talentuoso. Rispetto al numero degli abitanti hanno dato un gran numero di artisti riconosciuti nel mondo, scrittori, pittori, poeti e scienziati. Uno di questi grandi poeti è Vasko Popa.

Duska Vrhovac, photo by Lisa Bernardini

Duska Vrhovac, photo by Lisa Bernardini

5) Domanda: Oggi tutto è ecologia. Forse anche la poesia dell’Occidente di oggi sembrerebbe rientrare nel concetto di ecologia. Qual è il tuo pensiero?

 Risposta: NON BASTA L’ALIMENTAZIONE SANA PER UNA VITA SANA

Oggi tutto è ecologia. Forse il maggior simbolismo che potrebbe riferirsi alla poesia, sebbene riguardi la sopravvivenza, sta proprio nel tentativo di coltivare alimenti sani sul suolo che ha generato Nikola Tesla, Mihajlo Pupin, il premio Nobel Ivo Andrić e tanti altri personaggi importanti, sul suolo chiamato Europa dell’est oppure Balcani occidentali, su questo suolo permanentemente inquinato da materiali tossici provenienti dalla demolizione di grandi complessi industriali e chimici e l’uso di armi con uranio impoverito durante i bombardamenti della NATO della Jugoslavia nel 1999! E noi coltiviamo questi alimenti sani. E li compriamo. E li vendiamo ai paesi che hanno preso parte ai bombardamenti, perché niente può sostituire la vita. E niente può sostituire la poesia che quindi sopravvive in tutti i tempi e sopravvivrà finché l’uomo possiede i sentimenti, finché non passa in uno stadio successivo che inevitabilmente cambierà tutto. I sentimenti precedono tuttora la ragione. La poesia sopravvivrà anche perché per la vita non è sufficiente la sola alimentazione sana.

Duska Vrhovac Chantal - Duska, ritratto di poetessa, Parigi 84

Duska Vrhovac Chantal – Duska, ritratto di poetessa, Parigi 84

6) Domanda: Un autore modernista di alto livello come Vasko Popa risulta poco tradotto in Italia. Ti chiedo: come mai?

 Risposta: A PROPOSITO DI VASKO POPA Commento di Duška Vrhovac. Traduzione dal serbo: Cvijeta Jakšić

Mentre nella mia vita ero collegata all’Italia da un’amicizia giovanile che mi ha regalato un’altra famiglia incrementando il mio amore per la cultura, l’arte ed il popolo italiano, nella mia casa di Belgrado ci sono due cose che da qualche tempo mi ricordano Roma: il libro delle mie poesie scelte in italiano, Quanto non sta nel fiato e serigrafia ritoccata a mano, del maestro Ezio Farinelli, sulla parete del mio soggiorno. Perché parlo del mio libro? Perché la nascita di quel libro mi ha arrecato molta gioia, ma anche un attimo di disagio. Fu all’Isola dei poeti Tiberina, quando mentre ne tenevo in mano commossa la seconda edizione mostrandola al pubblico, ho saputo che a Vasko Popa, il poeta sul quale avevo scritto la mia tesi agli esami di maturità, uno dei maggiori poeti serbi del Novecento, non è mai stato pubblicato un libro in italiano. Poco dopo ho letto un articolo di  Giorgio Linguaglossa che diceva che avrebbe volentieri visto la poesia di Vasco Popa edita da qualche grande casa editrice italiana. La raccomandazione mi ha fatto sentire riconoscente perché l’unico modo di conoscere un poeta è che sia tradotto e pubblicato, quindi accessibile.

Vasko Popa è senza dubbio un poeta di formato internazionale e la sua opera già durante la sua vita ha superato tutti i confini, geografici, nazionali, generazionali, ideologici e linguistici. Durante la sua vita, nonostante fosse stato pure contestato da alcuni autori, ha ottenuto gloria, riconoscimenti e premi. Il mondo gli ha dato anche di più: il poeta che ha pubblicato 8 collezioni (circa 400 poesie) ed è stato scelto in circa 30 antologie ha visto durante la vita la stampa di 54 libri con il suo nome in giro per il mondo, libri per i quali ha avuto elogi da alcuni dei poeti più riconosciuti, e voluminosi studi sulla sua poesia sono stati pubblicati in Inghilterra, Germania, Francia, gli USA.

È vero che Popa non è completamente sconosciuto al pubblico letterario italiano, anche se la prima presentazione è avvenuta appena 20 anni dopo la sua morte. Il merito della prima presentazione importante della poesia del Popa in Italia va alla rivista „In forma di parole”, che ha pubblicato un’ampia scelta di poesia con traduzione a fronte curata da Lorenzo Casson. La postfazione è firmata da Dan Octavian Cepraga, il quale rileva che si tratta davvero di un poeta di eccezionale rilievo. Una recensione molto ispirata del numero della rivista „In forma di parole” dedicato a Popa, intitolata “Il poeta-mago che cantò la liberazione dei Balcani”, è firmata da Rigoni Mario Andrea nelle pagine culturali del „Corriere della Sera“ (30 luglio 2011, pagina 53).

Credo di dover dire che questo non è sufficiente e che una pubblicazione delle poesie di Popa in italiano sarebbe sicuramente utile e farebbe la gioia del pubblico letterario italiano e degli amatori della buona poesia. Ecco alcuni fatti che lo confermano.

Duska Vrhovac Miami Airport 2008

Duska Vrhovac Miami Airport 2008

Con il suo primo libro di poesie, Kora (La corteccia), un libro caratterizzato da sintassi, contenuto e forma insoliti, Vasko Popa – insieme a Miodrag Pavlović (1928-2014) con il suo libro 87 poesie, ha creato un’importante svolta nella poesia serba dei primi anni cinquanta. Con la sua espressione poetica moderna, liberata da tutti i dogmi dell’epoca, la poesia di Popa rinnovava la freschezza poetica del mondo ed è diventata subito vicina alle generazioni giovani che influenzerà diventando non solo il precursore della poesia serba moderna ma anche il personaggio chiave della poesia contemporanea che ha segnato l’epoca definendo sicuramente le direzioni dell’ulteriore sviluppo della poesia.
L’espressione poetica di Popa è affine all’aforisma, al proverbio, è ellittica e concisa, la lingua è essenziale e lapidaria. Scrive in versi brevi senza rima e punteggiatura, versi molto vicini alla metrica della poesia popolare serba. La caratteristica della poesia di Popa è una “ricchezza linguistica e rigorosità sintattica”. Una relazione particolare, complessa ed essenziale con la tradizione, un patriottismo sano senza cariche ideologiche o nazionalistiche, ma con piena conoscenza della storia e della cultura, con la capacità di dimostrare l’insieme e la particolarità con un dettaglio, dimostrano una sua sublime capacità di tradurre tutte le cose, gli oggetti ed i fenomeni in motivi poetici. I contrasti ed i conflitti universali, tutto l’esistente, si incontrano nel suo campo del non-riposo rendendo la sua poesia filosofica e metafisica. Parco con le parole, Popa spalanca le porte ai pensieri ed ai significati. È un grande poeta anche perché la sua poesia rappresenta un fermo nesso tra le accezioni più larghe della tradizione e del nostro tempo. È un’opera che “per unicità di metodo e significato quasi non trova pari, un’opera che con diversi e singoli progetti, artisticamente realizzati e ritrovati nella realtà poetica … ascende verso significati universali”.

Per Vasko Popa, come ha detto lui stesso in un’intervista, “la Poesia in verità è la personificazione dell’armonia senza la quale in fin dei conti non è possibile vivere… Con la mia poesia desidero esprimere esattamente quello che ho scritto. Se sapessi esprimerlo in altro modo, probabilmente non scriverei…”

In un altro discorso, parlando di tradizione, dice: „Le nostre poesie sulla battaglia del Kosovo ed il nostro mito del Kosovo rappresentano una miniera di diamanti. Senza fine né fondo!… Io ne ho tolto solo alcuni grumi. Varrebbe la pena spendere una vita intera a portare alla luce queste preziosità…“

Quando fu pubblicata nella biblioteca eccezionale Rukom pisano (Scritto a mano – Milan Rakić, Valjevo), la sua collezione di poesie Lontano dentro di noi, scritta a mano da lui stesso, Popa scrisse nell’introduzione: „Le poesie che scrivo creano cerchi, i cerchi creano libri. Per la biblioteca. Scritto a mano dal poeta ho scelto il circolo Daleko u nama (Lontano dentro di noi).

Daleko u nama consiste di trenta poesie, il numero dei giorni di un mese. Il mese si è protratto a otto anni interi dato che le poesie sono state scritte nel periodo 1943-1951. Il ciclo di poesie Lontano dentro di noi è pubblicato nel mio primo libro La corteccia del 1953. Anche queste poesie sono dedicate a Haša…“

Haša era il primo amore di Vasko e la sua moglie fino alla fine. Si sa poco della loro vita privata.

Duska Vrhovac in the beginning is the word

Duska Vrhovac in the beginning is the word

7) Domanda: A tuo avviso, vedi un futuro per la poesia nel mondo che si sta costruendo? Quale è la linea di orientamento e di sviluppo della tua poesia?

Risposta di Duška Vrhovac

 A trovare la mia parola

Tanti poeti hanno già cantato già
come nel granello di sabbia si veda il mondo intero,
sul palmo l’infinito, nell’occhio la volta celeste
e come in un giorno ci può stare l’eternità.

Quanti hanno esaltato l’amore,
maledetto la sofferenza, la tristezza e il dolore,
descritto la morte, inferno, casa felice e paradiso,
invocato l’immortalità dell’opera e del proprio nome.

Tutto detto, visto,
intuito, tutto cantato,
nulla che non sia stato.
Allora io che ci sto a fare qui,
come la prima donna e il primo uomo,
come Dio stesso?

A dire quanto già detto?
A descrivere quanto già descritto?
A trovare la mia parola.

Cercando il titolo

Da giorni le parole mi perseguitano,
grandi, policrome e sonore,
ubique; in ciò che ho desiderato
o che non ho saputo dire,
gradevoli, aggressive,
chiare, sfuggenti,
quelle a tre facce
o del tutto comuni, ingannatrici.
Cerco di inventarmene una nuova,
per forgiarla come filo d’oro,
incandescente, ardente, tagliente, grave,
che da sola penetri memoria e senso.
inseguo e perseguo questa parola
che possa contenere tutto questo libro chiuso,
tutto questo caos e questo grido,
ma dal primo attimo,
dal primo brivido e dal primo
verso, e ancora prima.
Solo una batte in mezzo alla fronte
anzi dentro,
sporge dalle tempie,
vaga attraverso la mia insonnia,
scambia i nomi dei piatti che ordino
e delle strade che percorro,
i nomi degli amici che chiamo,
dei conoscenti che saluto mentre passo,
dei momenti preziosi di cui ho memoria,
impressi bene in mente,
dell’amante che desidero.
Ecco che lei, implacabile e brillante,
prevale su di me; si scrive da sé
e subito si accresce all’infinito,
battente come pioggia torrenziale,
come neve fatale o funerei banchi di nebbia,
fino a inondarmi tutta, a pervadermi e assorbirmi,
questa sola e unica parola, come una bandiera,
come fosse in lei tutto racchiuso: Resistenza.

Giorgio Linguaglossa Duska Vrhovac, Steven Grieco e Rita Mellace Roma giugno 2015, Isola Tiberina

Giorgio Linguaglossa Duska Vrhovac, Steven Grieco e Rita Mellace Roma giugno 2015, Isola Tiberina

Poeti

I poeti sono una banda
di presuntuosi vagabondi,
interpreti ingannevoli
del quotidiano e dell’eterno
ricercatori vani,
smodati amanti,
cacciatori di parole perdute
inseguitori di strade e mari.

I poeti sono giardinieri superbi
di intricati giardini regali,
precursori di deviazioni stellari,
messaggeri di navi affondate,
violatori di sentieri segreti,
magistrali riparatori
di Carri Grandi e Piccoli,
raccoglitori di polvere astrale.

I poeti sono ladri di visioni,
scopritori di utopie scartate,
ciarlatani di ogni specie,
degustatori di piatti avvelenati,
figli degeneri e di professione seduttori,
cavalieri che volontariamente
alla ghigliottina offrono la loro testa
eseguendo da se stessi la condanna.

I poeti sono custodi incoronati
dell’essenza risposta nella lingua,
amanti dei misteri insolubili
ammaliatori e provocatori,
sono i prediletti degli Dei,
assaggiatori di bevande portentose
e dissipatori vani
delle proprie vite.

I poeti sono gli ultimi germogli
della specie più sottile di esseri cosmici,
coltivatori di fiori bianchi interiori
e falsi creatori di mondi insostenibili.
I poeti sono interpreti dei segni perduti,
portatori di messaggi essenziali
e di avviso che la vita è inesauribile,
e l’universo un progetto mai finito.

I poeti sono lucciole sull’aia del cosmo,
conquistatori della grande fascia
di colori che fa l’arcobaleno
esecutori della musica sacra
da cui è nato l’universo.
I poeti sono invisibili interlocutori
nel silenzio sul senso e sul non senso
di tutto ciò che si vede e non si vede.
I poeti sono i miei soli veri fratelli.

da Quanto non sta nel fiato, poesie scelte, (trad. Isabella Meloncelli Viterbo, FusibiliaLibri, 2014 pp. 126 € 13)

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Archiviato in interviste, Poesia serba contemporanea

Vasko Popa (1922-1991) CINQUE POESIE Traduzione di Ibolja Cikos, Presentazione a cura di Duška Vrhovac

Vasko Popa,

Vasko Popa,

Vasko Popa è uno dei poeti più tradotti ed apprezzati della ex Jugoslavia ed anche oggi è uno dei poeti serbi più tradotti e riconosciuti nel mondo. Le sue poesie in inglese apparvero già nel 1969 curate ed introdotte da Ted Hughes (Selected Poems, Penguin Books), il quale più tardi pubblicò e scrisse l’introduzione per un’ampia scelta di poesie del Popa scritte tra il 1943 ed il 1976. Tradotto in una ventina di lingue, oltre a Hughes tra i suoi traduttori o tra quelli che ne hanno scritto troviamo, Charles Simic (inglese), Alain Bosquet (francese), Octavio Paz (spagnolo), Gun Bergman, Artur Lundkvist ed altri di rilevanza internazionale.

In Italia Popa ha avuto una qualche attenzione appena vent’anni dopo la morte, quando la rivista “In forma di parole” pubblicò un’ampia scelta di sue poesie intitolata: “Vasko Popa, Poesie”, curata e tradotta da Lorenzo Casson, con una postfazione scritta da Dan Octavian Cepraga.

Vasko Popa nasce il 29 giugno 1922 nel villaggio di Grebenac presso Bela Crkva come Vasile Popa, di origine etnica rumena. Frequenta la scuola elementare ed il liceo a Vršac. Nel 1940 iscrive la Facoltà di filosofia a Belgrado, continuando poi gli studi universitari a Bucarest e a Vienna. Durante la seconda guerra mondiale viene internato nel lager tedesco a Bečkerek, oggi Zrenjanin. Nel 1949 si laurea in lingue neolatine alla Facoltà di filosofia di Belgrado.

Pubblica le sue prime poesie nella rivista „Književne novine“ e nel giornale „Borba“.

Vasko Popa u svom domu

Vasko Popa u svom domu

La sua prima collezione di poesie, “Kora“(La corteccia) vede la luce nel 1953 a Belgrado; seguono i libri: „Nepočin polje“ (Il campo del non-riposo,1956), „Sporedno nebo“ (Cielo secondario, 1968), „Uspravna zemlja“ (La terra verticale, 1972), „Vučja so“ (Il sale dei lupi,1975), „Kuća nasred druma“ (La casa in mezzo alla strada, 1975), „Živo meso“ (La carne viva, 1975), „Rez“ (Il taglio, 1981) nonché il ciclo di poesie „Mala kutija“ (La piccola scatola, 1984), parte della collezione incompiuta „Gvozdeni sad“ (Il giardino di ferro).

Dal 1954 al 1979 lavora come redattore presso la casa editrice Nolit di Belgrado. Ha curato le antologie: “Od zlata jabuka” (Mela d’oro, 1958.), che mette in nuova luce la poetica della saggezza popolare; “Urnebesnik” (Strepitio, 1960.), il mondo dell’umorismo poetico; e Ponoćno sunce (Il sole di mezzanotte, 1962.), sulle chimere poetiche. Ha fatto traduzioni dal francese.

A Vršac, il 29 maggio 1972 costituisce il Comune letterario di Vršac (KOV) e avvia un’insolita biblioteca su cartoline intitolata “Fogliame libero”.

È stato membro dell’Accademia serba delle scienze e delle arti ed ha conseguito numerosi premi e riconoscimenti serbi, jugoslavi e mondiali. È morto a Belgrado il 5 gennaio 1991 ed è sepolto nel Viale degli emeriti al cimitero “Novo groblje”.

Autografo Vasko Popa

Autografo Vasko Popa

Dopo la sua morte è stata trovata tra le sue carte la collezione incompiuta di poesie „Gvozdeni sad“ (Il giardino di ferro), un testo incompiuto intitolato „Lepa varoš V“ (Il bel borgo di V) ed un ciclo di cinque poesie dal titolo comune “Ludi Lala” (Il “Lala” matto – dove Lala è il nomignolo che si da agli abitanti di Vojvodina). Tra le sue carte si trovano anche 19 poesie ed un libro di saggi sull’arte e artisti intitolato „Kalem“ (Bobina).

Il Comune letterario di Vršac ha pubblicato nel 2002 il libro „Rumunske i druge pesme“ Poesie rumene ed altre) dove sono apparse per la prima volta alcune poesie del Popa scritte in gioventù. La sua eredità letteraria è oggi custodita dalla biblioteca dell’Accademia serba delle scienze e delle arti.

Nel 1995 è stato istituito il premio “Vasko Popa”, per il miglior libro di poesie scritto in serbo, che viene conferito il giorno della nascita del poeta, il 29 giugno di ogni anno.

VASKO POPA - copertinaDa anni, per la verità da decenni, mi chiedevo ogni tanto, senza trovare una risposta plausibile, come mai l’ editoria italiana (compresa l’ Enciclopedia della Letteratura Garzanti, ancora nell’ edizione del 2000) ignorasse completamente un poeta del rilievo come Vasko Popa (1922-1991). Non è stato né un autore clandestino né una figura appartata, ma il poeta nazionale della Serbia, che ha anche rivestito cariche ufficiali, ad onta di un’opera che, considerata in se stessa, non solo non si accordava con i canoni del realismo socialista, ma ne rappresentava un’assoluta antitesi. Romeno della Vojvodina, Popa, che nella sua opera abbandonò presto la lingua materna per adottare quella serba, dopo aver studiato lingue e letterature romanze nelle Università di Belgrado, Vienna e Bucarest, aver partecipato alla Resistenza ed essere anche stato internato per alcuni mesi in un campo di prigionia tedesco, aveva pubblicato tra il 1953 e il 1980 otto raccolte poetiche. Già nel 1969 era apparsa in inglese una scelta introdotta da Ted Hughes ( Selected Poems , Penguin Books), a cui seguì l’anno dopo un’altra selezione tradotta da Charles Simic, compatriota di Popa ( The Little Box , The Charioteer Press). Un’ampia antologia dei versi scritti fra il 1943 e il 1976 era poi stata pubblicata, sempre con la prefazione di Hughes, nel 1978 ( Collected Poems , Carcanet New Press). Tradotto in una ventina di lingue (in francese da Alain Bosquet, in spagnolo per merito di Octavio Paz, che scrisse anche versi in suo onore), Popa in ambito italiano non ha ricevuto la minima attenzione, se si eccettua il caso di poche liriche tradotte nella rivista di Fiume «La battana» all’ inizio degli anni Settanta. È dunque un vero merito della rivista «In forma di parole» e del suo fondatore-direttore, Gianni Scalia, offrire in un recente numero monografico (pp. 292, 30) la traduzione integrale di tre raccolte poetiche di Popa: Il campo del non-riposo (1956), Terra verticale (1972), Il sale dei lupi (1975), coraggiosamente curate da Lorenzo Casson e accompagnate da un’ottima postfazione di Dan Octavian Cepraga. La scelta esemplifica una poesia che si insedia con grande potenza fantastica in un singolare continente posto fra il surreale, la storia e il mito, o il folclore popolare, serbo. L’apertura dell’orizzonte di Popa è cosmica, oltre che surreale, come denunciano immediatamente alcuni incipit: «Una testa tagliata/ Fiore tra i denti/ gira intorno alla Terra» oppure: «Un pugnale nudo e vivo/ giace sulla Via Lattea» ( Il cielo secondario , raccolta del 1968). Ma la scena poetica allestita da Popa ricorda non di rado Beckett: solo che si tratta di un Beckett risospinto e sprofondato nell’inorganico e nell’anonimo. Protagonisti non sono più esseri umani, sia pure ridotti alla condizione di fantocci o di relitti, ma frammenti smembrati di corpi – teste, occhi, lingue, braccia, ossa, fiamme, astri, pietre. Si direbbe che Popa raffiguri la condizione diagnosticata da Benn: che non esiste più l’uomo, ma vi sono soltanto i suoi sintomi. In una poesia del Campo del non-riposo due ossi colloquiano tra loro con disperata, affabulante ironia fino a negare la più lontana forma di appartenenza:

«Per noi ora è facile/ Ci siamo liberati dalla carne/ Ora faremo quel che faremo/ Dimmi qualcosa/ Vuoi essere/ la spina dorsale della folgore/ Dimmi ancora qualcosa/ Che vuoi che ti dica/ Forse l’ osso iliaco della burrasca/ Dimmi qualcos’ altro/ Altro non so/ Forse la costola dei cieli/ Noi non siamo le ossa di nessuno/ Dimmi qualcos’ altro ancora».

Autografo

Autografo

Un ciclo di liriche all’ interno della stessa raccolta narra il cuore, il sogno e l’ innamoramento del ciottolo, altro oggetto-emblema della poesia di Popa: alla fine due ciottoli, lacrime di pietra, si guardano ottusamente per riconoscersi soltanto «vittime di una beffa innocente/ una beffa insipida senza beffatore». Che cosa anima e riscatta, oltre alla serpeggiante vena ironica, questo desolato paesaggio metafisico? Il fatto che esso «si apre attraverso occhi di una semplicità infantile e di una lunatica stranezza» e che «il filosofo sofisticato è anche un primitivo, gnomico mago» (Hughes). Questo secondo aspetto si vede bene anche quando l’ oggetto della poesia di Popa diventa la storia dei Serbi, caratterizzata dalla resistenza e dalla ribellione al dominio ottomano e miticamente ricondotta alla discendenza da un dio-lupo primordiale. Se la vocazione surrealista aveva preso la via dell’ immanenza nell’ inorganico, lo sguardo storico sfocia pur sempre nel favoloso e nell’arcaico, avvolto da una medesima e trasfigurante fiamma epico-lirica: «Muovi lo sguardo verso di me/ Lupo zoppo/ E ispirami col fuoco delle fauci/ Perché io canto in tuo nome/ nella lingua ancestrale dei tigli». Come nota opportunamente Cepraga, l’opera di Popa (che non manca di rapporti né con la poesia romena, né con la ricerca di Eliade né con la scultura di Brancusi) consente di «misurare non solo la frattura che ci ha divisi, ma anche la distanza ancora da colmare per ricollocare, a pieno titolo, in un comune orizzonte intellettuale e spirituale la grande poesia dell’Europa dell’Est di questi ultimi sessant’ anni».

Vasko Popa Vizit-karta Vaska Pope

 A PROPOSITO DI VASKO POPA Commento di Duška Vrhovac. Traduzione dal serbo: Cvijeta Jakšić

 Mentre nella mia vita ero collegata all’Italia da un’amicizia giovanile che mi ha regalato un’altra famiglia incrementando il mio amore per la cultura, l’arte ed il popolo italiano, nella mia casa di Belgrado ci sono due cose che da qualche tempo mi ricordano Roma: il libro delle mie poesie scelte in italiano, Quanto non sta nel fiato e Don Chisciotte, una serigrafia ritoccata a mano, del maestro Ezio Farinelli, sulla parete del mio soggiorno. Perché parlo del mio libro? Perché la nascita di quel libro mi ha arrecato molta gioia, ma anche un attimo di disagio. Fu all’Isola dei poeti – Tiberina, quando mentre ne tenevo in mano commossa la seconda edizione mostrandola al pubblico, ho saputo che a Vasko Popa, il poeta sul quale avevo scritto la mia tesi agli esami di maturità, uno dei maggiori poeti serbi del Novecento, non è mai stato pubblicato un libro in italiano. Poco dopo ho letto un articolo di  Giorgio Linguaglossa che diceva che avrebbe volentieri visto la poesia di Vasco Popa edita da qualche grande casa editrice italiana. La raccomandazione mi ha fatto sentire riconoscente perché l’unico modo di conoscere un poeta è che sia tradotto e pubblicato, quindi accessibile.

Vasko Popa è senza dubbio un poeta di formato internazionale e la sua opera già durante la sua vita ha superato tutti i confini, geografici, nazionali, generazionali, ideologici e linguistici. Durante la sua vita, nonostante fosse stato pure contestato da alcuni autori, ha ottenuto gloria, riconoscimenti e premi. Il mondo gli ha dato anche di più: il poeta che ha pubblicato 8 collezioni (circa 400 poesie) ed è stato scelto in circa 30 antologie ha visto durante la vita la stampa di 54 libri con il suo nome in giro per il mondo, libri per i quali ha avuto elogi da alcuni dei poeti più riconosciuti, e voluminosi studi sulla sua poesia sono stati pubblicati in Inghilterra, Germania, Francia, gli USA.

Vasko Popa Dusan Simic, Ilustracije za pesme Vaska Pope

Vasko Popa Dusan Simic, Ilustracije za pesme Vaska Pope

E’ vero che Popa non è completamente sconosciuto al pubblico letterario italiano, anche se la prima presentazione è avvenuta appena 20 anni dopo la sua morte. Il merito della prima presentazione importante della poesia del Popa in Italia va alla rivista „In forma di parole”, che ha pubblicato un’ampia scelta di poesia con traduzione a fronte curata da Lorenzo Casson. La postfazione è firmata da Dan Octavian Cepraga, il quale rileva che si tratta davvero di un poeta di eccezionale rilievo. Una recensione molto ispirata del numero della rivista „In forma di parole” dedicato a Popa, intitolata “Il poeta-mago che cantò la liberazione dei Balcani”, è firmata da Rigoni Mario Andrea nelle pagine culturali del „Corriere della Sera“ (30 luglio 2011, pagina 53).

Credo di dover dire che questo non è sufficiente e che una pubblicazione delle poesie di Popa in italiano sarebbe sicuramente utile e farebbe la gioia del pubblico letterario italiano e degli amatori della buona poesia. Ecco alcuni fatti che lo confermano.

Con il suo primo libro di poesie, Kora (La corteccia), un libro caratterizzato da sintassi, contenuto e forma insoliti, Vasko Popa – insieme a Miodrag Pavlović (1928-2014) con il suo libro 87 poesie, ha creato un’importante svolta nella poesia serba dei primi anni cinquanta. Con la sua espressione poetica moderna, liberata da tutti i dogmi dell’epoca, la poesia di Popa rinnovava la freschezza poetica del mondo e diventava subito vicina alle generazioni giovani che influenzerà diventando non solo il precursore della poesia serba moderna ma anche il personaggio chiave della poesia contemporanea che ha segnato l’epoca definendo sicuramente le direzioni dell’ulteriore sviluppo della poesia.
L’espressione poetica di Popa è affine all’aforisma, il proverbio, è ellittica e concisa, la lingua è essenziale e lapidaria. Scrive in versi brevi senza rima e punteggiatura, versi molto vicini alla metrica della poesia popolare serba. La caratteristica della poesia di Popa è una “ricchezza linguistica e rigorosità sintattica”. Una relazione particolare, complessa ed essenziale con la tradizione, un patriottismo sano senza cariche ideologiche o nazionalistiche, ma con piena conoscenza della storia e della cultura, con la capacità di dimostrare l’insieme e la particolarità con un dettaglio, dimostrano una sua sublime capacità di tradurre tutte le cose, gli oggetti ed i fenomeni in motivi poetici. I contrasti ed i conflitti universali, tutto l’esistente, si incontrano nel suo campo del non-riposo rendendo la sua poesia filosofica e metafisica. Parco con le parole, Popa spalanca le porte ai pensieri ed ai significati. E’ un grande poeta anche perché la sua poesia rappresenta un fermo nesso tra le accezioni più larghe della tradizione e del nostro tempo. E’ un’opera che “per unicità di metodo e significato quasi non trova pari, un’opera che con diversi e singoli progetti, artisticamente realizzati e ritrovati nella realtà poetica … ascende verso significati universali”.

Vasko Popa Ranko Guzina, kar.Per Vasko Popa, come ha detto lui stesso in un’intervista, “la Poesia in verità è la personificazione dell’armonia senza la quale in fin dei conti non è possibile vivere… Con la mia poesia desidero esprimere esattamente quello che ho scritto. Se sapessi esprimerlo in altro modo, probabilmente non scriverei…“

In un altro discorso, parlando di tradizione, dice: „Le nostre poesie sulla battaglia del Kosovo ed il nostro mito del Kosovo rappresentano una miniera di diamanti. Senza fine né fondo!… Io ne ho tolto solo alcuni grumi. Varrebbe la pena spendere una vita intera a portare alla luce queste preziosità…“

Quando fu pubblicata nella biblioteca eccezionale Rukom pisano (Scritto a mano – Milan Rakić, Valjevo), la sua collezione di poesie Lontano dentro di noi, scritta a mano da lui stesso, Popa scrisse nell’intorduzione: „Le poesie che scrivo creano cerchi, i cerchi creano libri. Per la biblioteca Scritto a mano dal poeta ho scelto il circolo Daleko u nama (Lontano dentro di noi)Daleko u nama consiste di trenta poesie, il numero dei giorni di un mese. Il mese si è protratto a otto anni interi dato che le poesie sono state scritte nel periodo 1943-1951. Il cerchio di poesie Lontano dentro di noi è pubblicato nel mio primo libro La corteccia del 1953. Anche queste poesie sono dedicate a Haša…“. Haša era il primo amore di Vasko e la sua moglie fino alla fine. Si sa poco della loro vita privata.

il poeta serbo Vasko Popa (1922-1991), per la prima volta tradotto in italiano.

VASKO POPA: 5 POESIE

Traduzione: Ibolja Cikos
Il sogno del sasso

Dalla terra si protese una mano
Tirò in alto un sasso

Dov’è il sasso
Sulla terra non è tornato
Su in ciel’ non è arrivato

Cos’è successo al sasso
Forse l’altezza s’ha mangiato
Forse in un uccello s’è trasformato

Eccolo il sasso
Rimasto testardamente in sé stesso
Ne sulla terra ne su in cielo

Ascolta se stesso
Mondo tra i mondi

*

Сан белутка (Serbo)

Рука се из земље јавила
У ваздух хитнула белутак

Где је белутак
На земљу се није вратио
На небо се није попео

Шта је с белутком
Јесу ли га висине појеле
Је ли се у птицу претворио

Ено белутка
Остао је тврдоглав у себи
Ни на небу ни на земљи

Самог себе слуша
Међу световима свет

(http://www.babelmatrix.org/works/sr/Popa,_Vasko-1922/San_belutka/it/45905-Il_sogno_del_sasso)

Vasko Popa & Hasa, London 1969, Photo by Anne Pennington

Vasko Popa & Hasa, London 1969, Photo by Anne Pennington

Due sassi

Si guardano apatico
Si guardano i due sassi
Due confetti ieri
Sulla lingua dell’eternità

Oggi due lacrime di pietra
Sulle ciglia dell’ignoto

Domani due mosche sabbia
Nelle orecchie della sordità
Domani due fossette allegre
Sulle guance del giorno

Due vittime di un piccolo scherzo
Scherzo insipido senza burlone

Si guardano apatico
Si guardano con le natiche fredde
Parlano dal ventre
Parlano al vento

*

Два белутка (Serbo)

Гледају се тупо
Гледају се два белутка
Две бонбоне јуче
На језику вечности

Две камене сузе данас
На трепавици незнани

Две муве песка сутра
У ушима глухоте
Две веселе јамице сутра
На образима дана

Две жртве једне ситне шале
Неслане шале без шаљивца

Гледају се тупо
Сапима се хладним гледају
Говоре из трбуха
Говоре у ветар

(http://www.babelmatrix.org/works/sr/Popa%2C_Vasko-1922/Dva_belutka/it)

Vasko Popa,

Vasko Popa,

La nostra giornata è una mela verde

La nostra giornata è una mela verde
Tagliata in due

Ti guardo
Tu non mi vedi
Tra di noi il sole cieco

Sulla gradinata
Il nostro abbraccio stracciato

Mi chiami
Io non ti sento
Tra di noi v’è l’aria sorda

Nelle vetrine
Le mie labbra
Cercano il tuo sorriso

Sul crocevia
Il nostro bacio calpestato

Ti ho dato la mano
Ma tu neanche la senti
Ti ha abbracciato il vuoto

Sulle piazze
Le tue lacrime cercano
I miei occhi

A sera la mia giornata morta
S’incontra con la tua giornata morta

Solo nel sogno
Percorriamo lo stesso paesaggio

*

Наш дан је зелена јабука (Serbo)

Наш дан је зелена јабука
На двоје пресечена

Гледам те
Ти ме не видиш
Између нас је слепо сунце

На степеницама
Загрљај наш растргнут

Зовеш ме
Ја те не чујем
Између нас је глухи ваздух

По излозима
Усне моје траже
Твој осмех

На раскрсници
Пољубац наш прегажен

Руку сам ти дао
Ти је не осећаш
Празнина те је загрлила

По трговима
Суза твоја тражи
Моје очи

Увече се дан мој мртав
С мртвим твојим даном састане

Само у сну
Истим пределом ходамо

(http://www.babelmatrix.org/works/sr/Popa%2C_Vasko-1922/Na%C5%A1_dan_je_zelena_jabuka/it)

Vasko Popa,

Vasko Popa,

Canta piccola scatoletta

Non permettere che ti vinca il sonno
Tutto il mondo dentro di te veglia

Nella tua vacuità quadrata
Trasformeremo la lontananza in vicinanza
E l’oblio in rimembranza

Non permettere che ti si allentino i chiodi

Attraverso il tuo buco della serratura
Guardiamo per la prima volta
I paesaggi ultraterreni

La tua chiave gireremo nella nostra bocca
E deglutiamo le lettere e i numeri
Delle tue canzoni

Non permettere che ti salti via il coperchio
Che ti si stacchi il fondo

Canta piccola scatoletta

*

Певај мала кутијо (Serbian)

Не дај да те савлада сан
Цео свет бди у теби

У твојој четвртастој празнини
Претварамо даљину у близину
Заборав у сећање

Не дај да ти попусте ексери

Кроз твоју кључаоницу
Први пут гледамо
Пределе изван света

Твој кључ окрећемо у устима
И гутамо слова и бројке
Из твоје песме

Не дај да ти одлети поклопац
Да ти отпадне дно

Певај мала кутијо

(http://www.babelmatrix.org/works/sr/Popa%2C_Vasko-1922/Pevaj_mala_kutijo/it/45903-Canta_piccola_scatoletta)

Vasko Popa,

Vasko Popa,

La storia di una storia

C’era una volta una storia
Era finita
Prima di iniziare
E iniziava
Dopo che era finita

Gli eroi entrarono in scena
Dopo la propria morte
E ne uscirono dopo
La propria nascita

Gli eroi raccontarono
Di qualche terra o di cielo
Raccontarono di tutto

Non parlarono solo di una cosa
Di cui non sapevano neppure loro
Che erano solo gli eroi della storia

Di una storia che finisce
Prima di iniziare
E che inizia
Dopo che era finita

*

Прича о једној причи (Serbo)

Била једном једна прича
Завршавала се
Пре свог почетка
И почињала
После свог завршетка

Јунаци су њени у њу улазили
После своје смрти
И из ње излазили
Пре свога рођења

Јунаци су њени говорили
О некој земљи о неком небу
Говорили су свашта

Једино нису говорили
Оно што ни сами нису знали
Да су само јунаци из приче

Из једне приче која се завршава
Пре свог почетка
И која почиње
После свог завршетка

(http://www.babelmatrix.org/works/sr/Popa%2C_Vasko-1922/Pri%C4%8Da_o_jednoj_pri%C4%8Di/it)

Duska Vrhovac

Duska Vrhovac

Duška Vrhovac, poeta, scrittrice, giornalista e traduttrice è nata nel 1947 a Banja Luka (Bagnaluca), nell’attuale Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, e si è laureata in letterature comparate e teoria dell’opera letteraria presso la Facoltà di filologia di Belgrado, dove vive e lavora come scrittrice e giornalista indipendente, dopo aver lavorato per molti anni presso la Televisione di Belgrado (Radiotelevisione della Serbia).

Con 20 libri di poesia pubblicati, alcuni dei quali tradotti in 20 lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco, russo, arabo, cinese, rumeno, olandese, polacco, turco, macedone, armeno, albanese, sloveno, greco, ungherese, bulgaro, azero), è fra i più significativi autori contemporanei di Serbia e non solo. Presente in giornali, riviste letterarie, e antologie di valore assoluto, ha partecipato a numerosi incontri, festival e manifestazioni letterarie, in Serbia e all’estero.

È autrice di tre volumi di racconti per bambini e per la famiglia dal titolo Srećna kuća (La casa felice) e anche ha pubblicato sei libri in traduzione serba: due libri di prosa e quattro libri di poesia. Membro, fra l’altro, dell’Associazione degli scrittori della Serbia, e dell’Associazione dei traduttori di letteratura della Serbia, è attuale vicepresidente per Europa del Movimento Poeti del Mondo e ambasciatore in Serbia. Ha ricevuto premi e riconoscimenti importanti per la poesia, tra cui:

Majska nagrada za poeziju – Maggio premio per la poesia – 1966, Yugoslavia;
Pesničko uspenije – Ascensione di Poesia – 2007, Serbia;
Premio Gensini – Sezione Poesia 2011, Italia;
Naji Naaman’s literary prize for complete works – Premio alla carriera – 2015, Libano e il Distintivo aureo assegnato dal massimo Ente per la Cultura e l’Istruzione della Repubblica di Serbia.

Ha pubblicato i seguenti libri di poesia:

San po san (Sogno dopo sogno), (Nova knjiga, Beograd 1986)
S dušom u telu (Con l’anima nel corpo), (Novo delo, Beograd 1987)
Godine bez leta (Anni senza estate) (Književne novine i Grafos, Beograd 1988)
Glas na pragu (Una voce alla soglia), (Grafos, Beograd 1990)
I Wear My Shadow Inside Me (Forest Books, London 1991)
S obe strane Drine (Sulle due rive della Drina), (Zadužbina Petar Kočić, Banja Luka 1995)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua), (Srempublik, Beograd 1996)
em>Blagoslov – stošest pesama o ljubavi (Benedizione, centosei poesie d’amore), (Metalograf, Trstenik 1996)
Knjiga koja govori (Il libro che racconta), (Dragoslav Simić, Beograd 1996)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua) edizione ampliata, (Srempublik, Beograd 1997)
Izabrane i nove pesme (Le poesie scelte e nuove), (Prosveta, Beograd 2002)
Zalog (Il pegno), (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Zalog (Il pegno), edizione bibliofilo (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Operacija na otvorenom srcu (L’ operazione a cuore aperto), (Alma, Beograd 2006)
Za sve je kriv pesnik (La colpa è di poeta), (elektronsko izdanje 2007)
Moja Desanka (Lа mia Desanka), (Udruženje za planiranje porodice i razvoj stanovništva Srbije, Beograd 2008)
Postoje ljudi (Ci sono persone), edizione dell’autore (Belgrado 2009)
Urođene slike / Immagini innati (edizione bilingue), (Smederevo, 2010)
Pesme 9×5=17 Poems (poesie scelte in 9 lingue), (Beograd 2011)
Savrseno ogledalo (Lo specchio perfetto), (Prosveta, Beograd 2013)
Quanto non sta nel fiato, poesie scelte, (FusibiliaLibri 2014)

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TRE POESIE – TRADUZIONI IN LINGUA SERBA di MILAN KOMNENIĆ (1940-2015) di EUGENIO MONTALE, GIUSEPPE UNGARETTI e CESARE PAVESE – a cura di Duška Vrhovac

Milan Komnenic Cesare Pavese

Quando un poeta muore,
La morte dissolve la nebbia dai suoi versi. (Ljubomir Simović)

A Belgrado, si è spento di recente, il 24 luglio, il poeta e traduttore Milan Komnenić. La commemorazione si è svolta nell’aula dell’Assemblea della città di Belgrado (dell’Assemblea cittadina di Belgrado), in presenza degli amici, della famiglia e dei colleghi dell’Associazione degli scrittori della Serbia, e la tumulazione è avvenuta nel Nuovo cimitero di Belgrado, nel Viale dei cittadini illustri. Alla notizia della morte di Milan Komnenovic, l’attuale ministro della cultura ha indirizzato alla famiglia di Milan Komnenić un telegramma di condoglianze in cui si dice: “Ricorderemo Komnenić come eminente poeta, traduttore, e redattore, per lunghi anni, di riviste letterarie e, a suo tempo, anche ministro della cultura, che  con la sua poesia, i saggi, il lavoro nel campo dell’editoria e l’impegno politico si è dedicato a trovare le risposte ai complessi interrogativi del destino storico del popolo. Inoltre considerevole è stato il suo contributo alla collaborazione internazionale nel campo della letteratura mediante un copioso lavoro di redattore e traduttore. Ora ci accomiatiamo da un uomo che con la sua attività ha contribuito in modo rilevante alla cultura serba e alla trasformazione democratica della società.” Tuttavia, anche se Komnenić ha svolto in due occasioni alte funzioni pubbliche, prima come segretario di stato per l’informazione e la cultura e poi anche come ministro della cultura, nessuno dei funzionari di stato ha partecipato né alla sua commemorazione né alle sue esequie funebri, che non hanno visto neppure la presenza di colleghi preposti al Movimento serbo di rinnovamento, partito di cui egli era stato cofondatore. La morte ha confermato che il poeta e traduttore, in questo caso, hanno prevalso sul politico.

Milan Komnenić

Milan Komnenić

Milan Komnenić era nato l’8 novembre 1940 a Pilatovac (Bileća) in Montenegro. Studente e laureato della Facoltà di Filologia di Belgrado, redattore della casa editrice „Prosveta“, nel cui ambito ha dato vita a tre edizioni di prestigio: „Erotikon“, „Prosveta“ e „ Hispanoamerički roman“/ “Il romanzo latinoamericano“/, ha redatto anche le riviste letterarie „Vidici“, „Delo“ e „Relations“; inoltre ha tenuto lezioni presso università di Francia, Italia e USA.

Alla produzione letteraria Komnenić cominciò a dedicarsi nel 1960. Ci ha lasciato un’opera ampia e varia: 21 raccolte di poesie, quattro libri di saggi, sei tra antologie e miscellanee, tre monografie, duecento tra articoli e testi specialistici, pubblicati in periodici di tutto il mondo. È stato insignito del riconoscimento per il sommo contributo dato alla cultura della Repubblica di Serbia e rimane destinatario di prestigiosi premi letterari per la poesia e per la traduzione.

Milan Komnenić, come traduttore, è stato instancabile. Ha tradotto  cinquanta libri dall’ italiano, dal francese, dallo spagnolo e dal tedesco. Con queste sue traduzioni egli ha fatto conoscere alla giovane generazione i poeti italiani Ungaretti, Montale e Pavese, pubblicandone le opere presso  rinomati editori della Jugoslavia. Nel 1975, per i tipi dell’allora grande casa editrice BIGZ, Komnenić ha curato e tradotto la raccolta di Ungaretti, Sentimento del tempo, per cui ha scritto la prefazione e le note. Nel 1977, la casa editrice Rad (Belgrado) nella sua edizione „Reč i misao“ /“Parola e pensiero“/ pubblicò la sua traduzione della raccolta Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese, mentre nel 1982 sarà ancora una volta l’editrice BIGZ a pubblicare Ossi di seppia di Eugenio Montale nella traduzione di Komnenić.

In omaggio al poeta e traduttore Milan Komnenić e ai suoi prediletti autori italiani riportiamo, nell’originale e nella traduzione, una poesia di ciascuno di questi tre libri.

 Milan Komnenic Eugenio Montale

Giuseppe Ungaretti, Sentimento del tempo

Selezione, traduzioni, note e prefazione di Milan Komnenić
Đuzepe Ungareti, Osećanje vremena, BIGZ, Beograd, 1975.
Izbor, prevod, predgovor.i napomene Milan Komnenić

L’Isola

A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte, scese,
E s’inoltrò
E lo richiamò rumore di penne
Ch’erasi sciolto dallo stridulo
Batticuore dell’acqua torrida,
E una larva (languiva
E rifioriva) vide;
Ritornato a salire vide
Ch’era una ninfa e dormiva
Ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
Errando, giunse a un prato ove
L’ombra negli occhi s’addensava
Delle vergini come
Sera appié degli ulivi;
Distillavano i rami
Una pioggia pigra di dardi,
Qua pecore s’erano appisolate
Sotto il liscio tepore,
Altre brucavano
La coltre luminosa;
Le mani del pastore erano un vetro
Levigato da fioca febbre.

Ostrvo
Na obalu gde vajkadašnje beše veče
Onih pradrevnih šuma, siđe
I ukaza se
Prizva ga lepet krila
Što se ote trpkom damaranju
Uzavrele vode,
I priviđenje (što je čilelo
I opet živelo) spazi;
Smotri, krenuvši naviše,
Da to beše nimfa i da je spila
Uspravna grleći brest.

Lutajući u sebi
Od privida do žežena plamena
Stiže na livadu
Gde se senka gusnula
U očima devica
Kao veče u maslinjaku;
Grane su cedile
Lenju kišu strela,
A ovce su dremale
U slatkastoj mlitavosti,
Druge su pasle
Svetli pokrovac;
Ruke pastira behu staklo
Brušeno potajnom groznicom.

***

 Milan Komnenic

Milan Komnenic

Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Selezione e traduzioni di Milan Komnenić
Česare Paveze, Doći će smrt i imaće tvoje oči
izbor i prevod Milan Komnenić, Beograd, Rad 1977

.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
(22 marzo ’50)

.
Doći će smrt i imaće tvoje oči

.
Doći će smrt i imaće tvoje oči-
ta smrt što nas saleće
od jutra do večeri,besana
i gluva,kao stara griža savesti
ili besmislena mana. Tvoje oči
biće uzaludna reč,
prigušen krik, muk.
Vidiš ih tako svakog jutra
kada se nadnosiš nad sobom u ogledalu.
O draga nado,
toga dana i mi ćemo znati
da jesi život i ništavilo.
Za svakoga smrt ima pogled.
Doći će smrt i imaće tvoje oči.
Biće poput ispravljanja mane,
kao zurenje u ogledalo
iz koga izranja mrtvo lice,
kao slušanje zatvorenih usta.
Sići ćemo u bezdane nemi.

Preveo Milan Komnenić
*
Milan Komnenic Giuseppe Ubgaretti

Eugenio Montale, Ossi di seppia
Traduzione da italiano di Milan Komnenić
Euđenio Montale, Sipine kosti, BIGZ, Beograd, 1982.

Preveo sa italijanskog Milan Komnenić

Corno inglese

.
ll vento che stasera suona attento –
ricorda un forte scotere di lame –
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l’orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D’alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell’ora che lenta s’annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.

 
 Engleski rog

Vetar što večeras smotreno svira
– nalikuje silnom lepetu limarije –
na instrumentu gustog borja
i mete bakarna obzorja
kuda se rojta svetlosti vije
poput zmajeva u ječećim nebesima
(Oblaci promiču, vedra
kraljevstva nebesna! Visokih Eldorada
kapije odškrinute!)
i more što, krljušt po krljušt,
olovno tre
i menja boju bacajući na hridi vrtloge
uzvitlane pene;
da hoće vetar, što se rađa i mre,
dok sumračja stiže čas,
zasvirati večeras
na tebi, razdešeni instrumente,
srce.

Duska Vrhovac

Duska Vrhovac

Duška Vrhovac, poeta, scrittrice, giornalista e traduttrice è nata nel 1947 a Banja Luka (Bagnaluca), nell’attuale Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, e si è laureata in letterature comparate e teoria dell’opera letteraria presso la Facoltà di filologia di Belgrado, dove vive e lavora come scrittrice e giornalista indipendente, dopo aver lavorato per molti anni presso la Televisione di Belgrado (Radiotelevisione della Serbia).
Con 20 libri di poesia pubblicati, alcuni dei quali tradotti in 20 lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco, russo, arabo, cinese, rumeno, olandese, polacco, turco, macedone, armeno, albanese, sloveno, greco, ungherese, bulgaro, azero), è fra i più significativi autori contemporanei di Serbia e non solo. Presente in giornali, riviste letterarie, e antologie di valore assoluto, ha partecipato a numerosi incontri, festival e manifestazioni letterarie, in Serbia e all’estero.
È autrice di tre volumi di racconti per bambini e per la famiglia dal titolo Srećna kuća (La casa felice) e anche ha pubblicato sei libri in traduzione serba: due libri di prosa e quattro libri di poesia.
Membro, fra l’altro, dell’Associazione degli scrittori della Serbia, e dell’Associazione dei traduttori di letteratura della Serbia, è attuale vicepresidente per Europa del Movimento Poeti del Mondo e ambasciatore in Serbia. Ha ricevuto premi e riconoscimenti importanti per la poesia, tra cui:
Majska nagrada za poeziju – Maggio premio per la poesia – 1966, Yugoslavia;
Pesničko uspenije – Ascensione di Poesia – 2007, Serbia;
Premio Gensini – Sezione Poesia 2011, Italia;
Naji Naaman’s literary prize for complete works – Premio alla carriera – 2015, Libano e il Distintivo aureo assegnato dal massimo Ente per la Cultura e l’Istruzione della Repubblica di Serbia.

Ha pubblicato i seguenti libri di poesia:

San po san (Sogno dopo sogno), (Nova knjiga, Beograd 1986)
S dušom u telu (Con l’anima nel corpo), (Novo delo, Beograd 1987)
Godine bez leta (Anni senza estate) (Književne novine i Grafos, Beograd 1988)
Glas na pragu (Una voce alla soglia), (Grafos, Beograd 1990)
I Wear My Shadow Inside Me (Forest Books, London 1991)
S obe strane Drine (Sulle due rive della Drina), (Zadužbina Petar Kočić, Banja Luka 1995)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua), (Srempublik, Beograd 1996)
Blagoslov – stošest pesama o ljubavi (Benedizione, centosei poesie d’amore), (Metalograf, Trstenik 1996)
Knjiga koja govori (Il libro che racconta), (Dragoslav Simić, Beograd 1996)
Žeđ na vodi (Sete sull’acqua) edizione ampliata, (Srempublik, Beograd 1997)
Izabrane i nove pesme (Le poesie scelte e nuove), (Prosveta, Beograd 2002)
Zalog (Il pegno), (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Zalog (Il pegno), edizione bibliofilo (Ljubostinja, Trstenik 2003)
Operacija na otvorenom srcu (L’ operazione a cuore aperto), (Alma, Beograd 2006)
Za sve je kriv pesnik (La colpa è di poeta), (elektronsko izdanje 2007)
Moja Desanka (Lа mia Desanka), (Udruženje za planiranje porodice i razvoj stanovništva Srbije, Beograd 2008)
Postoje ljudi (Ci sono persone), edizione dell’autore (Belgrado 2009)
Urođene slike / Immagini innati (edizione bilingue), (Smederevo, 2010)
Pesme 9×5=17 Poems (poesie scelte in 9 lingue), (Beograd 2011)
Savrseno ogledalo (Lo specchio perfetto), (Prosveta, Beograd 2013)
Quanto non sta nel fiato, poesie scelte, (FusibiliaLibri 2014)

1 Commento

Archiviato in Traduzione di poesia in serbo

  Alfonso Berardinelli “AVVISO AL FATTO: SE LA COLLANA DI POESIE MONDADORI CHIUDE È PERCHÉ NON CI SONO PIÙ POETI PUBBLICABILI”  “Se Lo Specchio chiude, insomma, qualche ragione c’è” – con un Commento di Giorgio Linguaglossa: “siamo arrivati allo stadio zero della poesia”;

la Poesia è nuda

la Poesia è nuda

da Il Foglio 15 luglio 2015

Che succede? Il Fatto quotidiano è un giornale a cui piace mettere lo stile cinico al servizio dell’etica pubblica. Quando parla di poesia, però, si intenerisce. In un articolo di Pietrangelo Buttafuoco (9 luglio 2015), che ne riprendeva uno di Alessandro Zaccuri uscito in precedenza su Avvenire, si parla di licenziamento (scandaloso?) del dirigente Antonio Riccardi dalla Mondadori, nonché della paventata chiusura della più famosa collana italiana di poesia, denominata Lo Specchio. Sì, proprio quella in cui noi liceali di mezzo secolo fa leggevamo Ungaretti, Montale, i lirici greci e Catullo tradotto da Quasimodo, e più tardi Auden e Paul Celan, Zanzotto, Giudici, Ted Hughes, Denise Levertov, Iosif Brodskij…

 Che Lo Specchio abbia avuto grandi meriti lo si sa, lo si dovrebbe sapere. Ma è anche abbastanza risaputo che da venti o trent’anni le sue scelte poetiche italiane sono molto o troppo discutibili, fino a privare la collana del suo antico prestigio.
Il titolo dato all’articolo di Buttafuoco invece che allarmare fa un po’ ridere: “Che Mondadori è se rinuncia alla poesia?”. Non è che la Mondadori rinunci ora alla poesia, ci aveva già rinunciato da tempo, infilando nella sua collana una crescente zavorra di poeti “cosiddetti”…

 No, mi sto sbagliando. Di poeti da pubblicare in Italia non ce ne sono poi molti. O meglio, ce n’è un tale mostruoso e informe numero che il difetto, ormai, non può essere imputato a questa o quella collana (anche se…!). Il difetto è nel fatto che si creino collane di poesia, dedicate, intendo, esclusivamente alla poesia. Meglio sarebbe mescolare poesia e prosa. Una volta aperta una collana di poesia bisogna poi riempirla. Con che cosa? Con quello che c’è.

 Di poeti pubblicabili, cioè leggibili (anche se poco vendibili) in Italia ce ne sono circa una dozzina, magari anche venti, o se proprio si vuole si arriva a trenta. Non c’è quindi sufficiente materia per alimentare e tenere in vita le grandi, medie e minime collane che esistono. E’ ovvio, è inevitabile che si pubblichi semplicemente quello che c’è, procedendo secondo ben noti opportunismi (tanto la critica di poesia beve tutto oppure tace): prima viene l’amico, poi l’amico dell’amico, poi quello che si mette al tuo servizio, prima ancora quello che ha potere, o quello che insiste e non demorde, quello che se non lo pubblichi si inalbera, quello che poi te la farà pagare, quello che minaccia il suicidio…

alfonso berardinelli

alfonso berardinelli

 Che la poesia non abbia mercato (se non eccezionalmente) dovrebbe essere un dato acquisito da ogni editore che conosca l’abc del suo mestiere. E’ così vero che mezzo secolo fa un poeta non ingenuo come il tedesco Enzensberger, in uno dei suoi fondamentali saggi, teorizzò la poesia come “antimerce”. Una tale teoria non era nata allora e non doveva essere presa troppo alla leggera: perché messa in mani stupide, diventa una teoria stupida. Quando Enzensberger parlò di poesia come antimerce erano anni in cui il mercato veniva visto come una bestia nera da ogni scrittore che si rispettasse e che volesse essere accolto negli esclusivi circoli di élite.

 Negli anni Sessanta ormai quella teoria aveva cominciato però a invecchiare: invece che come un fatto editoriale, la non facile vendibilità della poesia fu intesa come un programma letterario e diventò illeggibilità: poesia scritta per non essere letta, un vuoto riempito di parole. Solo che fra invendibilità e illeggibilità c’è una differenza. E’ la differenza che la neoavanguardia, per esistere come eterna provocazione, doveva fare finta di non capire. Il poeta tedesco aveva parlato di antimerce per mettere le mani avanti, ma scrisse le sue opere poetiche distinguendo bene fra il loro “valore d’uso” (possibilità di leggerle) e “valore di scambio” (vendibilità). Enzensberger in effetti è uno dei poeti europei più leggibili di fine Novecento.

Qui sorge un problema. Cosa vuol dire essere leggibili? Rimbaud e Mallarmé non è facile leggerli, ma non sono certo illeggibili. Richiedono un’intensificazione, una focalizzazione dell’atto di leggere. Chiedono di essere riletti. Invece leggere o rileggere molta poesia delle neoavanguardie è impossibile perché è inutile. Leggi e non sai che cosa c’è da leggere. Rileggi e non fai nessun passo avanti. Se nella rilettura non succede niente di nuovo e di fruttuoso, questa esperienza diventa retroattiva: dimostra che anche leggere è stato inutile.

 Accanto all’articolo di Buttafuoco, il Fatto pubblica un’intervista ad Andrea Cortellessa, il quale si occupa anche della evidente impreparazione del professor Asor Rosa in materia di letteratura attuale (vedi il suo “Scrittori e popolo / Scrittori e massa”). Questa impreparazione (oltre a moventi di cortigianeria editoriale) porta Asor Rosa a occuparsi quasi esclusivamente di autori Einaudi, casa editrice alla quale lo vediamo aggrappato da decenni con tutte le sue forze. Ma Cortellessa condivide con il professore un’idea che a me pare bizzarra, o che più precisamente è una fede: la poesia, poiché non ha mercato, sarebbe secondo loro migliore e più onesta della narrativa. Macché, non è così. E’ mediamente peggio della narrativa, proprio perché non ha mercato, non ha lettori. E un’arte senza pubblico (come la pittura) marcisce su se stessa, si autodistrugge immaginandosi libera e incontaminata. Per scrivere un romanzo o anche un mediocre romanzetto ci vuole un minimo di tecnica artigianale. Per scrivere il novanta per cento delle poesie italiane che circolano oggi, perfino antologizzate e commentate dai nuovi accademici, non ci vuole nessuna qualità, se non forse un po’ di specifica astuzia, dato che risultano essere niente e non si capisce, letteralmente non si capisce, come abbiano trovato qualcuno disposto a scriverle.

 Se Lo Specchio Mondadori chiude, insomma, qualche ragione c’è.

giorgio linguaglossa

giorgio linguaglossa, 2010

Commento di Giorgio Linguaglossa

È ovvio che condivido in pieno il giudizio di Alfonso Berardinelli, mi sembra ineccepibile. Mi sembra ineccepibile la valutazione di Berardinelli secondo il quale negli ultimi 30 anni le scelte editoriali dello Specchio siano state «quantomeno discutibili», e lo sono state, a mio avviso, perché non si è fatta più ricerca dei testi migliori, si è preferito rinunciare a ricerche lunghe e laboriose per preferire la scorciatoia della pubblicazione degli “amici” e dei sodali. Di questo passo, l’appiattimento qualitativo ha finito per deteriorare tutto il comparto della «poesia» e i lettori (intendo per lettori quei coraggiosi che acquistavano libri di poesia) si sono assottigliati fino a scomparire del tutto.

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa, 2008

Non voglio fare una facile polemica, anzi il mio cordoglio è vero e sincero, per una collana (lo Specchio) che probabilmente chiuderà per assenza di utenti, ma è pur vero che quando un manager fallisce lo si cambia, questo almeno è il metodo adottato nei sistemi a economia capitalistica, può darsi che un altro manager-poeta riesca dove il precedente aveva fallito, e quindi è naturale che la proprietà editoriale cambi strategia e uomini. E non avrei nulla da eccepire neanche se la proprietà editoriale decidesse di sopprimere la collana un tempo prestigiosa de Lo Specchio se considerasse ormai il comparto in perdita irrimediabile. Una azienda in perdita e un prodotto privo di utenti, sono una contraddizione in termini.

VERSO UN NUOVO PARADIGMA POETICO

Cambiamento di paradigma (dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza), è l’espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante.

L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn «un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, «lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica in stile ottocentesco) più o meno di moda in un dato periodo, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista (1967) di Alfredo de Palchi, invece, invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.

Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist. Dice Kuhn citando Max Planck: «Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa.”

Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.

Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.

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Archiviato in Crisi della poesia

POESIE SCELTE di Duška Vrhovac dalla Antologia “Quanto non sta nel fiato” (Fusibilialibri, 2015, pp. 126 € 13) – “Viaggi”, “Di innumerevoli domande”,Cantico di colei che è amata” e altre poesie  – Traduzione dal serbo di Isabella Meloncelli con un Commento di Giorgio Linguaglossa

 guerra

guerra

Duška Vrhovac, poeta, scrittrice, giornalista e traduttrice è nata nel 1947 a Banja Luka (Bagnaluca), nell’attuale Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, e si è laureata in letterature comparate e teoria dell’opera letteraria presso la Facoltà di filologia di Belgrado, dove vive e lavora come scrittrice e giornalista indipendente, dopo aver lavorato per molti anni presso la Televisione di Belgrado (Radiotelevisione della Serbia).

Con 20 libri di poesia pubblicati, alcuni dei quali tradotti in 20 lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco, russo, arabo, cinese, rumeno, olandese, polacco, turco, macedone, armeno, albanese, sloveno, greco, ungherese, bulgaro, azero), è fra i più significativi autori contemporanei di Serbia e non solo. Presente in giornali, riviste letterarie, e antologie di valore assoluto, ha partecipato a numerosi incontri, festival e manifestazioni letterarie, in Serbia e all’estero.

È autrice di tre volumi di racconti per bambini e per la famiglia dal titolo Srećna kuća (La casa felice) e anche ha pubblicato sei libri in traduzione serba: due libri di prosa e quattro libri di poesia. Membro, fra l’altro, dell’Associazione degli scrittori della Serbia, e dell’Associazione dei traduttori di letteratura della Serbia, è attuale vicepresidente per Europa del Movimento Poeti del Mondo e ambasciatore in Serbia. Ha ricevuto premi e riconoscimenti importanti per la poesia, tra cui:

Duska Vrhovac

Duska Vrhovac

Majska nagrada za poeziju – Maggio premio per la poesia – 1966, Yugoslavia; Pesničko uspenije – Ascensione di Poesia – 2007, Serbia; Premio Gensini – Sezione Poesia 2011, Italia; Naji Naaman’s literary prize for complete works – Premio alla carriera – 2015, Libano e il Distintivo aureo assegnato dal massimo Ente per la Cultura e l’Istruzione della Repubblica di Serbia.

Ha pubblicato i seguenti libri di poesia:

San po san (Sogno dopo sogno), (Nova knjiga, Beograd 1986); S dušom u telu (Con l’anima nel corpo), (Novo delo, Beograd 1987); Godine bez leta (Anni senza estate) (Književne novine i Grafos, Beograd 1988); Glas na pragu (Una voce alla soglia), (Grafos, Beograd 1990); I Wear My Shadow Inside Me (Forest Books, London 1991); S obe strane Drine (Sulle due rive della Drina), (Zadužbina Petar Kočić, Banja Luka 1995); Žeđ na vodi (Sete sull’acqua), (Srempublik, Beograd 1996); Blagoslov – stošest pesama o ljubavi (Benedizione, centosei poesie d’amore), (Metalograf, Trstenik 1996); Knjiga koja govori (Il libro che racconta), (Dragoslav Simić, Beograd 1996); Žeđ na vodi (Sete sull’acqua) edizione ampliata, (Srempublik, Beograd 1997); Izabrane i nove pesme (Le poesie scelte e nuove), (Prosveta, Beograd 2002); Zalog (Il pegno), (Ljubostinja, Trstenik 2003); Zalog (Il pegno), edizione bibliofilo (Ljubostinja, Trstenik 2003); Operacija na otvorenom srcu (L’ operazione a cuore aperto), (Alma, Beograd 2006); Za sve je kriv pesnik (La colpa è di poeta), (elektronsko izdanje 2007); Moja Desanka (Lа mia Desanka), (Udruženje za planiranje porodice i razvoj stanovništva Srbije, Beograd 2008); Postoje ljudi (Ci sono persone), edizione dell’autore (Belgrado 2009); Urođene slike / Immagini innati (edizione bilingue), (Smederevo, 2010); Pesme 9×5=17 Poems (poesie scelte in 9 lingue), (Beograd 2011); Savrseno ogledalo (Lo specchio perfetto), (Prosveta, Beograd 2013); Quanto non sta nel fiato, poesie scelte, (FusibiliaLibri 2014)

Herbert List

Herbert List

Commento di Giorgio Linguaglossa

 La poesia di Duška Vrhovac ha ancora il coraggio di porre domande, come quella dei grandi poeti serbi Vasko Popa e Desanka Maksimovic. È una poesia che non  ha attraversato il mare dello scetticismo e dell’ironisme come qui da noi nell’epoca del Dopo il Moderno, ma ha dovuto attraversare da presso l’onda di guerre tra popoli vicini, odi sanguinari, incomprensioni feroci, dissoluzione dell’unità statuale; ma, paradossalmente, nonostante tutte queste vicissitudini, la poesia serba ha saputo salvaguardare il proprio patrimonio di voci poetiche di grande valore e riconoscibilità, e quella di Duška Vrhovac è una di esse. Anche nella sua voce c’è  il ricordo di un domandare che, qui da noi, è stato reso obsoleto dalla intervenuta razionalizzazione del discorso poetico. Duška Vrhovac è  una poetessa figlia della Crisi della Ragione poetica del Novecento, ma alla maniera in cui può esserlo un poeta serbo, cioè della pars orientale dell’Impero occidentale. La Vrhovac cerca sempre di mantenere il contatto con la «terra», pone domande alla «terra»; la sua poesia proviene dalla «terra» e ritorna ad essa. E questo è il suo modo personale di rimanere in ascolto con la sua Lingua e la sua «terra».

Non a caso Duška Vrhovac è una poetessa serba, una autrice ad Oriente dell’Occidente e, come tale, istintivamente aliena dalla percezione della poesia che si ha in Occidente come quel tipo di discorso assertorizzato (assertorio e interlocutorio) che può interrogarsi su tutto, tranne che sulla propria costituzione di «verità», di «soggetto», di «realtà». Duška Vrhovac prende le distanze dalla derubricazione del discorso poetico a discorso minimale e superficiario intorno agli oggetti e al mondo. Il «soggetto» della Vrhovac è un operatore dell’interrogazione, potremmo dire, che tenta di problematizzare la débacle dell’ontologia poetica, del suo rango e del suo ruolo così come si è venuta a configurare nel corso del secondo Novecento e in questi ultimi anni nell’Occidente delle democrazie parlamentari. Il punto di partenza è: ma se non c’è più domanda, a che pro il domandare?; e se non c’è più il domandare, a che pro il rispondere?. Che è poi il dilemma entro il quale una certa poesia che si fa in Occidente rifiuta di porsi dicendo che intorno alla poesia si è detto tutto, che la poesia deve discorrere di altro, che è una esternalizzazione di un soggetto (altro) che si è venuto a trovare de-territorializzato, e quindi è un soggetto debole che ha a che fare con un proposizionalismo poetico altrettanto debole e via dicendo.

Che è un bel discorrere in termini di riduzione al minimo comun denominatore di ciò che è possibile dire senza l’onere di dirlo, un dire senza assumersi l’onere della relativa responsabilità estetica di ciò di cui si dice (pur senza dirlo). Che il «soggetto» della poesia di Duška Vrhovac sia un operatore dell’interrogazione penso non vi sia margine di dubbio, e che esso debba sottoporsi alla severa disciplina dell’interrogazione, anche qui penso non ci sia dubbio alcuno; un soggetto che totalizza il locutorio (non quindi un soggetto interlocutorio), un soggetto comunque forte abbastanza per riformulare le domande fondamentali alle quali il discorso poetico non può rinunciare, pena la sua perdita di credibilità e di solvibilità, è questa, credo, la posizione di partenza della poesia di Duška Vrhovac. «Di innumerevoli domande sapevo la risposta / e intuivo molte cose. / Conoscevo divisione e moltiplicazione / nel tempo e nello spazio / le parole della speranza e della dedizione», è rimasto soltanto il ricordo di una domanda dopo la débacle di tutte le risposte. Ma è pur sempre un nuovo inizio dell’interrogazione, già riprendere il filo del discorso dal ricordo di una domanda è un impegno e un imperativo, una petizione di principio e una posizione di partenza. O, come dicono alcuni, una posizione etica. La poesia di Duška Vrhovac riprende daccapo l’interrogazione dopo la caduta del Dopo il Moderno, è questo il segreto della sua forza.

 La poesia di Duška Vrhovac ha, dunque, qualcosa di arcaico, o di «ingenuo» come ben ripreso da Ugo Magnanti autore di una nitida post-fazione, ma è proprio grazie a questa sua arcaicità che la poetessa serba può formulare un discorso poetico intenso e vero, libero, che comprende il reale e il surrazionale, il quotidiano e l’empireo, che unisce la dimensione dell’estensione a quella della intensificazione, la metafora con la perifrasi, il locutorio con l’interlocutorio, la domanda e la risposta, tutto «quanto non sta nel fiato», tutto il dicibile, dunque, come risulta inequivocabile dalla prima poesia presentata, una sorta di resoconto esistenziale della condizione umana che ha conosciuto tutti i «Viaggi».

Duska Vrhovac

Duska Vrhovac

VIAGGI

Non devo più andare da nessuna parte,
tutti i viaggi possono cessare,
le fughe, le ricerche, ogni cammino.
Tutti i paesaggi
si sono trasfusi
nelle mie parole,
i fiumi confluiti nel mio sangue,
il mare l’ho bevuto
e ho preso le montagne,
addomesticati i boschi, contate le valli,
col cielo azzurro e di tempesta
ho cucito i miei abiti festosi.
Non devo più andare da nessuna parte,
tutti i viaggi possono cessare.

.
DI INNUMEREVOLI DOMANDE

a Vittoria Tagliani

Di innumerevoli domande sapevo la risposta
e intuivo molte cose.
Conoscevo divisione e moltiplicazione
nel tempo e nello spazio
le parole della speranza e della dedizione.
Il mio passo era inafferrabile
la mano calda e reale.
La voce alto canto di solista
il mattino risveglio d’ambra.
La realtà non aveva bisogno di ricordi
ne gli inganni di lucidità.
Gli anni conoscevano i loro segreti
i frutti l’epoca della maturazione.
Di ogni parola avevo un cambio
e una preghiera per la salvezza dell’anima.
E poi, improvvisamente
parola e pensiero trafitti dal lampo.
Avvenne tutt’altra visione
cadde il frutto maturo
rotolando giù dal palmo.
Ora sto a meta di una storia incompiuta
e di tutto ho sempre meno,
in più solo domande.

Duska Vrhovac Cop

FAME

La mia fame l’ho sempre sostenuta
l’ho cresciuta con le mie cure
dandole bacche infernali
e quei piccoli frutti enigmatici
per cui si dorme male.
Cosi con la fame
s’accese pure l’insonnia
e queste due fatalità benedette
mi resero abbastanza forte.
Ho percepito giochi dimenticati
melodie perdute
parole sottese
e quel parlare d’altre sponde.
Mi forgiai sull’orma,
quadro incorniciato nei tratti
della mia stessa ombra.
Ora la mia fame e cosi insaziabile
che non la sento più
e la notte cosi interminabile
che lungo sonno, mi pare, quest’insonnia.

.
VENTITRE FEBBRAIO SETTANTASETTE

Inatteso
come un segreto
o una vendetta
per tutta la notte qualcuno
ha martoriato la mia anima
fredda la mano
ruggine il palmo
gli occhi vuoti
non terreni
come se non intuisse
che non sono morta abbastanza:
non lo sono
e non penso
di aprire gli occhi umidi
anche se e buio
e non si vede
ne quello che sono
ne quello che non sono.

Duska Vrhovac, Giorgio Linguaglossa e Steven Grieco Roma, 25 giugno 2015 Isola Tiberina

Duska Vrhovac, Giorgio Linguaglossa e Steven Grieco Roma, 25 giugno 2015 Isola Tiberina

PENSANDO A TE

Puoi tornare.
Nulla e più come prima.
Diversa l’aria e diversa la foglia
diversamente splende il sole.
Nemmeno l’usignolo canta la stessa canzone
anche se mi sveglio ancora
pensando a te.
Ancora tremo al ricordo
e mi viene di correrti incontro
e di allargarti le braccia.
Mentre leggo il giornale
e bevo la mia limonata pomeridiana
a volte ancora d’impeto mi alzo,
mi avvio leggera verso la finestra
e poi mi fermo.
E cosi rimango a lungo.
Ma puoi tornare, davvero
nulla è più come prima.

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CANTICO DI COLEI CHE È AMATA

Io sono la Regina della primavera.
Il mio abito e bianco e rosso,
cosparso di fiori disparati,
l’anima mite, serena e calda,
pronta a concepire una farfalla in volo,
una musica inebriante di corde non viste
e una vita che è eterna perche dura un giorno.

Mi portarono per la città a braccia aperte,
m’introdussero nella chiesa ricca di violette,
azzurre come la provvidenza,
splendenti come pupille di un bambino;
mi dissetarono col primo latte di tarassaco,
con rugiada attinta alle foglie delle più rare piante,
e mi incantarono la voce col suono di flauti magici.

Il mio piede avanza sopra la via lattea,
le mie mani intessono il chiaro di luna,
i miei fianchi li ha sfiorati solo
il Grande Figlio della Grande Madre,
colui che attraverso i campi del mio sogno
cavalcava Pegaso, ed era più forte
del tuono, e di ogni arma umana.

Le mie mammelle sono due fonti di vita.
Cibo per figlie e figli, dono Divino.
Solo uno sguardo sotto il velo
apre l’altra via, lunare.
Chi avanza per questa via, una volta sola,
sa che il mio letto e benedetto,
il lenzuolo ricamato con mano prodigiosa,
il suo guanciale e riposo per il giorno del giudizio.

Il mio grembo è ampio e caldo.
Profuma di forza e sudditanza,
ma solo al mio Signore dell’anima e del cuore.
C’è un’altalena inondata di sole,
primo approdo e culla ai miei figli,
ai figli dei miei figli e dei miei figli figli e figli.
Rifugio, prima e dopo tutte le battaglie.

Nel mio seno più rapido batteva il Cuore di Lui.
Sul mio petto il sorriso e spilla scintillante.
Quando attraverso la strada abbagliante e luminosa,
mi lascio dietro una traccia, una scia, sorriso di bambino.
Io taccio, ma tutti sanno e vedono, e con la preghiera
si fanno strada verso questa fonte, dove l’arcobaleno
sparge su di me una colorata pioggia primaverile.

Io sono la Figlia più amata del Dio della Soglia Domestica.
Nessuno se ne è andato via da me, ma sono venuti
tutti quelli che il sogno falso ha ingannato.
Dalla mia finestra la luce illumina la via
e il mio portone introduce nella Santa Rocca dei Primordi.

Le figlie di Gerusalemme non conoscevano ciò che so io.
Il mio amato non è venuto a chiedere
la mia mano, ma a costruire un Tempio in me.
Per pregare Dio e accendere il Focolare col mio estro.
Per avere luce dal mio occhio, e dalla mia anima splendore,
poiché nel mio seno e nel mio grembo
dimorano i suoi sogni, la sua forza,
e la fonte segreta di sua perenne giovinezza.

Duska Vrhovac, Giorgio Linguaglossa, Carlo Bordini e Steven Grieco Roma, 25 giugno 2015 p.za Del Drago Al Ponentino

Duska Vrhovac, Giorgio Linguaglossa, Carlo Bordini e Steven Grieco Roma, 25 giugno 2015 p.za Del Drago Al Ponentino

POETI

I poeti sono una banda
di presuntuosi vagabondi,
interpreti ingannevoli
del quotidiano e dell’eterno
ricercatori vani,
smodati amanti,
cacciatori di parole perdute
inseguitori di strade e mari.

I poeti sono giardinieri superbi
di intricati giardini regali,
precursori di deviazioni stellari,
messaggeri di navi affondate,
violatori di sentieri segreti,
magistrali riparatori
di Carri Grandi e Piccoli,
raccoglitori di polvere astrale.

I poeti sono ladri di visioni,
scopritori di utopie scartate,
ciarlatani di ogni specie,
degustatori di piatti avvelenati,
figli degeneri e di professione seduttori,
cavalieri che volontariamente
alla ghigliottina offrono la loro testa
eseguendo da se stessi la condanna.

I poeti sono custodi incoronati
dell’essenza risposta nella lingua,
amanti dei misteri insolubili
ammaliatori e provocatori,
sono i prediletti degli Dei,
assaggiatori di bevande portentose
e dissipatori vani
delle proprie vite.

I poeti sono gli ultimi germogli
della specie più sottile di esseri cosmici,
coltivatori di fiori bianchi interiori
e falsi creatori di mondi insostenibili.
I poeti sono interpreti dei segni perduti,
portatori di messaggi essenziali
e di avviso che la vita e inesauribile,
e l’universo un progetto mai finito.

I poeti sono lucciole sull’aia del cosmo,
conquistatori della grande fascia
di colori che fa l’arcobaleno
esecutori della musica sacra
da cui e nato l’universo.
I poeti sono invisibili interlocutori
nel silenzio sul senso e sul non senso
di tutto ciò che si vede e non si vede.
I poeti sono i miei soli veri fratelli.

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