
Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, acrilico 50×50 su tavola, 2020 – Guardando questo quadro mi è venuta in mente l’idea che si tratti dell’istante del collasso della struttura dissipativa, il momento in cui l’equilibrio termodinamico si incrina e si determina un punto di frattura, una linea di depressione termodinamica del nostro ecosistema. Il vaso di Pandora della nostra civiltà è stato infranto inavvertitamente, ed ora siamo tutti in pericolo di vita, rinchiusi in quarantena. Non sappiamo quanto durerà, non sappiamo chi sopravvivrà.È una situazione esistenziale a cui non eravamo preparati, ma che la Krisis ci fosse e che fosse ad un punto molto avanzato la NOE lo indicava da tempo. Ciò che non può essere detto in parole lo si può però raffigurare con la pittura.
josif-brodskij La guerra di Troia è finita Chi ha vinto non ricordo
Iosif Brodskij
Odisseo a Telemaco
Telemaco mio,
la guerra di Troia è finita.
Chi ha vinto non ricordo.
Probabilmente i greci: tanti morti
fuori di casa sanno spargere
i greci solamente. Ma la strada
di casa è risultata troppo lunga.
Dilatava lo spazio Poseidone
mentre laggiù noi perdevamo il tempo.
Non so dove mi trovo, ho innanzi un’isola
brutta, baracche, arbusti, porci e un parco
trasandato e dei sassi e una regina.
Le isole, se viaggi tanto a lungo,
si somigliano tutte, mio Telemaco:
si svia il cervello, contando le onde,
lacrima l’occhio – l’orizzonte è un bruscolo -,
la carne acquatica tura l’udito.
Com’è finita la guerra di Troia
io non so più e non so più la tua età.
Cresci Telemaco. Solo gli Dei
sanno se mai ci rivedremo ancora.
Ma certo non sei più quel pargoletto
davanti al quale io trattenni i buoi.
Vivremmo insieme, senza Palamede.
Ma forse ha fatto bene: senza me
dai tormenti di Edipo tu sei libero,
e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.
(1972, traduzione di Giovanni Buttafava, versione in distici di g.l.)
caro Gino Rago,
colgo in questa straordinaria poesia di Brodskij lo spirito e la consapevolezza di un esule dalla grande patria, un quasi disertore, uno di coloro che si sono ritirati, che non hanno preso parte alla guerra, alla prima grande guerra imperialistica della storia dell’Occidente. E’ una riflessione di altissima profondità e attualità, con quell’accenno al figlio Telemaco liberato dal complesso di Edipo e dalla paura di Edipo. Edipo in quanto responsabile di tutte le guerre. Il padre. Il totem. L’Odisseo di Brodskij ha imparato tanto dalla guerra: che lui è soltanto un figlio di quella cultura che lo ha formato e prodotto. Che siamo tutti figli di quella cultura, nel bene e nel male, che non c’è via di scampo, che non puoi uscire dalla cultura che tu respiri e dalla lingua che parli. L’Odisseo di Brodskij è giunto in prossimità del nichilismo, e del relativismo, anzi, ha attraversato il nichilismo, come soltanto una guerra, un grande bagno di sangue ti può concedere di esperire.
Io leggerei questa poesia-chiave nel segno della nostra cultura di oggi, giunti al Tramonto dell’Occidente, ci volgiamo all’indietro a considerare i nostri progenitori: In primis Odisseo, il nostro progenitore, l’astuto inventore del terribile tranello che porrà fine alla guerra: quel cavallo di Troia, congegno simile alla bomba atomica, per quell’epoca. Brodskij legge, in questa formidabile poesia, la storia a ritroso dal punto di vista di un uomo giunto alla soglia del Tramonto dell’Occidente, un uomo che si rivolge al figlio, che nel frattempo sarà cresciuto e sarà diventato un altro uomo. Questo Odisseo problematico di Brodskij è una poesia-totem, una poesia delle poesie. Una poesia che chiude il ciclo di una civiltà. E chi non lo capisce, mi chiedo che cosa potrà capire mai di questa poesia, così desolatamente profonda e sconfinata. Brodskij non accusa Odisseo, anzi, lo assolve. Come Odisseo libera il giovane Telemaco dalla paura del padre-totem. Così sarà libero, libero di essere uomo di un altro tipo e potrà fondare un nuovo mondo, una nuova umanità.
Una poesia profondissima e amara. Amara per quelle verità che reca con sé.
(Giorgio Linguaglossa)
Gino Rago
Una e-mail dall’Olimpo per Giorgio Linguaglossa
al poeta della “Preghiera per un’ombra”
«So che si trova nella caverna delle vite sospese.
Un nemico senza volto si aggira per le vie.
mentre Lei parla di Odisseo, di Telemaco, di Edipo,
e via cantando di questo passo.
Dal 6 agosto del 1945 dopo Little Boy su Hiroshima
i vincitori e i vinti di Troia abitano a New York.
Ecuba in cucina prepara marmellate.
Cassandra legge i giornali ogni mattina.
Priamo gioca in borsa, Paride gira con i dreadlock,
porta il cane al Central Park.
Presso i Greci si diffonde un nuovo virus,
Un guerriero travestito da Clitemnestra
sgozza il Re nella vasca da bagno.
Ettore lo incontro ogni giorno al 10° chilometro della Fifth Avenue,
Andromaca fa acquisti da mille e una notte.
Entra ed esce da una buotique all’altra.
Astianatte gioca con il pc, è sempre solo in casa.
Mi creda, i miti sono l’inganno dell’Occidente,
Fat Man su Nagasaki ha cambiato il mondo…
Ma per Lei forse i miti sono l’aria.
Chi può vivere senza aria?
Una sciagura ieri a Chicago, tutti morti quelli in volo.
A terra gli agenti della CIA cercano qualcosa
tra i frammenti sull’erba, sui rami degli alberi, sulle pietre.
[…]
A Zbigniew Herbert non importa nulla della scatola nera.
Vuole sapere i pensieri dei piloti, delle hostess, degli steward
e di tutti i passeggeri
Un istante prima del disastro, con un occhio nel quotidiano,
e l’altro nella immaginazione.
Edipo? Mi creda, è un’altra menzogna.
[…]
Caro Signor Linguaglossa,
Il Suo porte-parole, il Suo alter-ego, Herr Cogito, lo sa,
Zbigniew Herbert non si concentra mai sugli effetti,
Gli interessano le cause dell’ evento,
Tratta tutto come fosse un accidente.
Dice che i sintomi non sono la malattia.
Il commissario del KGB entra nell’atelier di Cogito.
Esamina il corpo di reato.
Una scatola di colori, un cartellone, quattro chiodi,
Una matassa di spago, un barattolo di colla, una risma di carta.
Herr Cogito, Lei costruisce un mondo non dalle molecole o dagli atomi
Ma usando gli scarti, le scorie, i rifiuti.
Non creda ad Ulisse, lasci perdere Telemaco,
troppo gelo sulle parole…»
(inedito, 19/20 marzo 2020)

Giorgio Linguaglossa e Alejandra Alfaro Alfieri 2019
Giorgio Linguaglossa
caro Gino Rago,
ricevo quotidianamente messaggi su Messenger con dovizia di Madonne addolorate e altre amenità. Di solito rispondo: «Sì, sono ateo e comunista. Ci sono problemi?».
Stanza n. 47
Il ritorno del Signor Cogito
È mattino. Un gabbiano tinnisce. Il sole impallidisce. Il Covid19 ha colpito ancora.
La città è in quarantena.
La polizia segreta ha rilasciato il Signor Cogito.
Torna a casa il filosofo.
Prende un cappuccino al bar all’angolo di via Gaspare Gozzi,
davanti al muro della Metro B.
Apre la porta. Al quinto piano di via Pietro Giordani 18.
Chiude la porta. A chiave. Tre mandate.
Gira bene la chiave nella serratura, non si sa mai.
Un ladro, un assassino, un portaborse, un leghista…
Si siede in poltrona. Apre il giornale. Sorseggia il caffè.
Legge le notizie del giorno.
Quanti morti? Quanti vivi? Per quanto tempo ancora?
Risponde al telefono.
«Sì, sono ateo e comunista. Ci sono problemi?».
Adesso, può attendere un’epoca migliore.
Sì, c’è sempre la speranza di un’epoca migliore.
Fuori della finestra azzurra un agente della polizia segreta.
Lo sorveglia. Passeggia. Avanti e indietro.
Fuma una sigaretta del monopolio.
Aria di primavera.
Profumo di fiori di gelsomino.
(inedito)

Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, acrilico 50×50 su tavola, 2020 – I colori hanno dimenticato i colori, sono stati attecchiti dall’oblio dei colori. Le parole hanno dimenticato le parole, sono state attecchite dall’oblio delle parole. Un virus pericolosissimo le sta decimando senza accorgercene. Le parole e i colori sono diventati inabitabili. Siamo stati lentamente invasi dalle «parole piene», dai «colori pieni»; i colori comunicazionali, le parole comunicazionali che troviamo in ogni dove e in tutti i libri di poesia che si stampano oggi e in tutte le installazioni. I colori e le parole sono state infettate da un virus invisibile che le ha decimate, e non ce ne siamo accorti. I colori e le parole non ci guardano più, non ci riguardano più, fuggono via, sono diventate estranee. È diventato problematico finanche dire le cose più semplici. Ricordo che Ingeborg Bachman non riusciva ad entrare in una boucherie e chiedere: «Per favore vorrei un chilo di fettine». Una malattia invisibile e letale sta uccidendo tutte le parole. Soltanto pochissimi poeti, i poeti della nuova ontologia estetica se ne sono accorti e lo gridano, lo scrivono, ma parlano al vento, le persone per bene sono ormai diventate cieche e mute…
Marie Laure Colasson
Nuit brouillard Eredia tire les rideaux
une porte s’ouvre sur une ombre
Terre sans soleil cendre grise
deux chevaux galopent dans la prairie
L’épicier russe vend des gâteaux en technicholor
des fleurs subtropicals sac-plastique sur l’eau visqueuse
La blanche geisha marche dans la rue
son enfance s’envole sans l’avertir
Pure de toute épuration
Lilith se dénude souveraine
Une voix se brise sur un point d’interrogation
tandis que des musiques barbares flottent
La geisha et Eredia se jettent de la Tour Eiffel
avec l’ombre chevauchent armées de parapluies vers la prairie
Lilith plonge dans son océan et ouvre les fenêtres
*
Notte nebbiosa Eredia tira le tendine
una porta si apre su un’ombra
Terra senza sole cenere grigia
due cavalli galoppano nella prateria
Il droghiere russo vende dolci in technicolor
fiori subtropicali borse di plastica sull’acqua vischiosa
La bianca geisha cammina nella via
la sua infanzia se ne va senza avvertirla
Monda di ogni epurazione
Lilith si denuda sovrana
Una voce si frange su un punto d’interrogazione
mentre musiche barbare ondeggiano
La geisha e Eredia si gettano dalla Torre Eiffel
con l’ombra cavalcano armate di parapiogge verso la prateria
Lilith si tuffa nell’oceano e apre le finestre
(inedito)
Le parole hanno dimenticato le parole, sono state attecchite dall’oblio delle parole. Un virus pericolosissimo le sta decimando senza accorgercene. Le parole e i colori sono diventati inabitabili. Siamo stati lentamente invasi dalle «parole piene», le parole comunicazionali che troviamo in ogni dove e in tutti i libri di poesia che si stampano oggi. Le parole sono state infettate da un virus invisibile che le ha decimate, e non ce ne siamo accorti. Le parole non ci guardano più, non ci riguardano più, fuggono via, sono diventate estranee. È diventato problematico finanche dire le cose più semplici. Ricordo che Ingeborg Bachman non riusciva ad entrare in una boucherie e chiedere: «Per favore vorrei un chilo di fettine». Una malattia invisibile e letale sta uccidendo tutte le parole. Soltanto pochissimi poeti, i poeti della nuova ontologia estetica se ne sono accorti e lo gridano, lo scrivono, ma parlano al vento, le persone sono ormai diventate cieche e mute.
(g.l.)
composizione di Lucio Mayoor Tosi
L’ultimo stadio della nuova fenomenologia estetica
La poetry kitchen
Penso che l’Evento non sia assimilabile ad un regesto di norme o ad un’assiologia, non abbia a che fare con alcun valore e con nessuna etica. È prima dell’etica, anzi è ciò che fonda il principio dell’etica, l’ontologia. Inoltre, non approda ad alcun risultato, e non ha alcun effetto come invece si immagina il senso comune, se non come potere nullificante, nullificatorio. La nientificazione [la Nichtung di Heidegger] opera all’interno, nel fondamento dell’essere, e agisce indipendentemente dalle possibilità dell’EsserCi di intercettare la sua presenza. Si tratta di una forza soverchiante e, in quanto tale, è invisibile, perché ci contiene al suo interno.
L’Evento è l’esito di un incontro con un segno.
I testi proposti sono esemplificativi di un modo di essere della nuova fenomenologia estetica come pop-poesia, poesia del pop o poetry kitchen. Si badi: non riattualizzazione del pop ma sua ritualizzazione, messa in scena di un rituale, di un rito senza mito e senza, ovviamente, alcun dio. Con il che finisce per essere non una modalità fra le tante del fare poesia, ma l’unica pratica possibile che nel mondo amministrato non ricerca un senso là dove senso non v’è e che si dis-loca in una dimensione post-metafisica.
In tale ordine di discorso, la pop-poesia si riconnette anche a quello che è stato da sempre lo spirito più profondo della pratica poetica: la libertà assoluta e sbrigliata soprattutto dal referente, da qualsiasi referente, parente stretto della ratio del dominio (Herrschaft) del sistema amministrato.
La pop-poesia vuole essere la rivitalizzazione dello spirito decostruttivo che, nella poesia italiana del novecento si è annebbiato. La poesia si è costituita in questi ultimi decenni come una attività istituzionale e decorativa, si è posta come costruzione di un edificio pseudo-veritativo.
La poesia che vuole mettere in evidenza le contraddizioni o le condizioni di un essere nel mondo, finisce inesorabilmente nel Kitsch.
La pop-poesia non redige alcun referto, alcun senso del mondo e nessun orientamento, non è compito dei poeti dare orientamenti ma semmai di svelare il non orientamento complessivo del mondo.
Non è compito della pop-poesia commerciare o negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in relazione con alcunché, la pop-poesia non si pone neanche come una risorsa veritativa o come un contenuto veritativo o non veritativo. La pop-poesia può essere considerata tuttalpiù una pratica, né più né meno, un facere.
Così è se vi piace.
(g.l.)
Giorgio Linguaglossa
Storia italiana del Covid19
VII parte
Così si espresse il Signor Covid19 nei confronti di Tomasi di Lampedusa.
«Beh, adesso mischiamo un po’ le carte, ne abbiamo abbastanza della storiella d’amore fra Tancredi e Angelica.
Il romanzo deve essere rivisitato e riscritto.
Facciamo così, caro Tomasi.
Facciamo che Angelica esce dalla sala da ballo de Il Gattopardo
di Luchino Visconti,
entra nella Tempesta di Vivaldi e balla di nuovo il valzer con il principe Salina.
Il secondo valzer di Shostakovich.
Poi, mettiamo che Tancredi cade ferito a morte nella battaglia di Calatafimi.
Diciamo che la storia finisce così e il romanziere deve scrivere di nuovo il romanzo.
E qui viene il bello.
Adesso è Nino Bixio che uccide alle spalle Tancredi
per gelosia, per invidia, per tradimento
mentre l’esercito borbonico si ritira…
Angelica fa ingresso di nuovo nel salone degli specchi
con il candido guardinfante.
Nino Bixio danza e sposa la bellissima Angelica.
E Tancredi diventa un nome tra le croci dei morti del cimitero
della battaglia di Calatafimi…
Facciamo così, mi creda, caro Tomasi.
È meglio così».*
* Ecco una variante de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa
alla maniera della poetry kitchen