Il significato è la metastasi della significazione. Il significante è l’automobile e la metastasi il suo autista. Salire a bordo di un tale veicolo senza una mascherina FFP2, significa infettarsi.
a) La poiesis non può e non deve essere collegata con la metastasi. b) Tra la poiesis e la metastasi c’è inimicizia assoluta. c) Una poesia che punta al significato nasce già morta. d) Il significato è un ideologema. e) Il significato è un DPCM erogato da una dittatura sanitaria. f) L’inconscio è quell’operazione che è presupposta come condizione per la riscrittura delle tracce, il cui rimaneggiamento per Freud è alla base delle possibilità stesse del pensiero. g) La scrittura poetica si situa lungo la linea di demarcazione tra il soggetto delle tracce, ovvero, dell’inconscio e il soggetto del conscio.
(g.l.)
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Giorgio Linguaglossa
Stanza n. 5
(dialogo tra il Sig. K. e Cogito)
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«Ingehaltenheit in das Nichts*. Così, ho preso dimora nel Nulla», disse K. «Oggi la poesia è libera, nel senso che non deve nulla a nessuno. E non deve rispondere a nessuno. Giusto?».
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«Giusto».
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«Ora, vorrei porLe un quesito. Precisamente: Il legame che unisce il dentro con il fuori».
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In quel mentre, la tazzina di caffè bollente prese il volo dalla caffettiera e giunse alle labbra di K. il quale lo trangugiò d’un sorso senza colpo ferire. Cogito sbuffò del fumo di sigaro in faccia al Signor K.
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Una lisa giacca a quadretti si posò sulle spalle di Raskolnikov e giunse al numero 19 di via Grazhdanskaja, proprio all’angolo col vicolo Stoljarnyj, in cima ai tredici gradini che sta scendendo per l’eternità dalla sua soffitta al quinto piano. Tra poco sbucherà sotto l’arco del cortile, attraverserà il portone, passerà davanti alle ventidue bettole aperte sulla via, arriverà al ponte Kokushkin fino al numero centoquattro del canale Griboedov. Sono 730 passi. Li aveva contati innumerevoli volte. Guarda i due androni e i cortili, la scala di destra che tra poco infilerà fino al terzo piano, dove premerà il campanello con un suono debole e spento, che sembra di latta e non di ottone. Ha tempo per mettersi la mano destra sul cuore che batte troppo in fretta. Appesa a un cappio cucito all’interno del soprabito, sotto l’ascella sinistra, è pronta l’accetta con cui spaccherà la testa alla vecchia usuraia Alena Ivanovna e a sua sorella Lizaveta.
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«Gioco preferibilmente con il Signor F., Il Re di Spade è il mio prescelto. Poi viene il Re di Denari. Hanno entrambi paura della mia ombra. Che a sera si allunga sui marciapiedi, tra i lampioni e le grondaie…», disse K.
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«È attraverso la luce che noi vediamo le cose, ma noi non vediamo la luce. O meglio, vediamo la luce indirettamente attraverso la visione delle cose. La luce è invisibile», replicò Cogito fuori contesto.
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«Le persone sono felici perché non conoscono l’amore». Disse proprio così il Signor K. Poi il figuro piegò le sue nere ali dietro le spalle e attese la risposta del filosofo.
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«Tutta la mia vita è entrata nel cofanetto dei ricordi della contessa Popescu, un pastorello suona uno zufolo sul limitare di un querceto», disse Cogito.
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«Lola Astanova suona al pianoforte un’aria di Chopin. Azazello, in platea, applaude».
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«Il nostro compito è tracciare le linee interne delle cose», replicò Cogito, ancora una volta fuori contesto. «Ella deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v’è salito».
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K. storse il labbro. Un dente d’oro fece la sua comparsa. «La metafisica sorge quando il linguaggio va in vacanza», eccepì K.
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«La mia metafisica sorge quando tramonta la sua di metafisica», opinò Cogito, il quale così proseguì: «Il senso del mondo deve essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non vi è in esso alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore…».
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Il Drago ebbe un sussulto. Il mento leporino si agitò.
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«Ho paura, Cogito. Il terrore mi annebbia la vista. Parlo spesso con un uccellino, gli accarezzo le piume… Lui mi dice»:
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«Sistemare la carta nel vassoio. La carta non è quella giusta. Rimuovere la carta dal vassoio. C’è troppa umidità nella carta. La carta non è del tipo consentito. Provate a sostituire la carta. Altrimenti sostituite la stampante. Date a Cesare quel che è di Cesare. La pagliuzza nel tuo occhio è la migliore lente di ingrandimento…»
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* «Intrattenersi nel Nulla», dizione di Heidegger
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Storicamente il dialogo sorge quando si profila all’orizzonte l’incomprensione, l’equivoco, il conflitto. Infatti, il dialogo socratico sorge quando sorge la storia e, molto probabilmente finirà quando finirà la storia, almeno così come l’abbiamo conosciuta. La poesia quindi si fa dialogica, adotta il dialogo quando esso diventa una forma problematica.
Leggendo questa poesia kitchen, di «superficie», non possiamo non chiederci: Che cos’è il reale? È legittimo porsi una domanda del genere? Si può, definire il reale mediante il significante, che è ciò che ad esso continuamente sfugge? Tentare di afferrarlo, tentare di impadronircene non significa mancare il bersaglio del reale? Chiediamoci: il reale viene “prima” o “dopo” il significante? Chiediamoci: è la “materia” sulla quale il significante agisce, o è il resto dell’operazione del significante (ciò che si sottrae alla simbolizzazione)? È il “primordiale” di cui ci parla Lacan nel Seminario VII?, oppure è lo scarto dell’azione del significante, l’atto fondativo del registro del senso che da esso resta irrimediabilmente escluso? È questa una poesia di tipo Realistico? Surreale?, o Surrazionale? – Abbiamo una parola per definirla? E questa «superficie» non ci condanna ad una dimensione onnivora e totale, appunto, «superficiaria», non ci relega agli arresti domiciliari nella casa della superficie equivalente? Il Covid19 ha reso evidente che il mondo è diventato una superficie plurale, continuale, globale ove tutto accade contemporaneamente in tutti i luoghi. È questa la nostra dimensione metafisica. In tutti i luoghi siamo ad un tempo unici e plurali, è questa la dannazione della nostra condizione esistenziale a cui non ci possiamo sottrarre.
È il «reale» che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poesia novecentesca, i poeti della nuova ontologia estetica si limitano e prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.
1a stesura
Gino Rago
Storia di una pallottola
La volontà di fare di sé stessi un fuoco. Una rivoltella. Una pallottola entra nella tempia destra di Carlo Michelstaedter.
Da Gorizia vaga per anni sulle trincee del Carso, sulle doline, sull’Isonzo. Daniil Charms a distanza di chilometri
sente nell’aria come un sibilo ma non dà peso al fatto: «Forse è’ un alieno sulla mia testa o uno starnuto dal Cremlino…»
La pallotola entra in un monolocale, si ficca in un’altra pistola. Parte il colpo. Scoppia il cuore di Vladimir Majakovskij.
La pallottola-dei-poeti fuoriesce dalla spalla, Lascia la stanza:«Ho un’altra missione, non posso arrestare la mia corsa,
Non mi fermano né il tempo né lo spazio Né le forze di attrazione della terra e della luna».
Torino. Agosto. 1950. La pallottola-dei-poeti rompe i vetri Di una camera dell’albergo Roma.
Cerca un’altra tempia.O un altro cuore. Afa. Nemmeno un’anima in giro: «Tardi, troppo tardi…» […] Il poeta è già morto. Cartine di sonnifero dappertutto. Sulla copertina dei Dialoghi con Leucò:« Perdono a tutti e a tutti chiedo Perdono… Non fate troppi pettegolezzi».
La Stampa. Prima pagina. Morto-suicida-Cesare-Pavese. La pallottola lascia di corsa la camera dell’albergo.
Ha fatto in tempo a leggere su un foglietto non visto da nessuno: T. F. B… Su un altro foglio (Connie).
Un agente della STASI ruba i due foglietti. Con il primo treno parte da Torino in direzione di Berlino Est…
* 2 stesura
Storia di una pallottola
Una rivoltella. Una pallottola entra nella tempia destra di Carlo Michelstaedter.
Da Gorizia vaga per anni sulle trincee del Carso, sulle doline, sull’Isonzo. Daniil Charms a distanza di chilometri
sente nell’aria come un sibilo ma non dà peso al fatto: «Il miagolio di un gatto o uno starnuto dal Cremlino?»
La pallottola fa ingresso in un monolocale, entra nel tamburo del revolver col manico di avorio di Madame Colasson.
Parte il colpo. Colpisce al cuore Vladimir Majakovskij. poi la pallottola fuoriesce dalla spalla, va in giro per un po’,
lascia la stanza: «Ho un’altra missione, non posso arrestare la mia corsa». Entra nel boudoir di Madame Altighieri
E colpisce alle spalle il generale d’Aubrey in partenza per la guerra di Crimea.
Torino. Agosto. 1950. La pallottola rompe i vetri di una camera dell’albergo di Roma.
«È tardi, troppo tardi…». Il poeta è già morto. Cartine di sonnifero dappertutto.
Una copia dei “Dialoghi con Leucò”. Sulla copertina c’è scritto: «Non fate troppi pettegolezzi».
Prima pagina de “La Stampa”. «Morto suicida Cesare Pavese». Lascia di corsa la camera dell’albergo.
Ha letto su un foglietto non visto da nessuno: T. F. B… Su un altro foglio (Connie).
Un agente della STASI ruba i due foglietti. Con il primo treno parte da Torino
in direzione di Berlino Est… cerca al telefono il Signor Cogito. «È in casa Cogito?».
«No, non è in casa. È uscito». E allora cambia strategia. Si reca ad Istanbul.
Sull’Orient Express incontra Madame Altighieri, si innamora della duchessa e la uccide con un colpo
di pugnale alle spalle…
Ma non è questo quello che volevo raccontare, era un’altra storia, che però ho dimenticato…
Nella prima versione appare chiaro che inseguivo troppo “il significato” e questo procedere può diventare una gabbia, un freno inibitore alla libertà completa della nostra immaginazione. Nella seconda versione, grazie anche alla approfondita lettura dell’Editoriale di Giorgio Linguaglossa per il prossimo numero della Rivista “Il Mangiaparole”, rimuovendo il condizionamento dell’inseguimento del “significato” a tutti i costi, l’inedito ha guadagnato in libertà ed entra nello scenario Madame Colasson che capovolge, anzi stravolge la storia della morte di Vladimir Majakovskij: non più suicidio, ma omicidio (non importa se omicidio volontario o involontario) commesso da Madame Colasson. Il regime bolscevico ha nascosto a lungo questa verità? Sulla morte di Majakovskij ha diffuso un’altra notizia falsa fra le tantissime notizie false di regime? E chi si meraviglia delle tantissime “bugie di Stato” adoperate sia dai regimi totalitari sia dalle democrazie occidentali? Allora anche lo stratagemma, tipico di una poesia della NOE, di stravolgere una storia radicata nel tempo e nella memoria collettiva ‘inventando’ un’altra storia al posto della precedente è un gesto di coraggio estetico e dunque è anche un fatto etico, eticamente lecito, perché tutti noi d’accordo con Brodskij sappiamo che “l’Estetica viene prima dell’etica”. Accanto a Madame Colasson agiscono, per proprio conto, ma nello stesso tessuto poetico, come nel teatrino siciliano dei ‘pupi’ con i fili tirati da un unico puparo, anche Madame Altighieri la quale, con un salto acrobatico spaziotemporale, spara al Genarale d’Aubray sullo sfondo della Guerra in Crimea, per poi saltare a Torino nel 1950, un altro tempo, un altro luogo…con un agente della STASI, (i cui tentacoli come sapevano tutti erano in grado di arrivare su chiunque e dappertutto, che forse deve redigere un rapporto al Signor Cogito), che a sua volta sopprime Madame Altighieri ma con un pugnale per non far troppo rumore perché viaggiano pugnalatore e pugnalata sullo stesso treno, il treno più elegante ed esclusivo del vecchio Novecento europeo (assassinio sull’Orient Express…). Per noi la scrittura non è lineare, consequenziale, perché non crediamo nel tempo premoderno né nei tempi moderni o postmoderni o ipermoderni, lo stesso dicasi per lo spazio. Perché? La risposta è anche qui, nella parte finale dell’Editoriale scritto da Giorgio Linguaglossa per il n.9 del trimestrale cartaceo Il Mangiaparole, perché: “il «polittico» è un sistema instabile che fa di questa instabilità un punto di forza. Mi sembra una ragione sufficiente”.
Giorgio Linguaglossa
caro Gino,
La poesia NOE è nient’altro che una «rappresentazione prospettica», una rappresentazione priva di funziona simbolica. La prospettiva come forma simbolica (1924) di Erwin Panofsky è una utilissima guida perché ci mostra come funzione simbolica e rappresentazione siano legate da un cordone ombelicale che è dato dal linguaggio. Ma mentre le opere del passato erano portatrici di una funzione simbolica, le opere moderne, a cominciare da Brillo box di Warhol, non sono provviste di alcuna funzione simbolica, sono dei dati, dei fatti, dei ready made. Invece, la tua poesia, di Intini, di Mario Gabriele, di Giuseppe Talìa per fare qualche nome di poeta che è maturato nell’officina della NOE, è priva di funzione simbolica, sembra la registrazione di dati di fatto, di elenchi statistici, elenchi cronachistici. In più, qui si ha una molteplicità di prospettive che convergono e divergono verso nessun fuoco, nessun centro prospettico, le linee ortogonali non portano ad alcun centro che non sia eccentrico, spostato, traslato; inoltre lo sguardo che guarda è diventato diplopico, diffratto, distratto.
La tua «poesia-polittico» può essere ragguagliata ad una matassa, ad un groviglio. Tu ti limiti ad aggrovigliare i fili, li intrecci gli uni con gli altri e tiri fuori il percorso degli umani all’interno di un labirinto. La tua è una «poesia-labirinto», uno spiegel-spiel. I tuoi personaggi sono gli eroi, prosaici, del nostro tempo, vivono in un sonno sonnambolico, tra chiaroveggenza e inconscio, guidati e sballottati come sono dalla Storia (Achamoth) e dalle loro pulsioni inconsce (Von Karajan, la Signora Schmitz, Joseph il pacifista, Madame Colasson); c’è «poi Madame Tedio, il tempo,[che] sbroglia le carte» e sdipana i destini individuali; c’è l’intellettuale, il Signor L., il quale denuncia la Grande mistificazione dell’Occidente: che l’«Ulisse è un bugiardo inglese». Questo Signor L. mi piace, è una sorta di Baudrillard per antonomasia, l’intellettuale che ci mette in guardia contro la mitologizzazione di certi prototipi umani come Ulisse, progenitore e prototipo del politico imperialista che avrà discendenti di tutto riguardo ai giorni più vicini a noi, da Giulio Cesare a Napoleone e giù fino ai pazzi sanguinari Hitler, Mussolini, Stalin, Pol Pot, etc.
La tua «poesia-polittico» è un esempio mirabile di come si possa oggi scrivere una poesia moderna, appassionata e dis-patica, raffreddata e ibernata, patetica e algida, serissima e ilare. Una poesia che, finita la lettura ci lascia sgomenti e ammirati.
Giorgio Linguaglossa
Editoriale n. 9 (rivista di poesia e contemporaneistica “Il Mangiaparole”)
L’ermeneutica segna lo spostamento del baricentro della trattazione dai problemi del senso verso i problemi del referente. In conformità con questa impostazione concettuale, tutta la poesia del secondo novecento e di questi ultimi anni ha perseguito il medesimo obiettivo: ha fatto una ricerca del senso impiegando un linguaggio referenziale. L’equivoco verteva e verte sul fatto che si è considerato il discorso poetico come equivalente, nella sua funzione, al discorso ordinario, senza capire che il linguaggio ordinario si limita a «servire» gli oggetti che rispondono ai nostri interessi sociali, il nostro interesse sociale è limitato al controllo e alla manipolazione degli oggetti nella vita quotidiana, ma la funzione del linguaggio poetico non può essere «servente» degli oggetti, questa sarebbe una grave miscomprensione della sua natura specifica e ci porterebbe fuori strada.
Il discorso poetico lascia in libertà la nostra appartenenza al mondo della vita e al mondo della vita quotidiana, lascia-dirsi, lascia che vengano messe delle parentesi tra il pensiero e il linguaggio, tra il linguaggio e il linguaggio, lascia alla parola il compito di dire ciò che il linguaggio ordinario non può dire. Quello che così si lascia dire è ciò che Paul Ricoeur chiama la referenza di secondo grado, la referenza sganciata dal rapporto di controllo e di dominio degli oggetti e del mondo.
Il discorso poetico della nuova ontologia estetica, comporta (in modi vari e con diverse sensibilità linguistiche), l’abolizione del linguaggio descrittivo-informativo. Ciò potrebbe far pensare alla famosa «funzione poetica» di Jakobson, ad un concetto di linguaggio poetico che rinvii soltanto a se stesso, ma la NOE ha compiuto un decisivo passo in avanti: è proprio tale abolizione che costituisce la condizione positiva affinché venga liberata una possibilità più profonda per attingere un referenza soggiacente, una referenza di secondo e terzo grado che coglie il mondo non più al livello degli oggetti manipolabili, ma ad un livello che Husserl designava con l’espressione Lebenswelt e Heidegger con In-der-Welt-Sein.
Se osserviamo la struttura delle poesie della nuova ontologia estetica, ci accorgiamo che è lei, la struttura, che decide la disposizione, la frammentazione, la dislocazione e la cucitura degli enunciati: il loro ordine disordinato, o il loro disordine organizzato, il disallineamento degli enunciati e l’eterogeneità degli stessi, la loro natura disparatissima di varia provenienza di ordine culturale, in una parola: è la struttura che dispone della libertà o illibertà degli enunciati e delle immagini.
Un aneddoto di distrazione esistenziale
Un giorno uscii con due calzini diversi, uno blu e uno avana. Me ne accorsi quando fui in metropolitana accavallando le gambe. Davanti a me era seduta una signora vistosa, con permanente, biondizzata e profumata la quale puntò gli occhi sui miei due calzini. Ecco, mi accorsi allora che avevo messo i calzini invertiti. Avevo infranto una consuetudine condivisa inconsapevolmente dalla generalità attirando l’attenzione della bella signora. Così, un giorno, consapevolmente, uscii di casa con ai piedi due scarpe diverse, un mocassino testa di moro con la frangia e una scarpa con i lacci nera con in più due calzini di colore e di foggia diversi. Presi di nuovo la Metro e accavallai le gambe. Il risultato fu che tutti gli utenti della metro mi guardarono le gambe e i piedi. Ecco, non avevo fatto nulla di particolare, ma avevo infranto lo “schermo” di una condivisione sociale accettata inconsapevolmente da tutti. Penso che la poesia debba avere il coraggio di fare questo: di infrangere il conformismo di un linguaggio informativo, performativo, referenziale. E, per fare questo occorre una notevole dose di distrazione continuativa. Una distrazione esistenziale radicale può aiutare.
Escher Maurits Cornelis Drago
Gino Rago, nato a Montegiordano (Cs) nel febbraio del 1950 e residente a Trebisacce (Cs) dove è stato docente di Chimica, vive e opera fra la Calabria e Roma, dove si e laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005) e I platani sul Tevere diventano betulle (2020). Sue poesie sono presenti nelle antologie Poeti del Sud (EdiLazio, 2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016). È presente nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018). È presente nell’Antologia italo-americana curata da Giorgio Linguaglossa How the Trojan War Ended I Dont’t Remember (Chelsea Editions, New York, 2019). È nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole” e redattore della Rivista on line lombradelleparole.wordpress.com”.
L’uomo abita l’ombra delle parole, la giostra dell’ombra delle parole. Un “animale metafisico” lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l’ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l’uomo legge l’universo.
«Quegli sguardi dall'abisso... noi guardiamo dentro quelle pupille enormi, nere, lucenti come sfere d'ossidiana, e vediamo l'abisso. Ma loro verso cosa guardano? Verso di noi guardano. E vedono in noi l'abisso»
Il Mangiaparole – Come abbonarsi alla rivista, Quota ordinaria € 25, Quota sostenitore € 50 + copia di un Libro in omaggio a scelta della collana Il Dado e la Clessidra
Trimestrale di Poesia Critica e Contemporaneistica Il Mangiaparole n. 1
La Nuova Ontologia Estetica, Poetry kitchen – La parola kitchen è da pensarsi come evento linguistico: quindi evento dell’altro proprio perché si annuncia in quanto irruzione di ciò che è per venire, ciò che è assolutamente non riappropriabile; in quanto unico e singolare l’evento linguistico sfida l’anticipazione, la riappropriazione, il calcolo ed ogni predeterminazione. L’avvenire, ciò che sta per av-venire può essere pensato solo a partire da una radicale alterità, che va accolta e rispettata nella sua inappropriabilità e infungibilità. La contaminazione, l’impurità, l’intreccio, la complicazione, la coinplicazione, l’interferenza, i rumori di fondo, la duplicazione, la peritropé, il salto, la perifrasi costituiscono il nocciolo stesso della fusione a freddo dei materiali linguistici, gli algoritmi che descrivono la non originarietà del linguaggio, il suo esser sempre stato, il suo essere sempre presente; una ontologia della coimplicazione occupa il posto della tradizionale ontologia che divideva essere e linguaggio, la ontologia della coimplicazione ci dice che il linguaggio è l’essere, l’unico essere al quale possiamo accedere. Non si dà mai una purezza espressiva nel logos ma sempre una impurità dell’espressione, un voler dire, un ammiccare, un parlare per indizi e per rinvii.
La storia letteraria è un libro di ricette. Gli editori sono i cuochi. I filosofi quelli che scrivono il menu. Gli scrittori e i preti sono i camerieri. I critici letterari sono i buttafuori. Il canto che sentite sono i poeti che lavano i piatti in cucina.
Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura
Al posto del problema gnoseologico kantiano, come sia possibile la metafisica, compare quella di filosofia della storia, se sia possibile comunque un’esperienza metafisica
Ogni felicità è frammento di tutta la felicità che si nega agli uomini e che essi si negano
Gli uomini vivono sotto il totem di un sortilegio: che la vita abbia un senso o che non ne abbia alcuno
Pura immediatezza e feticismo sono ugualmente non veri
Così anche la disperazione è l’ultima ideologia, utilissima per l’autoconservazione
Un angelo zoppo ci venne incontro e disse, senza guardarci: “malediciamo il nome di Dio.”
Nessuno capace di amare e così ciascuno crede di essere amato troppo poco
Le epoche della felicità sono i suoi fogli vuoti (Hegel)
Sortilegio e ideologia sono la stessa cosa (T.W. Adorno) Si può dire… che l’uomo è l’essere che progetta di essere Dio. Dio, valore e termine ultimo della trascendenza, rappresenta il limite permanente in base al quale l’uomo si fa annunciare ciò che è. Essere uomo significa tendere ad essere Dio, o, se si preferisce, l’uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio (J.P. Sartre)
Alfredo de Palchi monografia – Adesso diciamo una cosa tremendamente reale, che siamo entrati tutti in un Grande Gelo, in una nuova epoca, nell’epoca della piccola glaciazione dove le parole le trovi sì, ma raffreddate se non ibernate
Donatella Costantina Giancaspero
Vincenzo Petronelli La tecnica pone fine alla metafisica dell’occidente assegnandole un compito diverso in concomitanza con la dissoluzione della struttura denotativa che ha caratterizzato le lingue umane
la tecnica pone fine alla metafisica dell’occidente assegnandole un compito diverso in concomitanza con la dissoluzione della struttura denotativa che ha caratterizzato le lingue umane
La poesia è scrittura della nostra preistoria
Il soggetto non è mai del tutto soggetto, l’oggetto oggetto
Le cose si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato
Il piacere sensoriale, a volte punito da un misto di ascetismo e di autoritarismo, è divenuto storicamente nemico immediato dell’arte: l’eufonia del suono, l’armonia dei colori, la soavità sono divenute pacchianeria e marchio dell’industria culturale (Adorno)
L’io penetra l’oggetto pensandolo e immaginandolo
Helle Busacca La disintegrazione della «struttura tragica» della poesia di Maria Rosaria Madonna segna la pre-condizione di possibilità per la nascita della poetry kitchen.
Edith Dzieduszycka. Avevano corso,/ di giorno e di notte,/ poi di nuovo di giorno,/ e ancora di notte./ Avevano corso/ come bestie assetate,/ in cerca del ruscello al quale abbeverarsi
Letizia Leone: Il diavolo indossa un camice bianco/ E stacca pezzi di carne dalla carne/ Del mondo/ Con aghi, occhi a punta, lame, rasoi // Non affonda la mano/ ma ferro disinfettato./ Non si sporca
Su di un cerchio ogni punto d’inizio può anche essere un punto di fine (Eraclito) – Roma, 1997, Giorgio Linguaglossa e Antonella Zagaroli
Cara Signora Schubert, mi capita di vedere nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile A Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro (Ewa Lipska)
La casa pare ormeggiata nel cassetto di una vecchia scrivania./ “Mi chiedevo dove avessi lasciato le scarpe”./ La donna guarda attraverso le fessure della tapparella./ Ha sentito sbattere la portiera (Lucio Mayoor Tosi)
Anna Ventura conserva le parole tra le righe della sua scrittura come si mette un cibo in frigorifero
Domando al piombo perché ti sei lasciato fondere in pallottola? Ti sei forse scordato degli alchimisti? (Ch. Simic)
La precarietà del pensiero non identificante che indugia sulle cose. La tranquilla consapevolezza che ciò che possono dare le parole poetiche forse non è granché ma è pur sempre qualcosa di importante
Il mio amico [di Roma]*, quello che si occupa del Signor Nulla, litiga di nascosto con lo specchio (Gino Rago)
Le parole sono i raggi ultravioletti dell’anima
Maria Rosaria Madonna, cover 1992
Iosif Brodskij Le immagini rappresentano il contro movimento delle parole. C’è un rapporto debitorio tra le immagini e le parole, o un rapporto creditorio, uno squilibrio della contabilità, della partita doppia
Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente
Trattare tutte le cose come un terzo pensiero che ci osserva
Edith Dzieduszycka
Alfredo de Palchi, a 12 anni/ meschino nella tuta lurida di grassi/ per motori a nafta/ consegno 5 lire/ (la settimana—domenica compresa)/ nella busta troppo larga al nonno anarchico/ mangiato dal cancro
Mauro Pierno, Compostaggi – Così anche la disperazione è l’ultima ideologia, condizionata storicamente e socialmente. Il contenuto di verità dell’assente è indifferente (T.W. Adorno)
La poesia di Giuseppe Talia proviene da una grande deflagrazione delle parole e della stessa tradizione del ‘900
Perdita dell’Origine (Ursprung) e spaesatezza (Heimatlosigkeit) si danno la mano amichevolmente. Se manca l’Origine, c’è la spaesatezza. E siamo tutti deiettati nel mondo senza più una patria (Heimat). Ed ecco l’Estraneo che si avvicina. E all’approssimarsi dell’Estraneo (Unheimlich) le nottole del tramonto singhiozzano [Maria Rosaria Madonna]
in cover Maria Rosaria Madonna
La poesia di Mario Gabriele è un film, una successione di fotogrammi in un orologio senza lancette. «Una vita che avesse senso non si porrebbe il problema del senso: esso sfugge alla questione» (T.W. Adorno)
Un gendarme della RDT, lungo la Friedrichstraße,/ separava la pula dal grano,/ chiese a Franz se mai avesse letto Il crepuscolo degli dei./ Fermo sul binario n. 1 stava il rapido 777./ Pochi libri sul sedile. Il viso di Marilyn sul Time. (Mario Gabriele)
Gezim Hajdari, Il poietès è il più grande positivo perché porta le cose all’essere dal nulla
Ci sono dei pensieri che hanno una carica elettrica, uno di questi sono le cose della vita, gli eventi che ci accadono, gli eventi omnibus»diceva Ortega y Gasset
Perché le parole sono sagge, loro lo sanno di essere melliflue e superflue
Un Enigma ci parla, ma noi non comprendiamo quella lingua. L’Enigma non può essere sciolto, può solo essere vissuto
Quante parole dobbiamo usare per avvertire il silenzio tra le parole?
Quando una categoria si modifica muta la costellazione di tutte le altre (Adorno)
Letizia Leone
Giorgio Agamben Da quella lontananza rovesciata raggiungiamo la lontananza nostalgica. Non essere a casa propria ovunque
Critica della Ragione sufficiente
Il postino della verità non passa né due volte né una volta, non passa mai. Non c’è alcuna verità nella soggettività, non c’è alcuna verità nel canto degli uccelli nel bosco che tanto piaceva all’estetica kantiana
Mario Gabriele, Una fila di caravan al centro della/ piazza con gente venuta da Trescore e da Milano ad ascoltare Licinio:/-Questa è Yasmina da Madhia che nella vita ha tradito e amato,/ per questo la lasceremo ai lupi e ai cani
Predrag Bjelosevic
Gino Rago, Alla domanda di Herbert: «Dove passerai l’eternità?»,/ risponde il filosofo Erèsia: «cara Signora Circe, caro Signor Nessuno,/ il poeta da finisterre parla con l’oceano e scrive le sue parole sull’acqua
Le parole che scriviamo ci parlano di altre parole che non conosciamo
Le parole sono finestre che aggettano sul labirinto che noi siamo
Anna Ventura, Finalmente so/ che cosa mi avete insegnato./ Siete nella tazza di caffè/ vuota sul tavolo,/ nelle carte sparse, nel cerchio di luce della lampada.
Era piccola la casa, accanto a un cimitero romano. I suoi vetri tremavano per via di carri armati e caccia (Charles Simic)
Roberto Bertoldo
Donatella Giancaspero, Giorgio Linguaglossa, 2016
Alle 18 torna Milena. Prepara la cena. Il tavolo ha quarant’anni. Sale il fumo fino alla lampada. Andrea rinnova aria fresca (Mario Gabriele)
Poiché solo all’apparire del “perturbante” si dileguano gli idoli. Exeunt simulacra (Giacomo Marramao)
Lucio Mayoor Tosi, – Prenderò del Cornac; con spremuta di pomodori e un Lìsson. – Ci vuole della cannella sul Lìsson? – Sì, perché no./ Lo sai che sono innamorata di te
Gezim Hajdari
Carlo Livia, La prigione celeste
Ewa Tagher
Wystan Hugh Auden
Petr Kral
Michal Ajvaz
Mario Lunetta
Ubaldo de Robertis
Jorge Luis Borges
Giuseppe Talia
Kjell Espmark
Tomas Tranströmer
Salman Rushdie
Osip Mandel’stam
Iosif Brodskij
Boris Pasternak
Cesare Pavese
Georg Trakl
Sabino Caronia
Vladimir Majakovskij
Il Mangiaparole n. 10
Pier Paolo Pasolini
Czeslaw Milosz
Salman Rushdie
Alejandra Alfaro Alfieri
Duska Vrhovac
Fernanda Romagnoli
Antologia della Poetry kitchen – Il discorso poetico abita quel paragrafo dell’ inconscio dove siede il deus absconditus, dove fa ingresso l’Estraneo, l’Innominabile. Giacché, se è inconscio, e quindi segreto, quella è la sua abitazione prediletta. Noi lo sappiamo, l’Estraneo non ama soggiornare nei luoghi illuminati, preferisce l’ombra, in particolare l’ombra delle parole e delle cose, gli angoli bui, i recessi umidi e poco rischiarati.
Marie Laure Colasson
Lorenzo Calogero
Predrag Bjelosevic
Petr Kral Il Mangiaparole
Zbigniew Herbert
Bertolt Brecht
Werner Aspenström
Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa
Fernando Pessoa
Giuseppe Ungaretti
Eugenio Montale
Paul Celan
Ezra Pound
Edgar Allan Poe
T.S. Eliot
Samuel Beckett
Franco Fortini
Allen Ginsberg
Charles Bukowski
Agota Kristof
Derek Walcott
Giorgio Linguaglossa e Gino Rago
Marina Petrillo
Charles Simic, Il mostro ama il suo labirinto e abita presso l’Hotel Insonnia
Fernando Pessoa
Jacopo Ricciardi
Jacopo Ricciardi
Samuel Beckett
Anna Ventura, «Tra le parole e le cose occorre una grande distanza»
Guido Galdini, Le parole sono schegge di appunti precolombiani – è uno specchio per le allodole/ o sono allodole per lo specchio/ o le allodole sono lo specchio?
Guido Galdini
Mauro Pierno, Lo statuto recondito delle parole dimenticate
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
La presenza di Èrato vuole essere la palestra della poesia e della critica della poesia operata sul campo, un libero e democratico agone delle idee, il luogo del confronto dei gusti e delle posizioni senza alcuna preclusione verso nessuna petizione di poetica e di poesia.