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Céline Menghi, ‘(H)a letto’, romanzo, Genesi editrice, Torino, 2021 pp. 78, 10,00 Lettura di Giorgio Linguaglossa, il romanzo indaga lo stato di confusione tra desiderio di felicità e uno stato di perenne dispersione esistenziale sotto l’egida di una euforia del possesso che Foucault ha riassunto con una frase emblematica: «oggi la vita è divenuta un esercizio di potere»

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 … anche quest’anno la trasmissione conferma la sua formula, a metà fra il rotocalco e il talk show

(didascalia di presentazione della trasmissione ‘Agorà’ di Rai 3)

La storia di questo anti-romanzo ci vuole dire qualcosa di noi che c’è e che scompare di continuo, che è sempre altrove, magari al tavolo ristretto del “G 7”, che una volta era il “G 8” o il “G 20”, in quel tavolo che forse esiste, o forse no, un luogo dove si «giocano» i destini generazionali, il cui accesso è per qualche mistero a noi sempre interdetto.
Scrive Sandro Gros-Pietro nel risvolto di copertina: «Un personaggio femminile racconta la vicenda, in chiave di falsetto autobiografico, incentrata sull’incontro con un’extracomunitaria dell’estremo oriente, con ogni probabilità cinese, e che porta il nome di una nota eroina dei fumetti, Zhu-Li. Il dialogo serrato… viene inserito nel più ampio dialogo interiore mantenuto sempre vivo dalla protagonista, come pista psicanalitica di analisi e di indagine psicologica dei percorsi della mente».
Ai personaggi restano le apparentemente più prosaiche questioni dell’amore, della sensualità, della condizione psicologica ed esistenziale, un pianeta di micro sensazioni che orbita intorno al cuore delle cose, ammesso che esista un «cuore delle cose».
(H)a letto è scritto in uno stile che oscilla, di digressione in digressione, tra stupore e una nostalgica rassegnazione, che contrassegna, forse, la Stimmung di una generazione, la nostra, che si è trovata tagliata fuori dalla Storia, condannata ad abitare la cornice di un asfittico quotidiano, con la conseguente riconfigurazione in chiave borghese delle categorie del desiderio e della felicità.
È una generazione, quella di Céline Menghi e la nostra, che ha dovuto subire l’ideologia invasiva della vita privata, e l’ha eretta, involontariamente e inconsapevolmente, a proprio monumento identitario. (H)a letto è l’antiromanzo della vita privata dei giorni nostri, una vita biologica e psicologica mancante però di una dimensione «altra», di cui tuttavia continua a percepire una intollerabile e incolpevole nostalgia.
È una generazione, quella che emerge dal romanzo, fondata su dicotomie e antinomie che convivono e confliggono; una generazione che vive l’esistenza come una successione di bivi, una sequenza di indirezioni in una tabella di marcia dove ogni scelta è una non-scelta o una scelta subita o involontaria. Il luogo dove si decide la felicità o l’infelicità non è il «nostro» luogo, ma un luogo che non conosciamo; scegliere a volte è nessitata, perché ogni scelta comporta un’esclusione. In tal senso, (H)a letto rispecchia una condizione diffusa del nostro modo-di-vita nel segno di una ambizione egotica che resta sempre delusa o inconsapevole. Il romanzo (o piuttosto, l’anti-romanzo) indaga lo stato di confusione tra desiderio di felicità e uno stato di perenne dispersione esistenziale sotto l’egida di una euforia del possesso che Foucault ha riassunto con una frase emblematica: «oggi la vita è divenuta un esercizio di potere».
(H)a letto non è un anti-romanzo d’un amore, tantomeno una lifelong story ma è un anti-romanzo sull’esistenza che diventa desistenza, dove due modi di essere si alternano e si contrappongono, mettendo il lettore davanti alla piacevole sensazione di essere lì, tra le righe del romanzo, a spiare.
(H)a letto è un anti-romanzo della nostra condizione di dispersione simbolica, che descrive con cautela, con leggerezza. È questo forse il tema segreto dell’anti-romanzo: gli altri ci influenzano, sempre; e non sapremo mai fino a che punto la nostra esistenza non è stata il risultato dei nostri desideri e delle nostre azioni, quanto dei desideri e delle azioni che abbiamo subìto e/o tollerato.

È un intreccio di enunciati segmentato, dissestato, sismicizzato ma al contempo elastico. La nuova fenomenologia della narratività adotta in senso postmodernistico lo storytelling quale cornice multidimensionale e prospettica in quanto a-centrica, o meglio, pluri-centrica.
Le singole unità narrative, le scene, appaiono e scompaiono da una «zona franca». Per questa ragione la formalizzazione strutturale, la composizione a polittico e a distico viene in primo piano a scapito della modellizzazione stilistica unidimensionale della poesia e della narrativa della tradizione.
Le opere della «narratività diffusa» della nuova fenomenologia della narratività si vestono di una nuova e inusitata a-centralità.

(Giorgio Linguaglossa)

Céline Menghi 1

(Céline Menghi)

Stralci dal romanzo (H)a letto

Mi sembra di colpo di non sapere più niente: dove sono, perché. Non sopporto di non sapere più niente. Lei mi sollecita il corpo, il cervello, l’anima. L’anima? Che cos’è l’anima? Ora mi vesto.

Devo vestirmi.
Devo andare.
Devo tornare.
Mi farà impazzire— Forse l’amo un po’, o lo penso, o mi piace pensarlo. Forse mi avventura pensarlo. Ma no, non è vero. Però lo penso, e, se lo penso, è perché forse sto incominciando a… No, non è vero. Mi vesto.
Devo vestirmi.
Non so domani.
La maiolica è verde acido. Ecco. Mi mancherà, domani… Guardo la mia mano appoggiata alla maiolica. In piedi, fisso la maiolica e penso. Penso molto, penso, penso, mi areno nel pensare, lo so.
Ogni volta torno.
Torno.
Accidenti, torno da lei!
E poi torno a casa.
Non faccio che tornare. Da lei, poi a casa, poi da lei, ma sempre torno a casa.
Torno, perché appena incrocio i suo sguardo, appena la sfioro…

Le pieghe del lenzuolo sono valli, canali, canyon, fanno una montagna altissima le cui pendici scivolano dal ginocchio sulla nuda pelle. Tutto così ridicolo se una ci pensa un po’ di più. Un brivido le percorre il corpo e corre a non pensarci più. Guarda qui, si dice: il letto sfatto come capelli sciolti e arruffati, la finestra spalancata tanto nessuno ci vede. Il suo corpo, qui, abbandonato come crema appena fatta e ancora tiepida, da gustare ancora, mentre uno stormo di pappagalli verdi e viola si sta posando sull’albero di arance e piano piano le svuoterà tutte. Incomincia a fare caldo.

*

La strada è deserta.
La città silente.
Un drone passa sulla mia testa.
Silenzio.
da un marciapiedi all’altro risuonano i passi.
Non sento più il rumore del traffico.
Ambulanze, ambulanze… Non è una rarità, è un suono che solca la rarefazione dell’aria e la scrive giorno dopo giorno, ora dopo ora. Scrive questa storia mai pensata

… attacca la proteina… si sposta, sabato un filamento filamento… si aggancia a un nastro…
fila fila
a noi il lamento
invisibile, piccolissimo… venerdì, sabato, picco, respiro e lamento, filamento invisibile filamento

distanziamento spostamento
si attacca la proteina si aggancia invisibile

Il tempo di svuotare la spazzatura
In sogno mi strappo i guanti come una pelle ustionata e mi guardano come se non fossi io, non mi riconosco

La strada sembra un nastro trasportatore fermo.
Lo spazio non ha solchi.
La strada è un nastro trasportatore fermo.
Lo spazio senza solchi.

*

Bai Yun duo mi porta a casa
—- Huizi
Buongiorno! persone
Le nuvole nere sono bianche come il cotone
Improvvisamente nostalgia di casa

Trascorri la luna piena qui in primavera
Lamentarsi del calendario in crescita
Forse ci sarà sempre una fragranza floreale
Ma il tempo è passato

Indipendentemente dalla primavera, fragranza floreale
Pianifica un viaggio di ritorno
La bella stagione dei fiori e degli uccelli
Sono molto grato per la bellezza della vita
Credi che avere amore interiore significhi avere

*

Lo scirocco ottunde i sensi
I fichi si spaccano sul granito
Succosa carne sulla pietra secca

Brillavano minuscoli cristalli

Mi chiedi cosa sto pensando, Enel
Premurosa, telefoni di sabato, di sera, e parlando di solitudine!
Non sto pensando

Ascolto
Guardo
Sono inciampata in un rospo nella sterrata bianca, se è vivo, sarà fortuna

Enel, concedimi una tregua

Senza connessione.
Fammi sparire con una strisciata di dito
Non passerò a Illumia d’immenso!

Il sole sferza ogni cosa dove passa, si sosta

Il cielo è opaco
Un’ala d’uccello frulla la sua ombra
Non sosta, va via e via…

Forse ti spegnerò, gas

Mi avvolgerò nella lana
Darò della lana*

  • da Céline Menghi, Foulard amaranto, Genesi editrice, 2023

foto, porta vincent-branciforti

foto di Vincent Branciforti, Porta –

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Céline Menghi è nata a Milano e vive e lavora a Roma. È psicoanalista, membro dell’Associazione Mondiale di psicoanalisi e della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi. È docente dell’Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza. È membro del Comitato scientifico del Consultorio “Il Cortile” presso La Casa Internazionale delle donne a Roma. Ha tradotto testi di psicoanalisi dal francese e dallo spagnolo di vari autori, tra cui Jacques Lacan e Jacques-Alain Miller. Ha pubblicato in diverse riviste italiane e straniere e due saggi con altri autori: “Invenzioni nelle psicosi” (Quodlibet, 2008), “Cinque pezzi difficili” (Alpes, 2016). È stata capo redattore della rivista “attualità Lacaniana” dal 2019 al 2022. Ha pubblicato quattro romanzi con la casa editrice Genesi: Dire mu (2019), Blu cobalto (2020, di prossima pubblicazione in lingua spagnola), (H)a letto (2021), Foulard amaranto (2023, terza al Premio Emily Dickinson).

7 commenti

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Da Mario Lunetta (1934-2017), Poesia di Satana, con video di Gianni Godi, a Davide Galipò passando per la Poetry kitchen, poesie di Giorgio Linguaglossa, Esercizio per violino e tamburo, Mitoglifici, Lettura del romanzo di Céline Menghi, Dire Mu (2019), È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno?

Giorgio Linguaglossa

Davide Galipò e Charlie Nan sono sulla strada giusta, il loro tentativo è beneaugurante e va salutato con favore… ma il problema della stagnazione della poesia italiana di questi ultimi decenni non può essere risolto facendo riferimento esclusivamente al lavoro del Gruppo 93, quello era un movimento tutto interno alla nicchia del «letterario» e del «poetico» e, inoltre, non possedeva un solido ancoraggio filosofico, non andava al di là del «letterario» e delle forme del letterario, di qui la sua presa insufficiente sullo stesso «poetico» e sul «letterario», i problemi di fondo della poiesis rimanevano esclusi dal loro raggio di pensiero. Il mio invito è andare oltre, procedere in avanti con la riflessione critica, affrontare le questioni che stanno alla base del fare poiesis oggi.

Tempo fa chiedevo :

– Dopo la distruzione delle forme avvenuta nel novecento, siamo arrivati alla distruzione dell’orizzonte di attesa. È stato qualcosa che ha colpito al cuore la poesia del soggetto panopticon, dell’io plenipontenziario. L’io è stato de-fondamentalizzato, il soggetto legiferante è stato de-localizzato e l’ontologia negativa di Heidegger è stata sostituita con una ontologia positiva.

– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
– Quale è il compito della poiesis dinanzi a questi eventi epocali?

Risposta (indiretta) di Maurizio Ferraris:

«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».

(Maurizio Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113)

Esercizio con violino e tamburo

K. sbatte la porta. Resto là, sulla soglia, per qualche minuto.
Impalato. Poi mi scossi e guardai la porta aperta. [1]

Madame Hanska aprì tutte le finestre, «Sa, le finestre sono nere», disse.
E fece entrare le madamigelle con il grembiulino.

«Buonasera Cogito – esordì Hanska – le cose sono cambiate
negli ultimi tempi». Prese una forbice e un posacenere

e li posò sulla siepe di capelvenere e di acanti.

«Sa, c’è una tigre e un pianoforte… Ecco, metto la forbice
sul pianoforte, adesso Vivaldi può suonare.

Woland ha ordinato ai gatti di suonare, il Requiem, quello, sì.
Solo quello. La musica uccide gli uccelli», aggiunse.

«Lo specchio avrà la sua vendetta», disse Baudrillard,
«Non resta che reinventare il reale», aggiunse tra il serio e il faceto.

Era seduta in mezzo alla camera. La tigre sorrideva.
«Per oggi basta con la musica – disse – dovrebbe esercitarsi più spesso.

Impari a suonare piuttosto. La rappresentazione è finita.»

(2018)

23 novembre 2022 alle 10:37 

È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno?

Mettiamo il problema nei giusti termini marxiani e chiediamoci:

Il soggetto scabroso (the ticklish subject) di Zizek è l’altra faccia della medaglia dell’oggetto scabroso (the tickish object)? Sì, o no?

Il rapporto soggetto oggetto è un rapporto dialettico e conflittuale, l’alterità dei due Fattori implica una loro riconoscibilità che è sempre data all’interno di un contesto, ovvero, di una serie di rapporti di produzione e di forze di produzione. È l’equilibrio tra queste forze contrastanti ciò che produce il soggetto e ciò che determina l’oggetto. (L’io che acquista una Fiat Punto è esattamente ciò che la merce Fiat Punto riconosce in me come acquirente. È il Capitale che sovraintende all’intero processo).

Sia il soggetto che l’oggetto sono entrambi scabrosi, osceni, inemendabili, indomandabili. La vera domanda che occorrerebbe porre al soggetto è: Che cosa sono io che compro la Fiat Punto?, o meglio, Che cosa sono diventato io per prediligere l’acquisto della Fiat Punto?

Non diversa è la posizione di un «poeta» che voglia porsi nel mercato pubblico. Il mercato pubblico riconosce in me esattamente ciò che io sono: un venditore di merci. Questo è quanto. Se «io» come «autore di poesia» mi metto sul mercato delle merci poetiche, sarò riconosciuto dal mercato delle merci poetiche esattamente così come io mi sono messo in vendita. Che poi la mia personale predilezione sia verso una nuova avanguardia e verso una nuova retro guardia non fa alcuna differenza. Il nuovo Capitalismo cognitivo queste cose le ha digerite da alcuni decenni, sa che l’io come soggetto, che l’attività del soggetto è quella di sottomettersi alle condizioni poste dal mercato delle idee e dal mercato delle merci, altra via di fuga non c’è, se non nella fantasia.

E allora, chiederà il lettore, quale deve essere la posizione del soggetto nelle attuali condizioni? –

Semplice, rispondo: la posizione del soggetto scabroso sarà quella di tentare di sottrarsi alle condizioni produttive che relegano il soggetto nella soggettità e l’oggetto nella oggettità, cioè porsi Fuori del meccanismo identitario e di riconoscibilità del Capitale all’interno delle quali prospera il processo produttivo e la stessa soggettività.

Davide Galipò
24 novembre 2022 alle 15:44

Caro Giorgio, mi permetto di integrare il tuo discorso con alcune riflessioni. Pasolini scriveva che l’arte è “la merce che non può essere consumata”. A tal proposito, la Neoavanguardia ha riportato, con il Gruppo 63 e l’esperienza del Mulino di Bazzano, l’oggetto-libro e nella fattispecie il libro di poesia alla sua condizione materiale di oggetto, appunto, per decostruirlo attraverso le opere dei poeti neoavanguardisti, che attraverso il collage, la performance e il segno tentavano di fuggire dalla forma-libro. La loro poesia è rimasta comunque merce, così come il loro tentativo di decostruire la narrativa degli anni ’60, ma per lo meno il loro si registra come tentativo in tal senso (leggasi a tal proposito Adriano Spatola, “Verso la poesia totale”, 1978).

Dopodiché ci sono stati gli anni del riflusso, gli anni di Piombo hanno lasciato posto agli anni della Milano da bere, nel 1989 il muro di Berlino crolla e con esso le ideologie, il neoliberismo sembra aver vinto la sua battaglia egemonica sul resto del mondo. Il Gruppo 93 e i suoi seguaci non possono, per forza di cose, contrapporsi con la loro poesia al mercato: poiché solo il mercato esiste, pena la dissoluzione totale o peggio, l’insensatezza del loro agire poetico (rimando all’articolo “Contro il presenzialismo” su Neutopia).

Con la fine del postmodernismo e l’apertura della nostra epoca pre-moderna, che io faccio coincidere con l’11 settembre 2001, anno dell’attentato a Ground Zero, ma a detta di Roberto Bolaño e degli infrarealisti potrebbe risalire benissimo all’11 settembre 1973, anno del golpe americano in Cile e della destituzione di Salvador Allende, con l’instaurazione della dittatura militare di Augusto Pinochet, si potrebbe dire che oggi l’avanguardia abbia assunto una nuova urgenza e una nuova spinta propulsiva.

Ma è un’avanguardia differente dalle avanguardie passate, che parte dalle pratiche e non dai manifesti. Una poesia che voglia essere rivoluzionaria oggi dovrebbe innanzitutto occuparsi di rivoluzionare le forme, poiché ci sono molti modi per scrivere una poesia reazionaria: la prima è nei contenuti, la seconda è nella forma.

Cinque anni fa, con NEUTOPIA e con il gruppo d’azione poetica SALINIKA abbiamo provato a dare alcune risposte in questa direzione, partendo dalle avanguardie storiche (futurismo, dadaismo, costruttivismo russo) per capire quale fosse il senso di una nuova avanguardia nella contemporaneità. Alcuni di noi l’hanno vissuta in chiave più situazionista, altri oggi sono partiti dall’ipertesto e dalla realtà virtuale. per comprendere quale possa essere il terreno sul quale le nostre poesie possano diventare totali, dunque entrare interamente nella realtà per proporre un campo differente da quello del mercato editoriale.

Il Liminalismo, i Mitilanti e la Poetry Kitchen secondo me sono esempi che si stanno muovendo in tal senso. A tal proposito, vi lascio il mockumentary sulla nostra attività poetica, girato a Torino nel 2017. Spero ci sarà presto occasione di approfondire il discorso. Continua a leggere

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