Caterina Davinio è nata a Foggia nel 1957, ha vissuto a Roma dal 1961 al 1996, dove dopo la laurea in Lettere all’Università Sapienza si è occupata di scrittura e nuovi media come autrice, curatrice e teorica. Tra i pionieri della poesia digitale, ha esposto in centinaia di mostre nel mondo, tra cui sette edizioni della Biennale di Venezia e le Biennali di Sydney, Lione, Atene, Livepool, Hong Kong e altre; ha partecipato a festival internazionali come Polyfonix (Barcellona e Parigi), E-Poetry (Barcellona e Buffalo, New York), Artmedia (Università di Salerno), Oslopoesi (Oslo) e il Festival internazionale di poesia di Medellín.
Tra le pubblicazioni, i romanzi: Còlor còlor (1998), Il sofà sui binari (2013), Sensibìlia (2015); i saggi sulle arti elettroniche: Tecno-Poesia e realtà virtuali (2002) e Virtual Mercury House (2012); e i libri di poesia: Alieni in safari (poesia e fotografia, 2016), Fenomenologie seriali (2010), Il libro dell’oppio (2012, finalista Premio Camaiore), Aspettando la fine del mondo (2012, Premio speciale Astrolabio), Fatti deprecabili (2015, Premio Tredici), e Rumors & Motors (poesia digitale). Dal 1997 vive tra Monza, Lecco e Roma, operando a livello internazionale.
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa: La ricerca dell’autenticità
Va sotto il nome di Esistenzialismo quel movimento culturale sorto in Francia immediatamente dopo la seconda guerra mondiale che prende nome dalla corrente filosofica degli anni trenta del Novecento che muove storicamente dal pensiero del danese Kierkegaard (1813-1855) e prosegue in Germania, con Heidegger e in Francia con Sartre. L’esistenzialismo segna un ritorno di attenzione dell’uomo alla sua esistenza o, con linguaggio heideggeriano, all’essere dell’esserci. L’esistenzialismo francese postbellico, oltre a Sartre conta sull’apporto di romanzieri come Simone de Beauvoir, Camus e di un filosofo come M. Merleau-Ponty, e si presenta come una «filosofia della crisi». Nel dopoguerra, in Francia molti intellettuali fanno una scelta a fianco del Partito comunista e lo accompagneranno almeno fino alla invasione dell’Ungheria nel 1956. Si può dire che l’esistenzialismo anticipa il fenomeno della contestazione giovanile di massa caratteristica degli Usa negli anni cinquanta, con il rock’n roll e del ’68 francese. In Italia, spunti di esistenzialismo si possono rintracciare in romanzieri isolati del primo anteguerra come Giorgio Scerbanenco e Alberto Moravia del quale nel 1929 esce in Italia il primo romanzo di marca schiettamente esistenzialista: Gli indifferenti; in poesia invece l’esistenzialismo ha avuto da noi scarso attecchimento, tra l’altro, per motivi storici, giunge in ritardo ma con esiti comunque ragguardevoli, anche se le correnti artistiche poetiche stentano a trovare nell’esistenzialismo un punto di riferimento, lo troveranno alcuni autori, tra i quali Caterina Davinio, ma vale la pena ricordare un’altra poetessa, la romana Giovanna Sicari della quale ricordiamo le sue due prime raccolte: Decisioni (1986), e Sigillo (1988). C’è in quegli anni una élite di poeti che sceglie un vitalismo esistenziale per esprimere i dubbi e le angosce della generazione venuta dopo la affluent society e gli anni di piombo. Questo il quadro storico. Caterina Davinio in questo libro antologico della propria produzione, appare poeta significativo di quel momento storico stilistico. Possiamo considerare in questo orientamento anche poeti dissimili tra di loro come i milanesi Milo de Angelis con Somiglianze (1980) e Maurizio Cucchi con Il disperso (1976).
Ci sono in questi autori e in Caterina Davinio dei tratti stilistici comuni: la predilezione per gli scenari urbani e gli interni delle abitazioni private, il corpo visto come un oggetto, l’adozione del verso libero, segmentato e spezzato, la dizione veloce, l’impiego di un linguaggio parlato, antiletterario, la tematica esistenziale, il privato indagato dall’esterno e dall’interno: l’oppio, le droghe, il sesso, il disimpegno dal politico, l’alienazione, gli amori post-adolescenziali, la ricerca ossessiva dell’identità, un certo giovanilismo, il culto del suicidio…
Nella poesia della Davinio c’è vitalismo ed esistenzialismo. La vita è un «interludio della moltitudine». Incontriamo i bar notturni, «malfamati», le discoteche, i balli sfrenati, la droga, gli amori veloci, i «cieli grigi», il traffico delle città, una esistenza di sfrattati dall’esistenza, dispendiosa, anarchica, piena di «immondizie». C’è, in prima persona, l’autrice che dichiara: «raccolgo rifiuti», «Berlino prostituta esperta», «i graffiti sui muri», le «autostrade», «le gambe distese sul pavimento / rigido e freddo / come una camera mortuaria… / dentro i graffi nei denti», «l’edonismo arrabbiato» degli anni Ottanta, «la droga è niente, vedi?». La Davinio nelle sue poesie entra direttamente in medias res, ecco un incipit: «Dicesti: / adesso vado a casa e/ e me la sparo / e andammo a casa… (…) nella Roma languente / decadente / di matrone e portinaie / nella tua casa obliqua». Il verso è trattato sbrigativamente, perché non c’è tempo da perdere, è meglio la vita, viverla in diretta piuttosto che scriverla. Entrano in poesia, direttamente dalla strada, nuovi termini: «overdose», «shakerando», «incazzato», «eroina», «stronzo»…
La poesia è qualcosa che si fa in diretta dalla vita, mentre si vive.

Caterina Davinio
Caterina Davinio
da Il libro dell’oppio, Puntoacapo Editrice, 2012.
Bar.
L’ultima insegna
ancora accesa.
*
Ehi,
come va laggiù,
al Motel delle stelle?
Senti il suono della galassia?
*
Sì.
Ti dico di sì.
Fino all’ultimo stadio del male
delizioso.
*
Tu eri all’angolo della strada
e dietro di te il grigio del muro
e sotto, il grigio delle pietre e del selciato.
La strada era lunga e deserta
e la tua radio emetteva un suono metallico;
Tutto era sporco, era immondizia variopinta
a – u hu huuu
wha hu – u – u – dum dum.
(1981)
Correvamo divorando chilometri
la vita entrava e poi usciva da noi:
un buco vuoto
dove passa il vento
(1983)
Flash (Poema dell’eroina)
Il tempo di un sospiro
sprizza il sangue
nella plastica elastika
e injection suspirosa
ella trans-trahere transeunte
di felicità fugacissima
et intensissima
trans/actraversa attraversante
dal braccio alla schiena
come rampante graffio
salgono ragni di piacere
mi colpiscono (pugnalano) alle spalle
piacere
arrabbiato,
cattivo.
Testa piena full flash acqua
nulla dimentichi
intontito dai pugni dell’orgasmo
non l’org-chiasmo
non l’edonistico drappeggio
non quel pochissimo
che già muore
e ti lascia a fissare
la strada che scorre
e dici voglio ricordare
questo momento
questo sfuggire infinito
del temporaneo, un istante immenso
dilatato
che fluisce
voglio ricordarlo
e questo è tutto
è dio
è il meglio della vita
dei suoi aculei
del suo plasma addensante
archetipi
l’origine
la malattia della vita
equilibra
getta oro sulla bilancia
barbara (venduto al mondo)
ti stressa il cuore innamorato
ti innamori
guardi quelle luci correre lungo la strada
sto appoggiata a un fanale
a un obelisco di pietre lisce
e vedo
l’universo in strisce colorate
e riflettendo
linee di colore
fari delle cars oh America!
lontana
tutto quello che posso graffiare via
lo prendo nelle mani stanche
negli occhi del mio stupore
scorri strada
scorri via
scorrete case
macchine
notti luminose
riflessi di pioggia
la mia giubba di pelle con sinistri bagliori
mi stringe sono un piccolo dio
mi abbraccia
mi lega
ferrea come una camicia di forza
e ti guardo notte
negli occhi con tutto il mio coraggio
codardo
di tossicomane fallito arrabbiato
onore al fallimento
cipria su noi cadaveri
(risucchiati scheletri aulenti
nuda polvere di morte)
pregate
ma annotate nei vostri libri maledetti
che io sono nato oggi
che ho tutto
tutto è l’universo
è
quella poderosa scia.
Ella declina nel sonno
nei soffici sogni carezzevoli
come carezze di amante delicato fraterno
e lascia correre ragni agli angoli della stanza
cattivo taglio, presagio
striature nere di delirio
e tuttavia ricordo
(senza timore)
solo molle delirio d’ombra
tu steso sul materasso morente
io a darti salvezza in piccole gocce nere
noi risorgemmo dal nostro inferno come lievi angeli
con il solletico di dio nelle vene giudiziose
graffiate da artigli, aghi come baci
sul paradiso sull’inferno
non ho niente da aggiungere
non mi pento
nulla aborrisco del mio sangue
rabbioso
delle sue effervescenti bollicine
di frizzante amore universale
di universo universo
ubi/verso
dove stai tu di casa
sotto gli imbrogli della mia quotidiana
brama di afflitto
afflitto per voi inermi spettatori
della mia decadenza e demenza
del mio suicidio alienato e
della vita suicidaria
ma io costruisco mattoni di un muro possente
una barriera indecifrabile
di cellule, un chimico muro
nei cancelli del cervello
non dire oblio
non dirmi folle
costruisco una vita liberata dal peso della vita
lasciami correre come un angelo nella giungla
so delle tigri straziate
dalla colpa
uccidere
per bisogno
lasciami libero
i graffi bianchi sulla mia schiena mi sciolgono
e devolvono
come vivo senza quel peso della materia
senza quella raucedine di mille sigarette
fumate a catena, fumo – – –
vivo leggero come il fulmine
come la persistenza come la meteora
dimmi che mi comprendi
o dimmi che mi odi
ho la potenza del suono e degli eventi
ora lascio scemare l’oltraggio
alla mia carne tremula
domani sarà paura e vuoto
sarò un fantoccio di stracci implorante
la rabbia di dio dirà le mie colpe
e io aspetterò di nuovo per strada
lacrimando come un penitente
con i coltelli negli occhi
e aspetterò pregando l’ora della siringa e delle linee
l’acqua che supplizia le mie vene
all’altezza del giorno deambulante pensoso
aspetterò come Cristo sulla croce
la resurrezione
l’acqua e il fuoco,
l’amore infinito,
eroina.
1984
Frasi rubate
– Lascia passare il tempo
per quello che dura –
– Un uomo può anche sbagliare
– Tu non preoccuparti di questo
e stai a guardare –
– Ascolta…
il violino
che copre la ragione –
– Canti e dolore
droga e dolore
dice G. –
– Cosa ti fai –
– Lascia stare –
– Cosa ti fai –
– Stai a guardare –
Tamburi tamburi
Tum tuum
Chi ha ragione
e chi torto
– Sai
fa caldo
vedi… –
– balliamo balliamo –
ohhh
– dieci fantasie matematiche
algebra pura –
Non c’è un senso in quello che dice
– Il prigioniero
e la sua faccia
sono davanti allo specchio –
– Hai ragione,
è per guardarti dentro –
– Allora? –
– Non so –
– Cosa vedi –
– Tamburi Tamburi
tutto può essere vero
Il piano
uccide i violini
– ti sembra giusto questo –
– a casa di sera
una grande vetrata
sulla città
al diciassettesimo piano
sulla notte.
– Sono un musicista
una persona seria –
Milioni di stelle.
– Il ballerino
dagli occhi folli
si contorce
come un lungo serpente
non mi contraddire
– Non ti sembra bello?
– Anche stanotte sarà una notte da pazzi
La città sembra ancora una prigione
– Lascia stare…
– Cosa ti fai
cosa ti fai –
– Questa è tutta una voglia di droga –
– Qualunque cosa sia,
non durerà a lungo.
– Sei un musicista serio
molto bravo
e hai del coraggio
o no? –
– La tua musica mi piace –
– Questi concerti
che non finiscono mai –
– Mi fanno proprio perdere la testa
– Il solito sballato
che ficca la testa dentro un canale –
– Stai a vedere
che non te la cavi
– Torna domani
hai capito? –
– Un mio amico è affogato in un cesso –
– Brutto guaio –
– Peccato, brutta fine –
– Sì torno domani –
– Sei anche tu uno sballato da niente –
– Torna domani
hai capito? –
Un uomo può anche sbagliare
Un uomo si può anche ammazzare
– Sei un borghese e uno stronzo –
– Che cosa ti fai
Cosa ti fai –
questi tamburi,
a quest’ora di notte.
1976
(Eroina)
Bassi/Fondi
Ho bisogno del tuo tocco,
giù, nei bar malfamati della città,
dove sorrisi e occhiate s’intrecciano
e qualcuno cadrà
sulla strada.
Luci dei caffè
quasi vuoti,
faccia a faccia
deporre ogni arma
inseguendo un’onda struggente,
il maroso soffice.
Galoppano
incalzati dal freddo.
1981
*
Berlino
I cieli erano grigi
lunghi freddi
sembrava di guardare tutto
attraverso un vetro appannato.
Calpestavamo immondizie.
Berlino prostituta esperta
sopravviveva saggia e frenetica
ci divertivamo, eravamo tristi,
ci scambiavamo occhiate
piene d’intesa.
1981
*
Perché sono tornati?
Perché sono caduti di nuovo
nella durezza nella dolcezza?
Tu verrai avanti
tutto in nero
in uniforme notturna
portando la tua innocenza per le strade.
È passato il tempo
è durato un secondo
sento il sangue scorrere via cupo
mi accorgo
che ho sofferto per nulla.
Ho visto ore che non passavano mai
se ne sono andate da sole
dove andavano?
Non le ho sentite passare.
1982
*
Ad A., morto di overdose
Nel buco del nulla
ti scavasti un cantuccio
nell’utero di madre natura
sorridendo con occhi
ambigui
ti raccomandasti
alla benevola spietatezza dell’uomo
Scheletro raccolto
piccolo ritratto d’anima
volata via
e ancora errante
sul letto della morte
e a te è amore
a te è desiderio e passione la morte
piccola morte
ti ritrovai ritratto spezzato
immagine corrotta
in tutta la tua verità
la tua meschina potenza
con il segno indelebile
dell’infinito.
1985
*
Mi alleno all’imperfezione.
Torni e le porte sono aperte.
Per giacere con me
chiami, in multivisione,
da una specie di astronave ultima,
ma sono in ginocchio,
su di me insetti,
un segno della mia morte;
quei morsi mi lasciano intatta
come se venisse un vecchio amore a trovarmi,
una memoria di vita, bimbi e rifiuti.
1983
*
Un punto fermo
(Sul grattacielo)
Era notte, notte fonda
(perché la notte ha un significato)
e io ero in alto
e le automobili giocattoli
punti sulla pista illuminata
dalle luci gialle.
Il tempo gettava sabbia
fastidiosa sottile;
al ventunesimo piano
guardai la neve fioccare giù
quasi in mezzo alle nuvole
dove piccole stelle
di neve
si formano
(nascono gemendo dal buio).
1983