Archivi tag: Befindlichkeit

Le figuralità e le Figure nella poesia Kitchen, La poiesis non fa distinzione tra un fuori e un dentro, ogni limite è un confine e un ingresso e, come ogni ingresso, è anche un egresso, Tecnica, mediato e immediato, artificiale e naturale, sono inseparabili e irrelati e costituiscono un non-luogo, un atopon, Poesie kitchen di Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, Mauro Pierno, Mimmo Pugliese, Jacopo Ricciardi, Ritratto di Giorgio Linguaglossa, fotografia, È molto importante trovare il proprio luogo nella linguisticità. E questo lo possono fare soltanto i poeti. Un poeta ha il suo luogo esclusivo nella linguisticità, e quando lo trova non si muove più di lì; soltanto in quel luogo può parlare, in altri posti della linguisticità rimarrebbe muto

Ritratto di Giorgio Linguaglossa

Marie Laure Colasson, Ritratto di Giorgio Linguaglossa, fotografia 2022

.

Entre la lettre et le sens, entre ce que le poète a écrit
et ce qu’il a pensé, se creuse un écart, un espace, et comme tout espace,
celui-ci possède une forme. On appelle cette forme une figure.
(Gérard Genette, Figures)

Le figuralità nella poesia kitchen

Nelle figuralità presenti nelle poesie kitchen si può rintracciare il percorso che unisce e separa la poesia del novecento e/da quella della nuova ontologia estetica. Sono le figuralità che fanno la differenza.
Le figuralità sono delle vere e proprie tecnicalità, ripropongono la stessa logica anti-entropica e al contempo auto-trascendente della vita. Sono l’espressione di quel fondo pre-individuale presente in ciascuno di noi.

Ogni figuralità è tecnicalità. In ogni oggetto tecnico della poiesis possiamo vedere in atto la dynamis della «natura» umana, quella dimensione originaria che consente all’uomo di esternarsi e di porsi in relazione con quanto lo circonda; quel supporto naturale che permane come un apeiron, serbatoio di potenzialità infinite. L’artificialità delle figuralità non è dunque in alcun modo opposta alla spontaneità produttiva della natura, è anzi consustanziale all’artificialità che contraddistingue l’azione umana, che rappresenta la «natura» umana in svolgimento. La tecnicalità rende visibile al di fuori non tanto semplicemente ciò che l’uomo è nel di dentro, quanto il processo dentro-fuori e io fuori-dentro. La poiesis non fa distinzione tra un fuori e un dentro, ogni limite è un confine e un ingresso e, come ogni ingresso, è anche un egresso.

Tecnica, mediato e immediato, artificiale e naturale, sono inseparabili e irrelati. Una delle leggi antropologiche fondamentali è quella dell’immediatezza mediata, strutturalmente connessa a quella dell’artificialità naturale, nonché a quella del luogo utopico, del non-luogo a-topon.

Parlare di tecnica e di naturalità delle figuralità vuol dire parlare del medesimo. Le figuralità sono la spia di una poesia altamente artificiale, in quanto la tecnica è essa stessa prodotto di artificio, prodotto della dimensione aperta, storica, evolutiva e ibrida dell’essere umano. L’ibridazione con l’alterità nasce da una incompletezza che non è un difetto da colmare bensì una possibilità che conduce ad un oltre, che è per l’uomo la possibilità produrre una dinamica ad un tempo biologica e culturale, innata e acquisita, ontogenetica e filogenetica. La fisicità umana è fondamentalmente protesica, la physis umana è immediatamente meta-fisica.

Già Carlo Marx affermava che l’uomo è Gattungswesen, essenza generica o ente naturale-generico, apertura potenziale al mondo che si determina in modalità temporale e comunitaria. L’uomo è quell’essere che per natura è chiamato ad agire, ad avere un rapporto mediato con quanto lo circonda, all’esposizione con il fuori e con l’altro da sé per cercare di trovare e determinare attivamente se stesso; è in rapporto-a e in relazione-con (zoon politikon); la sua natura non rigidamente statica, ma dialettica e dinamica lo spinge verso il mondo per entrare in rapporto con esso. Che l’uomo abbia un Verhältnis (tanto “relazione” quanto comportamento, azione: relazione), significa che la sua condotta di vita è una questione di modi di essere, il suo comportamento concerne il come agire in ogni determinata situazione.L’uomo è per natura uno sperimentatore, è sempre al di là (ek) del limite (peira) immediato imposto dalla natura. L’uomo è il medium tramite cui la natura si spinge al di là dei propri limiti. La tecnica appartiene all’essenza umana come esserCi, va inserita nel mondo, come disvelamento pro-vocante che pro-cede da physis, dal disvelamento producente del mondo che tocca l’uomo come natura che si fa storia. Se la techne è un modo dell’aletheuein dell’essere, è perché essa è la pro-vocazione della natura nei confronti dell’uomo, è quel movimento di fuoriuscita da sé con cui la physis chiama a sé nella forma del superamento di sé, apre lo spazio dell’umano, costituisce l’uomo in quanto ente storico-culturale in quanto ente che deve corrispondere al movimento sottrattivo di una natura che si dà nascondendosi e venendo meno nella sua immediatezza. L’uomo è così per sua natura un ente non-centrico, ec-centrico rispetto a qualsivoglia forma di centricità, di chiusura autocentrica; è sempre s-centrato e de-centrato rispetto a se stesso.

Se «espandiamo [e introiettiamo] tecnologia», è «per scoprire chi siamo e chi possiamo essere… la tecnica, i suoi apparati, non sono una deviazione rispetto alla norma o alla natura umana, ma piuttosto ne sono una amplificazione, una stilizzazione e una manifestazione eminente. […] Ciò che avviene attraverso la tecnica è una vera e propria rivelazione: ciò che si oggettiva nelle protesi è la natura umana, noi possiamo sempre specchiarci negli attrezzi che abbiamo fabbricato […] e dirci: ‘Questo sei tu’. […] La tecnica non è aberrazione, è rivelazione, ci mostra chi siamo davvero, e funziona non come uno specchio deformante, ma casomai come un microscopio o un telescopio»1.

1 M. Ferraris, Anima e iPad. Rivelazioni filosofiche, Guanda, Parma 2011, 11, 68.

Strilli Transtromer le posate d'argento

Poesie a-centriche di
Mauro Pierno

La parte meno esposta.
La parete del divisorio, questo lo ricordi?
L’ultima sigaretta,
va bene, la penultima!
L’orientamento spostato a ovest,
troppa luce! È quanta polvere, ancora?!
Hai dimenticato ancora
le lenti nel cassetto.
Queste, queste
dovresti averle sempre con te Jack.
Hai tante donne per la testa Jack!
I visipallidi ispirano così tanta devozione.
Caricate…
puntate…fuoco!

*

La pagina elettronica ha le sinapsi allungate
una silhouette a basso costo,
le code dei cavalli arrugginite.
La scopa, Hansel,
ha in dotazione un aspiratore elettronico
ed un pettine per crani calvi
e sdentati.

Mimmo Pugliese

Gatti e pavoni

Gatti nelle steppe tengono per mano arance
vele schiacciano briciole sul cartongesso
un trattore elettrico scuote alberi di catrame
nel garage del Colosseo
hanno profili di melagrana le donne gitane
i fucili degli argonauti ululano alla serotonina
l’abilità dei licheni persuade l’inviato speciale
il pollice di Robin Hood è depresso
no, è vivo! fa la corte alla glottide
gli acini non si radono da tempo
il gallo allude
gladiatori contaminano l’olio di oliva
gli apostrofi corrono in salita
dalla punta dell’Adriatico si vede Stonehenge
il bonus casa telefona alla luna
il cerume soffre di insonnia
Paperone starnutisce ai pavoni

Jacopo Ricciardi

brani poetici tratti dall’antologia Poetry Kitchen (2022).

Un mal di testa è un grande ombrello nero
una piovra con un eccesso di tentacoli.
Un gatto dal dorso ardente
acciambellato in ogni cosa
sogna un mal di testa. Qualche gatto
si alza per correre senza fine –
insegue il mal di testa
sotto l’ombrello.
Un mal di testa entra nel piccolo cranio del gatto
che non sa dove andare. Ogni direzione
è possibile
sarà svolta seguendo il vortice di un orecchio.

*

Si immergono luminosi dentro anelli scuri.
In su si afferrano con unghie a mezzaluna
a successive orecchie e discendono quatti
un orecchio alla volta sulle tracce di un mal di testa
guardando ripiani di pietra e pareti finire
nell’acqua di una terma – entra
ogni gatto in una bolla
espulsa dal fondo terrestre fino a una fessura
e salendo nel caldo liquido e aprendosi sulla superficie
lancia il felino nell’odore pregnante
mentre riposa acceso di luce su un calore
memoria di un indimenticabile bruciare.

*

Un podismo estenuante
che genera gatti infiammati
fermi accanto ai falò.
Altri falò soli
figli del non muoversi
del mancato saluto
stuprati da ogni cosa
in un respiro che va a onde circolari.
Queste lagune immobili
come stratificazioni di sanguisughe
bocche contro bocche che trovano solo aria
e rumori di tarli che avanzano che arretrano
salendo o scendendo fintamente nell’idea.

*

La folla di ceppi cade insieme
sanno di resina
che cola nella spaccatura circolare
lì si arrampica sui cerchi del legno
li discende come gradini –
il proliferare del tempo è in briciole.
Il tonfo che fanno a terra è sordo
e non scompone la resina appiccicata.
Le orecchie appiccicate alla resina al tronco.

*

Molti gatti in corsa su differenti vortici di orecchie
sotto il grande ombrello nero di una piovra.
Saltano sulle groppe dei segugi –
vanno riconoscendo il luogo con la lingua –
accendendoli appena e bruciacchiandoli
per finire nel fondo inghiottiti in una nascita –
lì in fondo la vasca della sauna
dove trapela una terma
dove l’acqua è ferma
percorsa da un respiro circolare
stigma di un luogo
come dei ceppi caduti riassorbiti densi in essa.
Sul largo ombrello una miriade di falò.
Intorno sta un paesaggio deforme.

Strilli Tranströmer 1

Ci sono delle cose che in una poesia non si possono dire, e in un ritratto non si possono disegnare. Scrivere una poesia è un atto di estrema cortesia e di estrema reticenza. Fare un ritratto è un atto subdolo: cercare di scavare nell’inconscio del Conscio senza darlo a vedere, non c’è principio di ragion sufficiente che regga. Non posso scrivere in una poesia un pensiero del tutto ovvio e fatto, perché verrebbe immediatamente archiviato dalla memoria collettiva. In poesia non si possono scrivere truismi, se non per ribaltarli. Resta il fatto, però, che l’Altro ha bisogno di conoscere esattamente ciò che non è detto. Il poeta di rango non si sottrae mai a questo problema, egli risponde sempre e come può, riproponendo di continuo ciò che non può esser detto in altri modi, ovvero, con altre parole; in questo modo ingaggia una lotta perpendicolare con ciò che non viene detto, e così allarga il campo della dicibilità e restringe quello della linguisticità. Questo è il compito proprio della poiesis. L’ontologia positiva è questo allargare di continuo il campo della dicibilità restringendo quello della linguisticità.

È molto importante trovare il proprio luogo nella linguisticità. E questo lo possono fare soltanto i poeti. Un poeta ha il suo luogo esclusivo nella linguisticità, e quando lo trova non si muove più di lì; soltanto in quel luogo può parlare, in altri posti della linguisticità rimarrebbe muto. Nessuno che esprime qualcosa dice ciò che effettivamente intende: ciò che io intendo è sempre diverso da ciò che io dico. È ingenuo pensare ad una perfetta coincidenza tra ciò che intendo dire e ciò che dico. Tra la parola e la cosa si apre una distanza che il tempo si incarica di ampliare e approfondire. Tra le parole si insinua sempre l’ombra, viviamo sempre nell’ombra delle parole. Anche trovare la parola giusta al momento giusto, è una ingenuità. Il politico pensa in questo modo, pensa in termini di «giusto», non il poeta. La poiesis non ragiona in questo modo, alla poiesis interessa trovare il «luogo giusto» dove far accadere l’evento del linguaggio. Tutto il resto non interessa la poiesis.

Pensare l’Evento del linguaggio dal punto di vista di chi è fuori dal «luogo» del linguaggio è una sciocchezza e una improprietà; chi è fuori del quel «luogo» linguistico non comprenderà mai l’Evento di quel linguaggio che deriva da quel «luogo». Quello che Heidegger vuole dire con la parola Befindlichkeit è proprio questo: il situarsi emotivamente dell’Esserci in un «luogo linguistico». Ogni luogo ha la sua particolarissima tonalità emotiva, il suo personalissimo colore. E la poesia è il miglior recettore di questa tonalità.

Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

.

Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

.

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

.

Jacopo Ricciardi, poeta e pittore, è nato nel 1976 a Roma dove vive e lavora. Ha curato dal 2001 al 2006 gli eventi culturali PlayOn per Aeroporti di Roma (ADR) e ha diretto la collana di letteratura e arte Libri Scheiwiller-PlayOn. Ha pubblicato diversi libri di poesia, Intermezzo IV (Campanotto, 1998), Ataraxia (Manni, 2000), Poesie della non morte (con cinque decostruttivi di Nicola Carrino; Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem Edizioni, 2004), Plastico (Il Melangolo, 2006), Sonetti Reali (Rubbettino, 2016), Dei sempre vivi (Stampa 2009, 2021), Quarantanove Giorni  (Il Melangolo, 2018), le plaquette Il macaco (Arca Felice, 2010), Mi preparo il tè come una tazza di sangue (Arca Felice, 2012), due romanzi Will (Campanotto, 1997) e Amsterdam (PlayOn, 2008) e un testo dialogato Quinto pensiero (Il Melangolo, 2015). Suoi versi sono apparsi nell’antologia Nuovissima poesia italiana (a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi; Mondadori, 2004) e sull’Almanacco dello specchio 2010-2011 (Mondadori, 2011), e sulle riviste PoesiaL’immaginazioneSoglieResine, Levania e altre. Ha partecipato con sue poesie a due libri d’artista, Scultura (Exit Edizioni, 2002 – con Teodosio Magnoni), Scheggedellalba (Cento amici del libro, 2008 – con Pietro Cascella). Ha collaborato con Il Messaggero in una rubrica di letteratura a lui dedicata: Passeggiate romane. Ha scritto di arte su Flash Art onlineArt a part of cult(ure) e Espoarte. Ha al suo attivo diverse mostre personali, E fiorente e viva e simultanea, Galleria WA. BE 190 ZA (Roma, 2001),  Nella nebbia dell’esistente, Area 24 (Napoli, 2010), Materie senza segno, Lipanjepuntin (Roma, 2010), Dialoghi d’arte, L’originale (Milano, 2011), Una stanza tutta per sé. Visioni da Shakespeare, Casa dei Teatri (Roma, 2012), Paesaggio terrestre, Area24 (Napoli, 2015), e diverse collettive Epifania, Galleria Giulia (Roma, 2000), Maestri di oggi e di domani, Galleria Giulia (Roma, 2001), Biennale del Mediterraneo, interno Grotte di Pertosa (Salerno, 2002), XXIX Premio Sulmona, Ex Convento di Santa Chiara (Sulmona, 2002), Segnare / disegnare Accademia di San Luca (Roma, 2009), ADD Festival 2011, Macro (Roma, 2011), 90 artisti per una bandiera, Chiostri di San Domenico (Reggio Emilia, 2013), Accademia Militare (Modena, 2013), Vittoriano (Roma, 2013), Ex Arsenale Militare (Torino, 2014), Tribù, Area24 (Napoli, 2014). Ha pubblicato due cataloghi d’arte delle sue opere: Jacopo RicciardiNella nebbia dell’esistente, prefazione di Nicola Carrino, Area24 Art Gallery, 2009; Jacopo Ricciardi, Paesaggio Terrestre, opere 2008-2014, a cura di Sandro Parmiggiani, Grafiche Step Editrice, 2015. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

33 commenti

Archiviato in poetry-kitchen, Senza categoria

Heidegger nel 1924 scrisse: quando ci sentiamo spaesati iniziamo a parlare, Pensieri e poesie di Marina Petrillo, Italo Calvino, Jacques Derrida, Giuseppe Gallo, Gino Rago, Carlo Livia, Mario M. Gabriele, Giorgio Linguaglossa

foto-strada-galaxy

Giorgio Linguaglossa

Heidegger nel 1924 scrisse: «quando ci sentiamo spaesati, iniziamo a parlare»

Ecco, io penso che la poiesis accada quando ci accorgiamo che ci sentiamo spaesati, quando non riconosciamo più le cose e le parole che ci stanno intorno. Allora, le parole e le cose ci diventano irriconoscibili.

Ci sono delle cose che si possono dire con una lettera. Ricevere una lettera è molto diverso da quando parli con qualcuno che hai di fronte. Il dialogo con un estraneo è cosa molto diversa dal dialogo con una persona che amiamo e che conosciamo molto bene. Anche un dialogo al telefono è molto diverso dal dialogo con una persona che abbiamo di fronte. Le parole non sono mai le stesse. È molto difficile scrivere in un libro di saggi in modo da essere correttamente compreso, tanto più in un libro di poesia. È evidente. Alcune cose richiedono di essere scritte a mano, come una lettera di condoglianze. È ancora consuetudine che si scriva a mano e non a macchina un pensiero di condoglianze. Così una dedica a un libro che doniamo. Chi penserebbe di scrivere una dedica a macchina? Sarebbe davvero improprio.

Ci sono delle cose che in una poesia non si possono dire. Scrivere una poesia è un atto di estrema cortesia e di estrema reticenza. Non posso scrivere in una poesia un pensiero del tutto ovvio, perché verrebbe immediatamente archiviato dalla memoria collettiva. In poesia non si possono scrivere truismi, se non per ribaltarli. Resta il fatto, però, che l’altro ha bisogno di conoscere esattamente ciò che non è detto, e il poeta di rango non si sottrae mai a questo problema, egli risponde sempre come può, riproponendo di continuo ciò che non viene detto in altri modi, con altre parole, in questo modo ingaggia una lotta perpendicolare con ciò che non viene detto allargando il campo della dicibilità e restringendo quello della linguisticità. Questo è il compito proprio della poiesis.

È molto importante trovare il luogo nella linguisticità. E questo lo possono fare soltanto i poeti. Mario Gabriele ha trovato il suo luogo esclusivo nella linguisticità generale, e non si muove di lì, anche Marina Petrillo e Carlo Livia lo hanno trovato. Soltanto in quel luogo la poiesis può parlare, in altri posti (della linguisticità) rimarrebbe muto. Nessuno che esprime qualcosa dice ciò che effettivamente intende. Ciò che intendo è sempre diverso da ciò che dico. È ingenuo pensare ad una perfetta coincidenza tra ciò che intendo dire e ciò che dico. Tra la parola e la cosa si apre una distanza che il tempo si incarica di ampliare e approfondire. Tra le parole si insinua sempre l’ombra, viviamo sempre nell’ombra delle parole. Anche trovare la parola giusta al momento giusto, è una ingenuità. Il politico pensa in questo modo, pensa in termini di «giusto», non il poeta. La poiesis non ragiona in questo modo, alla poiesis interessa trovare il «luogo giusto» dove far accadere l’evento del linguaggio. Tutto il resto non interessa la poiesis.

Pensare l’evento del linguaggio dal punto di vista di chi è fuori dal «luogo», è una sciocchezza; chi è fuori del «luogo» non comprenderà mai l’evento di quel linguaggio che deriva da un «luogo». Quello che Heidegger vuole dire con la parola Befindlichkeit è proprio questo, il situarsi emotivamente da parte dell’Esserci in un luogo. Ogni luogo ha il suo particolarissimo pathos, e la poesia è il recettore di questo pathos.

*

Ogni linea presuppone una penna che la traccia, e ogni penna presuppone una mano che la impugna. Che cosa ci sia dietro la mano, è questione controversa.

(Italo Calvino)

Dove ci si trova allora? Dove trovarsi? A chi ci si può ancora identificare per affermare la propria identità e raccontarsi la propria storia? A chi raccontarla, in primo luogo? Bisognerebbe costruire se stessi, bisognerebbe poter inventarsi senza modello e senza destinatario garantito.

(Jacques Derrida)

 

Carlo Livia

«V’è una tendenza generale del nostro apparato psichico, riconducibile al principio economico del minimo dispendio… Con l’instaurazione di questo principio della realtà si differenzia una forma di attività psichica…che è soggetta solo al principio del piacere. E’ l’attività fantastica, che incomincia col gioco dei bambini e successivamente assume la forma del “sogno diurno». ( S. Freud )

Così l’attività ludica e fantastica è l’unica forma che consente al principio del piacere di mettere in subordine il principio della realtà, realizzando il sogno di Bergson e Nietzsche, della piena e libera esplicazione dello spirito vitale e della volontà di potenza.
Ma penetrando negli incunaboli dell’inconscio accompagnati da una guida particolarmente dotata di acume e sensibilità, come Kafka o Beckett, può accadere di imbattersi in presenze più inquietanti di quelle concretizzate da millenni nei mitologemi delle culture tradizionali, tali da rimettere in predicato tutta la nostra capacità di relazione e predicazione dell’essere. E’ quello che avviene con Mario Gabriele, in cui la decomposizione di strutture morfosintattiche e logiche ha un significato diverso dalla generale tendenza espressionista e simbolista della modernità, smarrendo o neutralizzando ogni istanza e auspicio per una nuova epistemologia e restaurazione metafisica. E’ come se prevalesse quello che Freud individua, nella sua ultima teoresi sulla dinamica psichica, come il “principio di morte”, contrapposto al principio di vita o erotico, che si esprime nel desiderio, proprio di tutti gli organismi biologici, a ritornare ad uno stato precedente a quello attuale, cioè, in ultima istanza, in una nostalgia allo stadio che precede la vita. Questo impulso scaturisce e giustifica la completa assenza di pathos ed emozione, di qualunque tensione aggregatrice che connota il flusso psichico- onirico di questi testi, significativa testimonianza di un universo culturale in piena decadenza, che, per citare ancora i solito Heidegger, presenta un tale grado di novità e mistero, da richiedere un pensiero e un metodo di analisi completamente nuovo, ma in cui ” ormai solo un Dio ci può salvare “.

Spero che Mario Gabriele voglia accettare questo testo che offro alla sua attenzione, esprimendogli la mia piena solidarietà e ammirazione.

Anamnesi ( Dal tempo oscuro )

Entrai nel ricordo spalancato dalla musica. Assenze abbracciate, voci sfinite.
Calici di ragazze e gelsomini, da bere in piedi, fra i cespugli. Lune pallide di passione, baci, sospiri. La notte spargeva templi, covi femminili.
Nel portico, gli Dei sfiniti. Sognavano forme, corpi, amori da attraversare.

Era prima del tempo, del pensiero. Quando i gigli non sapevano separarsi dalla luce, e gli angeli spiavano i gemiti delle alcove.
Quando il cielo era nudo di sguardi, e un orfano piangeva fra le acque indivise. Le sue lacrime tracciavano le strade dei millenni.
Prima del senso, del lutto, dell’addio. Quando le nuvole arrossivano fra le dita del vento, e le creature dei boschi si affacciavano da un balcone di pioggia, a spiare il segreto sposalizio di spiriti e silenzi.

Fu allora che il primo istante dimenticò il tuo nome. Impazzì, tracciò segni, confini. Circondò il tuo corpo d’ombre, di desideri.
E il cuore che lo vide fu rinchiuso nel sogno.

Giuseppe Gallo

Prima di tutto auguro a Registro di Bordo di M. Gabriele, edito da Progetto Cultura (2020), il successo di pubblico che si merita. In secondo luogo vorrei sottolineare quanto afferma Linguaglossa nella presentazione del testo:

“Mario Gabriele pone in essere una trafugazione di frammenti, di rottami, di referti, di reperti, di rifiuti del mondo della civiltà cibernetica; e così compone le sue poesie, come una com-posizione, un polittico in distici, come un campionario di tessere semantiche non più significanti, uscite fuori dal periscopio della significazione…”.

Sono pienamente d’accordo quando si mette l’accento sulla “com-posizione” dei distici tramite frammenti, rottami, ecc,, meno quando si afferma che il risultato di questi allestimenti semantici escono “fuori dal periscopio della significazione…” Io sono convinto che ogni parola, qualunque parola, caduta sulla pagina, ha in sé un quid “significazionale”, e non solo dal punto di vista fonetico o del rapporto che si instaura con gli altri lacerti linguistici contigui… non fosse altro che il venire in superficie di questi “reperti” e “referti” possa essere il frutto della liberazione dell’inconscio, della memori o di qualsivoglia altro meccanismo.
Le “com-posizioni” di M. Gabriele sono il risultato di un collage di “polinomi frastici” che nella loro frammentazione non solo risultano essere ciò che può sopravvivere del complesso linguistico contemporaneo, ma determinano, o potrebbero determinare, anche “i fondamentali”, si diceva una volta, di una nuova Poetica. Perché questo è il problema. Non cosa e come si possa scrivere poesia al tempo di Internet e della cibernetica, ma quale Poetica?

Quelle parole che Linguaglossa considera “raffreddate, ibernate”, costituite di “materiali a-significanti…” a mio modestissimo parere, riportano, invece sulla superficie del mondo linguistico qualcosa che può ancora sopravvivere, quasi un “corona virus” dei nostri giorni, che fa male, che continua mietere vittime, che supera le barriere e gli ostacoli, ma che allude, per contrasto, ad un mondo, sempre poetico, per restare nella metafora, che potrebbe tornare a vivere. C’è da dire, anche, che la formula portata avanti da M. Gabriele, determina un disallineamento tra Poetica e Potere, nel senso che la “metafora” di fondo che sorregge il suo discorso è oltre ogni limite di ciò che Linguaglossa denomina “mondo amministrato”.

Io andrei anche oltre, affermando che il distacco è “dal mondo che amministra” e che regola e stabilisce i rapporti di forza. Dalla lettura della prima poesia, la n. 9, emerge una “tonalità” che sospinge le parole, le frasi e il loro contenuto all’evanescenza: è una nebbia che sale, o scende, si ferma e obnubila ogni traccia. Eventi, oggetti, sensazioni, ciò che sembrava essere importante ( il tempo della nascita e della morte); il ricordo di Debora e Barak, After Strange Gods, i bouquet per i compleanni della famiglia, rimasugli e scarti del tempo, reperti della memoria,ecc., cadono e precipitano in una atmosfera di addio e di prossima fine. C’è anche una profonda ironia:

-Signora, sono arrivati i tulipani. Glieli mando a casa
così nessuno potrà dire: per chi suona la campana!

(Mario M. Gabriele, da Registro di bordo, Progetto Cultura, 2020)

Care lettrici e cari lettori, non abbandonatevi alle palpitazioni, ormai siamo preparati a prevenire anche il caso, pianificare le attese e a demistificare perfino le sorprese.

Marina Petrillo

Tre poesie inedite

Ci si sente forse sul ciglio
dell’immortalità tradotta ad effigie
o un pallido ciclo compone rinascite.

Donate una zolla di terra
al pauroso fragore del ciclo terrestre
in palpito di foglia morta al suo fiore.

Non soggiace Amore a spento atomo se
il nucleo trasale in ascensione inversa.
Chiamate i bambini a gran voce.

L’istante sconfigge ogni temporalità.
Indimostrabile teorema a diadema posto,
milizia in difesa di Bellezza.

Un albero attraversa lo sguardo.
Cauto, dilegua in rosei rami e, a richiamo,
celebra del padre la memoria.

Non fui mai. Solo intrattenni dialogo
con l’anima in veste di luce abbagliata
da origami diurni graffiati a fosforo.

Così vedo allontanarsi la notte.

*

Irraggiungibile approdo tra diafanie prossime alla perfezione.
Digrada il mare all’estuario del sensibile
tra risacche e arse memorie.

Si muove in orizzonte il trasverso cielo.
Fosse acqua il delirio umano perso ad infranto scoglio…
Sconfinato spazio l’Opera in Sé rivelata.

Conosce traccia del giorno ogni creatura orante
ma antepone al visibilio il profondo alito se, ingoiato ogni silenzio,
ritrae a sdegno di infinito, il brusio della spenta agone.

E’ nuovo inizio, ameno ritorno alla Casa della metamorfosi.
Saprà, in taglio obliquo, se sostare assente o, ad anima convessa,
convertire il corpo degli eventi in scie amebiche.

Un soleggiare lieve, di cui non sempre appare l’ambito raggio.

*

Si traccia a sua somiglianza
il pallido sorgere del sole.

Tace della natura il lascito
lunare e inciampa raggi annichiliti
da brividi albescenti.

Incerto sullo splendore, annida l’ombra
in emanante abbraccio e lì si abbandona.

Eterno è il suo momento
mai avvizzito dal ciclo delle divine stagioni.

Mario M. Gabriele

Scrivere una poesia, comprensiva dell’esperienza umana e culturale del poeta, credo sia la forma migliore per avvicinarsi al lettore, il quale spera sempre di trovare nel testo parte dei propri pensieri da cui può avvicinarsi e riflettere di fronte agli attacchi della realtà nella quale siamo tutti immersi.
L’obiettivo è far risalire la psiche in superficie in modo da arginare l’angoscia o ansia vissuta come disagio in un mondo in continua fibrillazione, tanto da aggravare la posizione esistenziale della società, al di là di ogni tipo di filosofia e letteratura.
Sconcerta l’impotenza del pensiero sulla strategia economico-climatica che ogni anno si tiene a Davos. Ci hanno buttati nella piena notte del mondo dove è impossibile reinventare un nuovo Dio.
I poeti questo lo sanno. Hanno le attrezzature per indagare e informare. Se l’essenza della Verità sta nell’esprimere il pensiero in piena Libertà, allora “l’Irfaran” di Heidegger ha il giusto significato di viaggiare ed esplorare, perché in questi due termini si consolida l’aspetto misterioso del nostro Essere qui e ora.

Ciò si è assemblato nella mia poesia tanto da ostruirne il passaggio verso la Speranza. Che dire in questo caso?….“che l’occhio altera le superficie radianti. / Mette in forse la luce all’orizzonte”(Registro di bordo pag. 44).
Da quando sono scivolato nella solitudine, ho preferito restare dietro a immagine e vocabolario, recuperando fonemi ormai rari, caricando di significati nuovi la parola del quotidiano, immettendo flussi plurilinguistici tra Oriente smarrito e Civiltà defunte.
Che poi tutto questo si esplica in una continua viandanza lessicale, con cerotti applicati sul linguaggio, tra il polittico e il distico, dove il frammento è la sintesi del Tempo passato e del Tempo presente, non è da considerare come un revisionismo formale di nuovo secolo.

Credo che si vada, con questa operazione, a creare isole ecologiche, dove le differenze oggettive dei prodotti linguistici, sono da sottoscrivere trasferendovi la NOE, vista come soggetto emergente, non importa se di invenzione intellettuale e miniespressiva, purché abbia nel suo interno le caratteristiche della poesia come segno realistico della nostra vita.
Non a caso l’interessante disamina critica di Giuseppe Gallo, che naturalizza il percorso espressivo di Registro di Bordo, si apre ad una ermeneutica condivisibile, come quella di Giorgio Linguaglossa, primo apripista della mia poesia, a cui si aggiunge Carlo Livia con una visibilità estetica di sensibile analisi. A tutti vada il mio più sincero ringraziamento con l’augurio di continuare su questo viadotto.

Gino Rago

9

Sei rimasta come le foglie del bonsai.
Mi scrivi: – salutami Stella e le amiche di Parma. –

Esco di rado. Qualche volta mi fermo al Cabaret.
Riapre il Nasdaq di Londra con le start-up a 10 Buy.

Non lontana dai borghi
c’è la discarica delle stagioni.

Ci riserviamo le prognosi future
e le segrete stanze dell’illusione.

Rispuntano gli ologrammi.
Stasera ci fermiamo con i turisti by night.

Leggo e ripongo After Strange Gods
dopo una giornata di meteo invernale.

Qui prepariamo i bouquet
per i compleanni della famiglia.

– Signora, sono arrivati i tulipani. Glieli mando a casa
così nessuno potrà dire: per chi suona la campana! –

C’è sempre un tempo per nascere
e un tempo per morire.

A digiuno ci fermammo nella certosa
ricordando Debora e Barak.

La nostra amica americana si è sposata con la tristezza
da quando ha letto Day by Day.

(da Mario Gabriele, Registro di bordo, Progetto Cultura, Roma, 2020)

Lettura di Gino Rago

Il moto entropico perpetuo in Registro di bordo di Mario Gabriele

“[…]Non lontana dai borghi
c’è la discarica delle stagioni[…]”.

Poco più giù, nello stesso polittico, il lettore, già tramortito dalla valanga di immagini-parole-metafore cinetiche che Mario Gabriele crea e intreccia, con la maestria e la sapienza dei vecchi cestari, si imbatte in un altro distico non meno spiazzante del primo

“[…]C’è sempre un tempo per nascere
e un tempo per morire[…]”

Lo spaesamento dell’uomo d’occidente è totale: le stagioni è possibile rinvenirle nella discarica e tra il “nascere” e il “morire” del secondo distico manca ciò che si verifica o che dovrebbe verificarsi tra le due polarità estreme del nascere e del morire: vivere, semplicemente vivere.
C’è tutto, anche se mai viene nominato, ciò che non riesco a dire diversamente il dolore dell’uomo d’Occidente nella gabbia filiforme di una Europa ipermoderna cristallizzata in quello che Zygmunt Bauman ha saputo indicare come “il-tempo-di-mezzo”, tra un “non più” non ancora concluso e un “non ancòra” che stenta ad albeggiare; e il poeta d’avanguardia come Mario Gabriele avverte la lacerazione tra “cosa” e “parola”, lacerazione ribadita da Giorgio Linguaglossa: “Tra la parola e la cosa si apre una distanza che il tempo si incarica di ampliare e approfondire…”, e rimangono le interferenze, le ibridizzazioni, le immagini metaforiche, gli sparpagliamenti, le dissipazioni: una entropia di linguaggi in un moto entropico perpetuo…
Per questo forse

“[…] Marisa riordinò gli arredi
lasciando al gatto Musumeci i residui di Gourmet […]

mentre in altra parte dello spirito d’Occidente, benché ad altre latitudini e ad altre longitudini

“La nostra amica americana si è sposata con la tristezza
da quando ha letto Day by Day.”

Il congedo qui si è fatto definitivo dai direi tòpoi di tantissima nostra poesia, le discariche, i residui di Gourmet, il matrimonio con la tristezza della sposa americana, le foglie del bonsai prendono il posto definitivamente in un altro luogo poetico delle linee-luoghi comuni fiore-sole-cuore-luna-amore…
Qui lo spaesamento dell’uomo d’occidente convoca altri approdi, in questo Giornale di bordo l’estraneazione richiede altre poetiche, un’altra estetica, una altra morale, un’altra etica, qui siamo alla «poetica della indignazione morale», alla «estetica della disperazione»….

13 commenti

Archiviato in critica della poesia, Senza categoria