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Promenade in Zelia Nuttal Gallery, video di Gianni Godi, versi di Mario M. Gabriele, musica di Antonio Amendola, la top-pop-poesia, poesia pop corn, soap poesia, Poesie di Mario M. Gabriele, Mauro Pierno, Appunti critici di Giorgio Linguaglossa

 

Mario M. Gabriele

Lei aveva previsto la luna rossa
come una torcia su un tratto di terra
di querce e baobab.

Margot, non ho più La gazza ladra
e il tuo ritratto ha i colori di François Fabre
in questo declino di avventura
dove il pangolino è diventato il re dei cieli.

Nella conferenza sui giovani pipistrelli
si discusse su la Bella e la Bestia.

Prima che la luna sparisse
si ritrovarono i poeti di Book Italy.

-Vorrei uscire da questa oasi
disse Toby, -senza abbandonare Gangs of London-.

Ora anche le nespole
gocciolano lacrime di stagione.

Una indagine segreta
ci portò in universi paralleli.

Secretammo i risultati in busta chiusa
nell’anniversario della Signora Mellory.

Troppi anni sono passati
in un silenzio da monaco buddista.

-E’ qui, Maestro? E’ lo stesso di ieri?
E come ha fatto a ritrovarci nella sua pagoda?

Eravamo in un giorno di pioggia a New York
e nessuno sapeva dove.

(inedito, da Remainders, di prossima pubblicazione)

Mauro Pierno

Prova a dare un credito alla storia.
All’attimo adulto.
A due sedie in tandem.
Allo spiraglio raggrumito di una serratura ad asola.
Al serramanico di un un controfagotto.
Alle note a scatto che ha tutto apposto
nell’astuccio della musica.
Ad una sigaretta, ad una ouverture
della mano digitale.
In ordine di apparizione,
riconoscibili nei pixel di Gianni Godi,
Marie Laure sul dondolo,
Gino in sdraio,
Giorgio a nuoto e Lucio che sventola la bandiera
quando la sua nanin
ha fatto l’uovo.

(Per inciso i quadri di Marie Laure Colasson hanno il limite della cornice. La bandiera della Nanin di Lucio Mayoor Tosy è un manifesto.)

Lucio Mayoor Tosi Covid Garden 3 acrilico, 50x70 cm, 2020

Lucio Mayoor Tosi, Covid garden acrilico 50×70, 2020

Giorgio Linguaglossa

la top-pop-poesia, poesia pop corn, soap poesia

Qualcuno ha obiettato che il nostro tentativo di risuscitare la pop-art in poesia rischia di essere un repêchage che non annunzia nulla di nuovo.
Ritengo questo argomento specioso e fuorviante. Innanzitutto, la top-pop-poesia, la poesia pop-corn, la soap-poesia, chiamatela come volete, non è una riproposizione dell’antica pop art ma una novità assoluta per la poesia italiana ed europea; la contro prova è ammessa, ovviamente; in secondo luogo, già da alcuni decenni la poesia italiana è ridotta ad una passerella in cui ciascuno dei passerellisti può godere di un quarto d’ora di celebrità. Le poesie che si scrivono oggi sono degli algoritmi più o meno prevedibili che non possono interessare nessuno dei concittadini, che ci parlano di presunte esperienze corporal-estatiche come prodotti estetici circonfusi da un’aura spirituale, polinomi frastici fatti in serie… ma è chiaro che continuare su questa strada non ha alcun senso e non è serio affatto.

Replicherei così a queste obiezioni:
Provate voi a scrivere una pop-top-poesia, la pubblichiamo subito e la commentiamo semmai. Vi accorgerete di quanto sia difficile scrivere una poesia pop-corn o una soap-poetry!

Lascio la parola a Mario Perniola:

«… l’arte alla portata di tutti i talenti è appunto il miracolo compiuto nei primi anni sessanta dalla pop-art, la quale con un uso spregiudicato del ready-made mostra come sia facile fare un’opera, sottraendo un qualsiasi oggetto dal contesto utilitario e immettendolo nel mercato dell’arte. In un primo tempo, l’effetto di questa strategia è l’attribuzione di un’enorme importanza al nome dell’artista, che diventa l’unico punto di riferimento per la determinazione del valore dell’opera.
Tuttavia l’osservazione di Andy Wahrol secondo cui in futuro ognuno godrebbe di un quarto d’ora di notorietà esprime un totale scetticismo nei confronti della possibilità di fare opere artistiche che resterebbero come azioni significative per i contemporanei e per i posteri.
Per opporsi al disincanto cinico della pop-art nascono tra gli anni Sessanta e Settanta movimenti che, come il Wiener Aktionismus, fanno capo del corpo dell’artista l’oggetto di performance autolesionistiche…»1

Scrive Heidegger:

«La cosa, nella sua modestia, si sottrae al pensiero nel modo più ostinato. Oppure proprio questo rifiutarsi della mera cosa, questa in sé riposante e non costretta compattezza della mera cosa, dovrà appartenere all’essenza della cosa? Ma allora ciò che di più strano e segreto l’essere della cosa porta con sé, non dovrà costituire l’obiettivo ultimo di un pensiero che cerchi di pensare la cosa?».2

Oltre alle mere cose esistono le cose d’uso, cioè gli strumenti, in cui il rapporto materia-forma è modificato dall’intervento dell’uomo, il quale costruisce una cosa in funzione del suo uso. Lo strumento, il mezzo, è qualcosa più della mera cosa, ma qualcosa meno dell’opera d’arte vera e propria. Che cosa rende tale il mezzo? Verrebbe da rispondere: la sua usabilità, la funzione per cui è stato fatto; ma , a questo punto, Heidegger sceglie un mezzo concreto per esemplificare, e precisamente le scarpe infangate e consumate del contadino del famoso quadro di Van Gogh.
Quest’immagine dice qualcosa di più di ciò che ci è noto, ci parla di tutto un mondo contadino di umile fatica e di semplicità, di sudore e del rapporto del contadino con la sua terra… La pienezza dell’essere viene definita “fidatezza” (Verlässigkeit).

È di tutta evidenza l’idea che gli «oggetti» non sono le «cose». Degli oggetti ci fidiamo: stanno lì da sempre dove noi li collochiamo, le «cose» no, si rivelano all’improvviso al seguito di un qualche evento. Moltiplicando gli oggetti non raggiungeremo mai le «cose». È proprio questa l’impasse nella quale si invischia ogni «poetica degli oggetti» rendendola obsoleta: l’impossibilità di raggiungere gli oggetti in quanto essi sono irraggiungibili, moltiplicarli all’infinito significa moltiplicare all’infinito la loro inafferrabilità, è questo il punto decisivo in favore della top-pop-poesia di Mario Gabriele, di Mauro Pierno, di Gino Rago e di tutti gli altri poeti della poesia pop corn. Si tratta di un modo di fare poiesis terribilmente serio.
Nella poesia di Gino Rago abbiamo una moltiplicazione all’inverosimile degli oggetti che di solito cadono dal 5 piano dell’Ufficio Informazioni Riservate di via Pietro Giordani di Roma sulla testa di qualche malcapitato passante. Che cosa significa tutto questo? È che gli oggetti ci cadono addosso senza requie, dalla mattina alla sera, che gli oggetti sono il nostro incubo, la radice della nostra infelicità…
È questo che fa della top-pop-poesia una poesia contemporanea, che ci parla da vicino di problematiche che ci riguardano da vicino.

M. Perniola, Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi, Torino, 2009, p. 67
2 M. Heidegger, Sentieri interrotti, op. cit., p. 21

 

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Video di Gianni Godi con musiche di Antonio Amendola, Poesie, Storia di una pallottola di Gino Rago, Al 103esimo KIRK, di Francesco Paolo Intini

[il video di cui al link sopra riportato, è stato costruito utilizzando le notazioni grafiche su fogli di carta di Antonio Amendola e ascoltando il suono da lui creato. Poco prima della fine del video  potrai leggere spiegazioni più dettagliate.
Gianni Godi]

.

caro Gianni,
grazie innanzitutto per il tuo lavoro, per noi è importantissimo questo incontro tra arti e poetiche artistiche diverse: poesia, romanzo, pittura, video-art e musica. È questo il nuovo modo di pensare e di condividere la nuovissima pop-arte, pop-poesia, pop-video-art, la poesia non può vivere da sola, non può sopravvivere nel suo «splendido» isolamento che è diventato solipsismo autarchico, la poesia ha bisogno del confronto critico e dello scambio tra tutte le arti e con il pensiero filosofico.
Se la patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, per la pop-poesia non ha senso parlare di «soluzioni immaginarie», la pop-poesia avverte l’esigenza di reinventare il reale come finzione, come gioco di specchi, come costruzione e decostruzione ad un tempo del linguaggio nel linguaggio.
Non si tratta di una riscrittura segnica della realtà, perché la realtà come noi la intendiamo non esiste, ma è già, in quanto tale, frutto di una simulazione; si tratta piuttosto di porre in essere una dissimulazione auto ironica della realtà, perché essa viene distrutta e insieme ricostruita proprio nel non-luogo che la contiene: nello specchio del linguaggio.
L’altra sera Marie Laure Colasson, dopo aver visionato il video di Gianni Godi, ha riconosciuto la grande capacità dell’autore di reinventare il linguaggio poetico in un altro linguaggio, un linguaggio simulacrale fatto di avatar, emoticon, figure tridimensionali che si avvale della stessa grammatica del web per ricostruire un video secondo un modernissimo concetto di spazio simulacrale-virtuale. Ha fatto un pop-video, se così possiamo dire.
(Giorgio Linguaglossa)
Per come la vedo io, Pop è scrivere nel geroglifico del banale. Merito dell’arte pop è quello di rendere manifesto e riconoscibile il banale. Dopo l’epoca della grande narrazione, il passo successivo. Nomi e oggetti del vecchio mondo, ancora qui: autentico vintage.
(Lucio Mayoor Tosi)
…lo finisco il pensiero. Il pop pensiero è l’autentico presente che a un certo punto ci siamo dimenticati che per una serie di ingolfamenti temporali torna finalmente a galla. Dalla deriva, dall’esclusione, a cui era stato sottoposto o riapparendo se preferite. Mi vengono in mente le tanto care missive che quell’instancabile di Rago ha inviato a Ewa Lipska, il prototipo delle lettere alla Maria nazionale. Ergo, quindi Ingravallo e li che deve indagare. Madame Colasson ha un gancio perfetto col buona camicia televisivo. (Uno dei miei scrittori preferiti è Sebastiano Vassalli per come riesce ad essere cronista e protagonista in una sua storia è strabiliante. Un teatro tutto suo, grande!). Termino. Cosa voglio dire? Appunto. Che c’è sempre una parte del presente che dovrà diventare futuro, e viceversa, che dovrà diventare passato.
La pop poesia è il presente che affiora.
(Mauro Pierno)

Gino Rago

Storia di una pallottola n. 10

Metro B. Fermata Colosseo. Sale il Fantasma del Louvre.
Porta una mascherina. Gialla.

Milaure Colasson con la sua Birkin è in fondo alla carrozza.
Sale nella metro il filosofo Stavrakakis.
«È Belfagor! Fermatelo! Le fantôme du Louvre!», grida.

Un agente in borghese pedina Marie Laure Colasson.
«Signora, pardon, mi sono invaghito di lei, non creda a Belfagor, non è possibile,
è una invenzione di Victor Hugo…».

Madame Colasson:
«Monsieur, è tutta colpa di Juliette Gréco.
Rivolga istanza all’Ufficio Informazioni Riservate».

Da una Beretta calibro 9 una pallottola di gomma
colpisce in pieno un kit anti-Covid-19 (mascherina e visiera in plexiglas)
fissata con una molletta sul filo dei panni del balcone del quinto piano.
Il filosofo Stavrakakis litiga con il filosofo Žižek.

Ingravallo dice che Linguaglossa è un sovversivo.
Una volante a sirene spiegate.
Tre giubbotti antiproiettili fanno irruzione al quinto piano di via Pietro Giordani.
Uno, due, tre spari.

Sequestrano tute, occhiali cinesi, una videocamera a raggi infrarossi,
guanti in lattice, un termoscanner, una soluzione idroalcolica, un reagente,
due confezioni di amuchina, mascherine chirurgiche FFP2, tamponi.
Cadono sulla strada dei vasi da fiori sulla testa di due clienti
proprio davanti al negozio di vini sfusi.

Apericena da Rosati a Piazza del Popolo.
Marie Laure Colasson incontra Catherine Deneuve.
Parlano di quella scena che girò tutta nuda in “Belle de Jour”.

Da una finestra:
«Quelli eran giorni, sì, erano giorni. Noi ballavamo anche senza musica…».
Vittorio Gassman parcheggia l’auto sportiva a Piazza del Popolo
nel film “C’eravamo tanto amati” (1974), regia di Ettore Scola con Nino Manfredi,
Stefania Sandrelli e Giovanna Ralli.

Ripostiglio di sartoria teatrale al primo piano di via Gabriello Chiabrera:
manichini, scampoli, aghi, spolette, fili di seta, bottoni, ditali.
Montale sta provando una giacca di velluto a coste fini:

«Ahimè, la Musa mi ha abbandonato,
questi giovinastri preferiscono gli stracci, le discariche abusive, la plastica,
i cassonetti della immondizia…».

Marie Laure Colasson

Egregio poeta Gino Rago,

innanzitutto prendo le distanze da quel poliziotto in borghese che mi ha pedinato durante tutto il mese di agosto in pieno solleone… il figuro non faceva che sbirciare la mia gonna… e poi sono desolata che in questa triste vicenda con il commissario Ingravallo sia stata investita anche l’Ambasciata di Francia cagionando un incidente diplomatico. Tutto ciò per le intemperanze di un commissario inadeguato e incompetente. Sono contenta che Ingravallo sia stato rimosso dal suo incarico e rispedito a Campobasso, suo paese natale. Questo pettegolezzo mi è stato riferito dal Signor Linguaglossa il quale è un notorio “sovversivo” come bene sanno i servizi deviati di stanza nel bel Paese.
Però devo dirLe che il mio incontro con Catherine al caffè Rosati di piazza del Popolo è stato molto piacevole e con lei ho scambiato due chiacchiere sulle nostre rispettive “nudità”.
Non le nascondo, comunque, il mio apprezzamento franco e disinteressato per la sua Storia di una pallottola n, 10…
Aspetto con impazienza il seguito della Storia malfamata. Ma, per favore, non mi faccia più incontrare con quel buzzurro di Ingravallo!
Affettuosamente,
Milaure

Francesco Paolo Intini

Al 103esimo KIRK

Caricare Kirk di responsabilità.
Metterlo in un quadro e fargli suonare la chitarra
Perché non ha fatto “La strada” e non è entrato nel cast di “ Persona”

Kirk non ebbe scelta, rientrò dai 104 nel 70 a.C.
Fu vera gloria suonare sul monocordo “Libertà o Morte”
E Goya alla cinepresa
-Non è così che si alzano le braccia e si pronuncia “VIVA”.
stai presenziando l’ Oscar o l’Aspromonte?

In un genoma comunismo e critica cinematografica:
a ognuno secondo il sogno.

Mc Carthy? Una funzione di stato.
Il leninismo una vampa di calore.

Uomini e caporali sul campo di battaglia.
Da che parte è la guerra?

La classe operaia impara dai ricci a sotterrarsi.
E dopo i titoli di coda la Via Lattea fino a Capua.

Scartavetrando azzurro cenere
Soltanto un lampo di pessimismo
croce n. 2020 in un campo di papaveri

Si intravede l’etichetta di un pomodoro
Spartacus con le istruzioni di una battaglia 3D.
Michelangelo al rifiuto della Pietà

Poi perde la vita banalmente
per evitare che un ramarro finisca tra le ruote

 

SPARI DI WARHOL

C’è uno sbuffo tra le silver clouds
e dalle inferriate sfugge acroleina.

L’ala del corvo fa un cigolio
-Papà è lo sportello della cinquecento

L’albero della piazza ha dato i fichi in pegno
ma ci ha guadagnato investendo a Singapore.

C’è da credere a quello di Hong Kong.
Ride Ollio della libertà.

Bisogna riscaldare la scena milioni di gradi
per avvicinarlo a Lenin.

Dopo tutto la produzione di un pensiero pulito
richiede che si brucino due cartoon.

È’ scritto che qualcosa si perda nel telecomando.
Partono missili a zig zag. Acqua brucia nei polmoni.

L’accostamento in olio bollente
schiude l’uovo dell’universo.

Bucefalo scaccola le sue narici.
Alessandro ride a quaranta denti.

Totò compra la Cappella Sistina.

 

FIRME DI PRESENZA.

L’uomo di Cromagnon si affacciò con un pacco da firmare.
Chi era Dio tra loro?

L’autentica è scomparsa e duole stare in piedi dal big bang.

La penna è sul muro.
Calcinaccio che conserva gli occhi di cerva
E l’ordine dal più sudato al meno.

L’ odore ha la sua parte proibita.

HAL 9000 dunque e dopo un astronauta.
Palpa la camicia per riconoscere il male al petto.

Graffio di Caino sulla visiera.
Si diede da fare nella metallurgia e scoprì qualcosa che poi gli fruttò ricchezza.

Assomigliava al Neanderthal,
un brav’uomo deceduto durante una rapina in banca.
Ci morirono delle guardie giurate.

Sbrigarono la faccenda all’alba
e si accusarono a vicenda pur di nascondere
un tizio somigliante a Lorca.

La conservazione nell’inconscio è perfetta.
Soltanto di notte esce qualche indizio sulla vera identità.

In sostanza anche i versi furono assorbiti,
caddero giù per il pendio e si fissarono nella foiba.

Una stalattite ride del cobra su Wall Street

 

Giorgio Linguaglossa

C’è un «significante eccedente» che caratterizza la poesia moderna e contemporanea, questo è indubbio, ma ciò che caratterizza la poesia della nuova fenomenologia estetica della top-pop-poesia, della poetry-kitchen o pop-corn-poetry è una particolare idea di «significante eccedente». Pensare questa idea soltanto nel senso semantico come ha fatto lo sperimentalismo e la poesia tardo novecentesca, a mio avviso sarebbe limitativo. Qui occorre pensare l’«eccedente» nella accezione di uno scarto e di un residuo non assimilabile ad alcun significato stabilito; a questo punto si apre uno spazio di «gioco linguistico» nel senso di Wittgenstein sconosciuto alla poesia del Moderno, impensabile dalla poesia del modernismo del novecento. È questo salto mentale che bisogna fare, altrimenti si ricade inevitabilmente nella poetica del significato e del significante.

«Noi crediamo che le nozioni di tipo mana, per quanto diverse possano essere, considerate nella loro funzione generale… rappresentino esattamente quel significante fluttuante, che costituisce la servitù di ogni pensiero finito (ma anche la garanzia di ogni arte, di ogni poesia, di ogni invenzione mitica o estetica), sebbene la conoscenza scientifica sia capace, se non proprio di arrestarlo, di disciplinarlo parzialmente».1

Lévi-Strauss, citato da Giorgio Agamben, Gusto, Quodlibet, 2015 p. 47 e, in Enciclopedia Einaudi, vol. 6, Einaudi, Torino 1979.

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Esercizio con violino e tamburo, Video di Gianni Godi, musica di Antonio Amendola, Poesia di Giorgio Linguaglossa

Ho impiegato molto più tempo del previsto per la costruzione del video, e perché nelle ultime settimane sono stato poco bene (pressione alta poi bassa bassa…). e perché dal punto di vista tecnico è stato un lavoro abbastanza complicato. Le moltissime lettere dell’alfabeto che svolazzano qua e là e tutti gli altri oggetti, non sono immagini fotografiche ma oggetti tridimensionali. Quando cadono sulla “superficie” del black hole si comportano come veri e propri oggetti fisici. Seguendo la legge gravitazionale scivolano inesorabilmente nel buco. In teoria non si dovrebbe vedere alcunché di quanto avviene nel buco, però facendo finta di stare nei pressi dell’orizzonte degli eventi e avendo una telecamera adeguata…noi abbiamo il privilegio di vedere e ascoltare i coniglietti, forse perché qualcuno, dall’aldilà del buco, ha registrato l’evento. Non lo sapremo mai!
Che Einstein e Hawking, mi perdonino.
(Gianni Godi)

Foto Belle al poker

Giorgio Linguaglossa

Esercizio con violino e tamburo

K. sbatte la porta. Resto là, sulla soglia, per qualche minuto.
Impalato. Poi mi scossi e guardai la porta aperta. [1]

Madame Hanska aprì tutte le finestre, «Sa, le finestre sono nere», disse.
E fece entrare le madamigelle con il grembiulino.

«Buonasera Cogito – esordì Hanska – le cose sono cambiate
negli ultimi tempi». Prese una forbice e un posacenere

e li posò sulla siepe di capelvenere e di acanti.

«Sa, c’è una tigre e un pianoforte… Ecco, metto la forbice
sul pianoforte, adesso Vivaldi può suonare.

Woland ha ordinato ai gatti di suonare, il Requiem, quello, sì.
Solo quello. La musica uccide gli uccelli», aggiunse.

«Lo specchio avrà la sua vendetta», disse Baudrillard,
«Non resta che reinventare il reale», aggiunse tra il serio e il faceto.

Era seduta in mezzo alla camera. La tigre sorrideva.
«Per oggi basta con la musica – disse – dovrebbe esercitarsi più spesso.

Impari a suonare piuttosto. La rappresentazione è finita.»

 

Il commissario fece un buco nel muro

Entrò il commissario. Delle uniformi grigie lo seguivano.
Fecero un buco nel muro, dietro il quadro appeso alla parete.

«Qui è nascosta la refurtiva».
«Sì, da qualche parte ci deve pur essere», mi disse.

«Ne sono certo». Annuii. Guardai il cielo color lavagna,
e mi lavai le mani.

«Chi è Yolande?»
«Si chiama Yolande, ma non so chi sia…

Un tempo è stata la mia amante», risposi.
«Yolande è piccola, porta sempre scarpe con tacchi 12

E cappelli esagerati».

Sopra il cappello c’era un ombrello.
Però, era già notte. Entrai nel bosco.

La pioggia era fitta, mista a neve.
Così, ho preso il bus notturno per arrivare più in fretta.

Erano le tre.

Glossa
[1] Le tesi Sul concetto di storia di Benjamin si concludono con una frase paradigmatica: “ogni secondo […] era [per gli ebrei] la piccola porta attraverso la quale poteva entrare il Messia”. Questo significa che ogni momento di ogni giorno, in questa vita e in questo mondo, è il momento (“cairologico”) della decisione e dell’azione, il presente, e non il futuro, è il tempo della storia
*

La poesia si situa in quell’essere-in-mezzo, quello “Zwischen” di cui ci parla Heidegger. Quel frammezzo che è il vero centro dell’essere, ovvero, del nulla. Se il poeta è il vero fondatore dell’essere, è anche il vero fondatore del nulla, come ci ha insegnato Andrea Emo. La poesia è il suo progetto aperto al futuro, è il futuro aperto al presente. È il presente aperto alla Memoria del passato. È insomma quella entità che sta al mezzo delle tre dimensioni del tempo. Ed è ovvio che in questo frangente, il linguaggio della poesia non può che situarsi nello “Zwischen”, cioè in un non-luogo linguistico, in un non-luogo dell’essere. Continua a leggere

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In una zona periferica di Roma Capitale, tra l’EUR e il mare, sta la Zelia Nuttal Gallery, Foto di Gianni Godi, Poesie inedite di Mario M. Gabriele

La vasta area è facilmente visibile dal cielo tramite l’app Google Earth

(https://www.gogle.it/earth/download/gep/agree.html ).

È un luogo adatto alla meditazione.

Per qualche tempo e fino a poco fa l’area sottostante il grandioso quadrivio era abitata da Popoli nomadi che contrariamente a quanto si possa pensare, usavano come giaciglio di riposo i comuni materassi forse rottamati dal popolo degli stanziali. I giacigli abbandonati sono ben visibili tra le ampie arcate del viadotto.

La contemporaneità appare in tutta la sua grandezza.

L’insegna Mc Donald in fondo al viottolone certifica, non più l’avvento, bensì il completamento del nulla poetico.

Mi sono recato in Galleria Zelia Nuttal qualche settimana fa. Ho camminato quasi robotica mente in mezzo ai rifiuti urbani fra decine di murales, per un’ora, forse più. Confermo di aver provato l’effetto di inquietudine e respingimento forse simile a quello che prova Paola Renzetti! Ho pensato anche all’esistenza di luoghi ben peggiori di quanto stava davanti ai miei occhi. Il video che poi ho prodotto e che non mi sembra un granché eccezionale, tenta di figurarci la gran massa di collegamenti e stimoli a cui senza interruzioni è sottoposto il nostro cervello costretto a robotizzarsi contro natura umana. I computer in uso, pur essendo iper veloci, eseguono freddamente un’istruzione alla volta. Le istruzioni provengono singolarmente dai più disparati “luoghi”. Il “coordinatore” decide la precedenza senza peraltro “sapere” il significato dell’insieme prodotto.

Mi è sembrato di intravedere nella poesia di Mario Gabriele una simile disumana descrizione. Anche io, come Mario Gabriele, con il quale mi complimento a tutto cuore per l’audacia dei suoi scritti, integro il “cibo normale” con compresse di estratto da Biancospino e Olivo.

Un vero robot non riesce a piangere. Ecco. Almeno per ora.

Grazie a voi tutti per la disamina competente e accurata del prodotto pubblicato dall’Ombra delle Parole.

(Gianni Godi)

*

Ringrazio per questo nuovo excursus sulla mia poesia e di quanto scrive e riporta in immagini Gianni Godi dalla ”zona periferica di Roma Capitale”. Non sempre la Street Art produce effetti di meraviglia, e quando lo fa si rimane incantati per l’eccezionale riproduzione di immagini e cose.

Le facciate delle case  acquistano un’altra estetica. “La contemporaneità”, scrive Gianni Godi, “appare in tutta la sua grandezza”. Nessuno se ne sta accorgendo ma il concetto di Arte sta veramente cambiando forma fuori dalle Pinacoteche.

 Quello dell’Arte è un linguaggio potente e storico, così come avviene in poesia. Si slarga negli occhi con tutta la gigantografia scenica, cogliendoci di sorpresa attraverso la trasposizione di soggetti e cose. E’ il nuovo clima culturale a cui andiamo incontro e che determina una testimonianza dell’Arte nel rapporto diretto con la nostra sensibilità. Un esempio lo ha portato proprio Gianni Godi in un suo  video con i suoi spettacolari Speech Reader  mentre leggono un mio testo poetico.

(Mario M. Gabriele)

Due poesie di Mario M. Gabriele

1

Una casa di soli ologrammi.
Rimettiamo a posto le lettere da Londra.

Milly ha le allucinazioni.
Le dico che non sono né Piero, né Francesca.

Torno a cercare Elizabeth
per una serata tranquilla a bordo di kayak.

Un palazzo esotico lo vorrei con la scritta Hollywood.
C’era un grappolo di sogni nel torchio di novembre.

Maggy ha provato tutti i colori,
tranne il giallo di Klimt.

La Misericordia ha smarrito la strada.
Anaruddha ogni anno si strucca nel Gange.

Mare calmo, mare agitato.
Cerchiamo l’equivalente della tristezza.

Figura senza luce e ripiano.
Così è rimasta nonna Eliodora.

All’alba vennero turisti,
coriandoli di ragazze e black power.

Gli stagisti si fermarono alle citazioni.
Un oratore aprì il Convegno.

– Lasciate i documenti negli scaffali – disse.
– Domani, li bruceremo in un unico Fahrenheit. –

Il cellario fu preso dai gesti assolutori
dei Santi sui Cartelloni.

Gridò: – hanno sequestrato la casa.
La casa era tutto quello che avevamo! –

Caro Mister John, da questo luogo di paese-città
alla tua Portsmouth ce ne sono di storie secolari.

Passeremo le vacanze a Disneyland
o in qualche altro pezzo di questa terra.

Ti piace fare la gita?
oh yes, it’s my dream!

E nessuno ebbe più a formulare sentenze
e avvisi di warning.

2

La tua storia è passata come la Pop Art.
Mutazioni colorate esprimono il tuo volto.

Le collezioni autunnali nelle passerelle di Milano
mi riportano alla Ragazza Carla.

Ritrovo la retrospettiva del 65
e un asset-based economy.

Oggi, a fare da transfert è il Sedatol,
come sonno pseudobiologico.

I nostri nomi li ha ridotti il tempo
per economia di lessemi.

Il granturco si è messo da parte
e le Melinde tardano a riempire il mercatino.

Un penny e un nichelino
sono il tributo che vuole questa vita.

Mi rischiara l’autunno il pensiero fossile
come foglia di frassino ai bordi delle ciminiere.

Una generazione dietro l’altra
trova posto nel giardino di Spoon River.

Un certo modo di sentire le parole
passa per Evergreen e le Guerre Stellari.

Abitudine di July è rifare il viso di Marilyn
come nella serie colorata di Warhol.

Mi distruggo se penso a te sul far della sera.
Ci vuole solo un distico per scrivere un epitaffio.

Foto di Gianni Godi

Galleria Zelia Nuttal 6

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