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TRE POESIE INEDITE di Mariella De Santis “Fondali” “Tra il mare e la terra” traduzione in inglese di Anthony J. Robbins SUL TEMA DELL’UTOPIA O DEL NON-LUOGO

Stefano Di Stasio

Stefano Di Stasio

L’isola dell’utopia è quell’isola che non esiste se non nell’immaginazione dei poeti e degli utopisti. L’Utopìa (il titolo originale in latino è Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia), è una narrazione di Tommaso Moro, pubblicato in latino aulico nel 1516, in cui è descritto il viaggio immaginario di Raffaele Itlodeo (Raphael Hythlodaeus) in una immaginaria isola abitata da una comunità ideale.”Utopia“, infatti, può essere intesa come la latinizzazione dal greco sia di Εὐτοπεία, frase composta dal prefisso greco ευ– che significa bene eτóπος (tópos), che significa luogo, seguito dal suffisso -εία (quindi ottimo luogo), sia di Οὐτοπεία, considerando la U iniziale come la contrazione del greco οὐ(non), e che cioè la parola utopia equivalga a non-luogo, a luogo inesistente o immaginario. Tuttavia, è molto probabile che quest’ambiguità fosse nelle intenzioni di Moro, e che quindi il significato più corretto del neologismo sia la congiunzione delle due accezioni, ovvero “l’ottimo luogo (non è) in alcun luogo“, che è divenuto anche il significato moderno della parola utopia. Effettivamente, l’opera narra di un’isola ideale (l’ottimo luogo), pur mettendone in risalto il fatto che esso non possa essere realizzato concretamente (nessun luogo).

Stefano Di Stasio

Stefano Di Stasio

Mariella De Santis  è nata a Bari in un raro giorno di neve del 1962. Vive tra Roma e Milano . Nel 1991, per la sezione inediti, viene segnalata al Premio Internazionale Eugenio Montale. Suoi racconti sono trasmessi dalla Radio Nazionale Croata e dalla Radio della Svizzera Italiana. Ha collaborato alla realizzazione di prodotti videopoetici. E’ presente nel lavoro antologico curato da Mariella Bettarini Donne e poesia. E’ autrice teatrale rappresentata in rassegne e festivals. Le sue ultime pubblicazioni in poesia sono: Porta d’ingresso (Bergamo,2005), Silenziosi Immobili Frammenti (Milano,2006), La cura di te, poemetto per il libro  fotografico di Viviana Nicodemo Necessità dell’anatomia (Milano,2007), Ipnos il poema del sonno, in Gli Smerilliani ( 2011). Con Gilberto Finzi è curatrice di Menhir, opera omnia di Delfina Provenzali( Milano,2004). Suoi testi sono musicati da compositori contemporanei (www.novurgia.it). Collabora con artisti, case editrici e cura progetti di animazione culturale. È stata  vice direttore della rivista  Smerilliana, luogo di civiltà poetiche.

Scrive per tentare di mettere ordine tra le cose che stanno dentro, accanto, attorno al visibile e all’invisibile, senza smarrire il sorriso.

Mariella De Santis

Fondali

Avessimo avuto trenta anni in due
facile sarebbe stato dirsi: tu stai a me
come l’ancora al fondale.
Ma ora che gli anni miei con quelli tuoi
d’abbondanza il secolo oltrepassano,
dovere è allontanare dal nobile il ridicolo.
Stiamo ora incagliati, questo è vero
un tempo fluttuanti, di vigore vestiti,
ci sfiorammo e con delicatezza
evitammo sapendo di noi l’azzardo.

Noi che ogni giorno un pensiero
dedichiamo a chi del mare ha conosciuto
l’angoscia e la deriva, a chi nel suo ventre gettato
mai è approdato, stiamo in preghiera raccolti
incagliati uno nel pensiero dell’altro e del mondo
che in noi rifugiato alla pietà per i vivi e i morti chiama.

.
Depths

If each of us had been thirty
it would have been easy to say: you are
my anchor, as it were, in the depths.
But now that my years added to yours
abundantly exceed the century
we should keep what is noble clear of comedy.
True, we are stuck, where once
we floated, dressed in our strength;
we hardly touched and delicately,
knowing our state, shunned all danger.

Now every day we think of those
who from the sea have known fear and despair
who, tossed into its great maw,
have never reached land; we pray, intent,
each stuck in the thought of the other and the world,
which shelters in us
and calls us to pity the living and the dead.

Mariella D Santis, foto Dino Ignani

Mariella D Santis, foto Dino Ignani

Tra il mare e la terra

I
Un tuo colpo di tosse risponde al mio
Modo strano di dirsi: ci siamo.
Quell’aria che ci manca, quella strettoia del respiro
Sono codice privato, alfabeto di navigatori votati al largo
Dove occhio non raggiunge il disegno della bracciata
Guidata a fendere traversa la corrente.

II
Tu che sei passo e follia
Luce intermittente e libertà dal rancore
Forse ancora sarai ascolto di uccelli palustri
Ti chiama il tempo e chiede a te verso te una carezza,
Un affondo dolce del pedale
Un saluto senza bisogno d’armi al mondo
Che vivi in forma umana ci accolse

I
A cough that answers mine
Is a strange way of saying: here we are.
The air we lack, that tightening of the breath
Is a private code, the alphabet of deep-sea sailors
Where the eye cannot catch the line of the swimmer’s stroke
Made to cut across the current.

II
You who are passage and madness
Flickering light and freedom from rancour
Perhaps again you will be the call of the marsh birds
Time is summoning you and asking you to cherish yourself
A gentle push down on the pedal
A greeting with no need of arms against the world
Which welcomed us alive in human form

Ferdinando Scianna

Ferdinando Scianna

III

Non vedere, sorella a me per patria marina,
in quella distesa di mutevoli azzurri
al tuo terrazzo prossima,
mancanza di immenso, di azzardo
di richiamo alla sfida, al lancio dell’arpione.
Sia la tua carne custodia del nuoto leggero che pure
Bene ci fece e osserva, osserva come le nostre parole
Lasciate ai fondali, di vigore coprano i corpi giovani
cari agli dei, quegli stessi che attraverso me e te
una domenica mattina, a lungo parlarono.

III

Never think to see, my sister of this sea-surrounded land,
in that expanse of changing tones of blue
so close to your roof-terrace
any lack of immensity, of risk
of a call to face a challenge, the harpoon’s arc.
May your limbs conserve the feel of that soft swim
which anyway was good, and observe, observe how the words
we uttered to the deep may mantle young bodies, dear to the gods,
with vigour, the very same that one Sunday morning
spoke at length through me and you.

Anthony Robbins è nato nel Regno Unito nel 1946. Ha studiato a Christ’s Hospital e all’Università di Oxford. È stato docente universitario all’Australian National University, consulente aziendale e funzionario di banca. È saggista, poeta e traduttore da testi in lingua italiana e tedesca, sia tecnici sia letterari.

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POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELL’ADDIO (Parte VI) Kikuo Takano, Octavio Paz, Salvatore Toma, Mariella De Santis, Anthony Robbins

magritte golconda

magritte golconda

«Il tema dell’addio. L’addio è una piccola morte. Ogni addio ci avvicina alla morte, si lascia dietro la vita e ci accorcia la vita che ci sta davanti. Forse il senso della vita è una sommatoria di addii. E forse il senso ultimo dell’esistenza è un grande, lungo, interminabile addio».

 

 

Kikuo Takano è nato a Niibo, nell'isola di Sado, Giappone, nel 1927

Kikuo Takano è nato a Niibo, nell’isola di Sado, Giappone, nel 1927

Kikuo Takano cop

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kikuo Takano

Sempre una voce

Sempre una voce
ti ha avvisato: “Se piangi
vai oltre il dolore.
E ti accorgi che nell’addio
c’è l’incontro”.
Così ti parlava Dio, sfiorandoti
con la mano la schiena.

Sempre una voce
ti ha avvisato: “Con pazienza
aspetta, e per meglio guardare
impara a chiudere gli occhi”.
Così ti parlava Dio, con una lieve
carezza sui capelli.

Quando nel dolore piangevi
senza poter far nulla
quel Dio lo avevi accanto,
a volte ti portava sulle sue spalle.

 

Se ti dico

Se ti dico che è la destra,
mi rispondi: “Anch’io la destra”,
se ti dico che è la sinistra
mi ripeti: “Anch’io la sinistra”.
E così insieme abbiamo atteso l’alba.
Solo l’addio che entrambi ci eravamo detti
era il desiderio dell’uno per l’altra
e assai fortemente stringeva l’uno all’altra
e noi, senza neppure toccarci,
eravamo stupiti da tanto desiderio.

“Siamo stati stupiti come bambini…”
E ora tu mi disprezzi
“sì, ti odio
perché l’hai contemplata come in estasi
senza svegliarmi con uno schiaffo
anch’io abbagliata da quella visione”.

Senza darti uno schiaffo.
un pesante schiaffo.
E noi, in quell’istante,
eravamo già oltre quella “domanda”;
tu avresti potuto pronunziare il tuo addio,
io avrei detto il mio
e con questi nostri addii
avremmo potuto iniziare
ogni notte e ogni mattina.

Ma ancora mi chiedi:
“Non poteva quell’addio
prender congedo dall’addio?”
Ed io ancora ti ripeto
quando diversa è la “domanda”,
che sparisca quella “domanda”.
Abbiamo fatto esperienza non d’amore
ma di tempo, il tempo vuoto,
e l’abbiamo accettata come un fatale contrassegno.
Avesti dovuto capirlo anche tu.

Ma alla fine che cosa vuol dire?
Se mi confronto con te,
scuoti il capo in modo banale
e banalmente mi rimproveri.
Erano inutili quei giorni,
inutili quelle lotte.
Oggi sentiamo come peccato
l’esperienza dopo aver recuperato
ciò che abbiamo vissuto.
Oh, la spola della tessitura!
È un terribile filo: più costruisce la trama
più si sfila l’altra parte del bandolo
E passano i giorni in cui mi capita
di dipanare sempre fil filo.

(da L’infiammata assenza Ediz del Leone, 2005 cura e trad di Yasuko Matsumoto e Renato Minore)

 

Octavio Paz (1914-1998)

Octavio Paz (1914-1998)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Octavio Paz

La luce sostiene – lievi, reali –
il picco bianco e le querce nere,
il sentiero che avanza,
l’albero che resta;

la luce nascente cerca il suo cammino,
fiume titubante che disegna
i suoi dubbi e li trasforma in certezze,
fiume del’alba su palpebre chiuse;

la luce scolpisce il vento sulle tende,
fa si ogni ora un corpo vivo,
entra nella stanza e guizza,
scalza, sul filo del coltello;

la luce nasce donna in uno specchio,
nuda sotto un diafano fogliame
uno sguardo la incatena,
la dissolve un palpebrare;

la luce palpa i frutti e palpa l’invisibile,
brocca dove bevono chiarori gli occhi,
fiamma tagliata in fiore e candela in veglia
dove la farfalla dalle ali nere si brucia:

la luce apre le pieghe del lenzuolo
e i risvolti della pubertà,
arde nel camino, le sue fiamme divenute ombre
si arrampicano sui muri, edera di desiderio;

la luce non assolve né condanna,
non è giusta e non è ingiusta,
la luce con mani invisibili innalza
gli edifici della simmetria;

la luce se ne va per un varco di riflessi
e ritorna a se stessa:
è una mano che si inventa,
un occhio che si guarda nelle sue invenzioni.

La luce è tempo che si pensa.

(da Il fuoco di ogni giorno Garzanti, 1992 trad. Ernesto Franco)

 

Salvatore Toma

Salvatore Toma

salvatore toma copertina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salvatore Toma

Testamento

Quando sarò morto
che non vi venga in mente
di mettere manifesti:
è morto serenamente
o dopo lunga sofferenza
o peggio ancora in grazia di dio.
Io sono morto
per la vostra presenza.

*

Presso mezzogiorno
mi sono scavata la fossa
nel mio bosco di querce,
ci ho messo una croce
e ci ho scritto sopra
oltre al mio nome
una buona dose di vita vissuta.
poi sono uscito per strada
a guardare la gente
con occhi diversi

(da Canzoniere della morte, Einaudi, 1999)

 

Mariella D Santis, foto Dino Ignani

Mariella D Santis, foto Dino Ignani

Mariella DeSantis copertina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mariella De Santis

Porta d’ingresso

fummo una porta d’ingresso, un numero civico
che fatico a rammentare, un passaggio in taxi
per le vie di Roma che dell’autunno scroscia
nel grembo delle donne la sottile decadenza.
Non altro nascondono le poetabili foglie d’oro
o le muffe dei funghi se non quel simile umore
che a corpo ancora non freddo si netta
per decente inumazione.

.

Le cose che vanno

Le cose che vanno
non sempre hanno il tempo
di tiepidi addii,
a volte poi sembra vadano
invece restano per sempre
a morire con noi.

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Punti cardinali

verso sud, dove più tu sei lontano, ci sono io
a est la tua gioia che è sempre per domani
a nord ti fermi anche se vorresti andare
forse a quel sud guardando, da cui fuggo io
e non ci incontriamo mai se non nelle punte
ad ovest di due letti solitari. Continua a leggere

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