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Poetry kitchen – Kitsch poetry e Instant poetry, varianti della Poetry kitchen, Il ri-uso, il re-make, il rifacimento delle fraseologie del linguaggio di relazione, Un linguaggio finalmente libero dalla costrizione del denotatum, Poesie di Guido Galdini, Mario M. Gabriele, Marie Laure Colasson, oli su carta di Alexej Jawlensky,

Alexej Jawlensky 1926 52,8 ×46,4

Alexej Jawlensky, 1926, 52×39 olio su carta

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Giorgio Linguaglossa

Poetry kitchen – Kitsch poetry e Instant poetry, varianti della Poetry kitchen

Nella Kitsch poetry, al pari della Instant poetry, varianti della Poetry kitchen (e a quest’ultima legati nel rapporto di genere a specie), è in opera la categoria dell’uso, ovvero, del ri-uso, ovvero, del re-make, del rifacimento di disparate fraseologie del linguaggio che, in quanto rescisse dai contesti originari, possono essere ri-usate, anzi, sono predisposte al ri-uso, al re-impiego in un diverso registro qual è quello del linguaggio poetico. L’impiego intensificato nell’ambito del linguaggio poetico di questa categoria consente l’attingimento di risultati di estraneazione e di spaesamento al massimo grado, in quanto il linguaggio viene semplicemente «esposto» in virtù della mera potenzialità della significazione, finalmente liberata dalla costrizione al denotatum.

Ne Il tempo che resta del 2000, Agamben, analizzando in particolare l’uso paolino dei verbi chráo (usare) e katarghéo (disattivare, rendere inoperativo), costruisce una teoria dell’uso considerato come il risultato di una disattivazione e neutralizzazione dei «dispositivi» tradizionali del linguaggio.
L’experimentum linguae trova qui una collocazione nell’uso come ricerca di un diverso e più originario statuto della parola, di un’esperienza della «pura parola» che apra lo spazio della «gratuità dell’uso».1 Quest’esperienza è di fondamentale importanza perché il linguaggio

« – senza legarsi denotativamente alle cose né valere essa stessa come una cosa, senza restare indefinitamente sospesa nella sua apertura né chiudersi nel dogma – si presenta come una pura e comune potenza di dire, capace di un uso libero e gratuito del tempo e del mondo».2

Scrive Carlo Salzani

Ma cosa potrebbe mai essere una tale parola, al di là di queste indicazioni un po vaghe ed evocative? Agamben risponde con un esempio, che rimane invariato per tutta la sua lunga carriera: la poesia. Uno dei marcatori della continuità sostanziale del suo pensiero è proprio il suo interesse per la poesia, non tanto come fenomeno linguistico-letterario, ma come un modello dell’experimentum linguae, che trasforma e «rivela» il linguaggio. Come già abbiamo notato, fin dagli anni Settanta e Ottanta, da Stanze a Il linguaggio e la morte a Idea della prosa, e in modo preponderante nei saggi di Categorie italiane, la poesia è presa a modello di una parola che disattiva le funzioni comunicative e informative del linguaggio ed espone così la sua immediata “medialità”, il suo essere “mezzo puro”. Nel progetto politico di Homo sacer questa connotazione messianica viene enfatizzata e la poesia è proposta, ad esempio in Il Regno e la Gloria, come paradigma della disattivazione: essa marca il punto in cui la lingua “riposa in se stessa, contempla la sua potenza di dire e si apre, in questo modo, a un nuovo, possibile uso”, dove il soggetto poetico diventa “quel soggetto che si produce nel punto in cui la lingua è stata resa inoperosa, è, cioè, divenuta, in lui e per lui, puramente dicibile”».3 (G. Agamben, Il Regno e la Gloria, 2007, pp. 274-75)
[…]
«Riassumendo un’analisi assai complessa e articolata: la deissi (indicazione o dimostrazione) nel pronome marca un “segno vuoto”, che diventa “pieno” non appena il locutore lo assume in un’istanza di discorso, e cioè non appena lo articola in un “messaggio”. Questo vuol dire, per Agamben, che ciò che la deissi indica o dimostra nei pronomi non è un oggetto o una realtà, ma un “luogo di linguaggio”: “l’indicazione è la categoria attraverso cui il linguaggio fa riferimento al proprio aver-luogo” (Agamben, Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, terza edizione accresciuta, Torino, Einaudi 2008, p. 35). Questo “evento di linguaggio” a cui la deissi si riferisce ha luogo in una “voce”, che non è più mero suono (come negli animali), ma non è ancora un significato: essa è l’intenzione di significare che coincide con la pura indicazione che il linguaggio ha luogo. Come tale, essa è ciò che deve essere tolto affinché il discorso significante abbia luogo, ed è quindi una dimensione negativa; è il fondamento che “apre” il luogo del linguaggio, ma lo fa in modo negativo, scomparendo, ed è quindi il fondamento negativo su cui poggia tutta la struttura della metafisica occidentale, un fondamento “muto” che resta rigorosamente informulabile ed è perciò “mistico” (G. Agamben, Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, terza edizione accresciuta, Torino, Einaudi, 1982, p. 114). Questa radicale negatività del fondamento ha decisive e drammatiche conseguenze per l’etica e la politica, per cui il superamento della metafisica e del suo nichilismo è necessario. Questo superamento consisterebbe nel “trovare un’esperienza di parola che non supponga più alcun fondamento negativo” (Ibidem p. 67), e Agamben la cerca, come già in Stanze (e in tutto il progetto trentennale di Categorie italiane [1996 e 2010], ma anche nella successiva elaborazione più propriamente politica) nella poesia. Questo superamento comporta la “fine” del linguaggio come lo conosciamo, e questo tema “messianico” (anche se il termine non è qui usato) informa l’epilogo del libro, “La fine del pensiero”, che riproduce un volumetto apparso lo stesso anno de Il linguaggio e la morte in cui Agamben propone, in modo aforistico ed evocativo, il tema del “compimento” del linguaggio come una voce che non ha più nulla di dire, più nulla da “significare”. Una tale parola, senza origine e senza destino, liquiderebbe il mistico, e cioè il fondamento indicibile, e con esso avrebbe fine anche il legame tra linguaggio e negatività, tra linguaggio e morte.4

1 G. Agamben Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai romani,Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 126.
2 Ibidem p. 125.
3 Cit. in C. Salzani, https://www.academia.edu/14325340/Il_linguaggio_%C3%A8_il_sovrano_Agamben_e_la_politica_del_linguaggio?email_work_card=interaction-paper
4 Ibidem.

Alexej Jawlensky olio su carta 1928

Alexej Jawlensky, 1928, 52×39 olio su carta

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Guido Galdini
Nomi e cognomi quindici

ci sono storie d’amore dove l’amore
è una fermata facoltativa dell’autobus
altre che iniziano con una vocale sbagliata
per terminare inseguite dall’alfabeto

Iosif Brodskij ne ha vissute a decine
tutte con la stessa persona
questo è il segreto di ogni storia d’amore
che voglia sopravvivere a se stessa
riuscire con la costanza del blu di prussia
a non sprecare la trasparenza dell’inchiostro.

Marie Laure Colasson
Ecco la mia ultima poesia della raccolta in corso di stampa, con Progetto Cultura, Les choses de la vie.

46.

Une huile de morue à tête carré
s’installe sur una chaise Louis Philippe
à 50 kms de Kyoto près du musée Em Pei
pou chanter avec Boris Vian “Le loup garou”

Tout s’est bien passé? demande François Ozon
à Boris Vian vêtu d’un tailleur Chanel
à propos de la métaphysique de la mort

La roue d’un paon
met le frein à main à l’angle du carrefour Angelique
pour une rencontre avec le génome
du Marquis de Sade

Eredia se promène avec l’ombre de Marquis de Sade
pour retrouver sa vertu
et les chansons de Boris Vian

La blanche geisha propose à François Ozon
un quart d’heure et trente secondes pour une mort douce
pendant qu’elle danse sur le bout du nez
sur une feuille de nénuphar

*

Un olio di merluzzo a testa quadrata
s’installa su una sedia Luigi Filippo
a 50 km. da Kyoto accanto al museo Em Pei
per cantare con Boris Vian “Le loup garou”

Tutto bene? chiede François Ozon
a Boris Vian vestito con un completo Chanel
a proposito della metafisica della morte

La ruota d’un pavone
innesta il freno a mano all’incrocio di viale Angelico
per un incontro con il genoma
del Marchese de Sade

Eredia passeggia con l’ombra del Marchese de Sade
per ritrovare la sua virtù
e le canzoni di Boris Vian

La bianca geisha propone a François Ozon
un quarto d’ora e trenta secondi per una dolce morte
mentre balla sulla punta del naso
su una foglia di ninfea.

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