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Poesie di Tomas Tranströmer, Giorgio Seferis, Charles Simic, Ewa Lipska, Rita Dove, Gino Rago, Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, Lidia Popa, Lidia Are Caverni, – La poesia della crisi, ebbene, quella crisi si è rivelata una autentica fortuna – Commenti

 

Foto Jason Langer, Mannequins, 1993

Jason Langer, Mannequins, 1993

Gino Rago
Decima Lettera a E. L.


[il bacio]

Cara Signora Jolanda W.

Oggi Vienna fa scintille alla Paradeplatz.
Il tram all’improvviso ferma la sua corsa,

dal Belvedere arrivano gli strilli di Kokoschka
[è in polemica con Schiele per «ll Bacio» di Klimt,

l’aria d’autunno si guasta].
Il mio amico* pensando all’altro amico [che ha lasciato Roma]**ha scritto:

«[…] due specchi si specchiano nel vuoto,
illuminano il vuoto, specchiano il vuoto che è nel loro interno […]»

Musica, pausa, parola, silenzio. Linguaggio senza lingua
o immagini sfocate dell’ “Io” sopraffatto?

Non l’uomo ma un cane al buio sbraita alla luna.
Dal vaudeville in fondo alla locanda:

«un miliardesimo di miliardesimo della grandezza di un atomo
è già luce dello sperma siderale»

* il mio amico è Giorgio Linguaglossa
** l’altro amico [che ha lasciato Roma] è Steven Grieco-Rathgeb

 

Lucio Mayoor Tosi

Mi collego a quanto rilevato da Rossana Levati, ai versi
“mi soffiava il maestrale attraverso / una fessura nel torace”… “ora soffiava
come un mastino aprendomi una fessura nel silenzio”; perché questi versi mi parlano di un disagio, di una malinconia, o forse peggio di una pesante tristezza sottoposta a cura:

“ora soffiava vuoto azzurro
nella stanza disadorna della mia primavera:
questa primavera gelida nei fiori bianchi (…)

Steven Grieco è tra gli autori NOE quello che maggiormente si occupa dell’aspetto ontologico di questa ricerca. Il suo frammento lungo, meditato, che si dà tutto il tempo che serve, io spero possa servire da esempio, per scongiurare il pericolo che l’uso frequente del punto possa volgere nella direzione di un passo troppo regolare… Voglio dire che le immagini, penso tutte, abbiano come un loro respiro – oh, questa poesia ne è piena – alcune passano rapide, altre si soffermano.

A me ha colpito il verso, già evidenziato da Chiara Catapano, di “quei promontori guarderebbero solo se stessi”, preceduto ma con altro significato da “Poi un giorno rompersi a pezzi. Di nuovo sarebbero altri / quei promontori che nel silenzio guardano se stessi”.
Vi ho sentito senso di estraneità, quasi un Che ci sto a fare qua. Il che mi ricollega alla ferita descritta inizialmente. E alla cura che sempre la natura sa darci, quando depositiamo le nostre domande e semplicemente stiamo.

Tomas Tranströmer

Aprile e silenzio

La primavera giace deserta.
Il fossato di velluto scuro
serpeggia al mio fianco
senza riflessi.

L’unica cosa che splende
sono fiori gialli.

Son trasportato dentro la mia ombra
come un violino
nella sua custodia nera.

L’unica cosa che voglio dire
scintilla irraggiungibile
come l’argento

[da La lugubre gondola,Rizzoli, 2011
Traduzione di Gianna Chiesa Isnardi]

Analizzando questo concentrato, denso testo di Tranströmer, che per me e per la mia ricerca di poesia è il traguardo, è [difficilissimo da toccare] il modello poetico esemplare, è facile notare che l’autore de La lugubre gondola si affida a una parola poetica essenziale, concentrata, evocativa, metafisica e con questa parola, non con altre parole, tenta l’immersione nella contemplazione del paesaggio naturale che nel poeta si fa specchio di quello dell’anima, [ecco lo specchio che in altra forma fa ritorno… ], percependo fra sé e il paesaggio stesso un nuovo ordine. Dice la Chiesa Isnardi “[…] Nella poesia di Tomas Tranströmer niente è fuori posto o in più, ogni parola ha un peso simbolico all’interno di testi che si avvicinano alla perfezione…” E poi continuando nel suo saggio, la Chiesa Isnardi usa la parola-chiave, quella che in me ha fatto scattare il guizzo dell’accostamento persuaso al nuovo corso della poesia lanciato da Giorgio Linguaglossa, proprio con Tomas Tranströmer come altissimo modello, come faro cui indirizzarci adottando il nuovo corso poetico:”[…] La poesia così diventa “meditazione attiva” in grado di destare impulsi, offrire una visione diversa, barlumi di verità. Una poesia dinamica e aperta, dove è centrale l’elemento sensoriale; una poesia in cui la lingua è spinta al limite estremo, alla ricerca della parola perfetta nel silenzio gonfio di messaggi a cui il chiacchiericcio del mondo ci ha disabituato; una poesia che non si dà mai una volta per tutte, ma continua a suscitare dubbi e incertezze, come una finestra costantemente aperta sull’ignoto…”.

Estraggo ed evidenzio:
La poesia come meditazione attiva

Charles Simic si muove magistralmente proprio in questa scia e lo stesso dicasi per Ewa Lipska. Al di fuori di questi tre per me maestri assoluti di poesia contemporanea non sento alcun risucchio, nessuna vertigine negli abissi della parola, anche se rimane il rispetto assoluto per la fatica che è sempre dentro e dietro qualunque esperienza poetica.

La poesia della NOE deve essere Poesia della meditazione attiva.
[Se i miei bronchi fossero in grado di lavorare come vorrei anziché come capricciosamente stanno facendo da qualche settimana a questa parte, mettendomi non di rado in quella pena nota come ‘fame d’aria’ come Giuseppe Talia magistralmente l’ha definita, potrei dare forse altri contributi, ma non sempre ho la forza per ora per poterlo fare ].

(Gino Rago)

Lidia Popa e altri 2018

da sx Giorgio Linguaglossa, Lidia Popa, Sabino Caronia, Roberto Piperno, Roma, 2018

Una poesia inedita di Lidia Popa

Anche a questo funerale mancherò

Ho finito di lavare i piatti in cucina.
Ho messo a posto.
Ho lucidato il lavandino.
Ora brilla come l’acciaio appena sfornato.

A pranzo ho mangiato frittata con le patate.
Ho messo tutta la poesia del frigo dentro.
Quattro uova per due porzioni, cipolla e patata lessa,
una grattugiata fresca di Grana Padano.

Ho girato e sistemato tutto
su un piatto da portata.
Apparecchiato. Servito.
Mangiato. Lavato.

Stasera a cena mi è rimasto questo verso.
Insipido.
Oggi ho saputo che è morta la zia.
Lei era un pezzo di pane.

Tante volte una madre.
No, non era come mia madre.
Mia madre è viva.
Mia zia ora è una santa.

Ha convissuto per anni con la cirrosi.
Come mio padre.
Lui è morto nove anni fa, come fosse oggi.
Era quattro luglio del duemilanove.

Era nato in un giorno significativo: undici settembre,
anniversario di morte per l’America.
Per me il quattro luglio è il giorno più triste
che ricorderò per il resto della vita.

Attraversavo la strada.
Il telefono squillava.
Era mio fratello che chiamava.
Erano le diciassette e trentatré di pomeriggio.

Mio padre stava morendo.
Io non c’ero a tenere la sua mano,
a dire che andrà tutto bene.
E bene non andò.

Finii solo per cucinare ogni giorno una poesia dal frigo.
E tanta solitudine marcia.
Volevo solo decorare la morte,
descriverla meno paurosa del vissuto,

contraddicendo chi diceva che ispiro pena,
per aver cercato una vita degna altrove.
Mio padre non ha mai saputo che sono un poeta.
La zia Teodora lo sapeva.

A lei ho letto una domenica alcune mie poesie
fresche di cucina.
Ora incontrerà mio padre e le racconterà,
come so cucinare le poesie dal frigo. Continua a leggere

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ROBERTO BERTOLDO da La profondità della letteratura (Mimesis 2016 pp. 330 € 24) Estratti dal libro:  il Bello, il Vero, Leopardi, Autenticità, Coscienza, Metafisica, Poesia, Essere, Tempo, Verità, Sperimentalismo,  Surrazionalismo,  Nullismo,  Nichilismo assiologico, Postcontemporaneo. Le categorie del nostro tempo, con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Roberto Bertoldo nasce a Chivasso il 29 aprile 1957 e risiede a Burolo (TO). Laureato in Lettere e filosofia all’Università degli Studi di Torino con una tesi sul petrarchismo negli ermetici fiorentini, svolge l’attività di insegnante. Si è interessato in particolare di filosofia e di letteratura dell’Ottocento e del Novecento. Nel 1996 ha fondato la rivista internazionale di letteratura “Hebenon”, che dirige, con la quale ha affrontato lo studio della poesia straniera moderna e contemporanea. Con questa rivista ha fatto tradurre per la prima volta in Italia molti importanti poeti stranieri. Dirige inoltre l’inserto Azione letteraria, la collana di poesia straniera Hebenon della casa editrice Mimesis di Milano, la collana di quaderni critici della Associazione Culturale Hebenon e la collana di linguistica e filosofia AsSaggi della casa editrice BookTime di Milano.

Bibliografia:

Narrativa edita: Il Lucifero di Wittenberg – Anschluss, Asefi-Terziaria, Milano 1998; Anche gli ebrei sono cattivi, Marsilio, Venezia 2002; Ladyboy, Mimesis, Milano 2009; L’infame. Storia segreta del caso Calas, La vita felice, Milano 2010;

Poesia edita: Il calvario delle gru, Bordighera Press, New York 2000; L’archivio delle bestemmie, Mimesis, Milano 2006; Pergamena dei ribelli, Joker, Novi Ligure 2011; Il popolo che sono, Mimesis Hebenon, 2016.

Saggistica edita in volume: Nullismo e letteratura, Interlinea, Novara 1998; nuova edizione riveduta e ampliata, Mimesis, Milano 2011; Principi di fenomenognomica, Guerini, Milano 2003; Sui fondamenti dell’amore, Guerini, Milano 2006; Anarchismo senza anarchia, Mimesis, Milano 2009; Chimica dell’insurrezione, Mimesis, Milano 2011. Pergamena dei ribelli Joker 2011, La profondità della letteratura, Mimesis 2016.

«Oltre la verità cartesiana, e i suoi effetti, non c’è alcuna verità che sia al contempo empirica e logica, senza appigli analitici, quegli appigli che portano all’altro tipo di verità, che va per la maggiore: quella ipotetica.

Mirare alla comprovazione dativa degli oggetti esterni è stato l’obiettivo diciamo ontologico. L’esito purtroppo è, al di là di ogni dubbio, solo ontico, cioè “ti penso dunque esisti”. Sì, se guardo o tocco la matita, cioè un dato esterno, la matita esiste e, se guardo e tocco, io, cioè il dato interno, non solo esisto ma sono, al di là di ogni dubbio. E se avvaloro l’io, se gli comprovo come causa effettiva dell’io funzionale ma la natura di questo io, per me materiale, è solo ipotetica), avvaloro anche il suo pensare, vedere, toccare. Di più non ci è dato avere come prova verace dell’ipotesi».1

R. Bertoldo La profondità della letteratura  Mimesis 2016 p. 319

Il Niente

«La dialettica è tra niente ed entizzazione: è il Niente, ovvero l’essere, che vuole entizzarsi; in questo impasse dialettico si trova la condizione ontologica degli enti». «L’essere… è il Niente, l’assenza dell’Ente; e questo NiEnte è, per postulato, la Materia».1

R. Bertoldo La profondità della letteratura  Mimesis 2016 p. 25 e 27

Leopardi. Il Bello. Il Vero.

Riguardo all’affermazione che «tutto il vero», che in base agli assunti leopardiani è il presente, «è brutto», perché infelice, è evidente che se il futuro è più bello del presente, ossia del vero, per via dell’immaginazione e il passato per via del ricordo, l’operazione di immaginare e di ricordare si compie nel presente, che quindi è per forza il momento in cui si vive il piacere, ed inoltre «allo sviluppo ed esercizio dell’immaginazione è necessaria la felicità o abituale o presente o momentanea».1 E ancora: «Io spero un piacere, e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere».2 È vero che leopardi distingue tra ciò che si chiama piacere e ciò che è piacere e poco dopo aggiunge che il piacere provato nel presente non soddisfa ed è solo un accenno del piacere che si ritiene di poter provare in futuro, è tuttavia innegabile che il piacere se lo si proverà sarà un vissuto giocoforza presente: «l’attività, massimamente, è il maggior mezzo di felicità possibile».3

Poi Leopardi sostiene, contraddittoriamente, che l’uomo è infelice senza il vero, che è il presente; e, pur giudicando il presente brutto, o comunque non bello, dice spesso che il bello e il brutto sono relativi, connessi alla convenienza, alle abitudini, ecc. Il fatto è che la conclusione sillogistica «tutto il vero è brutto» si compone su una ambigua dissociazione tra bello e piacevole. Dice Leopardi in modo chiaro che suoni, voci, sapori e odori appartengono «al piacevole o dispiacevole ma non mica al bello né al brutto»,4 però spesso questa chiara distinzione viene da lui trascurata, al punto che gli oggetti belli dell’immaginazione e del ricordo non sono proprietà solo della vista, sino a consistere anche in qualche cosa di astratto e addirittura di piacevole. 5

1 Zib., 28 febbraio 1821 [1703]

2 Zib., 20 gennaio 1821 [532]

3 Zib., 12 febbraio 1821 [649]

4 Zib., 30 settembre 1821 [1748-1749]

5 R. Bertoldo La profondità della letteratura  Mimesis 2016 p. 227

La bellezza

«Il bello è un obiettivo irraggiungibile, come l’anarchia, l’amore, ecc., e l’arte è uno strumento come l’anarchismo, l’innamoramento, ecc. Sono gli strumenti ad essere concreti, gli obiettivi sono utopici o generici e comunque modellabili».

«La ricerca del bello da intendersi come resa della datità… è più importante della sua realizzazione (…) La bellezza quindi non è inutile anche se è un’invenzione. In fondo, tutte le invenzioni dell’uomo sono utili, magari non l’utilità che può avere un piatto…» 1

«La bellezza, considerata intrinseca o dipendente da forma o da funzione, proporzione, simmetria, armonia, verità, autenticità, purezza, perfezione morale, commozione, anche profondità, ecc., è sempre un abbaglio».2

1 R. Bertoldo op. cit. p.287

2 Ibidem p. 313

Autenticità

«La solitudine di uno scrittore è determinata proprio dalla sua autenticità, ossia dalla sua singolarità».1

«La verità corrisponde all’autenticità».2

 1 R. Bertoldo op. cit. p. 291

2  Ibidem. 297

 Coscienza

«Certo: la coscienza si nutre di inconscio, ma ciò che più conta è che l’inconscio si nutre di prodotti della coscienza e li reimmette, rivestendoli di sé, all’interno della coscienza. Ci sono pregiudizi nella coscienza, c’è un circolo vizioso che complica il giudizio quanto è complicata ogni creazione. La separazione tra inconscio e coscienza non è netta, né chiara, non si riesce a sapere dove inizia l’uno e dove inizia l’altra».1

1 R. Bertoldo  op. cit. p. 228

Metafisica

«Quando si critica la metafisica, si tende a dimenticare che la sua natura è tanto ontologica quanto fenomenologica (metafisiche dell’infinito), fenomenica (metafisica del tutto) e trascendente (metafisica della totalità). L’Essere rappresenta il campo ontologico, il darsi dell’Essere o darsi ontologico il campo della fenomenologia materialistica, il darsi dativo, il solo non metafisico, costituisce nel suo aspetto sensoriale il mondo fenomenognomico».1

Poesia

«La poesia deve restare una forma di espressione connessa all’uomo e ai suoi bisogni». «La poesia sorge, come ogni arte e ogni dato, in questo luogo dell’autenticità, dove il mondo fenomenologico e il mondo fenomenico… si incontrano e fondono la materia circoscritta…»

«La poesia deve restare una forma di espressione connessa all’uomo e ai suoi bisogni. La poesia è l’arte più elevata…».2

Essere

«L’Essere… è il Niente, l’assenza dell’Ente; e questo Niente è, per postulato, la Materia. Ma anche il Nulla è, a maggior ragione, assenza dell’Ente, quindi NiEnte. In base a queste due premesse, risulterebbe, per via del sistema di equazioni, che l’Essere, ovvero, la Materia è Nulla. Si può negare questa conclusione sostenendo che il NiEnte non è propriamente Nulla, in quanto nel NiEnte c’è comunque la sostanza dell’Ente, però in base all’assunto leopardiano che l’Infinito è il Nulla, un materialista che consideri appunto la Materia infinita – sappiamo che ci sono anche materialisti esclusivamente empirici come molti illuministi – non può che constatare la Materia, sostanza dell’ente, come Nulla, sia che si annulli sia che non si annulli. Così il Nulla ontologico coinciderebbe con il Nulla ontico ovvero il NiEnte. L’annullamento di ogni valore trascendente derivabile dal particolare nichilismo ontologico leopardiano determina tra l’altro la vita fenomenica come valore imprescindibile. In sostanza, poiché per Leopardi l’infinito è uguale al nulla, che la materia non s’annulli mai (materialismo metafisico) o che si annulli (chiamo questo materialismo ‘afisico’) non c’è differenza riguardo gli effetti assiologici. La vita che vale nulla, per via del niente a cui gli enti sono destinati, è in pratica tutto ciò che si ha, l’unica cosa che si possiede, da questo discende il suo estremo valore».3

Tempo

«Riguardo il tempo, la sua natura ontologica è percepibile fisicamente. Ciò vale anche per la materia ma non per lo spazio, la cui acquisizione è puramente logica».4

«La certezza è l’esito di un accertamento, quindi riguarda solo ciò che può essere accertato, dunque la realtà, ossia tutto ciò che viene recepito».4bis

Verità

«La verità è un’ipotesi perché non ci può essere verità obiettiva».5

1 R. Bertoldo La profondità della letteratura Mimesis, 2016, p. 17

2 Ibidem, p.23

3 Ibidem, p. 27

4  e 4bis Ibidem, p.32

5 Ibidem, p.37

 Sperimentalismo

«Lo sperimentalismo è fallimentare proprio per questa sua ansia di novità, esso può essere indipendente dalla propria epoca, manca quindi di contenuto. Una novità prettamente formale non può attecchire e se la si applica in modo posticcio denuncia tutta la pacchianeria del suo autore». «Gli orizzonti di attesa sono l’emblema del vitalismo artistico mal riposto. Creare per la massa significa aderire all’ottusità». 1

«Le opere d’arte, per Adorno, non coincidono però con ciò che manifestano, ossia la verità, sia perché sono qualcosa in più di essa, e mettiamoci pure la pretesa bellezza e il piacere che ne consegue, sia perché ne sono la velatura. Quindi il godimento estetico non può essere l’unico fine dell’arte». 2

«L’opera d’arte, malgrado i fenomenologi, non è un numero ma “un constructum“, cioè un “artificio psicologico”, per usare le parole di Derrida quando rileva l’originalità di Husserl. L’opera ha senso, come tutte le espressioni che prediligono quello che gli psicologi chiamano “linguaggio interno”. Questo linguaggio deriva dalla trasformazione del linguaggio esterno, personalmente ritengo che l’interiorizzazione sia favorita dalla delusione verso la collettività e dal grado di autismo presente nella persona. La caratteristica iù interessante del linguaggio interno è la “predicatività assoluta, in quanto la predicatività genera suggestione. Nel linguaggio interno, quindi, il senso predomina sul significato. E “il senso della parola, come ha mostrato Paulhan, rappresenta l’insieme di tutti i fatti psicologici che compaiono nella nostra coscienza grazie alla parola”. Il senso è allora al di là delle singole parole e anche al di là dell’espressione concettuale che le riunisce». 3 «”Proprio nel significato della parola sta il centro di questa unità che chiamiamo pensiero verbale”». (cit. Lev S. Vygotskij)                                                                        

1 op. cit. p. 175

op. cit. p. 172

3 op. cit. p. 163

Surrazionalismo e surrealismo

«La cultura borghese, razionalistica sin nelle sue irrazionalità, ha prodotto il nichilismo al posto delle divinità nobiliari e, con esso, la letteratura fenomenologica in sostituzione di quella ontologica. La gnoseologia, avvalsasi nel medioevo dell’ontologia e nell’età moderna della fenomenologia… oggi, a farsi garante della borghesia, scade in prodotto predeterminato» 1

Nel simbolismo i sensi deragliano ma la ragione è vigile, nel surrealismo a deragliare è l’immaginazione (la freddezza creativa di molti epigoni ha poco a che vedere con certe creazioni di Eluard, Breton o Aragon, ma pure  in questi istitutori è evidente l’autoimposizione onirica e dell’automatismo), nel surrazionalismo non si deraglia ma ci si lascia coinvolgere dai sensi e dalla ragione.

Quando per la prima volta parlai di ‘surrazionalismo’ non sapevo che questo termine, sia pure con intuizioni più generiche, l’avesse coniato Gaston Bachelard. Io lo usai per difendere la mia poesia da quanti, con superficialità, la giudicavano surrealista. Non ho certamente niente contro il surrealismo, anche se non lo amo, ma la mia poesia percorre la vena postsimbolista. Io giudicavo la mia poesia ‘surrazionale’ perché è sempre nata da un attrito tra immagini diverse di natura simbolica sorgenti in concomitanza di emozioni e analisi […] Ebbene questa condizione è ‘surrazionale’, non è determinata né dal deragliamento della ragione né da automatismi psichici ma c’è sempre un controllo delle valenze dell’immaginazione (meglio dell’intuizione), appunto della sua razionalità compositiva.

La poesia surrazionale, che è  magari anche di altri ma è difficile dirlo da fuori in quanto riguarda più il produrre che il prodotto, non ha niente di divino e di magico, è invece l’esito di una concentrazione razionale ed emotiva di carattere, posso dire, filosofico […] Sono approdato a quella che ho chiamato ‘fenomenognomica’, una filosofia scettica che concede all’uomo solo, ma è tanto, l’immanenzione, cioè questa forma di attraversamento che produce una sorta di comprensione fisica che la poesia… esprime, almeno in me, mediante ciò che ho chiamato ‘tonosimbolismo’ […] Il surrazionalismo è questa ragione che ‘risolve’ la contraddizione nell’emozione, manifestata, almeno in me, mediante un simbolismo anche tonale»2  

Sul nullismo come avversario del nichilismo «Il nullismo è il superamento del nichilismo assiologico»

«Il nulla non è un vuoto, non è un annullamento, in quanto il vuoto e l’annullamento lasciano un’attesa o un ricordo. Il vero nulla è il mai. L’altro nulla, quello che da sempre in un modo o nell’altro trattiamo, è relativo, secondo prospettiva: è il contrario del nostro obiettivo. Per il materialista il nulla è uno scopo eterno, eternamente posticipato […]

Ciò che è divertente, è che noi spesso sosteniamo la non pensabilità del nulla nello stesso tempo che giudichiamo le parole un semplice simbolo delle cose. Se una parola non è mai il suo referente come si può sostenere che il solo pensarlo rende il nulla un qualcosa? Se la simbologia sostanziasse i referenti allora dio esisterebbe davvero e non solo verbalmente. In realtà non è così, le idee sono semplicemente metareali e si può parlare del nulla senza ipostatizzarlo «Il nichilismo non corrisponde al nulla ma all’invariabilità. Non è quindi attestabile.

Il mondo non è una prigione, lo diventa se gli si inventano finestre dietro alle quali si mette il paradiso terrestre. Senza false finestre il mondo non ha limiti. Il guardare verso e attraverso le finestre che non c’erano ha reso il mondo un locale impolverato di egoismi, colmo di scope fasulle con proprietà terapeutiche improbabili. L’uomo deve badare da sé una volta per tutte al proprio mondo.

Di fronte al mondo, date le spalle al nulla […] Il nullista non crede alla possibile percezione della pura oggettività, neppure a ben vedere può credere sicuramente al nulla. Il nullista, che è tale solo dopo aver attraversato, e portato con sé, il nichilismo, s’adegua alla propria percezione della verità, non alla verità.

Il nullista è un nichilista per il quale solo ciò che è immutabile, ovvero la sostanza della materia, è eterno e che comunque tratta da eterno ciò che sa mutabile, ossia le forme della materia. Il nichilista tout court è privo di questo prometeismo.

Per il nullista il mondo è autosufficiente, non così per il nichilista che ancora fa subire al mondo la sua provvisorietà […] Il nullista si è emancipato dalla delusione per il nulla trascendente e da punto di vista ontologico il nulla è per lui l’indefettibilità dell’essere (ovvero della materia come sostanza), il nulla è che non ci sarà mai annullamento ontologico.

Sul Postcontemporaneo

La modernità riguarda grosso modo il periodo che va dall’età umanistico-rinascimentale alla fine dell’Ottocento; il postmoderno, altra categoria storica, corrisponde quasi in toto (nella sua debolezza) al decadentismo, che è invece una mentalità, ancora in auge; il postmoderno forte, col quale indico semplicemente il postmoderno liberatosi dal decadentismo, e che indico una cultura che attualmente sembra, solo perché il presente spesso la rigetta, propria del futuro (per questo lo chiamo anche postcontemporaneo), è l’accettazione del progresso gnoseologico e del modello epistemologico contemporaneo che l’età moderna si ostina, a parte eccezioni, a rifuggire per codardia e interesse».3

Non dobbiamo liberarci solo dalla metafisica ma anche e soprattutto, in quanto la fonda, dal linguaggio metafisico. Il concetto di ‘senso’, per esempio, legato a finalità, almeno intenzionali, è un concetto teleologico. In realtà tutto ha senso, ogni cosa ha senso in sé, grazie a sé. Il senso del mondo è il mondo. Avere senso non è un rimandare ad altro da sé ma un essere sé, essere. Il nostro senso è esserci».4

«Le categorie di Moderno, Postmoderno e Postcontemporaneo sono da me intese come categorie esclusivamente storico-scientifiche. Il moderno ha come modello la scienza di Newton, il postmoderno grosso modo quella di Einstein. Non avrei usato il brutto termine postcontemporaneo se non mi fossi accorto che il postmoderno descritto dai filosofi veniva ad identificarsi in pratica col decadentismo filosofico, che è la cultura tanto dei nostalgici quanto dei detrattori del moderno… Il postcontemporaneo… corrisponde almeno alla luce delle attuali idee scientifiche, al nullismo e ai suoi sviluppi».5

«L’Io è frammentato, ma i suoi frammenti sono interattivi e trovano la loro unità individuale nel progetto e collettiva nella storicità dei metodi. L’Io non può rinunciare a questa unità progettuale ed epistemologica se vuole dare un senso alla sua vita senza scopo, se vuole difendere – in una difesa titanica, e questa è la sua grandezza etica – le forme dal fluire inarrestabile della materia. Questo è il suo senso: resistere il più possibile e aiutare le altre forme a resistere il più possibile contro l’inevitabile nulla ontico e l’indifferente materia (la ‘natura matrigna’), smettendola di rinviare ad un dopo e oltre (il mondo metafisico) o di farsi sedurre, alla stregua dei nichilisti attivi, da una indebita appropriazione e distruzione del mondo fenomenico».6

1 Roberto Bertoldo Nullismo e letteratura Mimesis, 2011 p. 137

2 Ibidem pp. 250, 251

3 Ibidem pp. 26-29

4 Ibidem p.31

5 Ibidem p.236

6 Ibidem p. 240

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Il Vuoto

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Questa riflessione di Roberto Bertoldo viene a porsi nel momento in cui la credibilità della letteratura e della poesia toccano il punto più basso, è proprio in questo punto che il poeta piemontese rilancia con forza il pensiero di una poesia e di una letteratura che sappiano farsi carico della loro responsabilità estetica. Il mondo frammentato, o ridotto  in frammenti non è una invenzione dell’Ombra delle Parole, è dall’inizio del secolo breve che la problematica era nell’aria e che coinvolgeva altri problemi filosofici e politici.

A proposito dei «frammenti», ecco quanto scrive Mario Praz in ordine all’opera di esordio di Eliot: «Nel 1922, in The Waste Land, Eliot aveva dato espressione al consapevole disorientamento di un’epoca che, iniziatasi colla prima guerra mondiale, può dirsi duri tuttora e non si saprebbe meglio definire che col titolo di un volume dell’Auden, The Age of Anxiety, l’epoca dell’ansia. The Waste Land chiudeva il suo barbarico edificio con alcuni frammenti di poeti del passato, vestigia di una nobile e secolare tradizione di cultura, e con la dichiarazione: “Con questi frammenti io ho puntellato le mie rovine“. The Waste Land voleva essere insomma un edificio di bassa epoca deliberatamente eretto sull’Ultima Thule del pensiero europeo, proprio al limite della desolazione incombente che minacciava di travolgere ogni traccia d’una cultura secolare».

Nel mondo post-metafisico dell’“organizzazione totale” fondata sulla tecnica, ogni cosa ha un posto definito, coincidente con la funzione strumentale assolta all’interno del sistema. Anche il linguaggio assolve questo compito, tecnicizzandosi. L’uomo interroga gli enti come oggetti esterni da cui determinare il senso dell’essere: il loro e il proprio. Ma la metafisica, così intesa, conduce all’oblio dell’essere, che si nasconde anziché rivelarsi, e all’utilizzo strumentale degli enti nell’orizzonte del mondo tecnicizzato. Anche l’uomo, segue la stessa sorte, diventa “ente”, oggetto, cosa, strumento. Il pensiero si riduce a servizio del sistema: strumento fra gli altri per la soluzione di problemi interni alla “totalità strumentale” in atto nelle società contemporanee. Occorre dunque ripristinare il contatto con le sorgenti dell’essere.

L’analitica esistenziale di Essere e tempo (1927)

L’analitica esistenziale di Essere e tempo (1927) aveva individuato l’ontologia come destino e compito dell’uomo. Noi siamo l’ente che si interroga sul problema dell’esserci dalla prospettiva opaca del Dasein, la “deiezione” dell’esser-ci, dell’essere gettati in mezzo al mondo. Un modo per superare l’impasse di una metafisica che, per consunzione di principio, tradisce il proprio andare “oltre”, è fare dell’esistenza umana una manifestazione dell’Essere, che in essa si rivela e insieme si nasconde. L’Essere è la totalità che emerge da ogni singola cosa del mondo. È l’origine fondante che regge gli enti all’interno, e ne apre la soglia ontologica, cioè la luce entro cui l’ente si fa visibile in quanto è. L’Essere è il bordo non aggirabile della comprensione. Non spetta all’uomo cercare l’Essere, o tentare di conoscerlo. L’uomo non può far altro che abbandonarvisi e accettare le rivelazioni di cui l’Essere stesso prende iniziativa. L’Essere si manifesta per illuminazioni che accadono e, accadendo, si consegnano all’uomo. Tali rivelazioni avvengono attraverso il linguaggio poetico.

In questi ultimi anni la poesia italiana

In questi ultimi anni la poesia italiana ha mostrato segni di un cambiamento, di rinnovamento, si sono verificati dei ripensamenti sulla eredità che il secondo Novecento ci ha lasciato. Questo lo ritengo un fatto positivo. Personalmente, mi ritengo coinvolto in questo processo di rinnovamento della poesia italiana, forse certe mie affermazioni possono suonare apodittiche e eccessivamente taglienti, ma credo che sia necessario, in questa contingenza stilistica della poesia italiana, essere ed apparire categorici, anche con il rischio di essere fraintesi.

Il richiamo a Tranströmer era necessario, la prima opera di Tomas  Tranströmer, 17 poesie, risale nientemeno al 1954 e da noi quelle poesie sono state tradotte dall’encomiabile Enrico Tiozzo soltanto da pochi anni. Il fatto è che un ritardo così cospicuo di un libro così rivoluzionario ha determinato e contribuito alla provincializzazione della poesia italiana sempre più chiusa entro i suoi asfittici recinti. Credo che sia necessario, oggi, riproporre il problema del «cambio di paradigma», ritrovare i nostri progenitori di una poesia «diversa»; sono convinto che cercare strade nuove sia un dovere imprescindibile per la nuova poesia italiana. I poeti nuovi ci sono, basta cercarli e saperli leggere: Mario Gabriele, Steven Grieco-Rathgeb, Antonio Sagredo ed altri che non nomino, la loro poesia è da tempo indirizzata in nuove esplorazioni e direzioni di ricerca, ed è talmente «diversa» da quella cui siamo abituati che rischia di passare inosservata.

Ad esempio, la «sospensione della temporalità», l’accelerazione e il rallentamento del tempo interno di una poesia» (secondo la teoria espressa in questa rivista da Steven Grieco-Rathgeb) che la «nuova poesia» persegue è una condizione preliminare della praxis poetica. In tal senso, la poesia occidentale può e deve far propri alcuni assunti di posizione poetica presente negli haiku giapponesi e, conseguentemente, nei tentativi di scrivere haiku «occidentali». La sospensione, il rallentamento e l’accelerazione della temporalità sono dei modi per introdurre una «rottura» della stabilità temporale e introdurci in una condizione di instabilità. Una condizione di disequilibrio che apre un varco nella memoria profonda e consente di riallacciarci alla condizione primaria della nostra psiche, agli «oggetti profondi» (le «posate d’argento» di Tomas Tranströmer) che giacciono e si depositano nel fondo della condizione stabile del nostro sottosuolo, una dimensione libera da quella illusoria credenza nella stabilità e nella continuità spazio temporale della nostra vita quotidiana. Leggiamo due versi fulminanti di Tranströmer:

Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami
giù nel profondo dove l’Atlantico è più nero.

Il nuovo concetto di «tempo» di cui Prigogine dà il trionfale annuncio nell’opera From Being to Becoming (1978), ci dice di un «secondo tempo», non più parametro (come nella fisica classica) ma operatore di una descrizione probabilistica, il «tempo interno». Continua Prigogine: «la giustificazione di questo punto di vista sta nell’osservazione che la natura, così come appare intorno a noi, è asimmetrica rispetto al tempo. Tutti noi invecchiamo insieme! E nessuno ha ancora osservato una stella che segua la sequenza principale a rovescio». L’obiettivo polemico è dato dalla critica alla tradizione occidentale «centrata sul tempo» e l’immagine «senza tempo» della fisica classica irretita dal modello platonico della Verità eterna e atemporale. Non a caso la storia della filosofia da Kant a Whitehead sarebbe segnata dallo sforzo di rimuovere questo ostacolo mediante l’introduzione di un’«altra realtà», il «mondo noumenico», gli «oggetti eterni» etc.. Tuttavia la meccanica quantistica e relatività generale sono portatrici di «una negazione radicale dell’irreversibilità temporale».

Ora, sta di fatto, che ciascuno di noi nella esistenza quotidiana sperimenta in sé un «tempo interno» che è diverso dal tempo interno di un altro essere vivente. Il «tempo interno» quindi è una realtà ontologica che non può essere dimenticata in sede di ontologia, perché ciascuno di noi lo sperimenta quotidianamente, ed esso esiste, pur non esistendo un tempo sovrano e unidimensionale. Il «tempo», per Prigogine, rappresenta il «filo conduttore» che consente di articolare a tutti i livelli le nostre descrizioni dell’universo. Resta però oscura la sua origine: «Come potrebbe sorgere da una realtà essenzialmente atemporale questo tempo creatore che costituisce la trama delle nostre vite?».
Si ripropone così il tema agostiniano del «prima» della Creazione. E il problema della ragion sufficiente dei processi unidirezionali come il tempo nel quale viviamo.
Ecco, io direi che la «nuova poesia» ci costringe a riparametrare il nostro «tempo interno» con il «tempo esterno» e a rimodulare la nostra sensibilità nei confronti del «mondo».

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UNDICI POESIE di Tomas Tranströmer – LA COSTRUZIONE DELLE IMMAGINI IN MOVIMENTO Commento di Giorgio Linguaglossa traduzioni di Enrico Tiozzo e Maria Cristina Lombardi

tomas transtromer 1Tomas Tranströmer, premio Nobel per la Letteratura nel 2011, è morto venerdì 27 marzo 2015 a 82 anni.
Poeta, quando vinse il Premio dell’Accademia era da undici anni stato colpito da un ictus che gli aveva inibito la capacità di parlare. A riferire della scomparsa è stato il suo editore, Bonniers.
Psicologo di professione, era il massimo esponente della generazione di intellettuali che si è affermata dopo la Seconda Guerra mondiale e punta a suggerire che l’esame poetico della natura offre intuizioni sull’identità umana e sulla sua dimensione spirituale, entrando spesso in territori metafisici. “L’esistenza di un essere umano non finisce dove terminano le sue dita”, ha scritto un critico svedese della sua poesia, definendo i suoi lavori “preghiere secolari”.
La sua notorietà nel mondo anglofono derivava dalla sua amicizia con il poeta americano Robert Bly, che ha tradotto gran parte del suo lavoro dallo svedese all’inglese, una delle 50 lingue in cui le sue poesie sono apparse.

Notizie sull’autore

Tomas Tranströmer, unanimemente ritenuto il maggiore poeta svedese contemporaneo, più volte candidato al Premio Nobel, è nato a Stoccolma nel 1931. Di professione psicologo, dopo aver lavorato alcuni anni all’Università, nonostante il successo della sua poesia, ha continuato a svolgere attività terapeutiche in centri di riabilitazione di varie città svedesi. Pianista di notevole talento, ha spesso composto i suoi testi ispirandosi a ritmi e forme musicali. Benché una grave malattia gli abbia provocato una dolorosa paralisi, non ha smesso di scrivere, come testimonia la sua ultima opera Sorgegondolen (La gondola a lutto), del 1996, e il volume di traduzioni di poeti europei e americani Tolkingar (Interpretazioni), del 1999. Ha pubblicato sinora dodici brevi raccolte: 17 Dikter (17 Poesie), 1954; Hemligheter på vägen (Segreti sulla vita), 1958; Den halvfärdiga himlen (Il cielo incompiuto), 1962; Klanger och spår (Echi e tracce), 1966; Mörkerseende (Colui che vede nel buio), 1970; Ur stigar (Fuori dai sentieri), 1973; Östersjöar (Mari Baltici), 1974;Sanningsbarriären (La barriera della verità), 1978; Det vilda torget (La piazza selvaggia), 1983; För levande och döda (Per vivi e morti), 1989; Minnena ser mig (I ricordi mi vedono), 1989; Sorgegondolen (La gondola a lutto), 1996.

tomas transtromer

tomas transtromer

Leggere la sua poesia non è un percorso lineare: è come entrare in una labirintica chiocciola. La concentrazione dei concetti in immagini conduce alla contrazione degli elementi connettivi, dei passaggi logico-sintattici, alla prevalenza dei sintagmi nominali. La capacità di realizzare densità poetica non è in Tranströmer tanto imputabile alla parola, al singolo lessema semanticamente pregnante, ma alla rete capillare di nessi che vengono a stabilirsi tra le parole. Tale sottile interazione, non facile a cogliersi immediatamente, dà spazio alla molteplicità interpretativa, alla pluralità del senso, lasciando spesso misteriosi i referenti delle metafore. Questa “oscurità”, comune a molta poesia contemporanea, in Tranströmer nasce dalla volontà di fuggire ai vuoti schemi della comunicazione massificata, di contrapporsi ai linguaggi pubblicitari, rifuggendo dall’univocità e proclamando la “polivocità” della parola.

(dalla prefazione di Maria Cristina Lombardi in Poesia dal silenzio, Crocetti editore, 2011)

Oct. 6, 2011, Swedish poet Tomas Transtromer poses for a photograph at an unknown location

Oct. 6, 2011, Swedish poet Tomas Transtromer poses for a photograph at an unknown location

Commento di Giorgio Linguaglossa

Con il Nobel nel 2011 per la poesia a Tomas Tranströmer, i membri dell’Accademia giudicante lo hanno riconosciuto come il poeta che ha avuto la più grande influenza sulla poesia occidentale.

Nato a Stoccolma nel 1931, dopo studi di psicologia nell’Università della capitale svedese, è entrato nell’amministrazione pubblica della cittadina industriale di Vasteras. Tranströmer è rimasto per lunghi decenni appartato e in solitudine fino al ritratto autobiografico che il poeta ha dato di se stesso nel libro Minnena ser mig nel 1993, tradotto tre anni dopo in italiano con il titolo I ricordi mi vedono.
Tranströmer parte sempre da esperienze personali (la casa nel popolare quartiere di Söder a Stoccolma, la figura del vecchio nonno pilota di rimorchiatori etc.) con un dettato essenziale, diretto alle cose, senza giri frastici, anzi abolendo del tutto congiunzioni e filtri letterari. Dal dato biografico Traströmer arriva a tratteggiare la cornice di un quadro di angoscia esistenziale e di disagio della società occidentale, l’incomunicabilità, la enigmaticità della condizione esistenziale degli uomini concreti posti in una determinata stazione storica: quella della Svezia del Dopo il Moderno, la violenza e la inautenticità nascoste dietro il velo dell’ipocrisia. Si può affermare che tutta l’opera del poeta svedese non è altro che un tentativo di squarciare il velo di perbenismo edulcorato che si nasconde dietro l’apparenza sociale. Tradotto splendidamente da Enrico Tiozzo, è apparsa in italiano SorgengondolenLa gondola a lutto pubblicata da Crocetti nel 1996; opera dettata alla moglie per via dell’ictus che colpì il poeta negli anni ’90 che lo ha ridotto all’afasia ma non alla interruzione della sua attività poetica. Così la moglie ha commentato la notizia del conferimento del Nobel al marito: «Non pensava più di sentire questa gioia un giorno».

Le poesie dell’esordio, con la raccolta 17 dikter – 17 poesie del 1954, gli valsero da parte della critica il nomignolo ironico di «re delle metafore» ma ciò non scalfì la collocazione di tutto rispetto tra i poeti degli anni Cinquanta per l’inconfondibile concentrazione del suo stile.
Le poesie sono sempre delle occasioni per una riflessione. Il poeta, come un minatore, scende nella profondità che sta celata appena dietro il velo dell’apparenza delle cose. Con uno stile classico e modernista, dietro il vestito metaforico della sua poesia, Tranströmer può essere qualificato, oggi, come uno dei maestri in ombra della poesia europea e occidentale. Il poeta svedese offre al lettore una nuova esperienza degli oggetti. Gli oggetti sono visti come immagini in scorcio, in collegamento ed in sviluppo; il lettore è chiamato in causa direttamente, a prendere posizione dinanzi alla ambiguità e alla «polisemia» delle «cose» viste da un preciso e determinato angolo visuale. Le «cose» equivalgono alle immagini in movimento ed in collegamento reciproco. Contrario ad ogni ipotesi di poesia sperimentale, Tranströmer ha sempre tenuto ben dritto il timone della sua investigazione poetica mantenendosi a cautelosa distanza da ogni ipotesi di poesia civile, impegnata o sperimentale, concetti da sempre ripudiati dal poeta svedese. C’è una certa distanza tra l’apparato reticolare delle metafore di Tranströmer e le «cose» del reale messe bene in luce in un saggio del critico Kjell Espmark che ha identificato i modelli del poeta in Hölderlin, Dante, Rilke. Alla fine degli anni Ottanta è arrivata per Tranströmer la definitiva consacrazione con la silloge För levande och döda – Per vivi e morti del 1989, concentrata sul tema della presenza della morte nel quotidiano. Tranströmer «fonda» il quotidiano, lo rimette in piedi da dove quel «quotidiano» era stato fatto ruzzolare dalle scaffalature impolverate dei «quotidianisti».
In Italia l’opera di Tranströmer è stata pubblicata da Crocetti che nel 1996 ha dato alle stampe alcune poesie nella Antologia della poesia svedese contemporanea e, nel 2008, il volume Poesia dal silenzio. Con il medesimo editore è uscito Il grande mistero l’ultima opera del poeta svedese, una raccolta di 45 haiku per 45 punti di vista. Alcune poesie del poeta svedese erano apparse nell’Almanacco dello Specchio Mondadori del 2007.

  1. Scrive Tranströmer sulla sua vita (da Poesia n. 265 novembre 2011)

    «”La mia vita”. Quando penso a queste parole vedo davanti a me una striscia di luce. Guardando più attentamente, la striscia di luce ha la forma di una cometa con una testa e una coda. L’infanzia e l’adolescenza formano l’estremità più luminosa, la testa. Il nucleo, la parte più compatta, è la primissima infanzia dove si decidono i tratti più importanti della nostra vita. Cerco di ricordarmi, cerco di farmi largo in quella direzione. Ma è difficile muoversi in queste regioni dense, è pericoloso, è come una sensazione di avvicinamento alla morte. Più indietro la cometa si dirada, è la parte più lunga, la coda. Si fa sempre più rada ma anche più larga. Adesso mi trovo molto avanti sulla coda della cometa, ho sessant’anni quando scrivo queste righe.
    Le prime esperienze sono per la maggior parte irraggiungibili. Cose riraccontate, ricordi di ricordi, ricostruzioni sulla base di atmosfere che improvvisamente si riaccendono.
    Il mio primo ricordo databile è una sensazione. Una sensazione di fierezza. Ho appena compiuto tre anni e si è detto che è molto importante che adesso sono diventato grande. Sono a letto in una stanza luminosa e poi scendo sul pavimento, conscio in modo inaudito del fatto che sto diventando adulto. Ho una bambola a cui ho dato il nome più bello che ho potuto inventare: KARIN SPINNA. Non la tratto maternamente. È più una compagna, oppure un’innamorata.»

    Scrive un critico della poesia di Tranströmer:

    Il tempo è anche una sorta di cammino che l’uomo può e deve percorrere in più direzioni e nel quale la sovrapproduzione di momenti del passato su quelli del presente, del futuro o viceversa, è assai spesso legata a un elemento spaziale che raccogliendo in unità un apparente contrasto riporta il discorso poetico verso il centro della riflessione. Per questo i momenti della vita sono racchiusi tutti insieme in uno spazio che concentra simbolicamente anche il tempo

    (“Si fece buio all’improvviso, come per un acquazzone. / Io stavo in una stanza che conteneva tutti i momenti ./ un museo di farfalle.”)

    La qualità essenziale del tempo e dello spazio poetico sarà dunque quella di potersi comprimere e dilatare, aprendosi a tutte le direzioni (verticali e orizzontali), una espansione cui si giungerà partendo da un punto focale di concentrazione, nel quale mondo interiore e quello esteriore si incontrano traducendosi – per il tramite dell’immagine poetica, magari della metafora – l’uno nell’altro. E qui sarà inevitabile sottolineare una affinità fondamentale: la possibilità di immaginare il tempo e lo spazio poetico come elementi musicali, suoni che si susseguono nel tempo e che si dilatano a coprire lo spazio del mondo e dell’animo…*

    Ho sognato che avevo disegnato tasti di pianoforte
    sul tavolo di cucina. Io ci suonavo sopra, erano muti.
    I vicini venivano ad ascoltare.

    *Saggio di Gianna Chiesa Isnardi in Sorgengondolen, Herrenhaus, 2003 pp.109, 110

    giorgio-linguaglossa-11-dic-2016-fiera-del-libro-roma.

    Appunto critico di Giorgio Linguaglossa

    Si dice spesso che l’evento principiale è il silenzio. Ma il silenzio è cosa diversa dal rumore (inteso come ciò che precede il linguaggio) ed è privo di significato. Il fare silenzio è una forzatura, è una imprecisione terminologica. A rigore, l’uomo non potrebbe sopravvivere nel silenzio, il silenzio lo dissolverebbe. Il silenzio (da non confondere con il vuoto), ovvero, l’assenza di suoni, non esiste. In realtà, le cose parlano, parlano sempre, e non possono che parlare in continuazione. L’uomo parla in continuazione anche quando si trova nella più aspra delle solitudini. Così, il vento parla quando passa attraverso le foglie di un bosco, quando incontra degli ostacoli; la pioggia ci parla quando trascorre attraverso l’atmosfera e incontra degli oggetti, e così via… il mare «fragoroso» ci parla attraverso il suo incontro scontro con la terraferma e gli scogli… è l’incontro con le cose, con gli ostacoli, che fa parlare le cose, senza incontro scontro non ci può essere né linguaggio né la parola. Linguaggio e parola possono prendere vita soltanto attraverso l’incontro scontro tra gli uomini e le cose, tra silenzio e linguaggio.

    Sono le cose collegate in un insieme che fanno sì che siano esse a parlare. Il poeta deve soltanto porsi in posizione di ascolto. L’ascolto recepisce i suoni, le parole (il silenzio è un altro modo di essere del linguaggio, quando il linguaggio diventa silenzioso), l’ascolto predispone il linguaggio a formarsi, e il formarsi del linguaggio significa predisporre il silenzio all’interno del linguaggio. In questo caso si può parlare propriamente del silenzio del linguaggio quale sua custodia segreta. Il poeta abita questa custodia segreta. Ma anche tutti gli uomini abitano questa custodia segreta. Non è una prerogativa del poeta quella di abitare il silenzio delle parole, chiunque può attingere il silenzio delle parole attraverso la lettura di una poesia. Il silenzio abita il linguaggio; l’uomo abita il linguaggio, ovvero, il silenzio delle cose, la loro lingua segreta. Tranströmer con la sua poesia fa parlare il silenzio, fa parlare le cose tra di loro, esplora le risorse linguistiche e sonore delle cose attraverso l’impiego della immagine. È questa la grande novità della poesia di Tranströmer. L’immagine è l’altra dimensione in cui può vivere la parola sonora. «Tutti gli oggetti hanno un’anima, bisogna solo scoprirla» ha scritto John Cage. Nulla di più vero. Per Tranströmer scoprire una relazione tra le cose è un processo molto complesso che ha il proprio segreto nell’ascolto delle cose. La poesia è per il poeta svedese lo spalancamento della illuminazione, dis-chiusura della coscienza avvezza al linguaggio ordinario, imprevedibilità della dis-chiusura delle cose, frattura della coscienza ordinaria, un nuovo modo di stare nel mondo che prevede l’incontro con l’illuminazione: la creazione di una immagine elicoidale in movimento, scoprimento di un linguaggio iconico. Il tempo forte del linguaggio poetico di Tranströmer è il tempo forte iconico che ha il sopravvento nei confronti del tempo debole metrico, piegando quest’ultimo alle esigenze di quello. Il tempo forte iconico disloca e dissolve il tempo forte metrico e lo assoggetta alla priorità dettata dal primo.

tomas transtromer

tomas transtromer

da 17 Poesie (1954)

Sotto il quieto punto volteggiante della poiana
avanza rotolando il mare fragoroso nella luce,
mastica ciecamente il suo morso di alga e soffia
schiuma sulla riva.
La terra è celata dalle tenebre frugate dai pipistrelli.
La poiana si ferma e diventa una stella.
Il mare avanza rotolando fragoroso e soffia
schiuma sulla riva.

*

L’albero della luna è marcito e si sgualcisce la vela.
Il gabbiano volteggia ebbro lontano sulle acque.
È carbonizzato il greve quadrato del ponte. la sterpaglia
soccombe all’oscurità.
Fuori sulla scala. L’alba batte e ribatte sui
cancelli granitici del mare e il sole crepita
vicino al mondo. Semiasfissiate divinità estive
brancolano nei vapori marini.

.
Storia fantastica

Ci sono giorni d’inverno senza neve quando il mare s’imparenta
con i tratti montuosi, accucciandosi in grigie vesti di piume,
un breve attimo blu, lunghe ore con onde che invano
come pallide linci cercano un appiglio sulla riva ghiaiosa.

In giorni come questo esce il relitto dal mare in cerca dei
suoi armatori, seduti al chiasso delle città, e gli equipaggi
annegati soffiano verso terra, più sottili del fumo di pipa.

(Nel nord vagano le vere linci, con artigli affilati
e occhi sognanti. Nel nord dove il giorno
vive in una caverna giorno e notte.

Dove il solo sopravvissuto può sedere
alla fornace dell’aurora boreale e ascoltare
la musica dei morti assiderati.)

.

Tomas-Transtromer

Tomas-Transtromer

Meditazione agitata

Un temporale fa girare all’impazzata le ali del mulino
nel buio della notte, macinando nulla. – Ti
tengono sveglio le stesse leggi.
Il ventre dello squalo è la tua fioca lampada.

Soffusi ricordi calano sul fondo del mare
e là si irrigidiscono in statue sconosciute. – Verde
di alghe è la tua gruccia. Chi va
al mare torna impietrito.

.
Elegia (1973)

Apro la prima porta
È una grande stanza soleggiata.
Un’auto pesante passa per la strada
e fa tremare il vasellame.
Apro la porta numero due.
Amici! Avete bevuto il buio
e siete diventati visibili.
Porta numero tre. Una
stretta camera d’albergo.
Vista su una strada secondaria.
Un lampione che scintilla sull’asfalto.
La bella scoria delle esperienze.

.
Volantini (1989)

La silenziosa rabbia scarabocchia sul muro in dentro.
Alberi da frutto in fiore,
il cuculo chiama.
È la narcosi della primavera. Ma la silenziosa rabbia
dipinge i suoi slogan all’inverso nel garage.
Vediamo tutto e niente,
ma dritti come periscopi
presi da una timida ciurma sotterranea.
È la guerra dei minuti. Il bruciante sole
è sopra l’ospedale, il parcheggio della sofferenza.
Noi chiodi vivi conficcati nella società!
Un giorno ci staccheremo da tutto.
Sentiremo il vento della morte sotto le ali
e saremo più dolci e più selvaggi che qui.*

.
* da Poeti svedesi contemporanei a cura di Enrico Tiozzo, Göteborg, 1992

.
Epilogo

Dicembre. La Svezia è una nave malandata
in missione. Contro il cielo del tramonto sta
il suo albero aspro. E il tramonto è più lungo
di un giorno – la via che porta qui è sassosa:
solo verso mezzogiorno esce la luce
e il colosseo dell’inverno si alza,
illuminato da nuvole irreali. Allora sale d’un tratto
vertiginoso il fumo bianco
dai villaggi. Altissime stanno le nuvole.
Alle radici dell’albero celeste fruga il mare,
distratto, come in ascolto di qualcosa.
(Invisibile viaggia sull’altra metà
dell’anima un uccello che sveglia
chi dorme con le sue grida. Così il telescopio
gira, cattura un altro tempo
ed è estate: mugghiano le montagne, gonfie
di luce e il ruscello solleva lo scintillío del sole
nella mano trasparente… sparito in quell’attimo
come quando la pellicola di un film si spezza al buio.)

Ora l’astro della sera brucia attraverso la nuvola.
Alberi, recinti e case aumentano, crescono
nella silenziosa slavina che precipita nel buio.
E sotto la stella ancor più si suscita
l’altro paesaggio nascosto che vive
la vita dei confini sulla radiografia della notte.
Un’ombra trascina la sua slitta tra le case.
Stanno in attesa.

(da Poesia dal silenzio, Crocetti Editore , 2001, trad. Maria Cristina Lombardi)

Tomas-Transtromer

Tomas-Transtromer

La coppia

Spengono la lampada e il suo globo risplende
un istante prima di sciogliersi
come una pastiglia in un bicchiere di tenebre. Poi si sollevano.
Le pareti dell’albergo si gettano nel buio del cielo.
I gesti dell’amore si sono acquietati e loro dormono
ma i pensieri più segreti s’incontrano
come quando s’incontrano due colori e l’uno nell’altro fluiscono
sulla carta bagnata di un dipinto infantile.
È buio e silenzio. Ma la città stanotte
si è avvicinata in fretta. A finestre spente. Le case sono qui.
Vicinissime, stanno serrate in attesa,
una folla di volti inespressivi.

.
Storia fantastica

Ci sono giorni d’inverno senza neve quando il mare s’imparenta
con i tratti montuosi, accucciandosi in grigie vesti di piume,
un breve attimo blu, lunghe ore con onde che invano
come pallide linci cercano appiglio sulla riva ghiaiosa.
In giorni come questo esce il relitto dal mare in cerca dei
suoi armatori, seduti al chiasso delle città, e gli equipaggi
annegati soffiano verso terra, più sottili del fumo di pipa.
(Nel nord vagano le vere linci, con artigli affilati
e occhi sognanti. Nel nord dove il giorno
vive in una caverna giorno e notte.
Dove il solo sopravvissuto può sedere
alla fornace dell’aurora boreale e ascoltare
la musica dei morti assiderati.)

.
Sfere di fuoco

Nei mesi oscuri la mia vita scintillava
solo quando ti amavo.
Come la lucciola si accende e si spegne, si accende e si spegne,
– dai bagliori si può seguire il suo cammino
nel buio della notte tra gli ulivi.
Nei mesi oscuri l’anima stava rannicchiata
e senza vita
ma il corpo veniva dritto verso di te.
Il cielo notturno mugghiava.
Furtivi mungevamo il cosmo e siamo sopravvissuti.
Pagina di libro notturno
Sbarcai una notte di maggio
in un gelido chiaro di luna
dove erba e fiori erano grigi
ma il profumo verde.
Salii piano un pendìo
nella daltonica notte
mentre pietre bianche
segnalavano alla luna.
Uno spazio di tempo
lungo qualche minuto
largo cinquantotto anni.
E dietro di me
oltre le plumbee acque luccicanti
c’era l’altra costa
e i dominatori.
Uomini con futuro
invece di volti. gli scogli

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UNDICI POESIE di Tomas Tranströmer – LA COSTRUZIONE DELLE IMMAGINI IN MOVIMENTO Commento di Giorgio Linguaglossa traduzioni di Enrico Tiozzo e Maria Cristina Lombardi

Tomas Tranströmer, premio Nobel per la Letteratura nel 2011, è morto a 82 anni venerdì 27 marzo 2015.
Poeta, quando vinse il Premio dell’Accademia era da undici anni stato colpito da un ictus che gli aveva inibito la capacità di parlare. A riferire della scomparsa è stato il suo editore, Bonniers.”Psicologo di professione, era il massimo esponente della generazione di intellettuali che si è affermata dopo la Seconda Guerra mondiale e punta a suggerire che l’esame poetico della natura offre intuizioni sull’identità umana e sulla sua dimensione spirituale, entrando spesso in territori metafisici.”L’esistenza di un essere umano non finisce dove terminano le sue dita“, ha scritto un critico svedese della sua poesia, definendo i suoi lavori “preghiere secolari”.
“La sua notorietà nel mondo anglofono derivava dalla sua amicizia con il poeta americano Robert Bly, che ha tradotto gran parte del suo lavoro dallo svedese all’inglese, una delle 50 lingue in cui le sue poesie sono apparse.
Notizie sull’autore

Tomas Tranströmer, unanimemente ritenuto il maggiore poeta svedese contemporaneo, più volte candidato al Premio Nobel, è nato a Stoccolma nel 1931. Di professione psicologo, dopo aver lavorato alcuni anni all’Università, nonostante il successo della sua poesia, ha continuato a svolgere attività terapeutiche in centri di riabilitazione di varie città svedesi. Pianista di notevole talento, ha spesso composto i suoi testi ispirandosi a ritmi e forme musicali. Benché una grave malattia gli abbia provocato una dolorosa paralisi, non ha smesso di scrivere, come testimonia la sua ultima opera Sorgegondolen (La gondola a lutto), del 1996, e il volume di traduzioni di poeti europei e americani Tolkingar (Interpretazioni), del 1999. Ha pubblicato sinora dodici brevi raccolte: 17 Dikter (17 Poesie), 1954; Hemligheter på vägen (Segreti sulla vita), 1958; Den halvfärdiga himlen (Il cielo incompiuto), 1962; Klanger och spår (Echi e tracce), 1966; Mörkerseende (Colui che vede nel buio), 1970; Ur stigar (Fuori dai sentieri), 1973; Östersjöar (Mari Baltici), 1974;Sanningsbarriären (La barriera della verità), 1978; Det vilda torget (La piazza selvaggia), 1983; För levande och döda (Per vivi e morti), 1989; Minnena ser mig (I ricordi mi vedono), 1989; Sorgegondolen (La gondola a lutto), 1996.

Tomas-Transtromer

Tomas-Transtromer

 Leggere la sua poesia non è un percorso lineare: è come entrare in una labirintica chiocciola. La concentrazione dei concetti in immagini conduce alla contrazione degli elementi connettivi, dei passaggi logico-sintattici, alla prevalenza dei sintagmi nominali. La capacità di realizzare densità poetica non è in Tranströmer tanto imputabile alla parola, al singolo lessema semanticamente pregnante, ma alla rete capillare di nessi che vengono a stabilirsi tra le parole. Tale sottile interazione, non facile a cogliersi immediatamente, dà spazio alla molteplicità interpretativa, alla pluralità del senso, lasciando spesso misteriosi i referenti delle metafore. Questa “oscurità”, comune a molta poesia contemporanea, in Tranströmer nasce dalla volontà di fuggire ai vuoti schemi della comunicazione massificata, di contrapporsi ai linguaggi pubblicitari, rifuggendo dall’univocità e proclamando la “polivocità” della parola.

(dalla prefazione di Maria Cristina Lombardi in Poesia dal silenzio, Crocetti editore, 2011) 

Tomas Transtromer

Tomas Transtromer

Commento di Giorgio Linguaglossa

 Con il Nobel nel 2011 per la poesia a Tomas Tranströmer, i membri dell’Accademia giudicante  lo hanno riconosciuto come il poeta che ha avuto la più grande influenza sulla poesia occidentale.

Nato a Stoccolma nel 1931, dopo studi di psicologia nell’Università della capitale svedese, è entrato nell’amministrazione pubblica della cittadina industriale di Vasteras. Tranströmer è rimasto per lunghi decenni appartato e in solitudine fino al ritratto autobiografico che il poeta ha dato di se stesso nel libro Minnena ser mig  nel 1993, tradotto tre anni dopo in  italiano con il titolo I ricordi mi vedono.

Tranströmer parte sempre da esperienze personali (la casa nel popolare quartiere di Söder a Stoccolma, la figura del vecchio nonno pilota di rimorchiatori etc.) con un dettato essenziale, diretto alle cose, senza giri frastici, anzi abolendo del tutto congiunzioni e filtri letterari. Dal dato biografico Traströmer arriva a tratteggiare  la cornice di un quadro di angoscia esistenziale e di disagio della società occidentale, l’incomunicabilità, la enigmaticità della condizione esistenziale degli uomini concreti posti in una determinata stazione storica: quella della Svezia del Dopo il Moderno, la violenza e la inautenticità nascoste dietro il velo dell’ipocrisia. Si può affermare che tutta l’opera del poeta svedese non è altro che un tentativo di squarciare il velo di perbenismo edulcorato che si nasconde dietro l’apparenza sociale. Tradotto splendidamente da Enrico Tiozzo, è apparsa in italiano Sorgengondolen La gondola a lutto pubblicata da Crocetti nel 1996; opera dettata alla moglie per via dell’ictus che colpì il poeta negli anni ’90 che lo ha ridotto all’afasia ma non alla interruzione della sua attività poetica. Così la moglie ha commentato la notizia del conferimento del Nobel al marito: «Non pensava più di sentire questa gioia un giorno».

Le poesie dell’esordio, con la raccolta 17 dikter 17 poesie  del 1954, gli valsero da parte della critica il nomignolo ironico di «re delle metafore» ma ciò non scalfì la collocazione di tutto rispetto tra i poeti degli anni Cinquanta per l’inconfondibile concentrazione del suo stile.

tomas transtromer

tomas transtromer

Le poesie sono sempre delle occasioni per una riflessione. Il poeta, come un minatore, scende nella profondità che sta celata appena dietro il velo dell’apparenza delle cose. Con uno stile classico e modernista, dietro il vestito metaforico della sua poesia, Tranströmer può essere qualificato, oggi, come uno dei maestri in ombra della poesia europea e occidentale. Il poeta svedese offre al lettore una nuova esperienza degli oggetti. Gli oggetti sono visti come immagini in scorcio,  in collegamento ed in sviluppo; il lettore è chiamato in causa direttamente, a prendere posizione dinanzi alla ambiguità e alla «polisemia» delle «cose» viste da un preciso e determinato angolo visuale. Le «cose» equivalgono alle immagini in movimento ed in collegamento reciproco. Contrario ad ogni ipotesi di poesia sperimentale, Tranströmer ha sempre tenuto ben dritto il timone della sua investigazione poetica mantenendosi a cautelosa distanza da ogni ipotesi di poesia civile, impegnata o sperimentale, concetti da sempre ripudiati dal poeta svedese. C’è una certa distanza tra l’apparato reticolare delle metafore di Tranströmer e le «cose» del reale messe bene in luce in un saggio del critico Kjell Espmark che ha identificato i modelli del poeta in Hölderlin, Dante, Rilke. Alla fine degli anni Ottanta è arrivata per Tranströmer la definitiva consacrazione con la silloge För levande och döda Per vivi e morti  del 1989, concentrata sul tema della presenza della morte nel quotidiano. Tranströmer «fonda» il quotidiano, lo rimette in piedi da dove quel «quotidiano» era stato fatto ruzzolare dalle scaffalature impolverate dei «quotidianisti».

In Italia l’opera di Tranströmer è stata pubblicata da Crocetti che nel 1996 ha dato alle stampe alcune poesie nella Antologia della poesia svedese contemporanea e, nel 2008, il volume Poesia dal silenzio.  Con il medesimo editore è uscito Il grande mistero l’ultima opera del poeta svedese, una raccolta di 45 haiku per 45 punti di vista. Alcune poesie del poeta svedese erano apparse nell’Almanacco dello Specchio Mondadori del 2007.

tomas transtromer

tomas transtromer

da 17 Poesie (1954)

Sotto il quieto punto volteggiante della poiana
avanza rotolando il mare fragoroso nella luce,
mastica ciecamente il suo morso di alga e soffia
schiuma sulla riva.
La terra è celata dalle tenebre frugate dai pipistrelli.
La poiana si ferma e diventa una stella.
Il mare avanza rotolando fragoroso e soffia
schiuma sulla riva.

*

L’albero della luna è marcito e si sgualcisce la vela.
Il gabbiano volteggia ebbro lontano sulle acque.
È carbonizzato il greve quadrato del ponte. La sterpaglia
soccombe all’oscurità.
Fuori sulla scala. L’alba batte e ribatte sui
cancelli granitici del mare e il sole crepita
vicino al mondo. Semiasfissiate divinità estive
brancolano nei vapori marini.

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Storia fantastica

Ci sono giorni d’inverno senza neve quando il mare s’imparenta
con i tratti montuosi, accucciandosi in grigie vesti di piume,
un breve attimo blu, lunghe ore con onde che invano
come pallide linci cercano un appiglio sulla riva ghiaiosa.

In giorni come questo esce il relitto dal mare in cerca dei
suoi armatori, seduti al chiasso delle città, e gli equipaggi
annegati soffiano verso terra, più sottili del fumo di pipa.

(Nel nord vagano le vere linci, con artigli affilati
e occhi sognanti. Nel nord dove il giorno
vive in una caverna giorno e notte.

Dove il solo sopravvissuto può sedere
alla fornace dell’aurora boreale e ascoltare
la musica dei morti assiderati.)

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Meditazione agitata

Un temporale fa girare all’impazzata le ali del mulino
nel buio della notte, macinando nulla. – Ti
tengono sveglio le stesse leggi.
Il ventre dello squalo è la tua fioca lampada.

Soffusi ricordi calano sul fondo del mare
e là si irrigidiscono in statue sconosciute. – Verde
di alghe è la tua gruccia. Chi va
al mare torna impietrito.

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Elegia (1973)

Apro la prima porta
È una grande stanza soleggiata.
Un’auto pesante passa per la strada
e fa tremare il vasellame.
Apro la porta numero due.
Amici! Avete bevuto il buio
e siete diventati visibili.
Porta numero tre. Una
stretta camera d’albergo.
Vista su una strada secondaria.
Un lampione che scintilla sull’asfalto.
La bella scoria delle esperienze.

Oct. 6, 2011, Swedish poet Tomas Transtromer poses for a photograph at an unknown location

Oct. 6, 2011, Swedish poet Tomas Transtromer poses for a photograph at an unknown location

Volantini (1989)

La silenziosa rabbia scarabocchia sul muro in dentro.
Alberi da frutto in fiore,
il cuculo chiama.
È la narcosi della primavera. Ma la silenziosa rabbia
dipinge i suoi slogan all’inverso nel garage.
Vediamo tutto e niente,
ma dritti come periscopi
presi da una timida ciurma sotterranea.
È la guerra dei minuti. Il bruciante sole
è sopra l’ospedale, il parcheggio della sofferenza.
Noi chiodi vivi conficcati nella società!
Un giorno ci staccheremo da tutto.
Sentiremo il vento della morte sotto le ali
e saremo più dolci e più selvaggi che qui.*


* da Poeti svedesi contemporanei a cura di Enrico Tiozzo, Göteborg, 1992

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Epilogo

Dicembre. La Svezia è una nave malandata
in missione. Contro il cielo del tramonto sta
il suo albero aspro. E il tramonto è più lungo
di un giorno – la via che porta qui è sassosa:
solo verso mezzogiorno esce la luce
e il colosseo dell’inverno si alza,
illuminato da nuvole irreali. Allora sale d’un tratto
vertiginoso il fumo bianco
dai villaggi. Altissime stanno le nuvole.
Alle radici dell’albero celeste fruga il mare,
distratto, come in ascolto di qualcosa.
(Invisibile viaggia sull’altra metà
dell’anima un uccello che sveglia
chi dorme con le sue grida. Così il telescopio
gira, cattura un altro tempo
ed è estate: mugghiano le montagne, gonfie
di luce e il ruscello solleva lo scintillío del sole
nella mano trasparente… sparito in quell’attimo
come quando la pellicola di un film si spezza al buio.)

Ora l’astro della sera brucia attraverso la nuvola.
Alberi, recinti e case aumentano, crescono
nella silenziosa slavina che precipita nel buio.
E sotto la stella ancor più si suscita
l’altro paesaggio nascosto che vive
la vita dei confini sulla radiografia della notte.
Un’ombra trascina la sua slitta tra le case.
Stanno in attesa.

(da Poesia dal silenzio, Crocetti Editore , 2001, trad. Maria Cristina Lombardi)

*
La coppia

Spengono la lampada e il suo globo risplende
un istante prima di sciogliersi
come una pastiglia in un bicchiere di tenebre. Poi si sollevano.
Le pareti dell’albergo si gettano nel buio del cielo.
I gesti dell’amore si sono acquietati e loro dormono
ma i pensieri più segreti s’incontrano
come quando s’incontrano due colori e l’uno nell’altro fluiscono
sulla carta bagnata di un dipinto infantile.
È buio e silenzio. Ma la città stanotte
si è avvicinata in fretta. A finestre spente. Le case sono qui.
Vicinissime, stanno serrate in attesa,
una folla di volti inespressivi.


Storia fantastica

Ci sono giorni d’inverno senza neve quando il mare s’imparenta
con i tratti montuosi, accucciandosi in grigie vesti di piume,
un breve attimo blu, lunghe ore con onde che invano
come pallide linci cercano appiglio sulla riva ghiaiosa.
In giorni come questo esce il relitto dal mare in cerca dei
suoi armatori, seduti al chiasso delle città, e gli equipaggi
annegati soffiano verso terra, più sottili del fumo di pipa.
(Nel nord vagano le vere linci, con artigli affilati
e occhi sognanti. Nel nord dove il giorno
vive in una caverna giorno e notte.
Dove il solo sopravvissuto può sedere
alla fornace dell’aurora boreale e ascoltare
la musica dei morti assiderati.)

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Sfere di fuoco

Nei mesi oscuri la mia vita scintillava
solo quando ti amavo.
Come la lucciola si accende e si spegne, si accende e si spegne,
– dai bagliori si può seguire il suo cammino
nel buio della notte tra gli ulivi.
Nei mesi oscuri l’anima stava rannicchiata
e senza vita
ma il corpo veniva dritto verso di te.
Il cielo notturno mugghiava.
Furtivi mungevamo il cosmo e siamo sopravvissuti.
Pagina di libro notturno
Sbarcai una notte di maggio
in un gelido chiaro di luna
dove erba e fiori erano grigi
ma il profumo verde.
Salii piano un pendìo
nella daltonica notte
mentre pietre bianche
segnalavano alla luna.
Uno spazio di tempo
lungo qualche minuto
largo cinquantotto anni.
E dietro di me
oltre le plumbee acque luccicanti
c’era l’altra costa
e i dominatori.

Uomini con futuro
invece di volti.

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