Repubblica sorda di Ilya Kaminsky è ambientato in un paese occupato, scosso da disordini politici. Quando i soldati intervenuti a sedare una protesta uccidono un ragazzo sordo, Petya, quello sparo omicida è l’ultimo suono udito dagli abitanti: sono diventati tutti sordi, e il loro dissenso corre ora attraverso il linguaggio dei segni. Le vite private dei cittadini si intrecciano con la violenza pubblica che li circonda: una coppia di sposi novelli, Alfonso e Sonya, in attesa di un figlio, la sfacciata Momma Galya, che istiga l’insurrezione dal suo teatro di burattini, e le ragazze di Galya, che insegnano giorno e notte la lingua dei ribelli, attirando i soldati dietro le quinte per eliminarli uno a uno. Premiato in tutto il mondo, Repubblica sorda è al tempo stesso una storia d’amore, un potente racconto in versi e una sfida aperta al silenzio di tutti noi di fronte alle atrocità del nostro tempo.
Nato il 18 aprile 1977, Ilya Kaminsky è cresciuto a Odessa, in Ucraina, nell’ex Unione Sovietica. All’età di quattro anni, ha perso la maggior parte del suo udito dopo una diagnosi errata. La sua famiglia ha ricevuto asilo dal governo degli Stati Uniti nel 1993. Ha conseguito la laurea presso la Georgetown University e ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università della California, Hastings College of Law.
Kaminsky è l’autore di Deaf Republic (Graywolf Press, 2019), vincitore dell’Anisfield-Wolf e del LA Times Book Awards e finalista per il National Book Award, il National Book Critics Circle Award e il TS Eliot Prize; Dancing in Odessa (Tupelo Press, 2004), che ha ricevuto numerosi premi tra cui il Dorset Prize e l’American Academy of Arts and Letters Metcalf Award; e Musica Humana (Chapiteau Press, 2002).
L’American Academy of Arts and Letters ha descritto le sue poesie come “una controparte letteraria di Chagall in cui le leggi di gravità sono state sospese e i colori riassegnati, ma solo per rendere la realtà quotidiana molto più indelebile”.
I premi e gli onori di Kaminsky includono la Lannan Literary Fellowship, il Whiting Writers’ Award, la Ruth Lilly Poetry Fellowship, il ForeWord Magazine Book of the Year Award in Poetry e una Creative Writing Fellowship 2019 del National Endowment for the Arts. Nel 2019, ha ricevuto l’Academy of American Poets Fellowship, che riconosce il successo poetico distinto.
Oltre ai suoi scritti, Kaminsky è anche editore e traduttore di molti altri libri, tra cui Dark Elderberry Branch: Poems of Marina Cvetaeva (Alice James Books, 2012) e The Ecco Anthology of International Poetry (Harper Collins, 2010).
Alla fine degli anni ’90 ha co-fondato Poets For Peace, un’organizzazione che sponsorizza letture di poesie negli Stati Uniti e all’estero. Ha anche insegnato alla San Diego State University e ha lavorato come impiegato legale presso il National Immigration Law Center e presso il Bay Area Legal Aid, aiutando i poveri e i senzatetto a superare le loro difficoltà legali. Detiene la cattedra Margaret T. e Henry C. Bourne Jr in Poetry e dirige il programma Poetry@Tech presso Georgia Tech, e sarà l’editore ospite per Poem-a-Day nel dicembre 2021.
Il suo libro d’esordio, Dancing in Odessa (2004), è stato pubblicato negli Stati Uniti da Tupelo Press. Presentiamo la poesia che dà il titolo al libro.
Ilya Kaminsky reads his poem “We Lived Happily During the War”
.
Dancing in Odessa
We lived north of the future, days opened
letters with a child’s signature, a raspberry, a page of sky.
My grandmother threw tomatoes
from her balcony, she pulled imagination like a blanket
over my head. I painted
my mother’s face. She understood
loneliness, hid the dead in the earth like partisans.
The night undressed us (I counted
its pulse) my mother danced, she filled the past
with peaches, casseroles. At this, my doctor laughed, his granddaughter
touched my eyelid—I kissed
the back of her knee. The city trembled,
a ghost-ship setting sail.
And my classmate invented twenty names for Jew.
He was an angel, he had no name,
we wrestled, yes. My grandfathers fought
the German tanks on tractors, I kept a suitcase full
of Brodsky’s poems. The city trembled,
a ghost-ship setting sail.
At night, I woke to whisper: yes, we lived.
We lived, yes, don’t say it was a dream.
At the local factory, my father
took a handful of snow, put it in my mouth.
The sun began a routine narration,
whitening their bodies: mother, father dancing, moving
as the darkness spoke behind them.
It was April. The sun washed the balconies, April.
I retell the story the light etches
into my hand: Little book, go to the city without me.
Ballando a Odessa
Vivevamo a nord del futuro, i giorni aprivano
lettere con la firma di un bambino, un lampone, una pagina di cielo.
Mia nonna gettava pomodori
dal terrazzo, lei svolgeva la fantasia come una coperta
sulla mia testa. Io dipingevo
il volto di mia madre. Lei capiva
la solitudine, nascondeva i morti in terra come partigiani.
La notte ci spogliò (contai
i suoi battiti) mia madre ballava, colmava il passato
di pesche, casseruole. Per questo il mio dottore rise, sua nipote
mi sfiorò le palpebre – io baciai
il dietro del ginocchio. La città tremò,
una nave fantasma che salpa.
E il mio compagno di classe inventò venti nomi per dire Ebreo.
Era un angelo, non aveva nome,
lottavamo, sì. Mio nonno combattè
i carri armati tedeschi con i trattori, portavo una valigia piena
di poesie di Brodsky. La città tremò,
una nave fantasma che salpa.
A notte, mi svegliai per sussurrare: sì, vivevamo.
Vivevamo, sì, non dire che era un sogno.
Nella locale fabbrica mio padre
raccolse una manciata di neve, me la mise in bocca.
Il sole iniziò il suo racconto abituale,
illuminando i loro corpi: madre, padre che danzavano,che si muovevano
mentre il buio parlava dietro di loro.
Era aprile. Il sole lavava i terrazzi, aprile.
Io ripeto il racconto che la luce incide
nella mia mano: Piccolo libro, vai nella città senza di me.
from Deaf Republic
And when they bombed other people’s houses, we
protested
but not enough, we opposed them but not
enough. I was
in my bed, around my bed America
was falling: invisible house by invisible house by invisible house.
I took a chair outside and watched the sun.
In the sixth month
of a disastrous reign in the house of money
in the street of money in the city of money in the country of money,
our great country of money, we (forgive us)
lived happily during the war.
*
E quando hanno bombardato le case di altre persone, noi
protestammo
ma non abbastanza, ci siamo opposti ma non
abbastanza. Io ero
nel mio letto, intorno al mio letto l’America
stava cadendo: casa invisibile per casa invisibile per casa invisibile.
Ho preso una sedia fuori e ho guardato il sole.
Nel sesto mese
di un regno disastroso nella casa del denaro
nella strada del denaro nella città del denaro nel paese del denaro,
il nostro grande paese di soldi, noi (perdonaci)
vivemmo felicemente durante la guerra.
*
Our country is the stage.
When soldiers march into town, public assemblies are officially prohibited. But today, neighbors flock to the piano music from Sonya and Alfonso’s puppet show in Central Square. Some of us have climbed up into trees, others hide behind benches and telegraph poles.
When Petya, the deaf boy in the front row, sneezes, the sergeant puppet collapses, shrieking. He stands up again, snorts, shakes his fist at the laughing audience.
An army jeep swerves into the square, disgorging its own Sergeant.
Disperse immediately!
Disperse immediately! the puppet mimics in a wooden falsetto.
Everyone freezes except Petya, who keeps giggling. Someone claps a hand over his mouth. The Sergeant turns toward the boy, raising his finger.
You!
You! the puppet raises a finger.
Sonya watches her puppet, the puppet watches the Sergeant, the Sergeant watches Sonya and Alfonso, but the rest of us watch Petya lean back, gather all the spit in his throat, and launch it at the Sergeant.
The sound we do not hear lifts the gulls off the water.
*
Il nostro paese è il palcoscenico.
Quando i soldati marciano in città, gli assembramenti pubblici sono ufficialmente proibiti. Ma oggi i vicini affollano la musica per pianoforte dello spettacolo di marionette di Sonya e Alfonso nella piazza centrale. Alcuni di noi si sono arrampicati sugli alberi, altri si nascondono dietro panchine e pali del telegrafo.
Quando Petya, il ragazzo sordo in prima fila, starnutisce, il burattino sergente crolla, strillando. Si alza di nuovo, sbuffa, agita il pugno verso il pubblico che ride.
Una jeep dell’esercito sbanda nella piazza, vomitando il proprio sergente.
Disperdetevi immediatamente!
Disperdetevi immediatamente! il burattino mima in falsetto di legno.
Tutti si bloccano tranne Petya, che continua a ridacchiare. Qualcuno gli mette una mano sulla bocca. Il sergente si volta verso il ragazzo, alzando il dito.
Voi!
Voi! il burattino alza un dito.
Sonya guarda il suo burattino, il burattino guarda il sergente, il sergente guarda Sonya e Alfonso, ma il resto di noi guarda Petya appoggiarsi all’indietro, raccogliere tutto lo sputo in gola e lanciarlo contro il sergente.
Il suono che non sentiamo solleva i gabbiani dall’acqua.
from Deaf Republic:
1.
Such is the story made of stubbornness and a little air,
a story sung by those who danced before the Lord in quiet.
Who whirled and leapt. Giving voice to consonants that rise
with no protection but each other’s ears.
We are on our bellies in this silence, Lord.
Let us wash our faces in the wind and forget the strict shapes of affection.
Let the pregnant woman hold something of clay in her hand.
For the secret of patience is his wife’s patience
Let her man kneel on the roof, clearing his throat,
he who loved roofs, tonight and tonight, making love to her and her forgetting,
a man with a fast heartbeat, a woman dancing with a broom, uneven breath.
Let them borrow the light from the blind.
Let them kiss your forehead, approached from every angle.
What is silence? Something of the sky in us.
There will be evidence, there will be evidence.
Let them speak of air and its necessities. Whatever they will open, will open.
*
da Repubblica dei Sordi:
1.
Tale è la storia fatta di testardaggine e un po’ d’aria,
una storia cantata da coloro che hanno danzato in silenzio davanti al Signore.
Chi si voltò e saltò. Dando voce a consonanti che salgono
senza protezione se non le orecchie dell’altro.
Siamo sulle nostre pance in questo silenzio, Signore.
Laviamoci la faccia al vento e dimentichiamo le rigide forme dell’affetto.
Lascia che la donna incinta tenga in mano qualcosa di argilla.
Perché il segreto della pazienza è la pazienza di sua moglie
Lascia che il suo uomo si inginocchi sul tetto, schiarendosi la gola,
lui che amava i tetti, stanotte e stanotte, facendo l’amore con lei e dimenticandola,
un uomo con un battito cardiaco accelerato, una donna che balla con una scopa, alito irregolare.
Lascia che prendano in prestito la luce dai ciechi.
Lascia che ti bacino sulla fronte, avvicinati da ogni angolazione.
Che cos’è il silenzio? Qualcosa del cielo in noi.
Ci saranno prove, ci saranno prove.
Lasciamo che parlino dell’aria e delle sue necessità. Qualunque cosa apriranno, si aprirà.
10.
I kissed a woman
whose freckles
aroused our neighbors.
Her trembling lips
meant come to bed.
Her hair falling down in the middle
of the conversation
meant come to bed.
I walked in my hospital of thoughts.
Yes, I carried her off to bed
on the chair of my
hairy arms. But parted lips
meant kiss my parted lips,
I read those lips
without understanding
soft lips meant
kiss my soft lips.
Such is a silence
of a woman who
speaks against silence, knowing
silence is what
moves us to speak.
*
ho baciato una donna
le cui lentiggini
hanno eccitato i nostri vicini.
Le sue labbra tremanti
volevano dire di venire a letto.
I suoi capelli che cadono nel mezzo
della conversazione
volevano dire ci venire a letto.
Ho camminato nel mio ospedale dei pensieri.
Sì, l’ho portata a letto
sulla sedia delle mie
braccia pelose. Ma le labbra socchiuse
volevano baciare le mie labbra dischiuse,
ho letto quelle labbra
senza capire
cosa significassero quelle labbra morbide
che baciano le mie labbra morbide.
Tale è il silenzio
di una donna che
parla contro il silenzio, sapendo
che il silenzio è ciò che
ci spinge a parlare.
Marie Laure Colasson, Fire, Dissipativ Structure, acrilic, 30×30, 2021 –
il loro appartamento tranquillo, per terra, acqua sporca dai loro stivali.
.
11.
It is December 8 and my brother Tony was killed by the soldiers. December 8 and the police are reopening the Southern Trolleyways. December 8 when my wife lifts Tony’s body from the ground, his arm tied over her shoulder—her face is damp, her hair dirty. And the soldiers unveil the damn Trolleyways, and I stand feeling (a quick march of bumps across my back and thighs) nothing.
When she comes home, I run a bath for Sonya and wash her hair, gently mixing the finest of my brother’s shampoos with quiet precision, while Sonya cries and cries.
*
È l’8 dicembre e mio fratello Tony è stato ucciso dai soldati. L’8 dicembre la polizia sta riaprendo la Southern Trolleyways. L’8 dicembre, quando mia moglie solleva il corpo di Tony da terra, il suo braccio legato sulla sua spalla – il suo viso è umido, i suoi capelli sporchi. E i soldati svelano i maledetti Trolleyways, e io sto in piedi senza sentire (una rapida marcia di colpi sulla schiena e sulle cosce) niente.
Quando lei torna a casa, preparo un bagno per Sonya e le lavo i capelli, mescolando delicatamente i migliori shampoo di mio fratello con silenziosa precisione, mentre Sonya piange e piange.
12.
remember Tony arguing in front of his mirrors, the soldiers
were painting the trees, Tony sat
on the floor of white hair, and all the trees were
painted white. And he spat at Alfonso’s irony, but when
they played accordion, the fourth among us had no name.
“I am not sleeping with Tony! He simply cuts my hair!”
—but our dinner is a tiny blue fish and, with my lean brother-in-law,
we are playing cards. I pull spade after spade after spade but
this skinny sparrow, this barber no simple soul, takes me
with his fingers by my nose and kisses me, quickly, on the lips!
When Tony washed my hair, when Alfonso
kissed between my toes, when my lips
trembled, when the fourth one laughed, when Tony slept, slept in the earth,
on the empty streets of our district, a bit of wind
called for the life which no one knew, a life
which daily took all of us: my neighbor
taken, his wife taken, their apartment quiet.
I say this slowly, as if unaffected:
their apartment quiet, on the floor, dirty water from their boots.
*
ricorda Tony che litiga davanti ai suoi specchi, i soldati
stavano dipingendo gli alberi, Tony si sedette
sul pavimento di capelli bianchi, e tutti gli alberi erano
verniciato bianco. E sputò sull’ironia di Alfonso, ma quando
suonavano la fisarmonica, il quarto di noi non aveva nome.
“Non vado a letto con Tony! Mi taglia semplicemente i capelli!”
-ma la nostra cena è un pesciolino azzurro e, con il mio magro cognato,
stiamo giocando a carte. Tiro spade dopo spade dopo spade ma
questo passero magro, questo barbiere non semplice anima, mi prende
con le sue dita sul mio naso e mi bacia, velocemente, sulle labbra!
Quando Tony mi lavò i capelli, quando Alfonso
mi baciò tra le dita dei piedi, quando le mie labbra
tremarono, quando il quarto rideva, quando Tony dormiva, dormiva nella terra,
per le strade vuote del nostro quartiere, un po’ di vento
chiamato per la vita che nessuno conosceva, una vita
che ogni giorno ci prendeva tutti: il mio vicino
presa, sua moglie presa, il loro appartamento tranquillo.
Lo dico lentamente, come se fossi indifferente:
il loro appartamento tranquillo, per terra, acqua sporca dai loro stivali.
13.
Love cities, this is what my brother taught me
as he cut soldiers’ hair, then tidied tomatoes
watching Sonya and I dance on a soapy floor—
I open the window, say in a low voice, my brother.
The voice I do not hear when I speak to myself is the clearest voice.
But the sky was all around us once.
We played chess with empty matchboxes,
he wrote love letters to my wife
and ran outside and ran back, yelling to her, “You! Mail has arrived!”
Brother of a waltzing husband, barber of a waltzing wife
(I do not speak, you do not speak, we
do not speak, we do not speak, we do not)
waltzing away from himself
on Vasenka’s warm bricks —
he blessed us with his loneliness, a light winged being.
“Your legs stick out of your trousers too much!”
— Tony, yell at me. I need propping up
in this hairy leg business. A man on earth escapes and runs and yells and stands in silence-silence
which is a soul’s noise.
At the funeral I, embarrassed by resistance fighters
standing up to shake my hand, said
I wear your trousers, in the right hand pocket, a hole.
I wrap your hearing aids in this white t-shirt—
with brief gifts
you go my eye-green brother.
And I, a fool, live.
*
Amo le città, questo è quello che mi ha insegnato mio fratello
mentre tagliava i capelli dei soldati, poi riordinava i pomodori
guardando Sonya e io ballo su un pavimento insaponato —
Apro la finestra, dico a bassa voce, fratello mio.
La voce che non sento quando parlo a me stesso è la voce più chiara.
Ma il cielo era tutto intorno a noi una volta.
Abbiamo giocato a scacchi con scatole di fiammiferi vuote,
ha scritto lettere d’amore a mia moglie
e corse fuori e corse indietro, urlandole: “Tu! La posta è arrivata!”
Fratello di un marito valzer, barbiere di una moglie valzer
(Io non parlo, tu non parli, noi
non parliamo, non parliamo, non lo facciamo)
valzer lontano da se stesso
sui caldi mattoni di Vasenka,
ci ha benedetto con la sua solitudine, un essere alato leggero.
“Le tue gambe sporgono troppo dai pantaloni!”
– Tony, sgridami. Ho bisogno di sostenermi
in questa faccenda delle gambe pelose. Un uomo sulla terra fugge e corre e urla e sta in silenzio, silenzio
che è il rumore di un’anima.
Al funerale io, imbarazzato dai combattenti della resistenza
alzandomi per stringermi la mano, disse
Indosso i tuoi pantaloni, nella tasca destra, un buco.
Avvolgo i tuoi apparecchi acustici in questa maglietta bianca—
con brevi doni
tu vai fratello mio dagli occhi verdi.
E io, uno sciocco, vivo. Continua a leggere
DODICI POESIE di Ewa Lipska (1945) traduzione e Commento di Paolo Statuti, con un Commento improprio di Giorgio Linguaglossa
Ewa Lipska
Ewa Lipska poetessa e pubblicista, è nata a Cracovia l’8 ottobre 1945. Comincia a scrivere versi già negli anni del liceo. Debutta come poetessa nel 1961, pubblicando sul quotidiano Gazeta Krakowska la poesie Krakowska noc (Notte cracoviana), Smutek (Tristezza) e Van Gogh. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Cracovia. La poetessa ricorda così questo periodo di studi: “All’Accademia ho seguito i corsi dei professori Adam Marczyński e Jonasz Stern, artisti eccellenti e affascinanti interlocutori, ma non sopportavo l’odore dei colori a olio e della trementina. Mi interessava di più la storia dell’arte. Inoltre sapevo che con l’aiuto delle parole potevo dire qualcosa di più che dipingendo i quadri. Ma gli anni dell’Accademia mi hanno insegnato come si “legge” un quadro, e spesso mi piace utilizzare queste letture pittoriche. Dal 1970 al 1980 lavora presso la prestigiosa casa editrice Wydawnictwo Literackie, dove cura le collane di poesia, continuando la sua attività creativa. Dal 1995 al 1997 direttrice dell’Istituto Polacco di Vienna. Cofondatrice e redattrice di diverse riviste letterarie, tra cui il mensile “Pismo”. Vicepresidente del PEN Club polacco. Ha ricevuto molti prestigiosi premi nazionali e internazionali per la sua creazione letteraria. Le sue poesie sono state tradotte e pubblicate in quasi 40 lingue. Autrice di numerose raccolte poetiche, tra le ultime: “Ja” (Io, 2004), “Pogłos” (Rimbombo, 2010), per la quale ha ricevuto il premio “Gdynia”, e “Droga pani Schubert…” (Cara signora Schubert…, 2012). Ha scritto inoltre diversi testi poetici di canzoni di successo.
Per il suo anno di nascita e per quello in cui uscì il suo primo volume “Wiersze” (Poesie, 1967), Ewa Lipska, che è indubbiamente una delle più importanti poetesse polacche contemporanee, appartiene al gruppo di poeti della “Nowa Fala”, in polacco “nuova ondata” o “nouvelle vague”, o detta anche “generazione ‘68”, vale a dire gli autori nati intorno alla metà degli anni ’40, come: Stanisław Barańczak, Adam Zagajewski, Ryszard Krynicki, Julian Kornhauser e Krzysztof Karasek (nato nel 1937).
Ewa Lipska
La poetessa tuttavia rifiuta ogni appartenenza a qualsivoglia gruppo e da anni manifesta coerentemente la propria individualità creativa, sempre peculiare, come peculiari ed espressivi sono la sua dizione poetica, le metafore, la densità di significato, il paradosso. Qualcuno a tale proposito ha detto che la creazione di Ewa Lipska è nella poesia polacca contemporanea, quello che l’ablativo assoluto è nella sintassi latina, cioè un sintagma a sé stante.
La sua poesia bella, ironica, inquietante è il frutto di una sofisticata intelligenza, talvolta rovente, malinconica, ma sempre umana. Piotr Matywiecki, poeta, critico letterario e saggista scrive: “La poesia di Ewa Lipska si distingue per la sua immaginazione insolitamente vivace. Con sorprendente disinvoltura nel suo mondo si può paragonare una classe scolastica alla storia dell’umanità, il traffico stradale al moto della mente, una malattia a un avvenimento pubblico. (Questo è anche il “metodo” poetico della Szymborska)”.
Ed ecco cosa scrive il prof. Włodzimierz Wójcik, storico della letteratura, critico letterario e saggista: “Il mondo dell’immaginazione poetica di Ewa Lipska è straordinariamente ricco – esso attira e affascina. Sembra essere compreso tra la vita reale e la sfera del sublime. Con un’ala tocca la terra, le città, i villaggi, la vita di tutti i giorni con le sue difficoltà, le sofferenze del corpo e dell’anima e con il suo grigiore; con l’altra è unito a ciò che è angelico, sognato, desiderato… Il mondo reale e il mondo dell’immaginazione poetica creano una autentica armonia”.
Per concludere vorrei riportare alcune domande e risposte tratte da una interessante intervista con la poetessa, realizzata tempo fa dal poeta, prosatore e traduttore letterario dalla lingua italiana Jarosław Mikołajewski.
Ewa Lipska
Scrivere è una gioia?
Ripeto spesso che scrivere è il più importante aneddoto della mia vita. Ma non parlerei di “gioia”, perché il processo creativo è difficile e a volte anche ingrato. Una piacevole occupazione è quella di prendere delle note, di scrivere degli schizzi. E’ un po’ come toccare le corde di un violino. Ma poi bisogna comporre la melodia o l’intero concerto.
Qual è la più grande gioia del poeta?
Le poesie che diventano care al lettore, gli incontri con la gioventù. Mi rallegrano anche le lettere che ricevo dai giovani amanti della mia “gioiosa creazione”.
Come agisce la poesia?
È una questione individuale. Dipende dal lettore stesso e dalla sua preparazione intellettuale, dalla cultura letteraria, dalla sua immaginazione. A volte apprezziamo un autore, ma non lo amiamo. Ci saranno sempre quelli che preferiscono il pesce e quelli che invece sono vegetariani. A volte riusciamo a gustare la letteratura, la pittura, la musica. “Non riesco a trovare alcuna differenza tra la musica e le lacrime” scrisse Fredrich Nietzsche, e in ciò risiede di sicuro questo segreto. Il segreto del gustare. Ritrovo questa disposizione spirituale nelle sale da concerto. Similmente è con l’amore. Sappiamo che c’è, ma non riusciamo a definirlo. Per fortuna ciò non è necessario. Sappiamo soltanto che ci crescono le ali e che ci solleviamo nell’aria. Il poeta cerca due, tre, qualche parola per descrivere le emozioni, il caos e l’armonia.
E qual è la cosa più importante?
La cosa più importante è il senso della vita. È la consapevolezza di riuscire a realizzare qualcosa dei nostri sogni. Ciascuno di noi può inventare una lampadina ed essere un Edison. E forse l’amore, che è al di sopra di tutto.
Commento improprio di Giorgio Linguaglossa
Quando ci accingiamo ad entrare dentro la poesia di Ewa Lipska ci accorgiamo che non abbiamo in tasca la chiave da far girare in quella serratura. Sono versi che sembrano minimalisti ma che in realtà sono ultronei, sfiorano il truismo per slanciarsi subito dopo nell’iperuranio dell’assoluto e dell’assolutorio; versi che fanno del contraddittorio e del principio di non contraddizione i perni attorno cui ruotano tutte le metafore e le fraseologie, dove il contraddittorio viene adottato per dimostrare la falsità del principio di non contraddizione e del principio di ragione sufficiente, poiché la terra e la storia degli uomini vengono rivisitate con l’ausilio dell’ossimoro e della tautologia, mediante frasi sentenziose e assertorie appunto per rimarcare e sottolineare la profondissima non assertoricità del reale, ove il tutto assertorio si capovolge e diventa il tutto interlocutorio derisorio. Per la Lipska, l’assurdo e il derisorio sono il reddito di cittadinanza del reale, della storia e degli uomini che la abitano. Gli uomini sono i titolari di questo reddito di cittadinanza a scadenza fissa, un po’ come i titoli di stato, con delle differenze che vanno dai titoli trimestrali e quelli decennali e ventennali che beneficiano di un tasso più alto e che valgono, fin che valgono, fin quando lo stato non dichiara default. La storia ha senso proprio perché non ha un significato e perché rischia sempre di finire nel default. Qui sta l’elemento del comico e del derisorio di questa poesia, che essa si presenta nelle vesti del sardonico e del comico mentre che ci intrattiene con l’insulso e l’assoluto, con il falso e il similoro.
A mio avviso la chiave per entrare dentro la poesia di Ewa Lipska sta in questi versi:
cerchiamo nervosamente
il certificato di garanzia
che mantiene la parola.
Il problema è, appunto, che non c’è alcun certificato di garanzia per la parola se non la parola stessa, cioè, quanto di più effimero e transeunte ci possa essere nel creato. Appena pronunciata la parola passa, invecchia e scompare. E allora, quali parole pronunciare? La risposta credo sia semplice: Non pronunciare nessuna parola, oppure, pronunciare la tautologia o la filiazione delle fraseologie l’una dall’altra:
Nei viaggiatori c’è il treno. Battono in essi le ruote.
E nelle ruote c’è l’eternità. Nell’eternità c’è la paura.
E nella paura c’è il silenzio. E nel silenzio il più silenzioso.
Nei viaggiatori c’è il treno. E il continuo gioco delle ruote.
Ma forse il problema non è soltanto nelle Parole. Da questo angolo visuale il problema rimarrebbe insoluto e insolubile; il problema potrebbe essere visto anche da un altro angolo visuale… da un altro universo…
da Ewa, Lipska 20 poesie, Edizioni CFR, luglio 2014
L’esame
L’esame per il posto di re
andò a meraviglia.
Si presentarono alcuni re
e un apprendista re.
Fu scelto re un certo re
che doveva essere re.
Ottenne punti extra per le origini
l’educazione spartana
e per il sorriso
che prese tutti alla gola.
In storia rivelò
notevoli capacità di sorvolare.
La lingua obbligatoria
risultò la sua madrelingua.
Quando toccò il tema dell’arte
avvinse il cuore della commissione.
Uno dei membri della commissione
avvinse un po’ troppo forte.
Sì
quello era davvero un re.
Il presidente della commissione
corse a chiamare il popolo
per consegnarlo solennemente
al re.
Il popolo
era rilegato
in pelle.
.
A due voci
– Non sarò più tua moglie.
– Non sarò più tuo marito.
– I bambini non capiranno cos’è accaduto.
– Bisogna mandarli al cinema.
– I segugi dei miei pensieri hanno fiutato
la separazione.
– Una grossa cicatrice dopo questo amore
resterà.
– Lo seppelliremo visto che è giunto
così insensato.
– Le sentinelle dei ricordi metteremo
presso la bara.
– Quanto si può tenere un cadavere
in casa?
– Quanto si può tenere un cadavere
nel cuore?
– Faremo brevi discorsi.
– Gli augureremo ogni bene.
– Affinché non ritorni.
– Forse ancora una volta…
– Non ci troverà in casa. Andiamo in tintoria.
– Troppo incauti siamo stati con noi stessi.
Prima dell’alluvione fuggivamo verso il fiume.
– Prima della siccità fuggivamo verso il sole.
Eternamente stanchi abusavamo della farmacia.
– Coprivamo le orecchie quando l’orologio ci minacciava
sonando l’allarme sonando l’allarme.
– Ci separavamo per ulteriori incontri
su una funivia. Fissando il baratro
sceglievamo l’amore che ci occorreva.
– Eravamo atterriti dalla profondità del destino.
– Soli come il deserto che non spera più nel cielo.
– E soltanto del nostro amore ancora
la camicetta di seta. Del nostro amore
il pettine.
– E le labbra
che impediscono l’accesso alla parola.
– La sera fa già fresco.
Prendiamo i cappotti dei bambini.
– E andiamogli incontro.
Il cinema è lontano.
Il giorno dei Vivi
Nel giorno dei Vivi
i morti giungono alle loro tombe
– accendono le luci al neon
e piantano i crisantemi delle antenne
sui tetti dei multipiani sepolcri
a riscaldamento centralizzato.
Poi
scendono con gli ascensori
verso il quotidiano lavoro:
la morte.
Ewa Lipska
Mia sorella
Mia sorella ancora non sa
che il mondo è condannato all’atlante.
E l’atlante è un enorme piatto eternamente affamato.
E’ un giornale di paesi-modelli ritagliati. A volte fuori moda.
Che all’improvviso tutto è chiaro quando si esce dal cinema.
Che le idee aderiscono perfettamente ai manichini.
Che non c’è morte che serva di esempio.
Che la morte è soltanto di natura.
Che volendo guardare il cielo bisogna
portarlo prima alla censura.
Che il più alto sapere è nella biblioteca dello spazio.
Che l’amore è amore. E l’amore è un giardino.
Che in questo giardino bisogna sfuggire l’autunno.
Che in un giardino non si può sfuggire l’autunno.
Che nessuno impedirà più la divisione delle cellule.
Che la vita è finita quando comincia.
Che Isolda è vecchia. Soffre di reumatismi.
Che la storia è una grande pattumiera.
Serve a far sparire le date e a spaventare i bambini.
Che quando la notte per un attimo gli occhi ci adombra
si risvegliano in noi gli uccelli gridando: Terra! Terra!
E allora scopriamo un nuovo continente: l’Uomo
che sulle palpebre la calda mano ci posa…
Ma mia sorella sa già
Che A come Ada.
*
Non mi ha salvata l’alluvione
benché giacessi già sul fondo.
Non mi ha salvata l‘incendio
benché bruciassi per molti anni.
Non mi hanno salvata le disgrazie
benché mi investissero treni e automobili.
Non mi hanno salvata gli aerei
che sono esplosi con me nell’aria.
Si sono abbattute su di me
le mura di grandi città.
Non mi hanno salvata i funghi velenosi
né i precisi tiri dei plotoni d’esecuzione.
Non mi ha salvata la fine del mondo
perché non ne ha avuto il tempo.
Nulla mi ha salvata.
VIVO.
Certificato di garanzia
La nostra macchina da matrimonio
si è inceppata all’improvviso.
E benché continuiamo
a pelare i pomodori
a tagliare sottilmente l’aglio
a infarcire la serata
di parole sul sesso
e a mangiare ricordo
dopo ricordo
cerchiamo nervosamente
il certificato di garanzia
che mantiene la parola.
Ewa Lipska
Nessuno
Sono d’accordo su questo paesaggio
che non esiste.
Mio padre regge nella mano il violino.
I bambini leccano il suono.
La corrente d’aria
investe i petali delle rose.
Poi la guerra. Ci perdiamo di vista.
A frasi intere si celano le parole.
La stanza vuota
parcheggiata nell’oscurità
dell’edificio.
Prego lasciare un biglietto
dice nessuno.
Natura morta
La natura morta comincia a guastarsi.
Arrugginiscono le viti dei giaggioli. Dalla frutta
di Chardin Courbet Cézanne
si leva un odore nauseante.
La tela perde la vista.
Nel bicchiere una pietra di vino.
Insopportabile il nero.
Profetiche visioni
dei dittatori della moda:
si approssima l’epoca dei lampi.
Piante terrestri anfibi e mammiferi
soffierà via il corno.
Il tempo accadrà sempre più raramente.
Sarà sempre più breve. Sempre di meno.
Dunque togli dalla borsetta il nostro amore.
E affrettati. Un brandello di oltremare
annuncia che faremo in tempo a ridere.
Amore
L’amore è un indovino.
Prevede se stesso te e me.
E’ del popolo eletto
e usa una lingua
ad alta tensione.
Nella Biblioteca Nazionale
macchia perfino
i libri poco letti.
In una valanga di cori
scopre un’eco
di euforia e di morte.
E quando ti raggiungerà
cerca di essere in casa.
O qualcosa del genere.
Pur di incontrarvi.
Sogno
Il sogno mi dava quindici possibilità.
Tre vie d’uscita da una situazione alquanto difficile.
In una di esse bisognava usare la chiave
che tenevo in mano.
Nel sogno proiettavano un film sulla fine del mondo.
Nessuno dei presenti in sala ha chiesto: e dopo?
Le poesie scritte nel sogno erano molto buone.
Quelle non scritte affatto – non erano peggiori.
Il tempo era come doveva essere.
Bisognava con tutto questo andare verso la veglia.
Mi ha sorpassata un gruppo di atleti
che correvano oltre il tempo.
Una vecchietta ha preso un sonnifero
ed è tornata indietro.
La veglia è sopraggiunta inattesa.
Le ho comunicato soltanto il dolore alla testa
posata male sul bianco cuscino.
Ewa Lipska
Forse
Forse ancora mi resterà
sbiadita come inutile verso
una fotografia. L’ultima separazione
il cielo con la pioggia svolgerà su tamburi.
E il giorno verrà il giorno verrà il giorno verrà
nel tuo grigio stinto vestito
nella fotografia così piccola così concisa
che è possibile stringere in una mano.
E più non so più non so più non so
se tu eri o sei o sarai
forse guardi e di rimpianto è il grigiore
forse soltanto con noncuranza gioisci
forse pensi che la vecchiaia già vecchiaia
adesso da me con impeto si affretti.
Tu ti sei fermata e aspetti. Io sono in cammino.
Tu negli occhi aperti ti sei fermata.
Ed io guardare non posso non posso.
Perciò guardo mortalmente ostinata.
–
Vetri
Che pena guardare quei vetri oblunghi.
Donne assonnate si tolgono il trucco dal volto.
E accanto cupi passano i viaggiatori.
Dietro di loro c‘è il paesaggio. La truppa marcia.
Nel paesaggio ci sono i tavoli. Sui tavoli c’è il vino.
A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il sorriso.
E nel sorriso c’è la tristezza. E tutto è come al cinema
in quei vetri oblunghi. Nella ragazza c’è il sorriso.
Fa pena guardare. Donne assonnate.
Nelle donne c’è l’amore. Nell’amore c’è la fine.
E poi ci sono solo vetri oblunghi
e la tristezza. Viaggiatori. Nell’amore c’è la fine.
Nei viaggiatori c’è il treno. Battono in essi le ruote.
E nelle ruote c’è l’eternità. Nell’eternità c’è la paura.
E nella paura c’è il silenzio. E nel silenzio il più silenzioso.
Nei viaggiatori c’è il treno. E il continuo gioco delle ruote.
Che pena guardare. La truppa marcia.
Nel soldato c’è la pallottola. E nella pallottola c’è la morte.
E nella morte c’è tutto e nulla c’è nella morte.
E nel sorriso c’è la tristezza. Nell’amore c’è la fine.
A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il cuore.
E nel cuore c’è un soldato. Nel soldato c’è la pallottola.
E piange la ragazza. Passano i viaggiatori.
La fresca notte si specchia nei vetri oblunghi. Continua a leggere →
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